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Autore: LondonRiver16    27/06/2015    2 recensioni
- Semplicemente continuo a pensare che quei due potrebbero benissimo arrangiarsi e farlo tranquillamente ogni volta che vogliono, quando Lily dorme. Una volta a settimana, Cristo, tanto vale rinchiudersi in convento!
Fu quello il momento in cui, voltandosi con un sorrisetto saccente sulle labbra, Tommy riuscì veramente a zittirlo.
- Fossi in te, mi asterrei dall’esprimermi fino a quando non avremo anche noi dei mostriciattoli urlanti per casa. Che tu ci voglia credere o no, caro il mio saputello, i bambini possono non essere facili da tenere a bada. Non vogliono andare a dormire, fanno i capricci, sognano l’Uomo Nero, piangono e ti si precipitano in camera senza bussare. E indovina un po’, non molti studiosi di pedagogia indicano la visione dei genitori che fanno del sano sesso tra i programmi più adatti alla crescita intellettuale, sentimentale e creativa dei piccoli. E ora, se hai finito di fare il grillo parlante arrapato, puoi per favore riempire la brocca dell’acqua e metterla in tavola? Grazie, amore, sei sempre così collaborativo.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Adam Lambert, Nuovo personaggio, Tommy Joe Ratliff
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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Babysitting got me thinking

 

“And you flew in my arms, you just flew right into my arms”

(Loving you, Paolo Nutini)

 

Adam rientrò a casa molto più presto del solito, quel giovedì sera, e per una volta senza nemmeno una goccia di senso di colpa.

Aveva lavorato l’intera mattinata e gran parte del pomeriggio in ufficio per occuparsi del miliardo di carte da firmare e catalogare sue e dei suoi soci e delle fatture dei fornitori da pagare. Perciò non aveva riflettuto più di un secondo, verso le diciassette, prima di chiamare un altro ben noto ufficio e avvertire suo marito: quella sera avrebbe reclamato il diritto di saltare il turno al bancone del bar e staccare prima. In quel modo avrebbe potuto ricomparire a casa qualche ora prima del previsto.

- Alle otto invece che a mezzanotte, in tempo per cenare decentemente e prendermi cura di te. Che te ne pare? - aveva promesso, immaginando il conforto delle lenzuola e del corpo di lui premuto addosso.

Aveva tenuto il cellulare incastrato tra la spalla e l’orecchio mentre le sue dita ticchettavano sulla tastiera del laptop, ma conoscendolo non c’era da sorprendersi che non fosse riuscito a pensare ad altro che non fosse la prospettiva per la serata. Ormai l’idea gli era stata spifferata dal proprio subconscio, non era in grado di metterla a tacere come se niente fosse.

Nel sentire la risposta di Tommy dall’apparecchio, aveva sorriso come se il sussurro fosse stato davvero soffiato a un centimetro dal suo collo.

- Questo è il mio uomo.

Fu con l’aspettativa creata da quella singola frase – pronunciata da Tommy in uno dei rari momenti di pausa che si concedeva, tra un appuntamento e l’altro o un attimo prima di correre in auto per recarsi sul luogo di una visita di controllo – che Adam entrò nell’atrio di casa verso le otto e dieci di quella sera. Si mosse quasi in punta di piedi, cercando di fare meno chiasso possibile, nel riaccostare la porta come nel togliersi la giacca leggera e raggiungere la cucina e il suo sbatacchiare di pentole e posate.

Quando mosse qualche passo leggero nel locale piastrellato, trovò il ventiseienne di spalle, impegnato dinnanzi ai fornelli. A giudicare dal tascapane e dalla cravatta abbandonati sulla sedia più vicina, neppure lui doveva essere tornato da molto, ma a quanto pareva non si era concesso neanche un attimo di respiro prima di tuffarsi nella preparazione della cena.

Se ne stava lì in piedi, con la camicia un po’ sgualcita che si piegava e tendeva in lungo e in largo sulla schiena ogni volta che il suo braccio si ritrovava impegnato a mescolare il contenuto di uno dei tegami sul fuoco. Ma non c’era il minimo dubbio che si fosse accorto del suo arrivo, fosse stato anche solo per il minimo movimento del capo che lo aveva tradito un attimo prima che il suo compagno buttasse il mazzo di chiavi sul tavolo, facendo un baccano del diavolo.

- Buonasera, schiavetto.

Circondargli la vita con le braccia senz’altro preavviso che l’avvicinarsi quieto dei suoi passi non impedì a Tommy di brandire un mestolo pulito e assestargli un colpo sulla parte alta della coscia, a malapena raggiungibile. Nessun insulto, leggero o pesante, gradito o meno che fosse, restava impunito in quella casa.

- Baciami i piedi, ingrato, sei fortunato ad avere un marito che si rifiuta di arrendersi completamente al take-away del fast food. Oltremodo fortunato.

- Oltremodo - concordò Adam per accontentarlo e prenderlo in giro, sogghignando nello stringerlo più forte a sé e premergli le labbra accanto all’orecchio, sulla basetta bionda. - Piedi a parte, posso osare qui?

Per tutta risposta, Tommy ridusse al minimo l’intensità del fuoco sul gas, si liberò le mani di ogni mestolo e presina e si voltò di scatto, forse stufo di farsi pregare. Adam colse un unico guizzo scaltro degli occhi scuri cui anelava ogni sera, al ritorno dal lavoro, e fece appena in tempo a ribattere con un sorriso storto prima che il più giovane gli afferrasse la maglietta bianca e lo tirasse a sé senza complimenti.

Le palpebre di entrambi si chiusero automaticamente e le loro labbra si persero senza timore in quelle dell’altro, avide le une delle altre dopo ore di astinenza. Come faceva spesso, in un primo momento il moro lasciò all’altro la possibilità di indugiare in uno dei baci lenti, riflessivi e quasi immobili nei quali gli piaceva languire a fine giornata. Ma dopo appena qualche secondo, approfondì il gioco fino a lasciarlo senza fiato.

- E cosa sta cucinando il miracolo salvatore della mia dieta? - chiese quando Tommy si fu ritratto per guadagnarsi una boccata d’ossigeno, infierendo solo un po’ col tono di voce.

- Polpette al sugo da una parte, cuori di carciofo dall’altra. Tutto molto equilibrato.

- Hm, siamo il ritratto della salute.

Recuperò il mestolo, lo intinse nel sugo delle polpette e se lo portò alle labbra, ma subito dopo aver comprovato la consueta abilità di Tommy nel preparare uno dei classici di sua madre, rimise a posto l’utensile e tornò ad assaggiare la sua bocca. Ancora una volta suo marito si arrese ai baci, alla mano che gli premeva con urgenza sulla nuca, all’altra che gli stringeva il fianco. Ma quando Adam si fece tanto insistente da palesare le proprie intenzioni riguardo ai successivi venti minuti, il ragazzo si vide costretto a frenarlo premendogli le mani sul torace.

- Spiacente di dover rompere le scatole al tuo idillio, ma dobbiamo fermarci qui.

Lo stupore negli occhi chiari del trentunenne durò solo il tempo di un battito di ciglia, poi venne sostituito da un velo di amara comprensione. A quanto gli diceva quell’interruzione, i giochi erano finiti ancora prima di iniziare. E non appena capì cosa si nascondeva dietro il sorrisetto divertito del marito, le spalle gli crollarono per la delusione di non poter riparare nemmeno con una trovata trascinante.

- No, non dirmelo - lo supplicò.

- Devo - ribatté Tommy, spalleggiato dalla propria coscienza, e rapido tornò a controllare il punto di cottura delle polpette. - Drew è passato un’ora fa a lasciarci la piccola.

La piccola. Un vezzeggiativo incantevole che stava a indicare la figlioletta in età d’asilo di Kevin e Andrew, tre anni e quattro mesi di dolcezza e perenne voglia di giocare che, per quanto irresistibili, non bastavano certo a consolare un uomo del furto di una serata piccante col proprio partner.

Avuta la conferma di una buona manciata di ore da passare coi bastoni in mezzo alle ruote, Adam non fece alcuno sforzo di trattenersi dall’alzare gli occhi al cielo, caricando quel gesto di irritazione con ogni goccia della propria tragicità da palcoscenico e sbuffando: - Puntuale come uno del fisco.

Senza aggiungere altro, gli volse le spalle e raggiunse la credenza dove tenevano i piatti, per dare un taglio drammatico alla scena e iniziare ad apparecchiare la tavola.

- Dai, Ad, non essere ingiusto - cercò di blandirlo Tommy, spegnendo il fuoco sotto ai carciofi che sobbollivano e aggiungendo un ultimo pizzico di sale alle polpette.

Aveva un modo tutto suo di muoversi in cucina. Morbido e lento, per quanto deciso, così diverso dai movimenti veloci con cui si muoveva per strada, in mezzo alla gente. Adam aveva sempre pensato somigliasse al suo modo di fare l’amore. Forse per questo non riusciva a perdersene un solo frammento, forse per questo adorava guardarlo cucinare.

- Lui e Kev hanno bisogno di almeno una sera a settimana tutta per loro. Non vorrai che il loro matrimonio vada a catafascio, vero?

Irremovibile dinnanzi al suo tentativo di ammorbidirgli il cuore, il maggiore gli lanciò un’occhiataccia mentre si dava da fare a distribuire sottopentola e posate.

- E al nostro, di matrimonio, chi pensa?

Stava ancora facendo la corte al proprio broncio quando avvertì le braccia di Tommy adularlo, scivolando sulla sua maglietta fino a circondargli la vita. I polsi teneramente allacciati poco sotto il suo stomaco, il giovane gli appoggiò la guancia calda sulla schiena e cominciò a dondolare appena dietro di lui, fiducioso di avere il potere di convincerlo nel palmo della mano – oltre che nel tocco delle dita e nella morbidezza delle labbra.

- Noi, adorabile idiota - mugugnò, scaldandogli la pelle col respiro, attraverso la stoffa.

Anche a distanza di dieci anni dalla prima volta in cui erano andati a letto assieme, quelle provocazioni blande e dolorosamente lente riuscivano a far rabbrividire il corpo di Adam come quello di un ragazzino appena intrappolato dalla fitte maglie di una cotta. Una debolezza che lui odiava a morte e venerava fino allo sfinimento allo stesso tempo, per quanto suonasse incoerente.

Quale parte di me si è mai dimostrata coerente per più di cinque minuti, dopotutto? si ritrovò a correggersi mentalmente, prima che le parole del suo compagno pretendessero la totale attenzione di ogni sua singola sinapsi. Dio, quanto si stava impegnando per fargli dimenticare la voglia di adempiere ai doveri coniugali che Adam considerava sacrosanti.

- Noi e le quattro serate di sesso a settimana - continuò infatti Tommy, riportandogli alla mente ciò che avevano fatto, avuto e rincorso a perdifiato solo la notte prima, quella prima ancora e indietro secondo quel ritmo. - Per non parlare delle sessioni prolungate con cui ci teniamo occupati nei weekend.

- Mai abbastanza - brontolò però il moro, pur non resistendo a carezzargli distrattamente i dorsi delle mani. - Maledetto turno da babysitter.

Solo a quel punto Tommy si arrese e si allontanò da lui soffiando. A nessuno dei due piaceva perdere.

- Davvero avresti il cuore di privare il tuo migliore amico dell’unica scopata concessagli in un’intera settimana?

La risposta di Adam arrivò insieme al tonfo della prima pentola sulla tavola.

- Ma per carità divina! È un toccasana per i suoi nervi.

Quando Tommy ebbe poggiato anche la seconda padella bollente e lo circumnavigò per raggiungere la porta che dava sul salotto, lui lo seguì come un’ombra asfissiante.

- Semplicemente continuo a pensare che quei due potrebbero benissimo arrangiarsi e farlo tranquillamente ogni volta che vogliono, quando Lily dorme. Una volta a settimana, Cristo, tanto vale rinchiudersi in convento!

Fu quello il momento in cui, voltandosi con un sorrisetto saccente sulle labbra, Tommy riuscì veramente a zittirlo.

- Fossi in te, mi asterrei dall’esprimermi fino a quando non avremo anche noi dei mostriciattoli urlanti per casa. Che tu ci voglia credere o no, caro il mio saputello, i bambini possono non essere facili da tenere a bada. Non vogliono andare a dormire, fanno i capricci, sognano l’Uomo Nero, piangono e ti si precipitano in camera senza bussare. E indovina un po’, non molti studiosi di pedagogia indicano la visione dei genitori che fanno del sano sesso tra i programmi più adatti alla crescita intellettuale, sentimentale e creativa dei piccoli. E ora, se hai finito di fare il grillo parlante arrapato, puoi per favore riempire la brocca dell’acqua e metterla in tavola? Grazie, amore, sei sempre così collaborativo.

E con un bacio veloce lo lasciò lì su due piedi per andare a ripescare la bambina dalle sue amate costruzioni.

 

Ore dopo – ore passate a far mangiare Lily, a distrarla mentre Tommy metteva a posto, a giocare con lei fino allo sfinimento di tutti e tre –, Adam si ritrovò sdraiato da solo sul lato sinistro del letto matrimoniale.

Con addosso soltanto un paio di boxer e le lenzuola fini ammonticchiate contro le piante dei piedi, fissava il lampadario sul soffitto senza notarne, per una volta, l’accumulo di polvere. Sentiva gli scricchiolii e i deboli rumori con cui la casa parlava, ma non stava ad ascoltarli. Assorto, rincorreva le immagini di vita, i piccoli indizi di cui si era accorto al più presto quella sera e vi costruiva sopra ipotesi che lo rendevano nervoso – un bislacco amalgama di nervosismo ed eccitazione, a dire la verità.

Non se l’era presa per la frase con cui Tommy aveva messo a tacere le sue lamentele, non l’avrebbe mai fatto. A dirla tutta l’arguzia e l’ironia del compagno erano solo due delle caratteristiche che lo stregavano sottilmente, per cui non gli dispiaceva venire zittito da un argomento convincente. Forse aveva davvero ragione, lui non ne sapeva molto di marmocchi. Ma ciò che lo stupiva e lo infastidiva di più era non avere ancora nessuna certezza, dopo dieci anni di relazione, su che cosa ne pensasse Tommy a riguardo.

Quando Kev e Drew gli avevano comunicato di volere un figlio, loro prima avevano schernito il più grande e il suo incrollabile senso materno, poi si erano congratulati calorosamente con entrambi e promesso di essere i migliori zii possibili per lo scricciolo che sarebbe arrivato in casa Bentley-Wyler. Ma la discussione era finita lì e ora Adam si chiedeva come fosse possibile che non si fosse mai reso conto dell’esigenza di parlarne col compagno.

Una mano si era spostata dal materasso sullo stomaco nudo, l’altra dietro la nuca e i suoi occhi avevano cominciato a contare le stelle che si intravedevano dalla porta-finestra aperta, quando Tommy entrò in camera e si chiuse la porta alle spalle con riguardo. Adam spiò il viso che si muoveva nella penombra e vi riconobbe la stanchezza e il sollievo di fine giornata prima che il ragazzo si tuffasse sul materasso, accanto a lui, affondando la testa nel cuscino con uno sbuffo sonoro.

- Finalmente ha preso sonno.

Intenerito, Adam si lasciò scappare un sorriso e allungò una mano per sfiorargli la guancia coperta da un filo di barba castana. - Dopo aver sentito la fiaba di Pollicina quante volte?

Incitato dalla domanda, Tommy aprì gli occhi e lo guardò con aria colpevole, come se fosse stato appena scoperto a fare qualcosa di proibito. Era il suo modo di esprimere un moto di tenerezza nei confronti di qualcun altro ed era una di quelle espressioni che lo facevano sembrare ancora un ragazzino capace di imbarazzarsi per uno sguardo.

- Quattro… e mezza. Lo so, si è fatto tardi, ma come si fa a dire di no a quel faccino?

- Me lo chiedo anch’io - sussurrò allora Adam, mettendosi su un fianco per poterlo guardare dritto negli occhi e intensificando la prima, leggera carezza. Le quattro dita minori alzarono un poco il viso del più giovane mentre il pollice gli attraversava con dedizione la guancia, andando a sottolineare le sue parole: - E devi ammettere che di bei faccini me ne intendo.

Cogliendo al volo l’allusione, Tommy si espose in un sorrisetto sapiente. - Ma nemmeno tu sai negargli alcunché.

Adam non aspettava altro.

- Ah no? - In un battito di ciglia si avvicinò a Tommy tanto da schiacciare il proprio corpo contro il suo e, sorridendo scaltro a pochi centimetri dal suo viso, fece correre la mano lungo il suo fianco, superò la barriera dei pantaloni e scese fino a strusciare il palmo contro la coscia nuda. - Allora dovrò essere più severo.

Come Adam si era aspettato, Tommy rabbrividì sotto la doppia minaccia di quella frase e di quel tocco senza veli, mal celando l’interesse provocato dall’astuzia del marito dietro iridi luccicanti. Ai tempi dei primi passi di quella relazione, quando lui aveva diciassette anni e Adam un’esperienza più vasta in campo erotico, uscite come quelle bastavano a eccitarlo per una serata intera. Ora, dette da suo marito, sapevano ancora essere di una potenza letale, ma la parte più emozionante del gioco la creava lo scambio di battute. Col tempo, Tommy Joe Ratliff si era rivelato ben più di un semplice sottomesso.

- Tiratela di meno - replicò, fisso negli occhi del marito, mentre la mano di Adam sulla sua coscia lo provocava senza clamore. - Non sono l’unico cattivo ragazzo nella stanza.

Quella provocazione rimase ad aleggiare nella manciata di centimetri cubi che li separavano per meno di due secondi prima che Adam si addossasse completamente a Tommy e si impadronisse delle labbra ancora aperte per pronunciare l’ultima sillaba dell’ultima parola. Il biondo lo accolse senza stupore, reagendo fin dall’inizio e resistendo alla pressione del corpo del marito solo per poter immergersi più a fondo in quel bacio. Diverso da quello del ritorno, quello dato due passi oltre la porta, con la nipotina essenzialmente attaccata. Dopo una giornata nel mondo, il calore, le carezze, la passione di Adam erano come aria d’ambrosia nei suoi polmoni. Le sue mani sul corpo e fra i capelli, balsamo capace di rigenerarlo da ogni fatica e torto subito.

Non appena le labbra si separarono, Adam ne approfittò per scendere a stuzzicargli il collo coi denti. Tommy alzò la testa per fargli spazio e s’irrigidì giusto un secondo prima che il tocco di suo marito lo facesse rilassare. Ma quando le sue mani cominciarono a litigare con tutta la stoffa che aveva ancora addosso, toccò al più giovane, memore di esperienze pregresse, esortarlo a fermarsi.

- Ad… lascia fare a me con calma, per favore, questi pantaloni si strappano fin troppo facilmente.

Se il trentunenne gliela diede vinta senza insistere troppo fu solo dopo aver notato che quello che stava per togliere con ben poca grazia era un paio dei pantaloni buoni che Tommy era costretto a indossare quando rimaneva in ufficio e doveva andare incontro alle fisse sull’etichetta dei suoi capi – e perché non era certo il solo nella posizione di giocare con le intimidazioni.

Quando Adam lo ebbe liberato, Tommy si rimise in piedi e iniziò a spogliarsi senza fretta, riponendo ogni indumento che si toglieva sulle grucce vuote appese contro l’armadio, in ordine e con la cura di chi si carica della propria parte di faccende domestiche.

Suo marito non gli staccò gli occhi di dosso per tutto il tempo, ma fu nel momento in cui il più giovane cominciò a sbottonarsi la camicia che la voce calda di suo marito lo chiamò.

- TJ?

- Hm?

Adam esitò. La schiena di Tommy, ora nuda di fronte a lui, appariva così bianca alla luce della luna, e le parole che aveva in mente di dire così stonate nella perfezione del solo fruscio degli abiti riposti per la notte. Eppure non poteva ritardare ancora quella domanda. Non ora che si era reso conto di non avergliela mai posta.

- Tu… vorresti dei figli?

Nel poco tempo che aveva avuto a disposizione per rifletterci, si era aspettato una reazione perlomeno sorpresa. Invece Tommy non interruppe ciò che stava facendo, non lo rallentò neppure: si slacciò la cintura e rispose in tono tranquillo mentre la sfilava dai passanti.

- Tu no? Un giorno?

- Sì, certo - annuì a quel punto il moro, stupendo anche se stesso per la velocità della risposta. Ci aveva mai veramente pensato in modo concreto? Dovette mordersi la lingua per concentrarsi sul presente, su quello che era solo il principio di un argomento, e tornò a dare piena attenzione al marito. - Ma quello che ti sto chiedendo è se ne vorresti ora.

Quell’ultimo passo in avanti per tentare di chiarire provocò addirittura un accenno di risatina e un rimprovero scherzoso da parte di Tommy, che si voltò verso di lui con l’allegria negli occhi mentre finalmente si toglieva i calzoni.

- Adam.

- Cosa? Che c’è? - insistette, sentendosi preso in giro.

- Tesoro, se non sono stato informato male, ci vogliono almeno nove mesi per sfornare un bambolotto.

Adam sbottò e si rimise supino e a braccia incrociate. - Tante grazie per l’informazione.

Tommy ridacchiò del suo sdegno teatrale, sistemò sulla sedia i pantaloni accuratamente piegati in due e si adoperò per rimediare al debole torto consumato ai danni del compagno tornando subito a letto. Una volta adagiatosi di nuovo sul materasso, con molta meno foga della prima volta, strisciò accanto ad Adam fino ad accoccolarglisi contro il fianco e prese a sfiorargli lo stomaco con tocco lieve, ruffiano.

- Dai, scusa. È che mi hai preso alla sprovvista - disse in tono soave, e armato della stessa gentilezza si sporse per appoggiargli un bacio sull’angolo delle labbra punteggiate di lentiggini. - Perché ti è venuto in mente proprio adesso?

Soddisfatto dell’attenuante e comunque bisognoso di esprimere tutto ciò che aveva cominciato a frullargli nella testa, Adam distese le spalle e con un sospiro tornò ad aprirsi alla questione. In un attimo, la sua mano scivolò sopra quella che Tommy teneva a contatto con la sua pelle, e le dita si intrecciarono, obbedienti all’abitudine.

- Be’, è il modo in cui stai con Lily. È cambiato.

- In che senso, è cambiato?

- Una volta, guardandovi, sembrava di avere davanti fratello e sorella.

- Oh - commentò il ragazzo, e Adam indovinò l’onda dello scetticismo solcargli le sopracciglia. Ma mai senza un minimo di compiacimento. - Questo è il tipo di complimento che chiamo profonda leccata di culo.

- Magari fra un po’ - ribatté il maggiore, i denti che scintillavano alla luce della luna in un altro sorriso. Non era in grado di rinunciare al piacere fine di sfruttare un doppio senso. - Insomma, capisci cosa intendo? Era quello l’atteggiamento con cui giocavi con lei. Invece adesso ti poni in modo diverso nei suoi confronti. Sei sempre più simile a Drew, sempre più simile a un padre.

A quel punto la serietà del suo discorso venne interrotta dal soffio infastidito di Tommy: - E tanti cari saluti all’eterna giovinezza.

Adam sogghignò, voltando il capo per dedicargli uno sguardo toccato e divertito. - Non te la prendere, amore - lo consolò, strofinando i polpastrelli contro il dorso della sua mano. Era così calda, e come diavolo faceva ad apparire fragile e piena di vigore allo stesso tempo? - Sei perfetto. Giovane, bellissimo e perfetto, come sempre.

- Adulatore.

Il maggiore ignorò la sua occhiataccia semiseria e proseguì sul tracciato che si era delineato al ritmo dei pensieri. Tentennava, doveva fermarsi più del solito sulle parole, riflettere per bene prima di pronunciarle, ma non poteva evitarle.

- E poi quello che hai detto prima sui mostriciattoli. Ti brillavano gli occhi. Così ho pensato…

- Hai pensato volessi un figlio - lo interruppe l’altro, deliziato, e rotolò ancora un po’, così da ritrovarsi quasi sopra di lui. - Oh mio Dio, sei così tenero.

Avvertendo la voglia di troncare il discorso e di ritornare alle provocazioni di poco prima assalirlo alla bocca dello stomaco, Adam se ne uscì con un tono brusco che di volontario aveva poco: Tommy stava miagolando senza pudore e gli si stava strusciando contro con addosso nient’altro che dei boxer aderenti da troppi minuti per considerare l’ipotesi di ignorarlo ancora a lungo.

- Allora, vuoi parlarne seriamente? Prima che smetta di trattenermi dal saltarti addosso, magari? Hai circa tre secondi e mezzo.

Tommy si esibì in una smorfia soddisfatta, relegando la magica innocenza del ragazzino in cantina e tirando fuori la parte più rovente di se stesso.

- Facciamo che ne parliamo domani con calma - tubò, mentre con le dita saliva a sfiorare i capezzoli e le clavicole di Adam, come studiando dove fosse meglio iniziare a viziare con l’aiuto di labbra e lingua. - Adesso mi hai messo addosso una considerevole voglia di testare la tua teoria.

Adam stette al gioco, facendo scorrere le mani dalla sua schiena ai suoi fianchi magri in un movimento fluido, naturale, di modo che l’altro percepisse il suo desiderio sulla pelle mentre con la voce faceva di tutto per smentirlo.

- Quale teoria?

Tommy gli lanciò uno sguardo di rimprovero, che però non resse a lungo alla premura di giungere al dunque.

Il signorino ha fame, si crogiolò Adam, ma non gli diede la soddisfazione di dirlo ad alta voce. Voleva la sua risposta, e Tommy gliela sussurrò all’orecchio dopo essere sceso a mordicchiargli avidamente il collo.

- Quella secondo cui si può tranquillamente fare del sesso soddisfacente con il proprio partner, pur avendo una bambina di tre anni dal sonno leggero nella stanza accanto.

Il maggiore non lo lasciò nemmeno completare la frase. Grazie a una tempistica ben ponderata, le sue mani scattarono in giù, fino a raggiungere le natiche di Tommy, e lo tirarono contro il corpo possente del maggiore con prepotenza tale e così rapidamente da trasformare le ultime parole del giovane in un gemito. Nulla più di aria espulsa dai polmoni con urgenza prima che le loro bocche tornassero a fondersi e l’inarcarsi dei bacini confondesse il raziocinio di entrambi.

Adam si separò solo un attimo per poter godere – come sempre – dell’ultimissima parola.

- È una sfida, zuccherino?

 

La mattina successiva, Tommy si alzò dal letto a quella che con l’inizio della sua attività lavorativa era diventata la sua ora abituale da giorno feriale. Aveva in mente di telefonare in ufficio per chiedere un permesso dal lavoro e quella semplice faccenda da sbrigare non avrebbe smesso di tormentarlo finché non la avesse espletata, ma non poteva comunque permettersi di bearsi fra le lenzuola: qualunque cambiamento avesse deciso per la propria giornata, Lily sarebbe comunque dovuta andare all’asilo. E poi si conosceva abbastanza da sapere con certezza che i pensieri che lo avevano colto assieme alla sveglia non gli avrebbero permesso di riaddormentarsi neanche in due ore. Così spense la canzone discreta impostata come sveglia sul cellulare, si liberò con cautela dall’abbraccio caldo di Adam, sorrise guardandolo riaccomodarsi sul cuscino con un sospiro pesante di sonno, acchiappò qualche vestito da interno e lasciò la stanza per cominciare a risvegliare l’appartamento.

Il campanello di casa suonò poco più di un’ora più tardi. Tommy era seduto al tavolo della cucina assieme a Lily, che lo incitava a giocare con lei spingendo le tessere del domino che le avevano regalato all’ultimo compleanno contro la sua tazza di caffè con le manine sporche di briciole.

- Dai, zio, tocca a te!

Era da quando l’aveva svegliata con un bacio sulla fronte, poche decine di minuti prima, che Tommy la guardava con occhi diversi dal solito, per quanto ugualmente allegri e innamorati. Ma non appena qualcuno lo reclamò alla porta, lasciò il tavolo, la prese in braccio e la fece volare con lui fino all’ingresso.

- Chi è arrivato? Uh, è papà! - esclamò, aprendo il battente di fronte ai suoi occhi sgranati per la curiosità.

Il visino contornato di ricci scuri della bambina si illuminò come dinnanzi a uno spettacolo di fuochi d’artificio quando riconobbe la figura sorridente sulla soglia.

- Dado!

Drew, trentacinque anni in jeans e maglietta grigia intonata al colore degli occhi, rise e andò loro incontro a braccia aperte, coprendo la distanza che li separava in due passi per prendere in braccio la piccola che già agitava le braccine pienotte verso di lui.

- Ecco la principessa - disse Tommy, lasciandogliela con un sorriso. Entusiasta di rivedere il padre e tenerissima nel suo vestitino lavanda, Lily era un piccolo vulcano di energia difficile da tenere a bada anche per due braccia adulte. - Lavata, vestita e riempita di latte e biscotti come si conviene a una fanciullina in crescita.

- Cioccolato! - squittì Lily.

- Ovviamente biscotti al cioccolato - confermò Tommy con il contegno di un maître.

Dopo aver seguito quel resoconto sommario facendo spaziare lo sguardo dall’uno all’altra, Drew ricambiò il bacio che la figlia gli aveva appena schioccato sulla guancia e si rivolse a Tommy col suo solito fare pacato.

- Si è comportata bene, sì?

- Un angioletto - annuì lui. - Ieri sera abbiamo giocato a nascondino e ha dormito tutta la notte.

- Ah, a casa degli zii dormi tutta la notte, eh? Buono a sapersi - la rimbrottò senza la minima durezza Drew, dandole un buffetto sulla guancia e facendola vergognare abbastanza da farle seppellire il faccino nell’incavo della sua spalla. Sia lui che Tommy risero, e quest’ultimo accarezzò comprensivo la schiena della bambina mentre suo padre gli rivolgeva uno sguardo colmo di riconoscenza. - Come sempre non so come ringraziarvi.

Tommy fece spallucce. - Non ci pensare neanche. Piuttosto, com’è andata ieri sera?

- Oh, alla grande, per questo ti ringrazio - rise Drew, completamente a proprio agio.

Col tempo, come Adam e Kevin facevano coppietta per le chiacchiere, anche loro erano diventati i migliori amici di sempre, soprattutto per quanto riguardava il commentare ogni minuzia della loro vita di coppia. D’altronde, un’alleanza si era resa necessaria non appena la complicità tra Adam e Kevin si era rivelata schiacciante. Avevano scoperto di avere bisogno l’uno dell’altro per non darla vinta a quelle due dive da palcoscenico dei loro mariti ogni singola volta.

- C’è Adam? Volevo ringraziare anche lui.

- Sta ancora ronfando. Stamattina non deve lavorare e io ho preso un permesso, perciò ce la stiamo prendendo comoda. Vuoi entrare a prendere un caffè?

- No, grazie, sono di corsa. Devo portare la damigella all’asilo ed essere a scuola in tempo per il consiglio di classe delle nove, ma… un permesso dal lavoro? Tu? Di’, hai preso un colpo in testa?

Ben consapevole della reputazione da stakanovista che il suo attaccamento al lavoro gli aveva appiccicato addosso col passare degli anni, Tommy accennò una risatina.

- No, no… o almeno, non nel senso fisico del termine - Alzando la testa dopo essersi grattato la nuca, venne colpito dall’espressione interrogativa dell’amico e cercò di chiarire con le poche sicurezze che aveva al momento: - È solo che a me e Ad serve un po’ di tempo per affrontare una discussione importante.

Lui si morse le labbra e sembrò scannerizzare il suo linguaggio del corpo in una frazione di secondo per capire se ci fosse qualcosa di cui preoccuparsi. - Tutto bene, spero.

- Oh sì, tutto a meraviglia - si affrettò a rasserenarlo il biondo, per poi bloccarsi con le labbra socchiuse.

Non credeva fosse una buona idea anticipare i tempi e parlarne già con qualcuno di esterno alla coppia, ma Drew era un ottimo amico, aveva dimostrato di saper mantenere un segreto e per di più non si sarebbe tranquillizzato se Tommy non gli avesse fornito almeno uno straccio di prova. Quindi perché non accontentarlo raccontandogli dell’esistenza di una speranza?

- Abbiamo introdotto l’argomento solo ieri sera, per cui non è che un’idea per adesso, ma stiamo pensando alla possibilità di… - Tommy si fermò per sospirare e prendere un respiro profondo. Poi tornò a sorridere guidato da un’emozione che non riconobbe e nel farlo accennò a quella che per partito preso era sua nipote. - Di farle un cuginetto.

Senza dubbio la novità assoluta ebbe un effetto su Drew, che rimase un momento immobile a cercare di capire se l’amico lo stesse prendendo in giro, poi ad assimilare l’informazione, prima che le sue labbra si allargassero in un sorriso raggiante. Era bastato quello, aveva già gli occhi lucidi e si teneva Lily più stretta contro il cuore a causa di un istinto irreversibile. Forse il ricordo del giorno in cui lui e Kevin si erano ritrovati fra le mani tremanti la prima ecografia.

- Oh, Tommy…

- È solo un’idea che è saltata fuori - si affrettò a raffreddarlo Tommy, attento a prevenire troppa esaltazione precoce. - Dobbiamo davvero parlarne. A fondo.

Essendoci passato, Drew comprese all’istante e assentì con fervore, trattenendosi dall’insistere. - Certo, capisco.

- Se potessi evitare di dirlo a Kev, nel frattempo, te ne sarei grato - azzardò Tommy.

- Quella pettegola in calore? Non ci penso neanche! - rise ancora Drew, e avvicinandosi per un abbraccio veloce gli sussurrò all’orecchio con fare cospiratorio: - Stai tranquillo, sarò una tomba finché non ci convocherete a cena per dircelo insieme.

- Grazie - sospirò Tommy con un sorriso nervoso. Lui e Adam avevano decisamente bisogno di discuterne, o a lui sarebbe scoppiato il cuore a forza di paranoie mentali. Tentando di allontanare da sé le vibrazioni negative, il giovane si allungò per dare un bacio e una carezza alla guanciotta paffuta di Lily. - Bene, allora buona giornata, principessa. Cerca di non spezzare troppi cuori alla festa dell’asilo.

- Ciao ciao, zio Tì - cantilenò la bimba, insistendo per restituirgli il bacetto.

- Ancora grazie, e salutami Adam.

Tommy annuì, aiutandolo a sistemarsi la cinghia della borsa sulla spalla senza far cadere la piccola.

- Un bacio a Kev.

- E auguri.

- Grazie, Drew - fu la risposta adornata da un sorriso grato.

Lo osservò con un’insolita attenzione mentre trotterellava giù per le scale interne con Lily in braccio, chiedendole se aveva sognato qualcosa di magico quella notte. Poi sospirò, chiuse la porta e tornò a rimuginare in cucina, davanti alla sua tazza di caffè quasi intonsa.

 

Tommy rimase chiuso nei propri pensieri, bisognoso di solitudine, finché non si rese conto che il caffè era diventato gelido assieme alla ceramica che racchiudeva fra le mani. Alzando lo sguardo per la prima volta da quando aveva affidato Lily a Drew, lesse sull’orologio a parete che erano quasi le dieci di mattina e che in tutto ciò, con tre ore di veglia e riflessione alle spalle, non aveva concluso nulla. L’unica soluzione era piantarla di ingannarsi credendo di essere l’unico protagonista e darsi da fare.

Dopo aver gettato nel lavandino ciò che di imbevibile era rimasto nella sua tazza col logo di Starbucks, intraprese le scale che portavano al piano di sopra e fece una tappa in bagno. Malgrado avesse già provveduto da appena sveglio, si tirò indietro quei pochi ciuffi di capelli che gli arrivavano fino al viso, si diede una lavata alla faccia e prese un respiro profondo, fissando a lungo il riflesso dei suoi occhi scuri nello specchio. Poi si rimproverò per essere un uomo adulto col timore delle parole e uscì.

Gli fu sufficiente una manciata di passi per trovarsi di nuovo nella camera da letto che condivideva col marito. Incurante dell’ora, l’interessato se ne stava ancora raggomitolato sotto le coperte, ma si era voltato e ora dava le spalle alla porta. Tommy non si trattenne dall’accarezzargli la linea delle spalle, dopo essersi lasciato andare malamente sul materasso.

- Ehi, bell’addormentato.

- Sono sveglio - rispose Adam, schiarendosi la voce. - Ho già mandato a Kev un sms di rimostranza per lo stanziamento settimanale della sua prole in casa nostra. Per quanto trovi quel fagottino di ricci assolutamente irresistibile, un tale sfruttamento non è contemplato nel mio codice di norme domestiche.

Tommy alzò gli occhi a contemplare il soffitto, spargendovi tutta la pazienza che possedeva. - Potevi fare l’avvocato, la tua vena polemica è davvero inarrivabile - Sentendolo ridacchiare, gli mollò una pacca gentile sul sedere. - Che ne dici di alzarti?

Quando Adam si girò verso di lui aveva ancora il cellulare in mano, ma fece presto a gettarlo lontano, facendolo sprofondare tra le lenzuola, per prendere il viso del compagno tra le mani e baciarlo sulle labbra.

- Per prima cosa, buongiorno - bofonchiò poi con un sorriso. - Per il resto sono subito da te, amore.

Tommy si ritirò soddisfatto, lasciandolo all’ingrato compito di vestirsi mentre lui tornava al piano di sotto, in cucina.

- Siediti, degrado, sto cuocendo le uova - lo esortò non appena la figura lenta di Adam comparve sulla soglia in pantaloni della tuta sdruciti, una maglietta bianca stropicciata, i capelli scompigliati dal sonno – non che le mani di Tommy non avessero contribuito prima – e gli occhi che ancora faticavano ad aprirsi sul mondo. Uno spettacolo da domenica mattina che riusciva sempre a toccare qualche corda nel cuore del più giovane.

- Hm, ti amo - esordì il moro, aspirando forte il profumo della colazione che cuoceva sul fuoco. Stava ancora godendo della fragranza del caffè quando un fulmine gli fece spalancare gli occhi celesti. - Aspetta un momento, oggi è venerdì.

Tommy li sbarrò a sua volta, cavalcando l’onda per prenderlo in giro. - E sei senza caffè, impressionante!

Adam, come molte altre volte, fece finta di nulla per non incoraggiarlo oltre. Invece si trascinò fino al tavolo e si lasciò cadere su una sedia, per poi impadronirsi della caraffa di caffè fumante e della tazza pulita che il compagno gli aveva preparato.

- Be’, perché non ti stai affaccendando in giro come un isterico per rimediare a questo ritardo imperdonabile?

In quel momento il trentunenne era troppo preso a misurare quanto zucchero gli stesse scivolando nella tazza per notare quanto in fretta si irrigidirono le braccia di Tommy. Ma il giovane dovette solo aprire bocca, scegliendo attentamente le proprie parole, perché Adam riconoscesse i sintomi dell’inquietudine nella sua voce. L’ansia era una parte di lui che aveva imparato a conoscere fin troppo bene.

- In ufficio sopravvivranno alla mia assenza, almeno per stamattina - mormorò, e si voltò verso il marito con la consapevolezza di aver attirato una delle sue occhiate preoccupate. - Non avrò la mente abbastanza libera per lavorare finché non avremo parlato della questione che hai tirato fuori ieri.

- Intendi il bambino? - buttò lì, e la conferma divenne perfettamente leggibile nell’espressione di Tommy. - Tesoro, che c’è? Non eri così teso mentre ne parlavamo ieri notte.

Arresosi, finalmente, Tommy spense il gas sotto la padella delle uova e portò in tavola un piatto con qualche fetta di pane tostato. Dubitava che uno di loro due lo avrebbe assaggiato ancora caldo, vista la conversazione intrapresa, ma aveva bisogno di occupare le mani durante il tragitto che lo separava dalla sedia accanto a quella del marito. Vi si accomodò col viso rivolto verso il suo e serrandosi le ginocchia fra le dita si costrinse a cacciare fuori dalla gola ciò che lo assillava.

- Perché ci ho pensato. Ad, tu… io non credevo volessi dei figli.

Lo smarrimento negli occhi del maggiore non durò più di un secondo, poi Adam spinse in fuori il labbro inferiore e fece spallucce, sminuendo la questione quasi all’istante. Tipico suo, trovare subito una soluzione a qualsiasi problema. O almeno fare finta di farlo per tranquillizzare l’angoscia negli occhi del marito.

- Be’, non ci ho mai riflettuto troppo. Sai com’è, non sono passati che due anni da quando ci siamo sistemati, poi c’è stato l’avvio del locale e tu bene o male stai facendo carriera. Ma ehi, ho superato la trentina ormai, ho smesso di considerarlo troppo presto.

Ogni aspetto della vita sembrava così semplice e lineare se narrato dal suo modo di affrontare di petto le situazioni, eppure quella volta Tommy non ne venne conquistato subito.

- No, non hai capito - fece, scuotendo la testa. - Io credevo non ne volessi proprio, nella vita, in assoluto.

Quel secondo sparo lo ferì decisamente più del primo. Contagiato dallo sguardo irrequieto dell’altro, perse ogni ombra di sorriso.

- Non ho mai detto niente del genere.

Erano passati dieci anni, ma la serietà di Adam, un’espressione così vicina al biasimo, riusciva ancora a fargli distogliere lo sguardo.

- No, lo so...

- Allora perché lo pensavi?

La domanda diretta fu come una calamita verso quelle due gemme color del cielo. Tommy deglutì petrolio prima di decidersi a lasciar andare, poco a poco, ciò che lo tormentava.

- Per quello che ti è successo - confessò con voce flebile.

Ogni volta che se ne usciva con un’osservazione del genere, i fantasmi di un’esistenza andata tornavano ad oscurargli il cuore, e lo stesso valeva anche per Adam. Entrambi erano coscienti delle rispettive debolezze, soprattutto se si trattava di argomenti sui quali avevano speso ore, spesso giorni interi, in passato, per far sì che le parole dessero una forma adulta a ciò che di orribile era successo loro da bambini, per far sì che nulla di tutto ciò avesse più il potere di ghiacciare loro le gambe, di impedirgli di proseguire nelle loro vite.

Gli ostacoli psicologici mettono i bastoni fra le ruote anche agli adulti, per quanto a loro non piaccia ammetterlo, e lasciar vincere i terrori del bambino che si ha dentro non è una concessione sulla quale si possa indugiare troppo a lungo. Adam e Tommy non potevano permetterselo mai, se volevano evitare di tornare ad avere incubi una notte su due.

Ma quella discussione pesava sul cuore e premeva contro la gola del più giovane dei due da tutta la notte, ormai. Ormai equivaleva a uno dei suoi vecchi incubi e per questo andava affrontata, dolore o no, insieme. E il dolore era presente negli occhi di Adam, ma Tommy non avrebbe saputo dire se fosse un riflesso delle ombre della sua infanzia o della preoccupazione che vedeva nelle sue iridi.

- Quasi tutto è successo anche a te. Tommy Joe - Il chiamato in causa alzò nuovamente la testa sentendo il proprio nome completo. Ad attenderlo trovò l’intero presidio della severa comprensione di suo marito. - Dimmi cosa ti passa per la testa, per favore.

Lui si morse il labbro, ma smise di opporre resistenza al fascino di quegli occhi.

- La mia odissea è finita bene, la tua no. Io a sedici anni ho trovato una famiglia capace di amarmi, tu hai dovuto scappare e farti strada nel mondo da solo, a diciotto, senza appoggi.

- Non è vero - ribatté subito Adam, in assetto di difesa.

Ma il suo compagno era un assistente sociale con una laurea e una discreta esperienza alle spalle, davvero sperava di fargliela su quel fronte? Non sarebbe bastato un trattato sui diritti di un uomo a mantenere la propria dignità a metterlo a tacere.

- Senza l’appoggio di una famiglia. So quanto hanno fatto Kev e Allie per te, ma non è la stessa cosa.

- D’accordo, su questo ti do ragione - lo fece contento Adam. Però un attimo dopo fu chino sulla sua sedia per prendergli le mani fra le proprie e fargli capire quanto fosse sincero il suo discorso. - Ma davvero credevi bastasse questo a non farmi desiderare di avere una famiglia con te? Li ho persi, è vero. E quello che ne è seguito mi ha quasi ucciso, non intendo negarlo - si risollevò, determinato a convincerlo. - Ma quel poco che ricordo dei miei genitori mi dice che mai e poi mai avrebbero voluto che qualcosa, qualunque cosa, mi trattenesse dal condurre la vita che desidero. Desideravo che tu fossi il mio compagno per sempre ed eccoci qui, no? Se entrambi desideriamo un figlio, un modo lo troviamo - Un sorriso di conforto, segno dell’allegria che non riusciva a risparmiarsi dall’elargire al marito, gli spuntò sulle labbra ebbro di follia. Era una follia cominciare dal nulla a pensare a un figlio, ma al contempo ne stava già assaporando il sapore irresistibilmente dolce. - E saremo accompagnati dall’ansia che prende ogni coppia quando decide di fare questo passo, certo, ma ti prego: non dubitare mai, mai più che io voglia crescere una creaturina con te.

Non dovette aspettare di finire di parlare per sentire le mani di Tommy ricambiare la sua stretta ferma e vedere i suoi occhi inumidirsi di gioia.

- Dici sul serio?

Adam fece di sì con la testa con fare solenne, come l’altro avrebbe adorato. - Raramente in vita mia sono stato tanto serio. Giusto un paio, in effetti.

Tommy scoppiò in una risata estasiata e si alzò per buttarsi fra le sue braccia e sulle sue labbra.

- Ti amo così tanto - gli mormorò all’orecchio dopo quel bacio entusiasta, e Adam chiuse le palpebre nello stringerlo a sé e aspirare forte il profumo della sua pelle, tesa tra la spalla e la clavicola.

- Ti amo anch’io, cucciolo.

Avevano fatto un grande passo avanti. Adam non credeva che la loro relazione avesse ancora bisogno di discutere questioni relative alla parte più buia del loro passato – il cielo sapeva quanto ne avevano già parlato –, ma a quanto pareva la discussione sul bambino aveva tirato fuori quella parte di Tommy che era rimasta timorosa.

Chissà poi se era l’ultima rimasta o no. Forse avrebbe potuto scoprirne e combatterne altre proprio grazie all’arrivo del figlio che, anche senza esistere, gli aveva già rapito il cuore.

- Lo chiameremo Kyle – se ne venne fuori dal silenzio, il calore del respiro di Tommy ancora sulla nuca, i palmi delle mani premuti contro la sua schiena mentre lo abbracciava. - “Nato dalle difficoltà”. E anche per questo, più forte che mai.

   
 
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