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Autore: Strega_Mogana    15/01/2009    5 recensioni
Ma neppure il suo cervello poteva sostenere una tale mole di lavoro; c’erano quei momenti in cui nulla aveva più senso. In cui le parole si fondevano tra di loro, impedendole anche di leggere un semplice articolo di giornale.
Così la mente iniziava a creare immagini crudeli. Iniziava a ricordare, riaprendo ferite vecchie di millenni.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ami/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sei la pioggia

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Quel pomeriggio Tokyo era coperto da grandi nuvole grigie. L’aria era fredda, satura dell’odore della pioggia imminente. La gente correva verso la propria abitazione avvolta in soprabiti colorati; alzando gli occhi al cielo ad ogni occasione, analizzando con apprensione sempre crescente le nubi.
La giovane studentessa della Juuban High School osservò l’uggioso manto celeste dalla finestra chiusa della sua camera. Le dita facevano ondeggiare una penna blu presa dall’astuccio. Davanti a lei tre libri aperti apparentemente ad una pagina a caso. Matematica. Storia. Inglese.
Il quaderno dove stava prendendo appunti era fittamente scritto con la sua piccola calligrafia leggermente obliqua. Scriveva così piccolo per non usare troppi quaderni; creavano disordine sulla scrivania già sovraccarica e le informazioni si perdevano tra migliaia di fogli. Preferiva usare un solo quaderno, così da avere sempre tutto sotto mano.
Sorrise mentre ripensava a tutte le volte che Usagi e Minako si lamentavano per la sua scrittura; così piccola da impedir loro di trascrivere integralmente gli appunti senza bisogno di un aiuto.
Abbassò gli occhi sul libro e sospirò.
Oramai stava studiando da diverse ore.
Non che ne avesse bisogno. Si era portata avanti con i compiti. Aveva già ripassato per tutte le interrogazioni della settimana e aveva studiato anche gli argomenti successivi per approfondire le sue conoscenze.
Aveva passato ore in più alla scuola privata dove studiava ad un livello avanzato inglese e informatica.
Ora doveva solo cercare di non lasciare vagare i pensieri per conto loro.
Ma non sempre ci riusciva.
Tentava di tenere la mente impegnata, cercando, invano, di non pensare a quello che era successo negli ultimi mesi.
Doveva pensare ad altro, impegnarsi in qualcosa. Concentrarsi su un’equazione apparentemente impossibile. Studiare un testo complesso o imparare a memoria le formule chimiche.
Era l’unica soluzione che aveva per fuggire dal dolore.
L’unica via per non impazzire.
Studiare. Studiare. Studiare.
Ma neppure il suo cervello poteva sostenere una tale mole di lavoro; c’erano quei momenti in cui nulla aveva più senso. In cui le parole si fondevano tra di loro, impedendole anche di leggere un semplice articolo di giornale.
Così la mente iniziava a creare immagini crudeli. Iniziava a ricordare, riaprendo ferite vecchie di millenni.
Antiche, ma mai rimarginate.
Sapeva che doveva smettere. Che non era la soluzione al suo problema.
Ma, se le era facile gestire la sua mente, non era altrettanto brava a gestire il proprio cuore.
Così , l‘unica cosa che le restava da fare era arrendersi. Lasciarsi andare al dolore. Sentire il cuore piangere lacrime di sangue per quella perdita costata la sua felicità. Il suo cuore. L’altra parte della sua anima.
La sua felicità.
In quei momenti, più frequenti di quando desiderasse, si chiedeva se le altre provassero la stessa cosa.
Se anche il loro cuore era martoriato come il suo.
Se il dolore le travolgeva all’improvviso come uno tsunami impietoso. Se il pensiero di quello che avevano perso le faceva piangere fino a quando anche le lacrime finivano, lasciando solo un senso di solitudine e un vuoto che nulla avrebbe mai potuto colmare.
Nulla.
Avrebbero potuto sostenersi a vicenda.
Tutte e quattro, ne era certa, provavano le stesse emozioni; gli stessi dolori. Ma ognuna di loro aveva un modo tutto suo per affrontare la situazione.
Dovevano cavarsela da sole.
La sorte era crudele; dopo anni di solitudine avevano trovato qualcuno con cui confidarsi. Delle amiche sincere con cui dividere il dolore di ogni battaglia.
Ma quella guerra era persa in partenza. Nessuna di loro era abbastanza forte per combattere contro il fantasma di un passato lontano. E, anche se erano unite da qualcosa che andava ben oltre l’amicizia, dovevano affrontare quella situazione da sole.
Ironia della sorte: unite del dolore; separate nell’affrontarlo.
Lasciò cadere la penna sul quaderno e si alzò dalla sedia. Si stiracchiò alzando le braccia verso il soffitto, facendo una lieve smorfia per la schiena indolenzita dalla posizione scomoda che aveva assunto.
Andò alla finestra e l’aprì.
Il profumo della pioggia imminente la investì in pieno. Chiuse gli occhi e ispirò a pieni polmoni. L’odore era dolce e pungente allo stesso tempo. Le richiamava alla mente i quadri che suo padre le spediva di tanto in tanto. Freddi laghi racchiusi tra l’abbraccio di montagne innevate e boschi rigogliosi. Cascate cristalline che scendevano da ripidi pendii.
Scene che lei aveva imparato ad amare fin da bambina. Immagini che, in qualche modo, le trasmettevano serenità e felicità.
Scene che evocavano giornate felici. Pomeriggi spensierati a leggere lo stesso libro di poesie scambiandosi le proprie emozioni.
Serate passate sul balcone della camera ad osservare le stelle. Stretti in caldo abbraccio.
Mercury...
Serrò gli occhi e scosse il capo. Scacciando quelle immagini dolorose. Cercando, invano, di non perdere quel suo rigido controllo che tanto la caratterizzava. Cercando di non crollare, di non permettere al dolore di prendere il sopravvento.
Ma la realtà era che non voleva pensare a lui e a quell’amore profondo che li aveva resi un’unica persona.
Quell’amore che aveva accettato con timore. Quell’uomo così simile a lei che la faceva sentire viva, forse per la prima volta.
Il suo amore perduto.
Molti piani più in basso la gente correva per le strade, i clacson suonavano, la vita scorreva frenetica incurante del suo dolore. Insensibile al suo cuore spezzato. Premette i pugni sulla balaustra di cemento e strinse ancora di più le palpebre.
Io sono nella pioggia Mercury...
- No...- mormorò cercando di placare i ricordi e il dolore – ti prego... no...
Grosse gocce iniziarono a scendere lentamente, bagnando appena la città.
Ami sgranò gli occhi, le iridi azzurre velate dalle lacrime che lentamente iniziarono a scendere lungo le guance. Osservò la pioggia aumentare, fino a diventare uno scroscio assordante.
Io sono la pioggia Mercury...
Esitante allungò la mano fuori dalla finestra accogliendo l’acqua fredda sulla pelle, dolce e delicata come una sensuale carezza.
La pioggia raffreddò la mano accaldata bagnandola in pochi istanti.
La ritrasse quando non sopportò più l’acqua fredda. La pelle arrossata dove le gocce avevano battuto con violenza. Se la portò alle labbra e baciò la pioggia chiudendo gli occhi e assaporandone il sapore.
Il suo sapore.
Il sapore dell’amore.
Il sapore del dolore.
- Hai ragione. – mormorò con un filo di voce appena udibile – Sei la pioggia.
Baciò ancora la mano, con gli occhi chiusi assaporando ogni lacrima del cielo che sapeva di lui.
Mischiandole con le sue stesse lacrime salate.
Il cuore batteva furioso nel petto, mentre lo stomaco si contorceva ogni volta che assaporava un’altra goccia. Un’altra parte di lui.
Alzò lo sguardo osservando il cielo plumbeo. I suoni della città erano ovattati dal rumore incessante della pioggia.
Si mosse velocemente, incapace, ormai, di ragionare razionalmente. Corse verso il salotto e aprì la porta finestra che dava sul balconcino.
Annusò il profumo della pioggia con un lieve sorriso. L’aria era più carica del suo odore.
Era lui. Era lì. Lo sentiva.
- Sei nella pioggia.
Abbracciami Mercury…
Con uno slancio uscì sul balcone andando incontro alla pioggia. Le gocce iniziarono a bagnarla, velocemente i capelli si inzupparono e i vestiti diventarono pesanti sul corpo.
Ami non se ne preoccupò, alzò il viso al cielo accogliendo l’acqua sul volto.
Ogni goccia era una sua carezza.
Un suo bacio.
Un suo abbraccio.
Allargò le braccia come se volesse stringere a se tutto il modo e iniziò a girare in tondo restando sotto lo scroscio insistente.
I vestiti si appiattirono contro il corpo zuppi.
Socchiuse le labbra e bevve avidamente l’acqua immaginandolo lì con lei. Insieme come era sempre stato.
- Sì, - mormorò continuando a volteggiare e ha lasciarsi cullare dal temporale, immaginando le sue braccia che la stringevano. Proteggendola dal tutto il mondo e dal suo cuore spezzato – sei la pioggia Zoisite.

FINE



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Vi aspetto numerose!!!
   
 
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