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Autore: AmericanDream    29/06/2015    0 recensioni
Colpì la sedia di fronte a se con un calcio e lanciò il bicchiere che teneva in mano contro la TV rotta dall'altra parte della stanza. Era stanca di tutto, di vivere negli scantinati, di nascondersi, di vivere nella paura. C'erano giorni in qui si chiedeva come diavolo era arrivata a quel punto; ma poi guardava lui e ricordava: lo amava.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Al cuore non si comanda

 

Colpì la sedia di fronte a se con un calcio e lanciò il bicchiere che teneva in mano contro la TV rotta, dall'altra parte della stanza. Era stanca di tutto, di vivere negli scantinati, di nascondersi, di vivere nella paura. C'erano giorni in qui si chiedeva come diavolo era arrivata a quel punto; ma poi guardava lui e ricordava: lo amava. Sentendo i rumori, un uomo alto e muscoloso; sbucò dalla stanza accanto.

“Che succede piccola?”

“Non ce la faccio più Victor!! Inizialmente si trattava di piccoli furti, magazzini, case, fast food, poi di traffico di pezzi d'auto rubati, poi di gare clandestine ora questo! Cosa sarà poi? Droga? Omicidio?”

La ragazza era spaventata e tremava. Sentì le lacrime bagnarle il viso quando lui la abbracciò.

“Guardami piccola. Se riusciamo a fare questo colpo ci assicureremo a vita. Ricordi la casa al mare che sognavi? Te la comprerò, te lo prometto, con la cucina in legno di ciliegio, la camera da letto con mobili d'epoca e il giardino che si affaccia sull'oceano. Sarà esattamente come l'abbiamo sempre sognata. Altre 24 ore piccola, devi resistere solo 24 ore e poi finirà tutto, scapperemo in Florida, solo noi due e sarà tutto fantastico”.

“Victor si tratta di una banca! Hai idea di quante cose potrebbero andare male? Se la polizia ti prende ti rinchiuderanno a vita! O peggio… se ti uccidessero? Che ne sarà di me? Che farò senza di te?”

La ragazza puntò i suoi occhi color ghiaccio in quelli neri e scuri di lui. Victor le prese il viso tra le mani e le asciugò le lacrime, poi le passò tra i suoi capelli neri e morbidi e ne sentì il profumo. Inspirò a pieni polmoni e chiuse gli occhi. Iniziò a baciarle la tempia scendendo sempre più giù, quando arrivò all'orecchio le sussurrò:

“Andrà tutto bene te lo prometto. Le persone con cui lavoro sanno quel che fanno. Non sono dei principianti”.

Quel sussurro sensuale e l'alito caldo che le avvolse l'orecchio la fecero rilassare. Quando lui iniziò a lasciarle caldi baci lungo il collo sentì un brivido di eccitazione percorrerle la schiena e si sporse verso di lui. Victor la strinse a se facendo aderire i loro corpi e continuò la sua discesa nell'incavo dei suoi seni, lei lasciò andare la testa all'indietro ed emise un sospiro compiaciuto.

Lui staccò le labbra dal suo decolté e catturò la bocca di Erika in un bacio appassionato. Le morse il labbro inferiore per poi ripercorrerlo con la lingua, mentre con le mani scese fino a stringerle i glutei e sollevarla. La appoggiò sul tavolo vicino sdraiandola e sciolse il nodo della camicetta che le lasciava la pancia scoperta. Scoprì il suo reggiseno di pizzo rosso e iniziò a coprire il suo corpo di caldi e sensuali baci fino a raggiungere il bordo dei suoi mini jeans e sbottonarglieli con la lingua.

 

 

 

 

 

La mattina seguente Erika venne svegliata dai deboli raggi di sole che entravano dalla finestra e le illuminavano il viso. Ancora mezza addormentata, tastò con le mani l'altra metà del letto alla ricerca del suo compagno ma la trovò vuota e fredda. Aprì gli occhi e vide il lenzuolo stropicciato, si sollevò appena sui gomiti e si guardò intorno, lo vide appoggiato allo stipite della porta ad osservarla.

“La mia principessa si è svegliata”

Victor le si avvicinò cautamente e le stampo un leggero bacio sulle labbra. Era un tocco soffice al quale Erika non seppe resistere, la morbidezza delle sue labbra le fecero partire una scarica di desiderio che le attraversò la schiena e si fermò in un punto ben preciso. Lo attirò a se e approfondì il bacio, spinse la proprio lingua nella bocca di lui e la intrecciò con la sua. Piano piano Victor si trovo steso su di lei, vedendo che le cose stavano prendendo una piega interessante decise di staccarsi dal bacio finché era in tempo. Rimase con la fronte appoggiata a quella di Erika e le sorrise.

“Devo andare piccola”

“Non andare” strofinò il naso contro il suo “Resta qui” gli morse il labbro inferiore “Con me” lo baciò.

“Amore ne abbiamo già parlato” disse con tono infastidito; ma non appena vide il suo sguardo da cucciola si addolcì “Torna a dormire, per quando ti sveglierai io sarò già tornato. Ti amo”

“Ti amo”.

Le stampò un ultimo bacio sulle labbra prima di alzarsi, prendere la sacca vicino alla porta e uscire.

Erika rimase distesa sul letto per qualche istante. Di dormire non ne aveva proprio la voglia e anche se fosse, non ci sarebbe mai riuscita; non se così preoccupata. Si alzò e, ancora avvolta nel lenzuolo, si affacciò dalla finestra, la macchina che aspettava Victor era ancora parcheggiata lì fuori, non riusciva a vedere chi ci fosse al volante, ma dalla parte opposta intravide un uomo di colore con i rasta biondi. In quel momento vide Victor arrivare, salutò con un cenno del capo i due uomini seduti davanti e salì nella macchina.

Rimasta sola, decise di farsi una doccia calda, sperando di riuscire a rilassarsi almeno un po', vestirsi e andare a fare colazione nel pub difronte. Così un'ora e mezza più tardi, Erika uscì da quello che ormai definiva casa da più di quattro mesi ma che altro non sembrava se non una cantina abbandonata con un'unica finestra e un minuscolo bagno, e si diresse al locale.

Quando entrò riconobbe immediatamente la puzza che tanto caratterizzava quel posto; un misto di disperazione, fallimento e anche un po' di vomito, che quel giorno le sembrava più forte del solito

quindi si affrettò a sedersi sul bancone di legno ed ordinare, prima finiva, prima usciva. Non fece in tempo a sedersi che il barman fu subito da lei, un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati e un lieve strato di barba.

Mentre aspettava il suo decaffeinato e il cornetto alla crema, si guardò intorno. Il locale era vuoto, naturale visto che erano le otto del mattino, l'unico che girovagava tra i tavoli era il cameriere intento a lavare il pavimento, nessuno con cui scambiare due parole. Meglio così pensò, nessun vecchietto che la annoiasse con discorsi sul tempo o la pesca e nessun ubriacone che ci provasse con lei. Avrebbe fatto colazione in santa pace. Notò che sopra il bancone, appeso sulla parete alla sua destra, c'era un televisore che trasmetteva un vecchio film western in bianco e nero.

Mentre sorseggiava il suo caffè, cercando di trovare un po' di conforto nel calore di quel liquido scuro per scacciare il brutto presentimento che la tormentava da qualche ora ormai, vide che il film venne interrotto da un'edizione straordinaria del documentario. Incuriosita e preoccupata pregò il barman di alzare il volume.

... Sembra che i rapinatori avessero intenzione di scappare prima dell'arrivo della polizia ma qualcosa è andato storto, le autorità competenti non hanno ancora rilasciato una dichiarazione ufficiale dell'accaduto ma hanno assicurato ai cittadini che nessuno degli ostaggi nella banca sia rimasto ferito o ucciso. Quanto riguarda i rapinatori sembra siano morti durante il loro disperato tentativo di fuga quando la polizia ha fatto irruzione nella banca. Più tardi avremo la dichiarazione ufficiale del capo della polizia che spiegherà...

Quelle poche frasi furono sufficienti per Erika per sentire tutto intorno a se girare, smise persino di ascoltare le parole della reporter che continuava a dare notizie dell'accaduto. A lei non importava più, non dopo quella frase, sembra siano morti durante il loro disperato tentativo di fuga, quelle parole continuavano a rimbombarle in testa, lui non c'era più, che importanza aveva come o perché? Lui non c'era e basta. Le pareti del locale iniziarono a soffocarla, tirò fuori una banconota da 5? 10 dollari? Non lo sapeva nemmeno lei, aveva la vista troppo annebbiata dalle lacrime, lasciò i soldi sul bancone e corse fuori dal pub. Corse giù per la strada fino a quando non vide un vicolo buio dove nascondersi, svoltò nella stradina e si nascose dietro un secchione dell'immondizia.

Era seduta per terra con le ginocchia al petto e la mano davanti alla bocca che cercava di trattenere i singhiozzi, ma non ci riuscì erano troppo forti, il dolore era troppo forte per contenerlo. Si alzò di colpo e urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, iniziò a prendere a calci il secchione accanto a lei, continuò con i pugni ancora e ancora fino a quando non cade per terra esausta. Si guardò le mani, aveva le nocche insanguinate, i piedi le facevano male e il viso era completamente rosso. Cercò di calmarsi. Non poteva permettersi di andare nel panico, non nelle sue condizioni, non ora che era completamente sola e senza soldi.

Si alzò, sentì la testa pulsarle dal dolore, quindi si appoggiò al secchione e cercò di inalare più aria possibile.

Quando finalmente riuscì a tranquillizzarsi un po' si sentì vuota, come se non avesse più un motivo per andare avanti, continuare a vivere. Dopo qualche istante, tuttavia, il suo cervello tornò a elaborare pensieri concreti e la sua mano scese ad accarezzare il ventre come a volerlo proteggere, tranquillizzare, l'ennesima lacrima le scese sulla guancia al pensiero che non aveva nemmeno avuto la possibilità di dirglielo e si maledisse per aver deciso di aspettare così tanto. Ormai non aveva più importanza, quel bambino non avrebbe mai conosciuto suo padre e proprio per questo lei avrebbe dovuto trovare la forza di andare avanti ed essere una madre ancora più brava, per riuscire almeno in parte a colmare quel vuoto. Avrebbe dovuto vivere... no... sopravvivere per quel bambino, per dargli la possibilità di crescere e avere una vita migliore della sua.

Si alzò da terra decisa a prendere tutte le sue cose da quel buco che Victor chiamava appartamento e iniziare una nuova vita, con un po' d'aiuto magari, dicono che i genitori siano in grado di perdonare qualsiasi cosa ai propri figli, beh quello era il giorno in cui avrebbe scoperto se questo detto era valido anche per i suoi. Si asciugò gli occhi e non permise a se stessa di versare una sola goccia in più, se voleva andare avanti doveva farlo da quel momento, non quella sera, non il giorno dopo, altrimenti era sicura che non sarebbe mai riuscita a farlo, come un drogato che tenta invano di disintossicarsi continuando a rimandare a 'domani'. Uscì dal vicolo consapevole di aver lasciato un pezzo del suo cuore lì, in quella strada, in quel quartiere, aveva comunque paura di quello che la aspettava ma ora era consapevole di avere un motivo per affrontarlo e che lo avrebbe fatto. A qualunque costo.

 

  
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