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Autore: Saroyan    30/06/2015    3 recensioni
[Creepypasta]
[“La tua non è giustizia! Non può esserci giustizia nella morte! E tu non puoi essere un angelo se uccidi! Sei completamente pazza!”]
Genere: Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Judge Angel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Dorothea era bloccata.

Le spalle tremanti poggiate al muro in pietra.

Gli occhi chiusi, nella speranza che quell’orribile immagine davanti a lei scomparisse.

Nella speranza che quella donna in bianco vestita fosse solo un incubo.

Ma era vero. Era tutto così tremendamente vero.

Le mani portate in avanti, che tentavano invano di coprire il volto, quasi a difendersi dalla spada affilata e scintillante che le era stata puntata contro il collo. Il sudore le impergolava la fronte, scendendo lentamente lungo il viso e cadendo silenziosamente sulle gambe, lasciate scoperte dalla gonna rossa indossata quella sera. I grandi occhi azzurri erano sgranati per la paura, le lacrime erano prossime allo sgorgare a fiumi, rigandole le guance dal colorito pallido come quello di un cadavere.
«Io… io sono innocente… I-io non… non ho fatto n-nulla di male… Lasciami andare… P-per favore...» balbettò, la voce insicura e tremolante, più simile allo squittio di un topolino indifeso che implora per aver salva la sua miserabile vita. La ragazza davanti a lei affondò un po’ di più la spada sotto il suo mento, graffiandole lievemente la pelle. Qualche goccia di sangue sporcò la lama dell’arma, finendo anche sul top turchese di Dorothea. Gemette per il dolore, chiudendo istantaneamente gli occhi, per poi aprirli il secondo successivo, mentre altre lacrime le bagnavano il volto. La ragazza armata la guardò seria. I suoi occhi erano orribili: neri, completamente neri. Così tremendamente inquietanti da voler distogliere lo sguardo al più presto, ma che allo stesso tempo costringevano a tenere lo sguardo fisso su di loro, quasi ad ammirarli nella loro tetra bellezza.
«Oh, no. Tu non sei innocente. Tu sei colpevole. Come tutti gli altri. Siete tutti colpevoli.»
La sua era voce fredda e piatta, la sua risposta tagliente come la lama della spada che impugnava saldamente tra le mani. Tutti dicevano così, pensava. Quando la morte era a pochi centimetri e secondi da loro, i colpevoli si dichiaravano innocenti. Dicevano di non aver mai fatto niente di male. Piangevano disperati e tremavano. La imploravano di lasciarli in vita. Ma lei non poteva-e non doveva-ascoltare le loro peccaminose e false parole. Doveva svolgere il suo compito di angelo giustiziere. Doveva togliere la vita ai colpevoli: loro non meritavano di vivere. Non meritavano alcuna pietà.
«Io porto la giustizia in questo mondo. È mio compito uccidere chi non è degno di vivere. Tu sei come gli altri. Devi morire anche tu. Questa è la giustizia. Io sono l’angelo che purificherà questo e l’altro mondo!»
«No!» Urlò Dorothea, i lunghi capelli biondi che le ricadevano disordinatamente sul viso, contratto in una smorfia più rabbiosa che atterrita. Stringeva i pugni talmente forte che le unghie ben curate lasciavano delle piccole mezzelune nei palmi. La sua voce non tremava più, ma era sicura e decisa di sé stessa. Non tremava più di paura, ma di sdegno nei confronti di quella donna dagli occhi neri come la notte e dalle vesti bianche e candide come la neve.
«La tua non è giustizia! Non può esserci giustizia nella morte! E tu non puoi essere un angelo se uccidi! Sei completamente pazza!»
Le parole fuoriuscivano dalla sua bocca carnosa come un fiume in piena, ricolmo di odio e rancore. I suoi occhi azzurri erano puntati contro quelli dell’altra, in una sfida di sguardi in cui si giocava con la morte. La donna armata rimase in silenzio, il volto mortalmente serio. Poi sorrise. Un sorriso malvagio, che niente aveva di umano. Scoppiò a ridere. Un brivido percorse la schiena scoperta di Dorothea, che in un attimo perse tutto quel poco coraggio manifestato qualche secondo prima.
«Hai ragione. Non esiste giustizia nella morte. Tutti moriamo: chi prima, chi dopo. La morte prende tutti. E allora intervengo io! Ecco in cosa consiste la giustizia. La morte uccide tutti. La giustizia decide chi prima e chi dopo. E io applico la giustizia, in quanto angelo giunto qui a giudicarvi tutti!»
Fece una breve pausa, forse per riprendere fiato.
«Quindi adempirò al mio compito uccidendo tutti quelli come te. Tutti quelli che vivono quando non lo meritano. Sono il braccio destro della morte, lei si fida di me. Ti sembra forse giusto che una persona buona e dolce muoia prima di una che, invece, ha passato la propria vita a rovinare quella degli altri e a mentire, facendo del male a chi vuole bene loro?»
Dorothea la guardò come se fosse pazza, nonostante il terrore fosse tornato a lambire il suo animo. Riprese a tremare visibilmente. Si schiacciò ancora di più contro il freddo muro, pur essendo consapevole che questo non l’avrebbe salvata.
«Tu…tu dici cose senza senso! Non sei un angelo. Sei solo una sporca assassina! Tu non meriti di vivere!»
Si azzardò a dire. Ma se ne pentì appena un secondo dopo.
Il sorriso scomparve dalla labbra sottili della ragazza. Gli occhi neri, già spaventosi normalmente, si ricolmarono di improvviso odio, rendendoli la cosa più terribile che Dorothea avesse mai visto in vita sua.
«Sei tu a dire cose senza senso, sciocca! Come puoi non capire cosa io sia? Io sono l’angelo venuto a giustiziarvi tutti! Sono venuta qui per uccidere coloro che non meritano la vita. Proprio come te, che hai osato mettere in dubbio la mia morale e la mia esistenza! E ora…»
La lama della spada si staccò rapidamente dal collo della giovane vittima. Il braccio che la impugnava si alzò sopra la sua testa, la luna che illuminava l’arma. Un sorriso tornò a splendere sul suo volto. Un sorriso sadico, che mai avrebbe voluto vedere.
«Io ti dichiaro…»
Dorothea chiuse gli occhi. Ebbe solo il tempo di gridare, in una ormai vana e tarda richiesta d’aiuto.
«…colpevole!»

 

E la spada calò sul suo collo.


  
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