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Autore: La_Sfinge    01/07/2015    0 recensioni
Daniel è un giovane ragazzo di diciannove anni amish. Curioso di vedere il mondo oltre il recinto della sua fattoria abbandona la sua famiglia per trasferirsi alla Columbia University di New York. Qui tutto è nuovo per lui. Farà nuove esperienze, incontrerà nuovi amici e nuovi amori. E poi dovrà scegliere ritornare dalla sua famiglia o continuare questa nuova vita.
Genere: Comico, Drammatico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Basta poco per spaventare una persona la notte, qualche vicolo un po’ più stretto ed ombroso, qualche rumore accidentale alle proprie spalle ed ecco che si ha già il cuore che batte all’impazzata e che si trema come una foglia. Così tra le strade un po’ anguste ed impalcature decadenti Daniel si trovò ad avanzare nella notte. Tuttavia non  agognava le intime mura paterne, nè il caldo fuoco del salotto, anzi lasciare la propria casa, i propri parenti era stato un sollievo, una liberazione tanto attesa e finalmente compiuta. Dunque le fredde e dure panchine sarebbero state le sue fide compagne, i suoi nuovi letti in quella stellata notte di giugno. Così con un mezzo sorriso sulle labbra Daniel si sdraiò all’aria aperta guardando gli astri splendenti più che mai nel profondo blu della notte.

Da Grande Mela qual’è  New York incomincia a mettersi in moto fin dalle prime ore del giorno. Le sveglie suonano e le persone ancora intorpidite dal sonno incominciano a mettere sul fuoco le caffettiere. Così in breve tempo il dolce profumo del caffè si espande in breve in tutto il quartiere e l’ordinario trantran quotidiano incomincia di nuovo. Era a quella monotonia che Daniel era fuggito. Niente più cene con i parenti, niente più obblighi di etichetta sociale. E cosi anche Daniel si svegliò nel mezzo di Central Park, si alzò, fece due passi per sgranchirsi i muscoli, ancora impregnati del vento gelido della notte, e andò a sbattere contro qualcuno. Lo scontro fu così veloce e l’impatto così violento che gli parve di essere stato asfaltato da uno di quei camion che trasportano container enormi e che di tanto in tanto si avvistano anche nelle tranquille strade del Maine, mentre in realtà aveva scontrato uno dei tanti che incominciavano a correre e a fare jogging nel parco. Con le cuffie nelle orecchie e vestiti della Decatlon erano tutti uguali, tutti mattinieri e tutti ugualmente pazzi da correre a quell’ora del giorno. Dopo essersi aggiustato i vestiti stroppicciati Daniel incominciò ad uscire dal parco. In fondo gli spiaceva abbandonare quel posto, l’unico luogo che in qualche modo gli ricordava il verde di casa sua. Eppure aveva fatto una scelta e avventurarsi in quel mondo pieno di grattaceli metallici era solo il primo passo. Mentre camminava per le vie caotiche di Manhattan, già piene di taxi gialli pronti a farti un buon prezzo, passò davanti a un piccolo negozietto di donuts. Doveva ammettere che i variopinti colori delle ciambelle lo attiravano molto.
Nuova vita, nuovo cibo pensò. Così affamato ed emozionato entrò nel negozio. Sul bancone erano disposte diverse ciambelle, tutte ordinatamente posizionate a seconda del colore e con le loro accese fantasie illuminavano l’intero ambiente, più che altro arredato da mobili bianchi e da mensole color pastello. Dopo aver accuratamente scelto la sua ciambella uscì dal negozio tutto soddisfatto del suo acquisto. Si sedette su alcuni scalini di un palazzo e gustò la sua colazione, ma ben presto si rese conto di essere osservato. Non tanto dai newyorkesi oramai abituati a qualsiasi tipo di stranezza, quanto dai turisti che passavano per la strada. Già forse loro non sono abituati a vedere un amish. Per di più un hamish nella Grande Mela
A questo punto era giunto il momento di abbandonare gli abiti da campagnolo dell’XIX secolo per vestire finalmente come un giovane ragazzo di diciannove anni del 2015. Perciò pieno di vestiti di quelle supermultinazionali come la Nike o l’Adidas. E per fortuna non fu difficile trovare un negozio del genere, infatti un passante gliene suggerì tre o quattro nel raggio di pochi metri di distanza. Così mezzora dopo era tranquillamente seduto in un bar con un abbigliamento che sembrava un incrocio tra un rapper abbastanza primo di stile e un giocatore di pallacanestro di qualche sobborgo sperduto della metropoli.
Ordinerò un cappuccino! E quanto era bollente! Infatti era talmente attento a non bruciarsi che andò a sbattere contro una ragazza, sulla cui maglietta andò a rovesciarsì ovviamente tutta la bevanda calda.
-Cazzo! Brucia! Ma dico dove ce l’hai la testa! Non mi hai vista?!- sbraitò.
-Scusa davvero è che..- tentò di articolare Daniel
-E’ che.. un corno adesso come minimo mi compri una maglia di cambio. Non posso mica presentarmi a lezione in queste condizioni. Assurdo comunque tutte a me. Allora che fai andiamo o no?-
Di certo bisognava ammettere che aveva combinato un bel disastro, però comunque non era intenzionato a farsi trattare così da una sconosciuta. Almeno che abbassasse i toni.
-Certo ti accompagno, come ti ho detto mi dispiace per il disastro che ho combinato, però calmati un pò, non  mi sembra il caso di mettersi a sbraitare in questa maniera-disse.
Nonostante l’occhiata truce della ragazza, questa smise di urlare e lo seguì fuori dal locale. Attraversata qualche strada laterale entrarono in un negozietto di indiani, che la ragazza salutò molto cordialmente e da qui uscirono con una nuova t-shirt per lei con un bel segno della pace proprio in mezzo.

-Scusa per prima,non volevo essere così brusca. Comunque io sono Shophia. Tu non mi sembri di qui, da dove vieni?
- Vengo dal Maine. Il mio nome è Daniel. Sono arrivato ieri sera con il treno.
-Con il treno?! Ma sei pazzo?! E’ un viaggio lunghissimo! E quindi sei qui per visitare la Grande Mela?
-In realtà no- rispose Daniel- infatti adesso devo trovare il mio alloggio per l’università.
-A che università vai?
-Columbia.
-Ma guarda! Anch’io allora per farmi perdonare ti accompagnerò là.- disse Sophia sorridendo. –Però mentre andiamo raccontami qualcosa di te d’accordo?
Durante il viaggio Daniel raccontò delle sue origini amish, di come aveva deciso di lasciare la sua famiglia per uscire da quella specie di ampolla di vetro dentro cui era stato cresciuto per conoscere un po’ cosa cera al di là dello steccato della sua fattoria. Sophia sembrava molto interessata e così superato l’imbarazzo iniziale incominciarono a chiaccherare quasi come due vecchi amici, che non si vedono da molto tempo. La ragazza si mostrava soprattutto interessata alla vita quotidiana, alla famiglia di Daniel e alla vita nella comunità. Sinceramente Daniel non pensava ci fosse molto da dire, insomma alla fattoria ci si alzava molto presto, ci si faceva la doccia, il più delle volte gelata e poi iniziava il lavoro nei campi o con gli animali. Anche le occasioni di interagire con le altre famiglie erano tutte simili: la domenica a messa, qualche sera si organizzavano enormi cene, ma niente di molto emozionante.
Mentre parlavano non si accorsero nemmeno di essere arrivati all’università finché non furono interrotti dall’arrivo di un ragazzo alto e muscoloso, che subito baciò Sophia, come a mettere subito in chiaro che quello era il suo “territorio”. Daniel si sentì un po’ in imbarazzo in confronto a quel gigante lui sembrava piuttosto ridicolo con il suo aspetto mingherlino.
-Hey Amore, chi è questo qui?
-Mi chamo Daniel- rispose seccato.
-Piacere Daniel. Ma adesso dobbiamo andare. C’è una festa esclusiva in palestra.
Mentre se ne andavano Sophia accennò ad un sorriso di saluto e poi sparirono nei meandri di edifici dell’università. Daniel allora cercò l’ingresso dove venne accolto da una gentile segretaria sulla quarantina, praticamente quasi nascosta da una scrivania sommersa da scartoffie.
-Daniel Davidson, benvenuto alla Columbia University- disse sorridendo.
 
   
 
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