Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Rossini    01/07/2015    3 recensioni
Sono passati secoli dagli eventi narrati nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Oggi quelli che una volta venivano chiamati i Sette Regni sono una pacifica comunità che è riuscita a trovare un ordine e a mantenerlo per lunghissimo tempo. La sola idea che qualcosa possa sconvolgere questo stato di assoluta armonia, rafforzata da secoli di pace e concordia, sembrerebbe ridicola. Eppure, il principe Daniel - terzo in linea di successione al Trono - sta per imbattersi in qualcosa di nuovo, mai prima d'ora visto in nessun angolo delle terre conosciute...
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
IL MOSTRO DI CABUK
 
 
                «Cordell! Cordell!» esclamò Daniel di Cowain, ma il suo anziano servo continuava a fingere di non sentirlo: lo faceva ormai da diversi minuti. E per l’ennesima volta, il principe Daniel fu costretto a spronare quell’onagro pulcioso che gli avevano affidato al villaggio, affinché raggiungesse il suo simile sulla cui groppa dondolava quella vecchia carampana irrispettosa di Cordell.
                Al villaggio di Dunwark, l’ultimo delle centinaia – forse migliaia – che si erano lasciati alle spalle, gli avevano detto che quelle creature simili a cavalli, ma molto più piccole e pelose, erano le tipiche cavalcature delle isole dell’estremo nord e che sarebbero state in grado, con pochissima acqua, cibo e pochissimo riposo, di salire fin su alla cima del monte Cabuk e ridiscendere senza problemi. Ma Cordell e il principe marciavano da circa due ore; e gli asinelli parevano già stremati. Forse che quell’oste giù a Dunwark aveva osato rifilargli cavalcature inferme? Forse non sapeva che aveva a che fare con il principe Daniel di Cowain, terzo in linea di successione al trono e – per gli dèi! – figlio del suo re?
                Ma che diamine! Che gli era preso? Adesso parlava come i suoi fratelli e sorelle… Vero: lui era Daniel, principe di Cowain e terzo in linea di successione eccetera eccetera eccetera. Ma quelle erano le terre dell’estremo nord: lì per secoli un re non dovevano neanche averlo mai visto. Erano i luoghi bagnati da quell’oceano, cuore di Actonon, che marcava la linea di separazione tra il mondo che si conosceva e quello a tutti ignoto. Un blu intenso che non aveva fine, attraversato il quale gli uomini… Normalmente non tornavano. E lì, in quell’arcipelago di ghiaccio, sulla maggiore delle isole, sorgeva il monte Cabuk: la vetta più alta del mondo conosciuto. E proprio sulla cima di quel monte, Daniel e il suo fedele servo Cordell si stavano recando.
                Gli uomini e le donne di Dunwark, così come gli uomini e le donne di almeno le ultime due dozzine di villaggi che Daniel e Cordell avevano dietro di loro, fondamentalmente erano tutti coltivatori di tuberi, scavatori di montagne e – i più fortunati di loro – mercanti all’ingrosso di metalli, leghe e pietre preziose. Per la gran parte erano governati da signorotti locali, sulla carta fedeli al re, ma in pratica quasi sempre liberi di determinare il bello e il cattivo tempo sulla vita dei loro poveri e analfabeti sudditi con pochissime aspettative. Da un paio di giorni il principe rifletteva che se fosse stato il re, se mai gli fosse capitato, uno dei suoi sogni che avrebbe cercato di realizzare – anche se sarebbe stato complesso pure per il re – sarebbe stato garantire un’istruzione anche minima a qualsiasi suo suddito, di qualsiasi regno o territorio che facesse capo alla sua autorità. Un’utopia più che un programma politico, certo, ma d’altronde lui non sarebbe mai stato re.
                Era proprio per questo che da circa un anno, con i mezzi più vari ed eventuali, marciava senza sosta verso Cabuk, con la sola compagnia del suo affezionato ma un po’ rincitrullito servo. Da che mondo è mondo, il figlio secondogenito del re marcia per Cabuk. Anche se forse – Daniel non era sicuro – non era mai capitato nella storia che un principe partisse perfino fin giù da Cowain. Probabilmente, se mai sarebbe stato ricordato, lui sarebbe stato ricordato come il principe che per fare il suo dovere, per eseguire gli ordini di suo padre, che a loro volta derivavano da una tra le più sacre tradizioni su cui si fondava il regno intero, aveva fatto il viaggio più lungo. Se fosse partito dalla Capitale, senza dubbio si sarebbe risparmiato metà della trafila. Ma quando aveva quindici anni, il suo caro ed affezionatissimo padre – nonché il re – gli aveva affidato il governo di una delle dipendenze più a sud dell’intero regno, per l’appunto il principato di Cowain, che mai, fino ad allora, era stato retto da un erede al trono. Per certi versi, la sua cara Cowain ricordava a Daniel le inospitali isole del nord. Anche a Cowain l’autorità reale era perlopiù sconosciuta, e anche a Cowain, quelli che campavano, campavano di commercio. Solo che a Cowain era sempre estate. E questo ora si stava rivelando un bel problema! A Cowain Daniel poteva fare il bagno nella baia personale del principe, senza mai rischiare di morire assiderato, cosa invece che sicuramente sarebbe accaduta se mai si fosse sognato di immergere anche solo una falange nelle acque del cuore di Actonon. A Cowain, tutto era sempre caldo: il mare era sempre caldo, il clima era sempre caldo, il cibo era sempre caldo e la gente era sempre calda. Per non parlare poi delle donne…
                Lì nel nord, se non era necessario, non parlava mai nessuno. E nessuno sorrideva mai, tanto che alla decima volta che il principe Daniel cercò di farlo con un tizio che gli stava dando delle informazioni, si sentì talmente un idiota che decise di non azzardarsi mai più: comunque, non fin quando sarebbe ridisceso, maturo e completamente rinnovato, giù dal pendio della Montagna. Contava che avrebbe passato lassù, se tutto sarebbe andato per il verso giusto, non meno di un lustro. E se qualcosa fosse andato male, anche più d’uno. Non gli andava: odiava il fatto che gliel’avessero imposto, odiava la ragione per cui gliel’avevano imposto, e ad ogni modo odiava chi gliel’aveva imposto. Odiava l’aver lasciato Cowain, odiava la gente di quel luogo, sempre così frigida e sottomessa, e soprattutto odiava quel clima. Sempre rannicchiato, coperto da pelli e pelli di animali mai sufficienti, sempre a soffiarsi le mani, come vano tentativo di riscaldarsi le nocche sempre gelate: dal suo fiato non usciva più calore da mesi ormai, solo ghiaccio. Neve e ghiaccio in ogni dove. Questa sarebbe stata una tortura per tutti gli uomini al di fuori di quelle dannate isole, figurarsi per lui che riusciva ad avvertire un certo freddino anche nella brevissima stagione autunnale di Cowain, che non durava mai più di un paio di settimane.
                All’origine, quando per il suo quindicesimo anno d’età, suo padre gli disse dinanzi a tutta la corte che per lui aveva scelto Cowain, Daniel aveva pianto. Non davanti a tutti, naturalmente: queste sono le basi del costume della casa reale, che lui aveva appreso fin da bambino: un lord non piange mai in pubblico! Ma alla sera, con Cordell, si sfogò e pianse fin quando trovò il sonno. Che il principe secondogenito dovesse lasciare la casa reale all’età di quindici anni per governare un territorio del re lontano dalla Capitale, lo sapeva da sempre: era la legge ad imporlo. Ma che il re avesse scelto per lui proprio il luogo possibile più distante, questo lo considerò uno sgarbo. Come detto prima, non era mai successo che un sovrano confinasse il proprio figlio fin giù a Cowain! A Cowain né i sudditi, ma nemmeno le autorità locali, erano abituate a lasciarsi comandare da qualcuno che aveva sul petto il vessillo del re. E questo significava che, magari, Daniel stava mettendo in gioco molto più che il proprio prestigio, o quello della sua casata… Lì ne andava della sua vita. Andare in un regno di uomini liberi, con la sola compagnia di Cordell e di un manipolo di cavalieri al soldo di suo padre, e dire: “bene signori, da questo momento qui comando io”, non gli pareva né onesto, né saggio, e tantomeno sicuro. Suo zio Constant, fratello del re e divenuto quinto in ordine di successione da quando il fratello maggiore di Daniel aveva avuto un frugoletto la primavera precedente, al tempo dei suoi quindici anni era stato mandato nel regno praticamente più prossimo alla Capitale! E così anche per Duhenlar, fratello del padre del re. Perché per lui Cowain?! Non si era forse dimostrato fedele al suo limitato fratello, al suo dispotico padre, alla sua maledetta casata?
                Tutti sapevano che la ragione per cui la legge imponeva l’allontanamento dei figli maschi dalla Capitale una volta raggiunto il quindicesimo anno d’età, era che in qualche modo si voleva evitare un ritorno all’epoca delle grandi guerre, in cui troppi sovrani si dividevano un regno stanco e insanguinato, uccidendosi tra fratelli e cugini. Da circa un millennio, ormai questo non accadeva più perché a tutti i membri della casa reale veniva garantito per legge un luogo in cui, con le dovute misure, poter essere sovrani. Serviti, riveriti, rispettati, temuti, amati. In cambio la legge imponeva ai lord eredi la fedeltà al re di tutti i regni e quindi, in buona sostanza, la non belligeranza. Col passare dei secoli, la norma scritta su un pezzo di carta divenne prima costume, poi tradizione e infine leggenda. E quando lo fece, alla ragione dovuta agli agi di cui i lord erano satolli nei regni dei quali erano sovrani, si aggiunse quella del rispetto, quasi del timore, per l’usanza divenuta mito. Tutti cominciarono a dire: “nessuno prima di me ha mai violato quella norma, perciò non sarò io a farlo”, e così le istituzioni del regno unificato erano sopravvissute nel corso dei secoli. Tremando qualche volta, vacillando magari. Ma mai veramente cadendo, come accaduto nei tempi remoti.
                La ragione della norma era per Daniel cristallina: aveva studiato per intero tutti i costumi, le leggi, le tradizioni del regno fin dalla sua infanzia. Ne aveva studiata la storia, e quindi conosceva anche le ragioni che si celavano dietro a quelle norme. Ma che il re, pur nel rispetto dei suoi poteri, violasse un costume saldo d’un ottantennio, di non spedire mai un secondogenito troppo distante dalla Capitale, questo il principe non riusciva a spiegarselo. Non aveva l’ambizione di destituire suo fratello, a essere franchi con se stesso avrebbe detto che conservava anche un certo timore per la carica di sovrano di tutti regni, e di certo non aveva mai dato adito di credere a nessuno che lui fosse interessato a quella carica. Dunque, non riusciva a spiegarsi Cowain in nessun modo, in nessun’altro se non quello che sospettava, avvertiva, sentiva dentro di sé fin da quand’era un soldo di cacio… Non aveva capito mai il perché, ma a questo punto gli fu chiaro come non mai che il re lo odiava. Non tanto fino ad assicurargli una morte certa, ma… Abbastanza per fargliela rischiare.
                E i primi tempi a Cowain furono duri per il principe Daniel: sommerso da tutta una serie di costumi non scritti che regolavano però nella sostanza la vita e la politica della cittadina dove è sempre estate, il secondogenito del re avvertì come non mai la lontananza di sua madre, e dei suoi fratelli e sorelle, coi quali peraltro i rapporti non erano mai stati idilliaci, ma… Cowain riuscì a fargli rimpiangere anche quello, all’inizio. Dopodiché si abituò al clima in primis, e poi alle donne. Quelle furono le porte per un nuovo mondo, il mondo dell’ottimismo. Un mondo in cui tutti erano cordiali e simpatici, e gli lasciavano fare quel che voleva, se lui lasciava fare a loro quello che loro volevano. Solo che di quel mondo, e a differenza di quello da cui proveniva, lui era il re. In fin dei conti, si ritenne fortunato. Continuò a pensare che ci fosse stata della malizia nella scelta di suo padre di fare di lui il principe di Cowain. Ma la verità era che più si guardava intorno più si rendeva conto di essere sovrano di un paradiso e di conseguenza anche i cattivi pensieri finirono per abbandonarlo. Provò solo un po’ di tristezza nel sapere dove il re avesse deciso di mandare, due anni dopo, suo fratello Marcus, anche lui al compimento del quindicesimo anno d’età. Povero, povero Marcus… Anche se questo, in fin dei conti, non poté che consolare il principe di Cowain poiché se anche Marcus era finito così, voleva dire che dunque loro padre non ce l’aveva con Daniel. Almeno, non esclusivamente.
                Ma la legge del regno non aveva ancora cessato di importunare la vita del figlio secondogenito del re, quello che Daniel cominciò a considerare per tradizione sempre il più malaugurato della dinastia. Sì, perché la legge prevedeva che l’erede primogenito doveva essere il nuovo sovrano del regno, il governatore assoluto in capo al quale sarebbero risiedute tutte le decisioni. Ma il secondogenito ne doveva essere il custode, il primo tra i protettori. Il più fedele tra quei lord sovrani dei vari regni che alla corona centrale dovevano giurare la propria fedeltà. E quindi il capo di tutta la guardia o, come enunciava nello specifico l’arcaico testo della normativa… Il primo cavaliere.
                Nel testo si prescriveva dunque che una volta maturato il quindicenne secondo erede dopo un periodo di governo di un qualche regno o città importante, allargatasi la sua mente e tempratosi il suo carattere, all’età di ventuno anni egli sarebbe stato pronto per un nuovo viaggio alla volta di un tipo di istruzione esclusivamente riservata ai primi cavalieri del re. Un istruzione che andava ben al di là, della legge, tradizione e storia che Daniel aveva studiate fino a quel momento. Un’istruzione segreta, tramandata solo da pochi, e che concerneva arti più simili a quelle degli dèi che a quelle degli uomini. Nessuno tranne questa riservatissima casta di prescritti ne conosceva gli arcani. E questa era da sempre stata una delle poche cose che a Daniel di Cowain in qualche modo facevano rivalutare in positivo il suo ruolo di secondo in linea di successione. Il brutto era che per apprendere tali misteriose arti, da secoli ormai bisognava recarsi nelle isole dell’estremo nord, fin su alla montagna che reggeva il cielo, l’inospitale, glaciale, vetta di Cabuk. Già suo zio Constant aveva fatto quel viaggio, e così suo prozio Duhenlar prima di lui. Ma poi basta: nessun altro che Daniel avesse mai conosciuto personalmente. Solo nomi dimenticati in vecchi tomi della biblioteca del palazzo reale: perfino certi re, qualche rarissima volta, erano stati in grado di usare le arti degli déi. Ma quelle erano le eccezioni: la magia era cosa da protettori del regno, non da suoi sovrani.
                Daniel aveva compiuto ventuno anni da un anno, e nel corso di tutto quell’anno aveva viaggiato: da Cowain a Cabuk. Dall’estate all’inverno. E quello era il giorno del suo ventiduesimo compleanno.
                Galoppando con passo un po’ più veloce verso il suo servo che lo precedeva, il signore di Cowain lo raggiunse e gli disse: «Hey, Cordell…»
                «Sì, signore?» rispose quello, voce fiacca come un sospiro, sguardo fisso sulla strada. Il principe continuò: «Non ti paiono stremati questi animali?»
                «Sì, signore»
                «Ma l’oste… L’oste giù a Dunwark ci aveva detto che avrebbero marciato fino in cima!»
                «Sì, signore»
                «Senza stancarsi!»
                «Constatazione brillante, signore, ma non utile»
                «Che cosa intendi?»
                «Non possiamo tornare indietro»
                «Sì, lo so. Sarebbe vano: gli asinelli morirebbero comunque di stanchezza e noi… Perderemmo un altro giorno di viaggio»
                «Signore, vorrà dire che faremo una pausa a metà tragitto e… Riprenderemo domattina col sole alto. Ma non mi pare il caso di ridiscendere a valle»
                «No, nemmeno a me, in effetti». Ricominciarono a marciare. Per Daniel fu irresistibile, socchiuse per un momento gli occhi e ripensò a Cowain, al sole, al mare… Al seno sodo di Xalandra, la puttana che aveva nominato reggente durante il periodo della sua assenza. Sospirando con delusione, disse: «Ah, che bel compleanno! Di questi tempi, l’anno scorso ero alla mia bella baia… I raggi caldi che mi accarezzavano il viso, la spuma delle onde che mi massaggiava i piedi… E Xalandra china ad occuparsi del mio…»
                «Signore, la malinconia è futile in alta montagna. Si consigliano mantelli robusti, calzoni doppi e… Una razione di sano ottimismo»
                «Ah! Sano ottimismo!» rise Daniel, sarcastico; e incalzò il suo servo: «Per esempio?»
                «Beh per esempio perché non pensate a dove vi troverete di questi tempi nel vostro futuro, anziché dove vi trovavate di questi tempi nel vostro passato?»
                «Illuminami mio attempato e saccente servitore: dove sarò di questi tempi nel mio futuro?»
                «Sarete alla Capitale, al fianco di vostro fratello. E sarete uno degli uomini più potenti del regno, e di sicuro il più temuto. Colto, savio: i più importanti tra gli uomini del regno ambiranno al vostro consiglio, e voi potrete farvelo pagare a peso d’oro o… In qualsiasi altro modo desideriate. E se sono le peripatetiche quello che più vi manca, considerate che godrete della bellezza di quelle della vostra corte signorile: più bionde di quelle di Cowain, più alte»
                «Io le donne le preferisco more…»
                «E assolutamente gratuite»
                «Davvero?»
                «Certo, signore»
                «Parli… Per esperienza personale, vecchio imbroglione? Ahah», il principe Daniel non poté trattenersi: troppo poche erano state le occasioni di ridere nel corso di quel viaggio e lui, che normalmente era un individuo allegro, non voleva lasciarsene scappare neanche una. Cordell, invece non era un tipo dalla risata facile, e neanche quella volta deluse il suo signore. Il principe cambiò argomento: «Senti, io non ho prestato molta attenzione, ma tu… Non credi che magari ci siamo già imbattuti nella Grande Quercia e siamo semplicemente andati avanti come se niente fosse?»
                «Impossibile, signore…»
                «Perché?»
                «Beh, vedete la Grande Quercia… È veramente molto grande!»
                «Molto grande quanto?»
                «Non potremo evitare di vederla quando la troveremo: le sue radici ci sbarreranno la strada!»
                «Così grande?»
                «Sì, signore».
                Il vento si era alzato. E con esso anche la nebbia e il freddo. All’orizzonte, Daniel di Cowain non riusciva più a scorgere nient’altro se non Cordell in groppa al suo asinello peloso. E più si alzava il vento, più il morale del principe ereditario scendeva. Aveva sperato, perché così tutte le teorie gli avevano detto, che in quel giorno – pur sfinendo se stesso e il suo destriero – sarebbe riuscito a raggiungere la vetta. E ci sarebbe arrivato entro la mezzanotte del giorno del suo compleanno! Ma con quel tempo, volenti o nolenti, lui e Cordell avrebbero dovuto fermarsi o gli onagri sarebbero morti sul serio. Prese una decisione e decise di gridarla al suo inserviente, distante da lui un paio di metri: «Cordell!». Cordell non rispose, e Daniel sforzò la gola: «CORDELL!!». Non riuscì a distinguere se il vecchio si fosse fermato o meno, ma di sicuro fu lui a rispondere: «Sì?!»
                «CERCHIAMO UN LUOGO RIPARATO DOVE RIPOSARE?»
                «SÌ!». Stavolta lo distinse chiaramente: il suo servo si era fermato. Con il vento contrario, cercò di avvicinarglisi ma… C’era qualcosa. Qualcosa si era materializzato a metà tra il punto dove si trovava Cordell e quello dove si trovava lui. Si muoveva; era una figura antropomorfa. Un brivido, non di freddo, corse lungo la schiena del sovrano di Cowain quando si rese conto che la creatura aveva scelto di avvicinarsi a lui. Inizialmente, Daniel rimase immobile cercando di capire di chi o di che cosa si trattasse… Realizzò che non era umano. Non riusciva a capire se fosse a causa della nebbia, ma era come se le braccia, le gambe e il volto di quel viso non fossero fatti di carne, ma di aria e ghiaccio. Oh di sicuro aveva una veste, grigia, particolarmente leggera per le vette più alte del mondo. E di sicuro aveva guanti, e stivali… Aveva come dei capelli lisci e lunghi, ma non erano capelli… Erano neve.
                L’istinto, consigliò al principe di Cowain di voltarsi e scappare. Niente da fare: l’uomo di ghiaccio gli comparì davanti, molto più vicino di quanto non fosse stato prima, anzi: a pochi centimetri. Daniel era impietrito. Il mostro fece qualche passo, e allungò il guanto verso la cavalcatura del principe. Daniel osservò che la punta di quelle dita di pelle era come composta da degli affilati cristalli di ghiaccio. Al solo tocco della creatura, l’animale divenne immantinente una statua. Inorridito, il signore di Cowain cadde e fece per strisciare verso la direzione opposta, quindi nuovamente alla volta di Cordell, e della vetta di Cabuk. Inutile, tutto inutile: gli stivali del mostro gli sbarrarono ancora la strada. Lo afferrò per il collo del mantello, sollevandolo… E Daniel vide con orrore un’immagine che avrebbe continuato a perseguitarlo per il resto della sua vita, se fosse sopravvissuto: un teschio sorridente. E nero. Stava per fare qualcosa; Daniel non aveva idea di che cosa, ma era sicuro che quel sorriso significava per lui l’inizio della fine. O forse, non era esattamente così?
                Una lama trafisse il petto dello scheletro di ghiaccio. La cosa sorprese anche il mostro, a giudicare dalla sua espressione, se “espressione” avrebbe mai potuto definirsi quella smorfia di morte che aveva sulla superficie della faccia. E, come se ancora non avesse visto niente, Daniel assistette a un’altra diavoleria: al posto della mandibola del teschio comparve la sua nuca, al posto dei suoi avambracci i suoi gomiti, e al posto del suo petto le sue spalle. Adesso era di schiena.
                La lama che aveva trafitto lo scheletro di ghiaccio, naturalmente, apparteneva alla spada di Cordell. Cordell era stato capo della guardia del palazzo reale un tempo e a quel tempo era stato un abile spadaccino: non molto resistente, ma agile, silenzioso e letale. Era anziano, ma Daniel di Cowain continuava ad avere rispetto, e un po’ di timore, per la sua maestria. Non aveva mai dubitato dell’altissima qualità di Cordell come sua personale guardia del corpo, eppure quello era un nemico contro il quale alcuna mano umana poteva essere efficace: questo ormai era chiaro. Il mostro scaraventò Cordell a metri da loro, con un pugno che quando fu alzato sollevò con sé anche la forza del vento. Cordell praticamente scomparve, e di nuovo il mostro di ghiaccio rivolse tutte le sue attenzione a Daniel di Cowain. Lui cominciò a chiedersi che diavolo volesse da lui: aveva pietrificato il suo onagro in quattro e quattr’otto, se avesse voluto farlo anche con lui… Poteva farlo. Invece, per qualche ragione… Lo contemplava. Era chiaro che il suo interesse per il figlio secondogenito della casa reale non si limitava alla mera ricerca di cibo, o diletto.
                Daniel cominciò a smettere di porsi delle domande, quando il mostro decise di trafiggere anche lui con i suoi artigli di ghiaccio. Il freddo più intenso che il principe avesse mai avvertito. Un dolore lancinante: come se le lame non fossero cinque, ma mille. Eppure, lui non divenne ghiaccio seduta stante, come il suo asino. Questo non parve sorprendere più di tanto il demonio bianco e nero, che dal canto suo continuò a inserire i suoi cristalli nelle carni del povero principe che, a poco a poco, per il dolore, la stanchezza, e la paura, stava cominciando a perdere i sensi. La sua vista iniziò a farsi sempre più appannata, sempre più appannata, sempre più appannata… Fino a quando, il signore di Cowain non udì giungere un suono. Una profonda voce baritonale, robusta e impetuosa, si alzava dalla montagna…
                «Maoleth Gawen Gahenna! Maoleth Gawen Gahenna! Maoleth Gawen Gahenna!». Questo, per qualche motivo, causò l’irritazione del demonio. Mentre la voce non cessava di ripetere sempre la stessa formula, il mostro si limitò a estratte i suoi artigli dal fianco di Daniel, e a cacciare un urlo, acutissimo e simile allo strillo di un uccello deforme. E un uccello deforme, osseo e senza piume, planò dall’alto e si presentò al cospetto del demone antropomorfo dai capelli di neve. Era enorme. Il demone salì sulla creatura e scomparve. Il vento si quietò tutto insieme, e Daniel riuscì a chiudere gli occhi.
                Li riaprì. Come se per quel giorno non ne avesse già viste abbastanza di strane creature, e nonostante una vista un po’ a intermittenza, riuscì a distinguere due sagome… La prima, fu riconosciuta subito: il principe gli era troppo affezionato; era quella del vecchio bacucco ex spadaccino che da anni era il suo migliore amico: Cordell. L’altra, era quella del più basso degli uomini che Daniel avesse mai visto. Non era un nano: Daniel ne aveva visti diversi a corte, e quello non era un nano né un goblin. Era un uomo: ma un uomo di statura decisamente infima. Curvo, con foltissime sopracciglia bianche e una corona di capelli tutt’attorno a una boccia centrale pelata: doveva avere almeno cent’anni!
                Tutto innervosito, il nanerottolo si rivolse a Cordell: «Ma che diavolo era quell’affare?». Stupito almeno quanto Daniel stesso, l’anziano servitore rispose pacatamente: «Lo chiedete voi a me
                «Certo! Lo chiedo io al vostro brutto ceffo forestiero!»
                «Non ne ho la più pallida idea, signore… Noi saliamo da Dunwark per incontrare…»
                «Non s’era mai visto nulla di simile qui a Cabuk! Fidati di me, figliolo: abito qui da molti più anni di quanti me ne piaccia ricordare! Di qualsiasi cosa si trattasse, l’avete portata voi!»
                «Neanch’io l’avevo mai vista!».
                A questo punto, il vecchietto (che aveva chiamato l’ultracinquantenne Cordell “figliolo”), si avvicinò direttamente a Daniel, fino ad allora rimasto in silenzio e comunque dubbioso sul fatto di avere la forza di parlare. «E tu, ragazzo?» gli disse dunque il vecchio, piano «L’avevi mai veduta quella strana… Cosa?». Poi rivolto a Cordell: «Questo qui sta molto male! Bisogna medicargli la ferità al più presto!». Una pausa a effetto e infine: «Mi seguirete alla mia dimora! Chi siete, comunque?»
                «Io sono Sir Cordell dei Piani di Steel» rispose Cordell «E quegli è Daniel di Cowain, secondogenito della casa reale e terzo in linea di successione al trono»
                «Come?!» fece stupito l’anziano bassotto «Quello è un secondogenito della casa reale?»
                «Sissignore. Siamo partiti fin da Cowain per…»
                «Non ho idea di dove si trovi Cowain, e comunque poco me ne importa. Non oltrepasserete la Grande Quercia!»
                «È necessario»
                «Io non ho ricevuto alcun ordine, né informazione che sarebbe arrivato un secondogenito, perciò non passerete!»
                «Per forza che non l’avete ricevuta: la missiva è qui con me» Cordell si frugò nelle tasche e ne trasse una piccola pergamena; continuò: «Sua maestà riteneva l’argomento di una natura troppo delicata perché fosse affidato ad araldi che avrebbero dovuto comunque attraversare mezzo regno! Ha creduto più utile far viaggiare la lettera insieme all’oggetto della sua informazione, di modo da poterne garantire meglio l’avvenuto recapito»
                «Questo è… Davvero poco ortodosso! E non so fino a che punto potrà essere ritenuto accettabile…»
                «Signore… Mi duole ricordarvi che il volere di un re è ordine»
                «E a me duole ricordarvi, signore, che dietro quella cima è l’unico posto al mondo in cui se si rispetterà mai il volere del re, potrà essere solo una questione di stima. Mai una questione di timore!» il vecchio sorrise maliardo, dietro a quei suoi foltissimi baffoni bianchi. Riprese: «Posso vedere la lettera?»; Cordell gliela porse, ma l’uomo non l’aprì, si limitò ad osservarne il sigillo di cera rossa. Infine concluse: «Mi seguirete fino alla Grande Quercia e lì medicherò il ragazzo. Dopodiché tornerete a Dunwark, messere dei Piani di Steel. Il secondogenito riprenderà l’itinerario, da solo»
                «E questo non è forse “davvero poco ortodosso”?»
                «Probabilmente sì: ma è già assai spiacevole un solo ospite senza preavviso; figuratevi due! Questa montagna, messer cavaliere, è il luogo più freddo e inospitale del mondo: non c’è cibo per i convitati. Né acqua! E io di certo non rinuncerò alla mia razione giornaliera di zuppa calda per darla a voi…». Cordell rimase in silenzio per qualche secondo. Dunque rispose: «Vi seguirò alla vostra dimora»
                «E poi?» sorrise il centenario. Cordell decise di assecondarlo: «Poi ridiscenderò a Dunwark. Il principe proseguirà il viaggio da solo»
                «Bravo: così mi piacete, caro il mio cavaliere del re» e dicendo questo il vecchio dall’infima statura si avvolse nel suo massiccio mantello di pesante sacco, e riprese la strada. Cercando come meglio poteva di caricare Daniel sulla groppa dell’unico onagro rimastogli, il servo Cordell rispose: «Io non sono un cavaliere del re. Non più, ormai». E anche i due cittadini del sud ripresero la loro marcia, alla volta della Grande Quercia.
                Ma Daniel non stava bene: nonostante tutto al di fuori di lui gli sembrasse gelido come la morte, sentiva la sua pelle scottare: la febbre lo stava prendendo; una febbre anomala, causata dalla ferita che quell’essere altrettanto anomalo gli aveva aperto sul fianco destro. Sentiva che non sarebbe stato facile curare quei tagli… Non se non si fosse adoperata la magia: il vecchietto che li stava guidando ne era forse in grado? Era magia quella voce che pronunciando parole oscure aveva scacciato il mostro di ghiaccio? E soprattutto apparteneva a lui? Mai come ora il principe di Cowain si era sentito in pericolo di vita; mai aveva provato un timore così disperato, né un dolore così lancinante che, nonostante la dipartita del mostro che gliel’aveva causato, non si decideva a diminuire d’intensità. Decise che, se lo avesse salvato, avrebbe considerato quel basso vecchio montanaro suo creditore per la vita. E, checché ne dicessero suo padre e i suoi fratelli, un leone ruggente scintillava inciso anche sul vessillo che Daniel aveva al proprio petto. In fin dei conti era un Lannister anche lui; e un Lannister paga sempre i suoi debiti.
 
 
   
 
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