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Autore: Jeck86    01/07/2015    1 recensioni
Francesco studia (si fa per dire) chimica all'università, abita con due coinquilini in unpiccolo appartamento.
Passa la maggior parte del suo tempo nella stanza della tivvù e non entra mai in cucina perchè ha paura di prendersi qualche brutta malattia.
Genere: Comico, Commedia, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo studio


Ero in un cinema.
Sul maxischermo proiettavano un qualche film.
Forse un western, forse il buono, il brutto ed il cattivo.
Forse...
Non potrei giurarci.
Magari invece era un thriller o un film di fantascienza.
C’erano delle pistole.
Forse...
Io me ne stavo sdraiato lì a guardare questo film.
Ma vedevo la scena da un lato.
Vedevo anche me stesso, sdraiato, che guardavo il film.
Alle volte mi vedevo da dietro.
Come in un film.

Mi sveglio, l'aria è tiepida sulla mia pelle nuda.
Mi stropiccio gli occhi appiccicaticci.
Sono sul divano letto, a casa.
Accanto a me, il letto di Giovanni, il mio compagno di stanza, è ancora sfatto.
Non ho mai capito questa mania di rifare i letti.
A cosa serve, tanto per dormire bisogna sfarli.
Sbadiglio.
La tivvù accesa.
Devo essermi assopito mentre guardavo la televisione.
Forse il sogno aveva ingigantito la realtà.
Nel sogno la tivvù era diventata una specie di maxischermo e la stanza un intero cinema.
Le mie palpebre sono pesanti.
I sogni dilatano le cose.
In questo devono essere come la tivvù.
Si dice che in televisione si appare più grassiZZZZ.
La testa cade.

No.
Mi faccio forza e mi alzo.
Esco dalla stanza in cui mi trovavo.
Un po'soggiorno, un po camera da letto.
Per tutti i coinquilini è sempre solo la stanza della tivvù.
Attraverso il corridoio.
Di fronte a me c'è la camera che noi coinquilini chiamiamo "Lo studio.".
Da quando alberto se ne è andato, è libera.
C'è un vero letto e un piccolo tavolino.
Ma né io né Giovanni vogliamo lasciare la stanza della tivvù.
Giovanni dice che è comodo avere il televisore davanti al letto.
Forse è solo che ci pesa il culo di spostare le nostre cose.

Ho un po'fame, ma non entrerei mai in cucina.
Ho paura di prendermi qualche malattia, tipo il tetano o l'ectospirosi, o come diavolo si dice.
Non scherzo, sono davvero terrorizzato dalla cucina.

Vado al bagno.
Non c'è piacere più grande dello svuotare la vescica.
Mi sciacquo il viso, l'acqua fredda mi fa saltare un battito al cuore.
Mi guardo allo specchio: indosso solo le mutande.
Poi inizio a spazzolarmi i capelli.
Amo i miei capelli lunghi.
Peccato che tendono ad arricciarsi, così sono costretto a pettinarli di continuo per mantenerli lisci o a tenerli legati dietro in una coda di cavallo.
Apro la finestra.
E mi affaccio.
Il condominio è a pianta romboidale, il giardino interno ha, vagamente, la forma di un cuore.
Dalla finestra del bagno si vede tutto il cortile interno.
Nel terrazzo di fronte, c'è una coppia di ragazzi ed una ragazza che stanno facendo colazione.
La ragazza è appoggiata con il sedere sul corrimano del terrazzo, ai piedi ciabatte infradito.
Un piede sostiene il peso a terra, l'altro ginocchio è piegato, il piede tocca la ringhiera, le mani appoggiate saldamente al corrimano.
è snella, un bel sedere a mandolino, bionda, capelli lunghi.
Ho sempre avuto un devole per le bionde.
Mi alliscio i capelli per poi legarli, ed intanto osservo la situazione.
Uno dei due ragazzi, quello più muscoloso, sembra un giocatore di football americano con ancora addosso le imbottiture.
è calvo.
Fa una battuta.
L'amico ride.
La ragazza mi guarda, sorride, poi abbassa lo sguardo.
Anche il tipo grande e grosso mi guarda, finge di toccarsi mollemente i capelli.
Sta insinuando che sono gay? Non riesco a sentire.
Alzo la voce e gli rispondo.
"Invidioso?" E gesticolo per far capire che sto parlando della sua testa calva.
Gli altri due scoppiano in una fragorosa risata.
Lui smette di sorridere.

DRIIIIEEEAAAUUN.
Il campanello.
Questo deve essere Giovanni, solo lui ha la mano così leggera nel suonare il campanello.
Indosso la prima cosa che trovo e apro il portone.

Entrano tre giovani: Giovanni ha il braccio mollemente poggiato sulle spalle di una ragazza che non riconosco subito.
- Oh, sei tu. Ciao Fra. - Mi saluta Giovanni, sembra un po'deluso.
- Ciao Giovanni e...hum...Erica? -
La ragazza non mi rivolge neppure un cenno del capo.
Sì, è proprio Erica, la sorella di un altro nostro coinquilino.
Giovanni attraversa la soglia.
Lo seguo con lo sguardo mentre inizia ad aprire tutte le porte.
Cerca qualcosa o qualcuno.
Frattanto, con la coda dell'occhio, noto una seconda ragazza entrare dalla porta.

Finito di ispezionare casa, Giovanni si ferma a squadrarmi.
Evidentemente non ha trovato quello che cercava.
Il suo sguardo mi scorre da capo a piedi e poi da piedi a capo con espressione leggermente schifata.
Riesco quasi a sentire il rumore delle rotelline e degli ingranaggi nel suo cervello che si mettono in moto.
Si volta verso le due ragazze e dice: - Francesco ti farà ripetizioni. -
Dopodiché prende Erica sotto braccio e si avvia verso la stanza della televisione.

- Oh, oh, OH! - Gli grido io gesticolando. - Ma che cazzo dici? Ma quali ripetizioni? Io c’ho da studiare per gli esami. -
Prendo Giacomo per il braccio e lo accompagno alla porta. - E fatemi il favore di non tornare tanto presto chè c'ho...da... -
Mentre mi avvicino alla porta, mi trovo davanti la terza ragazza, quella che è entrata dopo Erica.
La guardo "veramente" per la prima volta.

Indossa degli anfibi, una corta minigonna a pieghe, Delle calze a rete, forse collant.
Porta un giubbotto di pelle, nero, da motociclista.
è aperto sul davanti, sotto occhieggia una scollatissima cannottiera fucsia che lascia scoperto il piercing all'ombellico.

Gli occhi truccati con tanto di glitter, le ciglia lunghissime, le unghie laccate, fanno uno strano accostamento con il rossetto nero ed il piercing all'orecchio.
Un po gotica, un po'kogal, un po'tanto appariscente.
Ha un pochettino di pancetta, i fianchi larghi ed il seno prosperoso di una donna già sviluppata, ma la boccuccia a bottone e gli occhi grandi le danno un'aria da bambina.
Porta sulle spalle uno zaino da scuola superiore.
La mia attenzione è soprattutto attratta dai capelli.
Con una mano li scosta dalla fronte e li sposta dietro l'orecchio.
Sono castano chiaro alla radice, ma si schiariscono verso le punte e diventando biondi.

- Andiamocene da un'altra parte. - Dice Giacomo. Aveva già aperto la porta.
Evidentemente, mentre io osservavo la ragazza, il mondo aveva continuato a girare.
 - Eh che è?...addirittura? Così presto? Almeno lascia che offra qualcosa alle nostre ospiti. Un caffè?" E sfoggio il mio sorriso più viscido.
Giacomo ed Erica si rilassano e vanno di nuovo verso la camera.
Si chiudono la porta dietro le spalle.
Io e l'altra ragazza rimaniamo soli.
Provo ad aprire la porta, perchè... bèh, perchè quella è anche la mia cazzo di camera e ci stanno i miei libri e quaderni.
La maniglia affonda senza il tipico klak.
La porta è chiusa a chiave.

Sorrido dissimulando l'imbarazzo.
Anche la ragazza sorride.
Si attorciglia una ciocca di capelli attorno all'indice.
Mastica una gomma americana.
Ogni tanto fa un palloncino.
Ciak cciak ciak. La lingua esce fuore dalla bocca. FfffftPOP.
- Che materia ti da più problemi? - Domando tanto per rompere il silenzio.
- Storia. - Ciak cciak ciak. Lingua. FfffftPOP. - Devo studiare l'8 settembre.- - Sai...? - Ciak cciak. Lingua. FfffftPOP. - L'armistizio e quella roba lì. Domani mi interrogano. - Ciak cciak ciak. Lingua. FfffftPOP.
Si mette a sedere, appoggia il gomito su un tavolino, La mano sostiene il viso. La testa leggermente piegata di lato. - Tu te ne intendi? -
- Eh. A sfare. - Io all'università studio chimica. Che cazzo ne so dell'8 settembre.
La ragazza mi guarda sudare. Sembra divertita o annoiata.
Di sicuro, se è preoccupata per l'interrogazione, non lo da a vedere.

- Tu sei il fratello di Erica? - Mi domanda.
- No. Sono un coinquilino di Giacomo. -
Chissà che palle le hanno raccontato.
Evidentemente, volevano solo che qualcuno le badasse, mentre loro scopavano.
- Hai un libro di testo? -
- Di storia? -
Che cavolo di domanda è?
- Sì, certo. Di storia. - Rispondo condiscendente.
- Sì. -
Ma è fantastico! AAAAlleluia! - Posso vederlo? -
- Ma non cel'ho qui. è a casa. - E ride. Come se io avessi detto qualcosa di buffo.

Si toglie il giacchetto io mi avvicino con calma e la aiuto.
Senza di esso il suo fisico è ancora più prorompente.
Mi guarda con i suoi occhioni grandi, sbatte le ciglia.
Profuma di vaniglia.
Al diavolo lo studio.

Le appoggio una mano sulla spalla e la conduco nello "studio".
La faccio sedere sul letto.
Il tavolino davanti, non ci sono sedie.
- Ma allora dobbiamo proprio studiare? Mi darai ripetizioni? -
- Proprio ripetizioni no. Diciamo una ripassata. -
- E il caffè? - Mi domanda, ancora, lei.
- Il caffè è finito. -
Mi richiudo la porta alle spalle.

Penso che, dopo tutto, mi trasferirò in questa stanza.
Non c'è la tivvù, ma il letto è bello comodo.
   
 
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