Ballata
per una sposa d’inverno
Non ha ancora
toccato cibo.
Le cucine
rigurgitano portate su portate. Stufati, cacciagione, dolci, frutta secca e
fiumi di vino dorniano per annegare il tutto, come se
non fosse l’inverno in persona a bussare alle porte con le sue dita di
ghiaccio. La vecchia Nan scuoterebbe la testa con
compassione di fronte a tanto spreco.
Ma è tutto un
pietoso inganno. Come il bianco e il grigio degli Stark
– fa male pensarlo, ma è l’abito più bello che abbia mai indossato – che si
sforzano di nascondere gli occhi troppo castani della figlia dell’attendente.
Sono un inganno le spezie, le scie calde e profumate che si levano dai piatti e
che non riescono a coprire l’odore acre di decine di uomini, cani e cavalli
stipati nelle sale di Winterfell. La puzza di urina,
escrementi e sudore, l’odore strisciante della paura di chi si ubriaca per
stordirsi prima di una battaglia. Persino le risate hanno un che di forzato,
una punta acuta e stridula fin troppo simile a un rantolo di agonia. Un
presagio. Domani, tra tre giorni o in un mese il sangue di questi uomini
macchierà la neve e il loro ultimo grido si congelerà impotente tra le labbra.
Nel frattempo
bevono e dimenticano. Cantano, per sovrastare l’ululato della tempesta.
Jeyne
invece prega perché avvenga subito. Stannis o l’inverno, non fa alcuna
differenza. Purché il portone crolli e il nemico li inghiotta tutti. Adesso.
Se potesse alzarsi
e correre nel cortile innevato, quanto impiegherebbe a congelare? Dicono che
non ci si accorga di nulla, che è una morte rapida e senza dolore. Un po’ come
addormentarsi.
Si rigira il
calice tra le mani. Lo porta esitante alle labbra, una, due volte. È ancora
pieno fino all’orlo.
Forse dovrebbe
seguire l’esempio di quegli uomini e stordirsi. La battaglia che la aspetta tra
poche ore non è meno crudele della loro. Un uomo almeno può portare con sé una
spada e un’armatura per difendere la propria vita…
Il calice trema,
in un attimo una macchia di vino si allarga a vista d’occhio sulla sua gonna
bianca. Si affretta a coprirla con il mantello – che ora ha i colori dei
Bolton, e quella figura disgustosa ricamata sopra – e corre con lo sguardo
lungo la sala grande.
Lui
non si è accorto di niente. Continua a scherzare con i suoi seguaci e compagni
e non la degna di uno sguardo come ha fatto dall’inizio del banchetto nuziale.
Almeno fino a quando non si ricorderà di reclamare i suoi diritti di marito.
Le dita di Jeyne si conficcano nella stoffa pesante del vestito. Si
sforza di fare respiri profondi, perché il sudore sulla fronte e quei puntini
sfocati ai margini del suo campo visivo significano che sta per svenire – da
bambina le succedeva spesso, secondo Maestro Luwin
non mangiava abbastanza carne – e non può, non deve permetterselo. Non davanti
a tutta la sala. Non davanti a lui.
Succede
a tutte le donne, no? A tutte le lady. È il loro dovere, la loro battaglia. La
combattono da che mondo è mondo. E tu sei addestrata, Jeyne.
Al contrario di molte, tu sei addestrata.
“Addestratela
a dovere.” La voce di lord Baelish
si insinua come un fruscio di seta tra i suoi pensieri. “Addestratela a dovere.” L’ha sentita solo una volta, prima che le
porte del bordello si chiudessero alle sue spalle, ed è quel sussurro a
inseguirla ogni notte negli incubi, ancora più che lo schiocco della frusta e le mani arroganti e sfacciate delle sue tutrici.
“Addestratela
a dovere.”
Appoggia la testa
allo schienale, chiude gli occhi – per un attimo, un attimo soltanto. Quando li
riapre, il suo sguardo corre istintivamente alla ricerca di Theon.
Non si è mosso dal suo angolo isolato in fondo a uno dei tavoli. Impermeabile
ai suoni e alle risa, curvo su un boccale mezzo vuoto.
Eppure
di tutte le persone presenti lui è l’unico che dovrebbe davvero essere qui.
Theon
non solleva la testa, non ricambia il suo sguardo. Anche lui è stato addestrato
a dovere.
“Bardo, una
canzone! Rallegriamo un po’ questa festa!”
La voce imperiosa
di Ramsay le strappa un sobbalzo, ma per il momento
non è lei l’oggetto della sua attenzione. Ad un suo cenno il menestrello –
Abel, le pare si chiami – si fa strada tra la folla di invitati e prende posto
a un tavolo centrale, traendo dal liuto un paio di accordi di prova. Prima di
iniziare rivolge un breve inchino a lord Bolton, poi a suo figlio, infine si
volta a omaggiare lei. E in quel momento Jeyne lo
riconosce.
L’inverno sta
arrivando anche per lui. Le prime spruzzate di nevischio iniziano a
imbiancargli i capelli, ma le linee sottili che gli incorniciano la bocca
quando le sorride sono inconfondibili. Come le note che ora sgorgano dalle
corde del liuto, accompagnate dalla sua voce calda e appena lievemente roca.
Una ballata che la riporta a un’altra Winterfell e
un’altra festa, quando le risate non erano stridule e l’inverno incuteva timore
solo nelle parole degli Stark.
Era un’occasione
speciale, almeno per lei e Sansa. Di rado i menestrelli girovaghi si spingevano
tanto a nord lungo la Strada del Re, e la notizia che uno di loro avrebbe
cantato al compleanno di Robb aveva scatenato grida di
gioia tali che septa Mordane
le aveva rimproverate di essere più indisciplinate di Arya.
Quella sera Sansa,
sempre la più coraggiosa, si era alzata per chiedere una canzone d’amore; e si
erano strette l’una all’altra, il cibo intatto sui taglieri, pronte a viaggiare
sulle onde dei sogni e della musica. Avevano trattenuto il fiato ascoltando la
storia del giovane lord che racconta alla madre di aver incontrato il suo vero
amore nel bosco, al ritorno dalla caccia. Si erano scambiate uno sguardo
complice e malizioso quando il lord prega la madre di preparargli il letto,
perché sente le forze venirgli meno. La voce del bardo alternava i toni con
abilità nel dialogo tra la lady e suo figlio, e la loro immaginazione di
fanciulle provvedeva a colmare i retroscena del racconto. L’incontro romantico
nel bosco, la passione irresistibile che doveva aver colto i due amanti.
Neanche adesso Jeyne saprebbe individuare il momento preciso in cui una
vena malinconica si insinua nella musica e tutto inizia a cambiare. Trema, come
aveva tremato allora quando la voce del bardo si spezza nel pianto della madre
che riconosce l’ombra del veleno negli occhi malati del figlio. I suoi cani e i
suoi cavalli sono già morti sulla via del ritorno, e ormai è troppo tardi per
salvare anche lui.
“Questa non è una
storia d’amore” aveva protestato Sansa mentre le ultime note si spegnevano
nella sala. Il bardo non si era offeso, ma le linee di espressione erano
tornate a solcare il suo viso gentile.
“Non tutte le
storie d’amore hanno un finale allegro, mia lady.” Poi, quasi a volersi far
perdonare, aveva attaccato un motivetto divertente a cui tutta la sala si era
unita battendo le mani. Ma la delusione era stata lenta a svanire.
Persa nel ricordo,
Jeyne impiega un po’ a rendersi conto che il bardo la
sta fissando. Le sue dita non mancano una nota, la voce si intreccia alla
musica in un’armonia perfetta, ma gli occhi sono fissi solo su di lei.
D’istinto, Jeyne abbassa i suoi. Mi
ha riconosciuta?
No, non è
possibile. È stato troppo tempo fa, in un’altra vita, e gli ospiti di Winterfell si non ricorderebbero certo della modesta Jeyne. No, il suo segreto è al sicuro.
Eppure il cuore
non cessa di martellare nel petto come se volesse sfondare la gabbia toracica.
È assurdo, ma le sembra che Abel stia cantando per lei. Come se non esistessero
né i Bolton né i Frey, né gli alfieri del Nord, né
gli uomini che bevono per dimenticare il freddo e la guerra. Solo il bardo e la
sposa, tra le mura antiche di Winterfell.
La ballata arriva
al punto in cui il giovane lord capisce di essere condannato. Si erano
lamentate a lungo, quella sera con Sansa. Come poteva la fanciulla del bosco
essere così crudele da avvelenare chi la amava? Una strega, ecco cos’era. Una
perfida strega.
La voce di Abel è
una carezza. La maggior parte dei presenti è troppo ubriaca per prestargli
ascolto, ma lui non smette di cantare. La musica la sfiora, la prende per mano.
In un’altra vita, Jeyne avrebbe danzato al ritmo
malinconico di quelle note.
E per la prima
volta si accorge che la ballata tace sulle ragioni della strega.
Improvvisamente le sembra un particolare così importante.
I cani e i cavalli
muoiono accompagnati dagli arpeggi del liuto. Andava a caccia di cosa, il
giovane lord? Jeyne non è stupida. La tengono
rinchiusa, ma i muri hanno orecchie e i seguaci di Ramsay
non si curano di abbassare la voce quando declamano il fiuto per la caccia del
loro signore. Cervi e cinghiali sono prede troppo ordinarie per il suo spirito
sempre assetato di emozioni nuove.
La risposta è
negli occhi limpidi di Abel, e stavolta Jeyne li
incontra senza timore.
Strega è un nome,
come Arya Stark. Dietro c’è
soltanto una donna che non ha mai smesso di combattere.
L’ultima strofa
canta la morte del giovane lord. Il ritmo rallenta, il bardo assapora i versi
quasi con voluttà. Il giovane muore maledicendo il suo vero amore, ma la strega
ha vinto, Abel le sorride, e per un attimo Jeyne si
sente meno sola.
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Note:
la
canzone di Mance è ispirata a Lord Randall, antica
ballata inglese, che sicuramente qualcuno di voi conoscerà per averla studiata
a scuola XD L’idea per la storia mi è venuta proprio mentre la ascoltavo.
Prima di rileggere
i suoi capitoli avevo del tutto rimosso che Jeyne,
prima di finire sposa di Ramsay, era stata tenuta in
consegna nel bordello di Littlefinger. A proposito
dell’”addestramento”, lei stessa durante la fatidica
notte di nozze tenta di compiacere Ramsay
assicurandogli: “I’m trained”,
frase che mi ha fatto sinceramente rabbrividire. Cosa non ha dovuto subire
questa ragazza. Pretendo un minimo di riscossa per lei nei prossimi libri!