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Autore: _A m a l i a_    02/07/2015    4 recensioni
Milano, Seconda guerra mondiale.
Una storia d'amore più forte del tempo. Più forte della guerra e delle proibizioni.
Clarissa è la giovane figlia di un sostenitore del partito fascista. Cesare è l'uomo di cui s'innamora. Un uomo che combatte la dittatura e mette a repentaglio la propria vita per salvare quella degli altri. Un eroe silenzioso.
La loro storia cammina di pari passo con la disperazione, con la morte e cresce nascosta dagli occhi indiscreti di chi non potrebbe accettarla.
***
Dal 13esimo capitolo:
«Prometti di gridarmi che mi ami e che il suono delle tue parole mi arrivi anche sopra gli spari e lo scoppio delle bombe. Prometti di custodire una parte della mia vita nella tua, così che saprò che non ti lascerai mai morire, per non uccidere anche me.»
Genere: Drammatico, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Guerre mondiali, Dopoguerra
Capitoli:
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Come d’autunno le foglie






 ~ prima parte ~





 
 
17.

24 Febbraio, 1945

«Voltatevi.» pronunciò, ancora.

L’uomo, forte delle sue convinzioni, con il respiro regolare e gli occhi fissi verso il suo carnefice, non si mosse. «Vi manca il coraggio di spararmi guardandomi dritto negli occhi?»

«Ve lo ripeto un’ ultima volta. Voltatevi e appoggiate quelle maledette mani alla nuca.»

Quella notte la brina era calata, rispetto ai giorni precedenti. I lampioni illuminavano le strade con una luce intensa, accesa. Ma non in quella strada. In quella strada i colori erano flebili e tutto sembrava riposare nel cupo silenzio. Uno sparo avrebbe tradito l’atmosfera e sarebbe echeggiato oltre i tetti dormienti, a risvegliare l’intero vicinato.

L’uomo continuò a non muoversi. Non per l’insana volontà di mostrarsi audace e nemmeno per fanatica arroganza. Non si mosse per non dare le spalle alla sua condanna; l’avrebbe guardata in faccia, l’avrebbe accolta lottando, fino all’ultimo, contro di lei e mai si sarebbe piegato per subirla inerte.

La mano del carnefice, che reggeva la pistola da interi minuti, accarezzando il grilletto tremava, per quanto era stanca. «Sapete chi sono?»


«Si, so chi siete.» rispose l’uomo, nell' immediato. «E anche voi sapete chi sono io.»

«Certo che lo so. Ho desiderato questo momento da mesi. Da mesi. E ora, finalmente, siete qui davanti a me.» di colpo, abbassò la pistola e sospirò così violentemente da sembrare di aver appena abbandonato la presa di un pesante macigno. «Abbiamo molto da dirci voi e io. Non è vero, Cesare Poggi?»
 



Gli occhi erano quelli di Clarissa, se ne accorse subito. La stessa grandezza, le stesse ciglia marcate. Ogni altra somiglianza, però, spariva, come se non esistesse nessun legame tra loro.

Entrarono in uno degli uffici sotterranei dell’ imponente Comune. Cesare si stupì della capacità propria dell’ impresario Marchesi - da tempo ufficiale Marchesi – d’ inventare bugie con naturale rapidità. Mentì ad ogni uomo in divisa che incrociarono. Mentì alle sentinelle, mentì ai soldati di pattuglia al Comune, mentì agli ufficiali del suo stesso grado. A tutti loro disse che il signore al suo fianco aveva bisogno di un rinnovo della licenza. Era notte fonda e gli uffici erano chiusi, ma nessuno si mostrò sospettoso.

O forse era semplicemente un linguaggio in codice, puramente fascista. Forse rinnovare la licenza significava sparargli un colpo in testa, nella stanza più nascosta dell’ edificio.



 
«Sedetevi.»

La stanza era piccola e poco arredata. Un' unica lampada era stata accesa. Cesare si sedette sulla sedia alla destra del tavolo, così avrebbe potuto guardare la porta e assicurarsi di ogni entrata.

Il signor Marchesi si sbottonò il colletto della giacca grigio-verde, irrorata di medaglie e riconoscenze. Buttò alcuni fogli sul tavolo e anche lui si sedette, dando le spalle alla porta.

Dopo un lungo silenzio, rise. Rise, molto nervosamente. Le rughe sul suo viso olivastro si fecero più marcate. «Ho condotto all’incirca milleduecento.. milletrecento.. interrogatori, in questa stanza. Con l’esperienza ho imparato a toccare i tasselli giusti, a incriminare il colpevole ancora prima che fosse lui a implorarmi di farlo.» si fermò e smise di ridere. «Ho ucciso.» disse, con tranquillità. «Ho ucciso tanta gente, qui dentro. Ma in tutta franchezza vi posso assicurare che, al momento, non ho la più vaga idea di come procedere. Ditemi se non vi sembra assurdo.» tornò a ridere, mentre esaminava orgoglioso le sue mani.

Cesare lo guardò, ma non rispose.

«Sono di fronte all’unico uomo che valga la pena ammazzare e non so come comportarmi.» quando si decise a interrompere le risate, si alzò per avvicinarsi ad una cassaforte scura, attaccata alla parete. Il tacchettio dei suoi stivali riempì il silenzio.

Cesare distese le braccia sul tavolo e involontariamente cercò un orologio nella stanza, senza riuscire a trovarlo.

Quando il signor Marchesi tornò a sedersi, portò con sé due bicchieri di vetro e una bottiglia di liquore, quasi vuota.

Bevve due volte dal suo, prima di riempire anche l’altro bicchiere e offrirlo a Cesare.

«Dobbiamo brindare alla vostra cattura, Marchesi?» domandò Cesare, svuotando in un sol colpo il bicchiere. Il sapore amarognolo sorprese la sua gola e la dissetò. «Ne siete orgoglioso?»

«Orgoglioso.» ripeté il padre di Clarissa. «Cosa mi dite di voi? Siete orgoglioso di aver deviato mia figlia, più di quanto quella scellerata non fosse in grado di fare da sola?»

Cesare si sistemò meglio sulla sedia e incrociò le braccia. «Non conoscete abbastanza vostra figlia, se credete sia facile deviarla.»

Bastò questa frase perché il signor Marchesi scaraventasse la bottiglia di liquore contro il muro. I pezzi si frantumarono e caddero come foglie sgualcite. «Risparmiatemi le vostre lezioncine morali Poggi e toglietevi quell’aria superiore, non lo capite che sono io ad avere il coltello dalla parte del manico?»

Il signor Marchesi inspirò l’odore di liquore che andava inebriando l’aria. Per un istante si dispiacque di averla buttata; sentirsi più ebbro lo avrebbe aiutato. Ricominciò a parlare dopo un lungo silenzio, che altro non faceva se non accrescere il senso d’ inferiorità che avvertiva davanti a quell’uomo.

Decise che era giunto il momento di fare qualcosa per scacciare quella sensazione.

«Conosco i nomi delle persone che state coprendo. Di ognuno di loro. Conosco anche il luogo in cui li state nascondendo.» disse, guardandolo. «Rispondete a questa domanda. Avete costretto mia figlia a farvi dare il sottoscala che apparteneva alla sua famiglia?»

Cesare odiava dover parlare di lei. Odiava buttarla su un tavolo di una stanza misera, che non meritava di ascoltare niente che la riguardasse. «L’unica costrizione che ho imposto a vostra figlia è stata quella di starmi lontano. Pensate l’abbia fatto?»

«Limitatevi a rispondere alle domande che vi faccio, professore.» contestò, rimarcando l’ultima parola. «Credete che non mi ricordi di voi? Chi altro immaginate vi abbia fatto cacciare da quella scuola, appena dopo aver saputo che ci avevate messo piede?» assottigliò lo sguardo. «Avete fatto in tempo a conoscere mia figlia quando insegnavate nella sua scuola?»

«Sono sicuro siate pieno di fonti che possono rispondere a questa domanda.»

«Rispondetemi voi!» gridò.

La serietà di Cesare rimase impassibile; sembrava una di quelle statue antiche, nei grandi musei, che ti osservano dall’alto e ad ogni tuo passo non distolgono lo sguardo valoroso. «No. Non l’ho mai incontrata allora.» Mentì.

Quasi sollevato, il signor Marchesi si lasciò sfuggire un sospiro. «Come l’avete trascinata a seguire i vostri malsani piani? Come diavolo è possibile che mia figlia combatta dalla parte del nemico?»

«Vostra figlia non combatte da nessuna parte, non è un soldato di guerra.»

Rise, agitato. «L’avete fatto di nuovo. Mi sputate una frase, con la convinzione di conoscere mia figlia meglio di me.»

«Perché continuate a parlarmi di lei? Guardatemi, sono davanti a voi. Avete un’ arma in mano e fuori da quella porta ci sono decide di persone che pagherebbero per avermi tra le mani. Avete già tutte le informazioni che vi potrei dare: sapete dove si trova il sottoscala, sapete chi c’è dentro. E allora, cosa diavolo stiamo facendo? Cosa state aspettando? Che cosa vi ferma?»

«Che cosa mi ferma?!» alzandosi, sbatté energicamente le mani sul tavolo. «Perché voi? Perché mia figlia ha scelto voi e non me?» avvicinò la pistola alla tempia di Cesare e sentì pulsare il sangue nelle vene, così forte da fargli scoppiare la testa. La caricò.

«E’ questo che vi da tanto fastidio?» quando si voltò a guardarlo, il padre di Clarissa allontanò la pistola dal suo viso. Avrebbe potuto ucciderlo mentre i suoi occhi non lo fissavano, ma così sarebbe stato difficile anche solo puntargli contro una pistola. «Dite la verità, non vi ha preoccupato nemmeno per un secondo pensare che quello che stava facendo, poteva ucciderla in qualsiasi momento. A voi importava solo sapere che con la sua scelta, lei rinnegava suo padre.»

«State zitto!»

Cesare si alzò. Il padre di Clarissa era alto poco più di lei, il che lo rendeva decisamente più basso rispetto a Cesare. «Starò zitto non appena mi sparerete, non temete. Prima, però, ditemi cosa credete di fare con le informazioni che avete in mano. Se le passate alla brigate nere, ci metteranno poche ore ad arrivare anche al nome di Clarissa, lo sapete vero?»

L’impresario Marchesi camminò per la stanza, affannando alla ricerca di un respiro d’aria sana. In quei momenti affrontava una guerra che vedeva schierate le sue più grandi forze. Sua figlia o la Repubblica Sociale in cui tanto credeva? Chiuse gli occhi e vide il viso di sua moglie. Pallido come quello di Clarissa.

Appoggiò la pistola al tavolo e si sedette. Dopo molti minuti, si sedette anche Cesare.

«Avete idea di cosa sono queste, voi che sapete tutto?» chiese Marchesi, indicando i fogli riversi davanti a loro.

Cesare nemmeno li considerò, preferì continuare a fissare la faccia di chi aveva davanti. Scosse la testa.

«Sono le carte di richiesta d’asilo per un collegio di suore, in Svizzera. Ci spedirò Clarissa sotto falso nome, tra pochi giorni.»


Cesare abbandonò il suo controllo per un solo istante. Strinse forte i pungi sotto il tavolo e ascoltò morire qualcosa dentro di sé. Come d’impatto, capì che sarebbe successo. Non l’avrebbe più rivista, non avrebbe più avvertito le sue labbra leggere sulla pelle, le dita sottili che stringevano i lembi delle sue giacche, quei capelli. Respirò e sentì il profumo di quei capelli.

«Mi date la parola che non le accadrà niente?» domandò, tornando in se. La voce suonava ancora più cupa.

Il signor Marchesi lo guardò con disprezzo. «Vi fidate della mia parola adesso?»

«Siete suo padre.» sospirò, tornando a mostrare il suo solito distacco. «Immagino che volerla al sicuro sia l’unica cosa che ci accomuna.» commentò.


La sua risposta tardò ad arrivare. Non c’era fretta, nel limbo in cui si trovavano. Erano lì per decidere della sorte di un’ unica persona e avrebbero proceduto secondo i loro tempi. Mentre tutto fuori correva, laggiù non c’era fretta.

«Avete la mia parola, Poggi.»

Con scrupolo e sincerità, due mani nemiche si strinsero energicamente.
 
 


Erano passate ore e se non avessero sentito dei passi muoversi nelle stanze dei piani più alti, probabilmente sarebbero rimasti in quello stato di incoscienza per ancora molto tempo. L’odore del liquore si era impossessato del loro olfatto tanto da sparire completamente. La pistola era immobile sul tavolo.

Quando il signor Marchesi aprì del tutto gli occhi, di soprassalto, fu la prima cosa che cercò con lo sguardo. Poi guardò Cesare e forse si stupì di averlo ancora davanti. I suoi occhi chiari erano severi e tormentati. Le maniche della camicia scoprivano gli avambracci di un lavoratore abile nel carico di grandi pesi. Quasi insoliti per un professore. Immaginò sua figlia tra quelle braccia e il suo stomaco bruciò.

«Vi rimangono cinque giorni.» biascicò, schiarendosi la voce subito dopo.

«Cinque giorni per cosa?» chiese, Cesare, asciugandosi il sudore dietro il collo.

«Perché vi trovino. Il Comando Provinciale della GNR * ha ricevuto parecchie denunce sospette sulla zona in cui si trova il sottoscala. Sono stato avvertito perché alcuni di loro sapevano che avevo vissuto lì. Mi è bastato fare poche chiamate per scoprire i dettagli.» disse, il padre di Clarissa. «Le SS hanno insistito per intervenire personalmente, molto probabilmente vogliono..»

«Si, so cosa vogliono fare.» lo interruppe Cesare.
Assicurarsi che la maggior parte degli ebrei italiani finisse in campi di prigionia era diventato un loro bisogno vitale. Era necessario ristabilire il terrore, soprattutto dopo la notizia della liberazione del campo di Auschwitz, mentre l’esercito tedesco perdeva potere con estrema velocità.

Lo guardò confuso. «Che cos’è questo, Marchesi, un gioco malsano? Mi fate capire che potrei ancora salvarli, ma mi uccidete per non farmelo fare?»

«No, non vi ucciderò io. Anzi vi dirò di più, vi lascerò andare molto presto.» Il signor Marchesi sorrise, accecando gli occhi già stanchi. Sembrava aver perso ogni barlume di lucidità. «Ho bisogno che convinciate mia figlia a stare lontana dal sottoscala, almeno fino a quando verrà ripulito. Quando poi accadrà e lei si rassegnerà ad avervi perso, non avrò problemi a convincerla a seguirmi in Svizzera.»

Il sorriso di Cesare era amaro e meno convinto di quello di Marchesi. La conosceva, la conosceva troppo bene.

«Le parlerò, ma non basterà ad assicurarsi che non torni al sottoscala.» commentò, deciso.

«Che cosa dovrei fare, allora?» chiese, preso dalla disperazione, il padre di Clarissa.

Solo ora Cesare si accorse di odiarlo. Era per lui qualcosa di nuovo, l’odio. Lo teneva a dedita distanza per paura di come avrebbe reagito il suo corpo di fronte ad un sentimento così alienante.

In quel momento, però, si lasciò pervadere dal profondo odio che sentiva verso di lui; un uomo misero che pretendeva di proteggere la figlia, quando mai lo aveva fatto. A lui doveva affidare Clarissa. Non aveva altra scelta.


«Dopo che le avrò parlato, chiudetela in camera e buttate la chiave… inventatevi qualcosa, Cristo! Qualsiasi cosa che non la faccia uscire da casa vostra. E’ questo l’unico modo, l’unico
 


 
Nella stanza, la lampadina esauriva la sua forza e concedeva luce ad intermittenza.

«Poggi…»

Cesare lo guardò. Erano entrambi stremati, ma nessuno dei due avrebbe ceduto per primo. C’era troppo orgoglio in un’ unica stanza.

«Quello che voglio è che lei vi sappia tutti morti.» sospirò, il signor Marchesi. «Ti ho dato una preziosa informazione, sta a te usarla a tuo favore. Non mi importa come farai. Non mi importa dove finirai, né dove finiranno quelli che nascondi. La mia guerra finisce qui. Mi basta sapere che Clarissa non opponga resistenza a trasferirsi in Svizzera, almeno fino alla fine di tutto. Poi si vedrà.»

 
La mia guerra finisce qui, aveva detto. Cesare ripeté quelle parole nella mente e pensò che la sua, di guerra, aveva un’ ultima battaglia da portare a termine.

Sapeva che qualsiasi uomo con un briciolo di amor proprio avrebbe usato a suo favore le informazioni di Marchesi. Si sarebbe protetto, scappando al Nord magari, raggiungendo i compagni partigiani in vista dell’ ormai prossima resa delle forze italo-tedesche.

Ma non lui.

Dietro le sue spalle c’erano otto persone, nascoste in un sottoscala, denunciato alla GNR che per nulla al mondo avrebbe accettato di trovarlo vuoto.

C’era una ragazza dai capelli castani e il pallore infantile che avrebbe dovuto guardare in faccia un’ultima volta, sforzandosi di non mostrare la minima esitazione per non farla sospettare.
 
No, scappare non era da lui.



Prese la sua decisione, senza dire nulla al signor Marchesi e abbandonanó l’edificio del Comune, sorpreso da un sole mattutino. Camminò per le strade di Milano, godendo di ogni singolo passo, come non faceva da anni. Accorgendosi che non c’era bisogno di versare nessuna goccia, perché stava già piangendo.

Piangeva sul volto asciutto e la mascella serrata. Piangeva, senza sprecare lacrime. 
 
 
 
 



 
*La Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) fu una forza armata istituita in Italia dal governo fascista, l'8 dicembre 1943, con compiti di polizia interna e militare.
  
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