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Autore: IleWriters    03/07/2015    2 recensioni
[Storia scritta con Misery007]
Capelli biondi e occhi blu. Capelli neri e occhi viola. Le due gemelle Ilenia e Misery non potrebbero essere più diverse. Nate sotto l'influsso di una cattiva stella, entrambe sono costrette a convivere con un'immenso dolore. Una per via di un dolore che pian piano, segretamente, le sta divorando l'anima. L'altra per la malattia e le sue conseguenze. Una dovrà essere la luce per l'altra. Una le tenebre. I due ragazzi che hanno fatto breccia nei loro cuori dilaniati ce la faranno a salvarle? O le gemelle si autodistruggeranno prima?
Genere: Comico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Castiel, Dolcetta, Nathaniel, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo V - We love shopping

 

Ho ancora gli occhi chiusi e sono ancora immersa nei miei incubi, quando l'odore di tabacco e pino silvestre di Castiel mi investe le narici. Sento il materasso inclinarsi sotto il suo peso, ma le sue parole ancora mi arrivano confuse, ma mi fanno pulsare la testa. Spero solo che se ne vada e mi lasci dormire ancora un po', così mi tiro le coperte sopra la testa e mi giro sul fianco, ignorando il dito di Castiel che mi punzecchia il collo. Poi sento il freddo pungente investire le mie gambe lunghe e nude, poi vengo girata sulla pancia e sento un peso schiacciarmi il bacino. Spalanco gli occhi, terrorizzata, come se il mio incubo fosse scivolato lentamente nella realtà. Alzo lo sguardo e incontro gli occhi grigi di Castiel, che fanno rilassare il mio corpo rigido e sorrido pigramente, mentre allungo le braccia, facendo alzare la maglietta con cui dormo, noto che non porto i pantaloni, probabilmente ieri sera ero talmente ubriaca da essermi riuscita a infilare solo la maglietta, sempre che me la sia infilata io.

 

«Buongiorno, piccola ubriacona» mi dice Castiel sorridendo con una scintilla di malizia nello sguardo.

«Vaffanculo, voglio dormire, ho mal di testa» mormoro guardandolo male e cercando di togliermelo di dosso.

« Ci credo» ride lui mentre gli do dei pugni sul petto, con la conseguenza che lui mi blocca i polsi con una sola mano sopra la testa «Eri ubriaca come una spugna, sai la fatica che ho fatto per metterti a letto?» ride ancora mentre lo guardo accigliata.

 

Questo spiega il perché non indosso i pantaloni, almeno ha avuto la decenza di non chiedere aiuto a Alexy, perché anche se è gay, non è che mi vada molto di farmi vedere in intimo e delirante da uno sconosciuto. In realtà nemmeno da Castiel, ma ormai è abitudine, se lui è ubriaco io lo metto a letto, se sono io a essere ubriaca è lui a mettere a letto me. E se siamo ubriachi entrambi di solito a noi ci pensando Rosalya e Lysandre, quando viene, altrimenti il povero Viktor.

 

«ILENIA DORIAN!» tuona la voce di mio padre, sulla soglia della porta.

«Papà che cazzo urli?» mugugno e sbuffo, non si può iniziare una giornata post sbronza con uno che urla.

«Modera il linguaggio! E cosa ci fa LUI qui?» è abbastanza ovvio che il lui sia Castiel, e il qui sia la mia camera.

 

Così mi tolgo Castiel di sopra e mi alzo dal letto, traballo ancora un po', la testa pulsa ancora più di prima, ma riesco ad avanzare verso mio padre, e noto che dietro di lui c'è Missy, e vedendola mi sento in colpa per essere uscita senza di lei con il mio migliore amico e i suoi amici, lasciandola sola in casa. Ma per me è una cosa nuova dover pensare che probabilmente devo prima sentire se mia sorella può uscire insieme a me, sono abituata che appena vengo invitata accetto l'invito. Guardo papà negli occhi, è evidente che ancora la cosa di ieri sera non gli sia andata giù. Incrocio le braccia sotto al seno.

 

«Lui ha un nome. Castiel. Ricordatelo, e lui viene qui tutte le mattine, perché questa è la mia fottuta camera e entra chi cazzo voglio. E indovina? Tu non sei nella lista» detto questo sbatto la porta in faccia a mio padre e mi sbrigo a chiudere a chiave.

 

Lo sento bussare forte fuori dalla porta, poi sento Missy bisbigliargli qualcosa e lo sento allontanarsi dalla porta. Alzo lo sguardo stanco e provato verso Castiel, sono sveglia da cinque minuti e già vorrei tornare a letto. Gli indico la porta con la testa e la riapro, lasciandolo uscire, per poi chiuderla piano dietro la sua schiena. Sono conscia che lasciarlo solo con Misery è una pazza idea, ma io ho bisogno di restare sola, così prendo dei vestiti e entro nel bagno.

 

 

L'acqua calda mi scivola addosso, ma io ho lo sguardo perso nel vuoto, cercando di ricordare la serata di ieri.

 

 

L'arrivo al discopub lo ricordo, la sala buia con le luci colorate che lampeggiando e la musica che spacca i timpani, il bancone con il ripiano di plastica opaca con dentro un neon viola è affollato di giovani che sono seduti sugli sgabelli alti con la poltroncina nera. Mi avvicino e vedo Viktor indaffarato nel servire cocktail, così opto per andare a salutarlo dopo. Mi giro verso Castiel e gli amici di Misery. Loro sono a disagio, è evidente, non conoscono nessuno, e solo ora un'idea arriva al mio cervello. Forse portarli in un disco-pub come prima uscita non è stata una buona idea, specie per Armin, non mi sembra molto tipo da disco-pub, forse Alexy, ma non il moro, che si guarda intorno leggermente spaesato, così mi avvicino e gli metto un braccio intorno alle spalle.

 

«Vieni, ti porto a conoscere alcuni amici miei» sorrido e lo porto verso il bancone, prendendo posto.

«Ile» Viktor mi chiama sorridendo «lui è il ragazzo di ieri?» mi chiede indicando Armin.

«Sì, Viktor, lui è Armin» dico indicando il moro a Viktor, poi gli indico Alexy che si avvicina trascinando Castiel «Lui è Alexy, il gemello di Armin» sorrido mentre Alexy molla Castiel per fiondarsi al bancone, con aria sognante.

«Piacere, sono Viktor» si presenta il mio capo al turchino, che gli stringe la mano con aria sognante.

«Ile, stasera c'è anche il tonno» mi avvisa Viktor, mentre mi versa un bicchierino di vodka, ormai mi conosce molto bene.

 

Al soprannome di Dakota Phillips, detto Dake dai suoi amici, detto tonno da chi lo odia, come me, Viktor e Castiel. Lo chiamiamo tonno perché è fesso come un tonno, anche se in realtà abbiamo scoperto che lui odia il tonno, motivo in più per infastidirlo e chiamarlo così. Si è trasferito qui da suo zio Boris, l'insegnante di ginnastica del nostro liceo, almeno quattro anni e mezzo fa, durante l'estate. Entrambi hanno la pelle abbronzata, che non so se sia tipica degli australiani o dovuta al fatto che Dake fa surf e Boris jogging, praticamente sempre, al parco senza maglietta. Sono entrambi biondi dorati ma Dake ha gli occhi verdi scuro, che seguono ogni bel culo femminile gli passi davanti. E' questo che mi fa rabbrividire di lui, come guarda noi ragazze, come pezzi di manzo da mangiare, e dopo averci masticate per bene, da risputare per passare al prossimo pezzo. E' davvero disgustoso, e fa ancora più schifo vedere quante ragazze comunque gli vadano dietro. Scuoto la testa e butto giù la mia vodka. Brucia leggermente giù per la gola, ma scalda il mio stomaco.

La serata passa senza grandi chiacchiere, e intanto io butto giù due, tre, quattro, cinque bicchierini di vodka e altri bicchieri di cocktail. Da qui ricordo solo un ammasso di corpi caldi, sudati che ballano e saltano, persone che pomiciano sui divanetti rossi ai lati della pista da ballo. Le luci che lampeggiano e che mi fanno male agli occhi, poi due occhi verdi scuro che seguono ogni mia mossa, che scandagliano le mie curve. Ricordo che mi nascondo nel mezzo al gruppo formato da Castiel, Armin e Alexy. Ricordo Castiel ridere ai miei discorsi del tutto insensati, non riesco nemmeno a mettere le parole in fila. Ma la testa almeno adesso è leggera, ma ricordo bene la voce fredda e graffiante che vive nella mia testa, no lei non mi lascia nemmeno quando sono ubriaca.

 

«Potresti bere sino ad andare in coma etilico»

«Sarebbe il solo modo per farti notare dai tuoi»

«Ma poi tuo padre dirà che sei una figlia irresponsabile, che Castiel è cattivo»

«Il solo cattivo è lui. Jacques Dorian»

 

Da lì il buio, probabilmente sono svenuta, oppure ho bevuto talmente tanto da cancellarmi tutto dalla memoria.

Chiudo l'acqua della doccia e esco, sicura che ieri sera ho bevuto, ma che se fossi svenuta sarei in ospedale. Mi guardo allo specchio e noto gli occhi ancora rossi e le occhiaie. Quante maschere di trucco e di falsità dovrò indossare oggi per cancellare questa faccia così pura e vera? Decisamente troppo. Così mi asciugo e mi sbrigo a seppellirmi sotto uno strato di fondotinta e ombretto. Perché ogni volta che mi trucco è questo che faccio, mi seppellisco sotto la crema color carne del fondotinta, così che nessuno veda troppo le mie occhiaie o le guance arrossate che mi ritrovo dopo un pianto. Guardo il risultato finale e accenno un sorriso con le labbra color rosso fuoco. Poi mi sbrigo a infilarmi una maglia a maniche corte bianca con la scritta “Who the fuck is Mick Jagger?” in nero e sopra mi metto una salopette corta in jeans chiaro, con il fondo del jeans un po' sfilacciato, stile tagliato. Mi allaccio solo la spallina destra, mentre la sinistra l'allaccio, ma non sopra la mia spalla, con l'effetto del vedo non vedo della maglia sotto. Oggi mettermi i tacchi non esiste, sento ancora i piedi doloranti, e persino il polpaccio, dovevo essere messa male se ho avuto un crampo e non mi sono svegliata sentendo il dolore, così vado in camera e mi infilo dei calzini neri, poi prendo le mie converse con il tema della galassia, il cielo è di un nero blu stupendo, e ci sono delle sfumature più celesti e viola in alcune parti con dei puntini di varia misura bianchi per creare le stelle. Una volta infilate le scarpe, prendo i miei Ray Ban Wayfarer neri fuori con il dentro rosa fluo, le lenti nere e me li infilo sulla testa, a mo di passata, poi mi infilo due orecchini a cerchio con le borchie, il bracciale della sera prima a destra e mi guardo allo specchio della mia cabina armadio. Già così si capisce che non passerò la giornata in casa, e ringrazio che domani riprenderò i turni al bar, sinceramente meno sto in questa casa e meglio sarà per la mia salute mentale. Così afferro la mia enorme borsa nera riempita dalla scritta “Pisa” rosa, dove dentro tengo persino il Nintendo 3DSi e un buon libro, e mi sbrigo a uscire di camera.

 

 

Quando arrivo nell'atrio sento del vociare in cucina, così mi sbrigo a entrare in cucina e vedo Castiel seduto davanti a Misery, entrambi che fanno colazione, appena vedo che papà non c'è mi lascio cadere accanto a Castiel e appoggio la testa sulla sua spalla, con un lungo sospiro.

 

«Ehy puffetta» lui sorride e mi bacia sulla testa, prima di circondarmi le spalle con un braccio «Stavo raccontando a tua sorella di come ieri sera fossi estremamente sexy, anche se non riuscivi a mettere due parole in fila» lui ride, mentre Missy alza gli occhi al cielo, ma con un leggero sorriso sulle labbra.

«Sicuramente avevo il trucco sbavato perché ridevo come una foca davanti a un pesce, quindi ero oscena» replico io, mentre allontano i biscotti che mi ha passato Misery «Scusa, sorellina, non ho fame» le sorrido.

«Hai ancora la nausea?» chiede Castiel, osservandomi.

 

Io annuisco, ma mento, mi si è chiuso lo stomaco non appena papà mi ha guardata con un leggerlo schifo negli occhi stamattina, come se mi avesse sorpresa a fare sesso con Castiel, avrei potuto capire la rabbia o lo shock, ma non il disgusto. Papà non aveva idea di quanto mi stesse ferendo, di quando mi stesse uccidendo, pezzetto per pezzetto, presto di me non sarebbe rimasto che un guscio vuoto, consumato anche fuori. In questi casi mi risollevo solo con una cosa. Lo shopping. Non perché io abbia bisogno di altri vestiti, no, semplicemente mi convinco che quei vestiti possano riempire il vuoto che ho dentro, e anche se so che non è così, li compro uguale, anche perché provare i vestiti mi svuota la mente.

 

«Missy, ti va di andare a fare shopping oggi?» le chiedo con un sorriso sul volto.

«Oh caspiterina sì!» i suoi occhi viola adesso brillano dalla felicità.

«Bene, andremo verso le quattro, così mentre io faccio lezione, tu puoi prepararti di tutta calma» le sorrido e mi stiracchio, alzandomi da tavola.

 

Sento la sedia di Castiel stridere sul pavimento e seguirmi sulle scale, lungo il corridoio e fino a dentro la mia stanza degli hobby. Nessuno dei due parla, io mi limito a lasciarmi cadere sulla poltrona appesa e a dondolarmi dolcemente, mentre il mio migliore amico si lascia cadere sul divano. Non ho nemmeno voglia di replicare dei piedi. Sono troppo persa nelle mie tenebre per pensarci. Odio il fatto che papà abbia giudicato Castiel senza prima conoscerlo, o che pensasse che mamma mi avrebbe fatta uscire con lui se prima non avesse persino scandagliato la sua fedina penale. Ho odiato il fatto che abbia detto che non posso uscirci, ignorando il fatto che probabilmente Castiel è stato più presente di lui in tutta la mia vita. E' sempre stato la mia piccola luce nelle tenebre. Il problema è che non è abbastanza forte da ucciderle del tutto, e quando lui se ne va, loro tornano a sommergermi in un mare nero. Sospiro e mi guardo il polso sinistro, notando la forma di una mano leggermente accennata di rosso. Chiudo gli occhi mentre il ricordo mi investe.

 

 

Sono nel bagno bianco con le porte verdi del disco-pub, e sono sola, sono brilla, non totalmente lucida, ma non ancora totalmente ubriaca da non sapere come mi chiamo. Così faccio una prova allo specchio.

 

«M-Mi ch-chiamo... Com'è che mi chiamo?» ridacchio stupidamente mentre ci penso «Ah sì! Mi chiamo Il-Ilenia Dorrrrian» rido, rendendomi conto che ho messo troppe “r” nel mio cognome.

 

Dalla mia mente è appena scomparso il volto furioso di papà e le sue cattive parole. Che vada affanculo.

 

«Sìììì... Afffanculo» rido e mi tengo al lavandino.

 

Sento la porta del bagno aprirsi e chiudersi, poi avverto una presenza alle mie spalle afferrarmi il polso e lasciarmi una scia di baci bavosi lungo il collo, l'odore del tabacco mi investe le narici. Io urlo e ho un altro momento di buio.

 

 

Scuoto la testa, probabilmente ho rimosso i ricordi traumatizzanti della serata e guardo verso Castiel, dubbiosa. Poi scuoto la testa, è impossibile che sia stato lui, non oserebbe tanto. Spero. Lo vedo alzarsi e accedere la 360, poi mi passa un telecomando e sorride.

 

«Scarica la tensione spaccando dei culi flaccidi di zombie» mi conosce troppo bene questo ragazzo. Così sorrido e accetto l'offerta.

 

Passiamo la mattinata a finire la campagna di Leon e iniziamo quella di Chris. Io non penso più alla terribile giornata di ieri, ma sembra impossibile che io abbia tanto desiderato il ritorno di papà, e ora desidero tanto che torni a Seattle, senza più tornare qua. Non mi sento in colpa per questi pensieri, e non capisco il perché, si può arrivare a non sopportare così tanto il proprio padre? Guardo Castiel, anche se lui ora vive da solo, non odia i suoi, anche se si vedono poco per colpa del loro lavoro, sua madre Valerie, una donna sui quarantadue anni, con dei lunghi capelli castani, con la piega mossa, e le punte rosse come i capelli del figlio. Due enormi occhi castani tendenti al rosso. E' leggermente in carne ed è più bassa di poco di Castiel. La pelle è leggermente abbronzata, perfetta per un hostess. Mentre suo padre, Joan Louis, è la fotocopia invecchiata di Castiel. I capelli sono corti e neri, gli occhi grigi e contornati da piccole rughe. Lui invece è un pilota, è uomo taciturno, molto spesso il poverino viene sottomesso da Valerie. Per questo sono raramente a casa. In tutti gli anni di amicizia con Castiel li ho visti sì e no dieci volte. Sua madre stravede per Castiel, e ha il solito temperamento fumino, infatti a una giornata a porte aperte al liceo ha litigato con i genitori di Nathaniel, perché davano dello scapestrato a suo figlio e della poco intelligente a me per essergli amica nonostante fossi la ragazza di loro figlio. Penso che loro mi adorassero per il mio bel patrimonio, non come Valerie o Joan Louis, che mi adorano per il mio essere perennemente fuori controllo e solare. Quando ero a casa di Nathaniel non ero mai me stessa. Ero una Ilenia rigida, sempre sotto pressione, controllata e moderata. Mentre con Castiel e i suoi genitori ero, e sono, me stessa, o meglio, il costume di me felice e solare, mentre la vera me ribollie al di sotto di esso.

Quando è ora di pranzo mamma ci viene a chiamare.

 

«Ile? Ci sono i miei genitori, restano a pranzo» mi dice mamma guardandomi.

«Non scendo per pranzo, grazie mamma» dico senza staccare gli occhi dalla TV «E quando viene il professore, mandalo qua, e alle quattro esco con Misery» le dico, autoritaria.

 

Mamma non replica e esce chiudendo la porta. Sparo in testa a un J'avo e immagino la testa di Claudine al posto di quella del mostro. Non ho di certo voglia di sopportarmi anche i miei nonni materni dopo questa mattinata infernale e la giornata di ieri praticamente da dimenticare. Penso solo alla povera Misery che dovrà sopportarsi i nonni, ma forse l'ameranno, dato che è come la mamma. Non vedo l'ora che siano le quattro per andare a fare shopping con la mia sorellina, ma nell'attesa, continuo a uccidere gli zombie, e vanno giù come birilli, proprio come la mia vita.

 

 

-<>-*-<>-

 

 

La mite brezza entrava nella stanza portando con se la luce che rischiariva l’intero ambiente.

 

I need a hero to save my life
I need a hero just in time
Save me just in time
Save me just in time”

 

Risuona lo stereo mentre io canticchio quella canzone che amo alla follia.

 

Who's gonna fight for what's right
Who's gonna help us survive
We're in the fight of our lives
(And we're not ready to die)”

 

Continua la canzone, che io continuo a canticchiare, mentre immersa nei miei pensieri mi soffermo a contemplare la matita da disegno perfettamente appuntita che rapida volteggia sul mio prezioso album da disegno lasciando una lieve traccia delle mie idee che già compongono la mia linea di moda personale nella mia testa.

 

«Misery il pranzo è pronto, potresti raggiungerci il sala da pranzo?» Chiede mamma bussando con le nocche della mano destra sulla porta della mansarda lasciata aperta.

 

Io alzo lo sguardo da dietro i miei raffinati occhiali da vista, che indosso solo per cucire e per disegnare in modo a dir poco perfetto, in stille anni cinquanta con l’allungata montatura nera tempestata di minuscoli e preziosissimi diamantini sulla parte più esterna, prendo il mio orologio da taschino per controllare l’ora e apro il quadrante notando che sono le 12:45.

 

«Spengo lo stereo e vi raggiungo madre.» Dico alzandomi in piedi e sistemando la scrivania in modo che tutto torni in perfetto ordine.

«Oggi ci sono i miei genitori a pranzo, ti aspettiamo giù Misery.» Dice lei voltandosi e scendendo le scale.

 

Se ne va via così, nessun nomignolo affettuoso, nessun tesoro, nessun piccina, nessun vezzeggiativo che usa sempre quando parla con Ilenia inoltre i sorrisi dolci nei miei confronti si sono fermati al mio arrivo, mentre ora il rapporto è diventato freddo e molto più formale di quanto sognassi. Tutto sommato però non gliene faccio alcuna colpa, non mi importa perché lo ritengo normale vista la lunga lontananza e sono certa che col tempo le cose si sistemeranno permettendomi di avere un rapporto affettivo vero con la mia vera madre, o almeno lo spero. Sistemo la sedia accuratamente sotto la scrivania e mi dirigo allo stereo spegnendo a malincuore le stupende note di Hero che pervadono l’intera stanza. Mi dirigo alla scala a chiocciola in ferro battuto nero che porta direttamente alla mia stanza. Mi specchio controllando il mio look sulla porta della mia mia cabina armadio. Quella mattina avevo indossato un abito corto di color viola con le maniche lunghe e le spalle scoperte, la scollatura del vestito era lineare e il vestito stretto fino al punto vita per poi terminare con una gonna morbida che scivolava elegantemente sui miei fianchi terminando dolcemente poco più su dell’altezza delle mie ginocchia, il look è ricco di accessori che io da sempre amo. Indosso un gilè in ecopelle nero corto che termina poco più in basso del seno accentuandolo, ho delle parigine nere con dei sobri reggicalze in raffinato pizzo nero, indosso un paio di orecchini pendenti che terminano con una goccia d’ametista il cui viola è largamente accentuato dall’argento della struttura di questi ultimi, la stessa goccia è riportata sul ciondolo che, grazie alla catenina in argento, pende sulla mio collo. Oltre a questi indosso tre raffinati bracciali in argento sul polso destro e un anello, anch’esso nel medesimo materiale, col simbolo dello Ying e Yang sul dito medio della mano sinistra. L’intero look è perfetto se non fosse per le mie amate ciabatte pelose che hanno lo stesso effetto di un pugno sullo stomaco. Così le tolgo riponendole alla destra del letto ed entro nella cabina armadio cercando il paio di scarpe più adatto, apro i mobiletti ed esploro le scarpe riordinate per colore e per tipologia, prendo un paio di stivaletti con tacco alto ed il platò davanti di colore viola. Papà continua a non apprezzare questo genere di scarpe, ha paura che possa ferirmi ad una caviglia o peggio, ma ogni volta che indosso scarpe simili io mi sento in paradiso. Rispetto papà e le sue opinioni, ma che cavolo ho diciotto anni e almeno sul mio look pretendo di poter scegliere da me. Le indosso e mi sento un'altra, mi sento fiera di me stessa, mi sento forte, mi sento in grado di fare qualsiasi cosa, perfino tenere testa alle pressanti preoccupazioni di papà. Mi controllo un ultima volta allo specchio, il trucco è semplice e identico a quello del giorno precedente, concludo controllando i capelli che la mattina avevo lisciato dopo la doccia e sui quali spiccava un lago cerchiello a fascia dello stesso viola dell’abito che indosso. Mi sorrido e poi esco dalla mia stanza con passo leggiadro mentre i miei stivaletti eleganti fanno il tipico ticchettio che tanto amo nelle scarpe col tacco. Non so perché, ma quel rumore mi ha sempre dato tranquillità in più quel suono accentua il mio portamento.

 

Scendo le scale mentre ripenso alla mattinata trascorsa, penso a Ilenia che ci chiude la porta in faccia, a papà che cerco in qualche modo di calmare e a cui dico di non essere tanto rigido e di darle tempo, sono stati distanti così a lungo che lui non può pretendere di poterle stravolgere la vita, penso a quel ragazzo il cui sguardo mi gela il sangue nelle vene, mi guarda come se volesse qualcosa da me, qualcosa che non gli voglio dare e che non gli darò mai, ripenso a come ero vestita quando Ilenia me l’ha praticamente lanciato addosso facendolo uscire dalla sua camera, allo sguardo di lui rivolto alla mia sottoveste semi traspare, a quel suo inquietante sguardo e a quel suo irritante sorriso, ripenso allo schiaffo che gli ho tirato prima di entrare nella mia stanza ed indossare una vestaglia nera, poi ripenso alla colazione dove lui ha parlato della sera precedente ed infine penso a quel sorriso spontaneo e sincero che solo lui sa far spuntare sul volto di Ilenia. Per ora quel tipo proprio non lo sopporto, mi fa saltare i nervi il che è difficile, ma se permette ad Ilenia di essere felice allora dovrò cominciare ad evitare di giudicarlo a priori, come dico sempre a papà mai giudicare un libro dalla copertina.

 

 

Giungo nell'ampio ingresso e noto due distinti signori parlare con mamma, evidentemente quelli devono essere i nonni o almeno credo, non mi ricordo molto di loro, anzi sinceramente non ricordo proprio nulla sui miei nonni materni, papà cambiava sempre argomento quando chiedevo di loro. Li osservo attentamente studiandoli in silenzio da lontano. La donna avrà all’incirca settantotto anni, hai i capelli grigi raccolti in una perfettamente ordinata crocchia, i suoi occhi sono piccoli con uno sguardo freddo e severo che sembra spegnere lievemente il naturale bagliore di quelle due iridi violacee, le labbra sono sottili ed accentuate da un rossetto color rosso fuoco, possiede una pelle olivastra solcata dalle piccole rughe dovute all’età, indossa un raffinato tajer vecchio stile di colore blu oltremare con cuciture, rifiniture e bottoni di color bianco candido come l’elegante camicia che indossava in abbinamento. L’uomo invece avrà circa ottant’anni, i suoi lineamenti sono freddi e duri, oserei quasi dire nordici se non fosse per quella chioma color grigio scuro, chiaro segnale che possedeva una capigliatura corvina in giovane età, i suoi occhi sono come due freddi pezzi di ghiaccio che sembrano quasi inanimati, per finire indossa uno completo da uomo di color nero con eleganti scarpe in vernice dello stesso colore, camicia bianca e cravatta blu oltremare annodata da un perfetto nodo windsor, sorrido ripensando a tutte le volte che papà è uscito senza cravatta quand’ero piccola e le lotte che ho fatto col collo del manichino per imparare a fare quel nodo per poi sistemargli la cravatta ogni volta in cui doveva uscire per qualche incontro importante a lavoro, ha sempre detto che il mio nodo perfetto gli è valso svariate vittorie in affari molto importanti per lui.

Scendo gli ultimi scalini e gli occhi vitrei del nonno sono i primi a notare la mia presenza.

 

«Buongiorno signori.» Dico facendo un lieve inchino nei confronti dei due anziani.

«Buongiorno a te cara Misery. Finalmente sei tornata.» Dice la donna abbozzando un sorriso su quel volto severo. «Ti ricordi di noi? Siamo i nonni Claudine e Pierre.» Conclude indicando l’uomo affianco a lei che mi saluta con un cenno del capo.

«Certo nonna, mi ricordo di voi.» Mento, ma a fin di bene. «Sono veramente felice di potervi rivedere.» Concludo sorridendo loro.

 

In realtà l’unica cosa che so di loro è che sono i miei nonni, quando apparivano i loro volti sull’album fotografico papà diceva solo che erano i miei nonni materni e nient’altro, non sembrava avere alta stima di loro e non ne ho mai capito il motivo.

 

«Oddio è tardissimo.» Urla papà scendendo le scale di corsa con due cravatte in mano ed illuminandosi non appena mi vede. «Piccola mia fortunatamente sei qui, quale metto?» Chiede sventolando due cravatte di fronte al mio naso.

 

Io le osservo per un secondo, sono una grigio chiaro ed una blu, lui indossa un completo grigio chiaro con una camicia nera e sembra essere ad un punto di crisi. Io gli sorrido, capendo che non si fermerà a pranzo e allungo la mano per prendere la cravatta grigia e annodandogliela con un nodo windsor.

 

«Ecco fatto papà, buona fortuna.» Dico prendendo l’altra cravatta e dandogli un ben augurante bacio sulla guancia.

«Grazie mille piccina mia, come sempre mi salvi la vita.» Dice arruffandomi affettuosamente il ciuffo che io mi sbrigo a riportare in perfetto ordine, odio i capelli in disordine, odio il disordine in generale. «Scusami amore mio.» Dice poi dando un bacio alla mamma. «Pierre, Claudine. Buona giornata.» Conclude salutandoli con un gesto del capo prima di uscire e raggiungere l’autista che lo avrebbe portato al suo pranzo aziendale.

«Venite il pranzo è pronto.» Aggiunge mamma sorridendo ai presenti.

«Perdonatemi, vado a sistemare questa cravatta e vi raggiungo.» Dico facendo nuovamente un inchino nei loro confronti per poi salire le scale diretta in camera di papà anche se sento distintamente Claudine sussurrare a mamma.

«Questa ragazza ha un educazione ed un portamento impeccabile nonostante abbia passato così tanto tempo con quell’essere ignobile. Lei è un orgoglio per la nostra famiglia.» Sussurra la nonna soddisfatta ed altezzosa.

 

Porto la cravatta al suo posto e poi li raggiungo in sala da pranzo. Il pranzo passa serenamente, io chiacchiero coi nonni delle mie passioni per la moda, per il disegno, per la lettura e per la scrittura. Parliamo dei miei autori preferiti, tra cui ci sono letterati inglesi, francesi ed italiani. Mi fanno miliardi di domande e di complimenti, mi parlano del più e del meno e sembrano apprezzare pienamente tutto ciò che dico o faccio. Forse sarà strano da dire, ma credo che loro siano i primi componenti della famiglia che, dopo Ilenia, apprezzano e valorizzano il mio ritorno. A proposito di Ilenia chi sa perché non è scesa a mangiare con tutti noi? Spero non se la sia presa con me visto che ho deciso di ultimare di ordinare il mio laboratorio invece che stare con lei ed quel suo bizzarro amico questa mattina.

 

«Mi scuso enormemente con voi, ma ho delle faccende da ultimare e non posso continuare a rimandarle. Sono felice di avervi rivisto nonni. Vi voglio bene.» Dico alzandomi da tavola e cominciando a raccogliere i piatti.

«Tranquilla Misery, oggi le pulisco io le stoviglie. Vai pure ad ultimare ciò che stavi facendo questa mattina.» Aggiunge mamma togliendomi i piatti di mano.

«Ne è sicura madre? Li lavo tranquillamente, non ho problemi.» Dico sorridendole.

«Sì Misery, vai pure.» Dice lei abbozzando un sorriso.

«Che ragazza educata ed altruista. Nipotina mia sei stupenda.» Conclude nonna elogiandomi eccessivamente a mio parere.

 

 

Quando arrivo in mansarda controllo l’ora sul mio orologio da taschino tornando a sedermi alla scrivania e noto che sono le 13:55, prendo la mia agenda viola con cuciture nere e, aprendola sul giorno di oggi, controllo i programmi per il resto della giornata, ho scritto solo due appuntamenti, lo shopping con Ilenia alle 16:00 e la cena alle 20:00. Io segno qualsiasi cosa mi capiti sulla mia agenda perché non posso vivere senza organizzare ogni singola mia azione e tutto ciò che faccio ha un ordine a dir poco perfetto. Passo un'altra mezz’ora a disegnare modelli poi ripongo matita ed occhiali al proprio posto scendendo in camera con il mio fidato blocco al seguito e mi dirigo nella mia cabina armadio per cambiarmi. Mi spoglio restando con addosso soltanto il completino intimo in pizzo nero, mi guardo attorno prendendo un paio di jeans neri a vita bassa con ricami bianchi, i tipici ricami che si ritrovano spesso sulle giacche dell'epoca vittoriana, sulla parte alta anteriore della gamba. Son indecisa su cos'altro mettermi, ma se uscissi di casa così sicuramente a papà verrebbe un colpo. Sorrido all'idea e poi comincio a guardate ad uno ad uno tutti i miei top, li osservo tutti però ogni possibile abbinamento mi passa per la testa con scarsa convinzione fino a quando non mi soffermo su un corsetto comprato un paio di mesi fa, lo osservo attentamente prima di indossarlo e di mettermi di fronte allo specchio per stringere ed annodare il laccetto nero sul retro. Mi guardo allo specchio e osservo il look ottenuto. Il corpetto è di colore viola e, in quanto tale, senza spalline. Le mie candide spalle sono nude e scheletriche, su di esse intravedo solo le due finissime spalline del mio reggiseno nero, per il resto noto il mio corpo con le braccia troppo magre per una ragazza di quell’età. Sospiro e torno a fissare il corpetto che ha una rusche verticale in stile vittoriano, più stretta al cento e man mano sempre più larga, sulla parte anteriore, essa è fermata sul corpetto da una fascia di pizzo nero lavorato con ricami bianchi posta orizzontalmente sopra di esso con un medaglione argenteo al centro per fermare il tutto. Il look ottenuto mi piace, ma è ancora incompleto dato che non nasconde le mie odiate braccia, cosi vado nella zona della cabina armadio in cui tengo tutte le giacche. Ne prendo una di quelle nere, è in denim, ma molto elegante, è corta mezzo busto con le maniche lunghe e il colletto bordato di bianco, non era la prima volta che indossavo quella giacca unita a qui particolari jeans, così avevo deciso di riprodurre lo stesso articolato ricamo bianco del pantalone sull'intera manica sinistra di quella giacca, quel ricamo mi era costato due mesi di lavoro, ma ne era valsa la pena. Mi siedo di fronte alla specchiera da trucco e tolgo la fascia dai capelli spazzolandomeli nuovamente soffermandomi a notare la lunghezza delle punte mentre penso a quanto siano corti rispetto a quelli di mia sorella.

 

«Lei ha dei capelli così luminosi e così sani, i suoi capelli sono splendidi mentre i tuoi sono così spenti, sono molto più corti di quanto sognavi. Tu da piccola eri quella che giocava a vestirsi con gli abiti di mamma e ad essere la modella coi lunghi capelli fluttuanti al vento. Tu vorresti i suoi capelli, tu vorresti essere lei, ma tu non sei lei.»

 

Sbatto le ciglia una decina di volte, ogni volta che quella vocina nella mia testa mi dice qualcosa io per tornare alla realtà mi affido a questo mio apparentemente insensato tic, sospiro e controllo che tutto sia ancora in ordine sul mio viso. Ripasso il rossetto che si è scolorito e poi sistemo i trucchi al loro posto, gli occhi sono ancora perfetti come quando gli ho truccati quella mattina quindi decido di non toccarli, tengo addosso gli stessi gioielli e mi rimetto gli stivaletti indossati in precedenza. Apro uno dei cassetti della specchiera di fronte a me e ne estraggo un cerchiello finissimo di colore viola con apposta sul lato destro una gigantesca rosa del medesimo colore dalla quale scendevano degli eleganti filamenti di colore bianco e nero, lo indosso e mi specchio notando il risultato finale. Rimettendo tutto ciò che avevo usato nel posto in cui gli competeva per far tornare tutto in perfetto ordine, tutto deve assolutamente essere in ordine.

 

«Sistemare ciò che ti circonda non sistemerà la confusione all’interno dei tuoi pensieri.»

 

Ancora quella voce e ancora quel tic, scuoto la testa per poi controllare l’ora sul mio fidato orologio. Sono le 15:45, in fondo non ci ho messo molto. Mi alzo prendendo la mia shopper di colore viola con all’interno ben custodito il mio fidato blocco da disegno ricolmo di modelli, il mio cellulare che non uso mai, la mia agenda, una penna ed il portafoglio, mi aggancio la catenina dell’orologio da taschino ai passanti per la cintura dei jeans e ripongo in tasca l’orologio. Esco dalla cabina armadio e, portando gli abiti sporchi a lavare nel bagno del primo piano, mi dirigo nell’atrio ad aspettare l’arrivo di Ilenia.

 

«Misery, posso parlarti un attimo?» Dice la voce di mia madre raggiungendomi dalla cucina.

«Certo madre, dimmi.» Dico sorridendole.

«Mi dispiace per non averti difeso ieri sera è che sono abituata ad Ilenia che si sa difendere da sola ed ecco… insomma io…» Aggiunge lei distruggendosi nervosamente le dita, so cosa significa quel gesto, io lo faccio sempre quando sono nervosa, in imbarazzo oppure dispiaciuta.

«Mamma non importa, non me la sono presa.» Dico abbracciandola, la sua reazione è un po’ tardiva forse, ma almeno questo mi dimostra che forse in fondo tiene anche a me.

«Scusami.» Conclude lei a capo chino.

«Tranquilla.» Dico sorridendole.

«Missy dai andiamo.» Aggiunge Ilenia correndo giù dalle scale.

«Arrivo. Ciao mamma.» Dico seguendola e salutando mia madre.

«Ciao piccole mie, buon divertimento.» Conclude mamma chiudendo la porta.

 

Mi infilo i miei occhiali da sole firmati Gucci, con lenti grandi e tondeggianti di un nero sfumato che tende quasi al violaceo e montatura nera sottile ed elegante, mentre camminiamo per fino ad arrivare alla tettoia sotto la quale è parcheggiata una stupenda BMW X6 nera metallizzata di ultima generazione con interni in pelle di colore nero e cuciture rosa. Ilenia tira fuori dalla sua borsa un mazzo di chiavi con un gigantesco portachiavi raffigurante il fiocco di mini e apre lo sportello di guida con la tipica chiave recante il logo della BMW.

 

«Avanti sali.» Mi dice aprendo lo sportello.

 

Io mi accomodo sul posto del passeggero affianco a quello del guidatore e la osservo mettere in moto quel bolide e avviarsi verso la nostra destinazione.

 

«Allora che ne dici?» Mi chiede senza togliere lo sguardo dalla strada.

«Wow, la tua macchina è pazzesca.» Commento guardandomi attorno estasiata.

«Papà non te l’ha mica comprata un auto?» Chiede lei mentre un sorriso compiaciuto appare sul suo volto dopo il mio commento.

«Hem… No. In realtà io della patente ho fatto solo la teoria e anche se l’ho passata con zero errori lui non mi ha mai fatto prendere la pratica.» Cerco di nasconderlo, ma il mio tono è evidentemente seccato e deluso da questo fatto.

«Ma che problemi ha quel tipo?» Aggiunge lei inarcando un sopracciglio e stringendo la presa sul volante restando con lo sguardo fisso sulla strada.

«Sicuramente l’ha fatto solo per paura che potessi farmi del male. Poco importa prenderò di nuovo la teoria qui e poi mi farò anche la pratica.» Aggiungo sorridendole, pur non riuscendo a nascondere una lieve invidia nei suoi confronti.

 

 

Il resto del viaggio lo passiamo in silenzio e dopo una decina di minuti di strada Ilenia entra in un gigantesco parcheggio dove lascia la sua macchina chiudendola a chiave e avviandosi verso il gigantesco centro commerciale di fronte a noi. Io prendo la mia agenda e la penna, controllo l’orologio e poi scrivo con la mia elegante grafia.

 

*Ore 16:10 Arrivo al parcheggio del Centro Commerciale Manù, parcheggio A7, posto macchina 17.*

 

Dopo aver scritto ciò seguo mia sorella all’interno di quell’enorme centro commerciale guardandomi attorno estasiata dalle vetrine.

Il centro commerciale ha i colori prevalenti del bianco, del nero e dell’azzurro spezzati ogni tanto da qualche albero che da atmosfera aggiungendo un po’ di verde qua e là. Il centro commerciale è enorme con al suo interno tre piani distinti. Sul primo si trovavano i negozi di alimentari, le salumerie, le panetterie, le gelaterie e un paio di ristoranti. Sul secondo piano invece troviamo tre bar e svariati negozi di elettronica, di libri, di musica e di strumenti. Per finire il terzo piano ha la presenza di altri due bar affiancati a centinaia di negozi di vestiti, gioiellerie, di scarpe, di accessori e pelletterie. Chiacchierando del più e del meno ci avviamo verso le scale mobili, io l’accompagno in un negozio di videogiochi dove la vedo ispezionare accuratamente tutti i titoli di quei… insomma di qui cosi. Sinceramente non capisco come sia lei, sia il mio caro Armin possano adorarli? Io non ci capisco proprio nulla di queste cose e mi sente lievemente persa qui dentro, guardo Ilenia che parla una lingua strana con il commesso, sento parole di cui conosco il significato, ma di cui non capisco il contesto, mi gira la testa in questo negozio. Uscite da lì passiamo di fronte ad una libreria e io entro iniziando a cercare ovunque un nuovo libro da leggere, ma i titoli che mi piacciono li ho tutti già a casa, usciamo da quel negozio ed entriamo in un edicola dove acquisto dei magazine di moda continuando a seguire Ilenia in giro per negozi.

 

«Vieni, devi assolutamente conoscere delle persone. C’è un negozio in cui dobbiamo assolutamente andare.» Dice lei prendendomi il polso e affrettandosi a condurmi al terzo piano.

 

Corre come la luce di fronte a centinai di stupendi negozi di vestiti facendomi sognare le loro vetrine fino a quando non arriva di fronte ad un negozio d’abiti particolare. La vetrina è contornata da scritte e decori violacei e all’interno si intravedono centinai di stupendi vestiti avvolti sui pregiati manichini oppure appesi alle relle o piegati sugli scaffali bianchi di quel negozio dalle pareti di quell’incantevole lilla. Entriamo ed io mi soffermo ad osservare la fattura di quei magnifici abiti così finemente lavorati tutti unici, ma tutti ugualmente sensazionali.

 

«Rosa? Leigh? C’è nessuno?» Chiede Ilenia appoggiandosi al bancone.

 

Io sono estasiata da tutto ciò che mi circonda, seta, cotone egiziano, pizzo, tulle, satin e tantissimi altri tessuti erano resi a dir poco stupendi da una mano fine ed elegante. In questo luogo io mi sento a casa, posso immergermi nella vera me stessa e parlare finalmente di complicato stile in questo luogo così colmo di meraviglia.

Mentre io giro senza meta all’interno del negozio una ragazza dai lunghi capelli bianchi si avvicina a mia sorella e le sorride, io non bado molto a lei visto che sono intenta a girovagare in quello che sembra a tutti gli effetti essere il mio modo. In quel luogo mi sento come una sirena che nuota libera nei suoi oceani.

 

«Posso aiutarla in qualche modo?» Dice una voce maschile alle mie spalle.

 

Io mi volto e vedo un ragazzo alto con dei capelli corti neri tagliati in modo irregolare, un viso dolce anche se lievemente squadrato e due occhi neri fissarmi. Lo osservo un attimo prima di rispondere alla sua domanda e noto che indossa dei particolari abiti scuri in stile vittoriano, abiti che solitamente i ragazzi della mia età non portano, o almeno Alexy mi aveva detto che cose simili non le avrebbe mai più messe nessuno. Alla faccia tua Al, c’è ancora chi indossa questo stile, avevo ragione io. Penso mentre sul mio volto appare un enorme sorriso di soddisfazione.

 

«Ha notato qualcosa che le interessa?» Mi chiede a quel punto il ragazzo notando che non gli do risposta.

«Non ho bisogno di nulla, la ringrazio. Stavo solo notando la vastità dei tessuti trattati nella creazione degli abiti di questo negozio e la rifinitura quasi millimetrica dei capi esposti. Per esempio il punto royalty utilizzato in queste rifiniture è molto accurato e al giorno d’oggi è difficile trovare chi sa ancora riproporlo con tale maestria.» Rispondo cortesemente al ragazzo, solo in un negozio di vestiti potevo dire una frase così lunga ad un ragazzo senza bloccarmi, balbettare o arrossire.

«Non è da tutti distinguere le diverse qualità dei tessuti e i diversi stili di cucitura, lei si intende di moda a quanto sento.» Dice lui abbozzando un sorriso.

«Puoi dirlo forte Leigh.” Aggiunge Ilenia avvicinandosi a noi a braccetto della ragazza di poco prima che mi corre incontro abbracciandomi.

 

Io resto un po’ di sasso di questa sua reazione e non capisco il motivo di tutto ciò, ma vedendo che non mi lascia ricambio timidamente quell’abbraccio dicendo.

 

«Hem… Scusami ci conosciamo?» Dico osservando la ragazza che si stacca finalmente da me.

 

Prima di ascoltare la sua risposta però mi soffermo un attimo ad osservarla. Hai dei lunghissimi capelli lisci di un colore bianco che tendono quasi all’argento data la loro lucentezza, i suoi occhi sono perfettamente truccati con un velo di nero che accentua il suo sguardo dorato che brilla come quando ad un bambino si regala una caramella, ora ho paura che di essere io la caramella in questo caso, speriamo non mi mangi. Continuo ad osservarla e noto che indossa degli stupendi stivali neri col tacco che le coprono l’intera gamba fasciandola fino al ginocchio, gli stivali hanno rifiniture dorate e laccetti neri, sopra di essi indossa un abito bianco corto con orlo ondulato e le maniche che coprivano tre quarti della lunghezza del braccio, queste sono fermate da un polsino in stile con quelli di una camicia di colore viola fermati da un piccolo bottoncino dorato, sopra questo vestitino bianco indossa una giacca corta ed elegante con due eleganti e lunghissime code sulla parte posteriore, è di colore nero con bottoni e rifiniture dorate, a concludere il suo look indossa una cravatta sottile dello stesso viola dei risvolti della camicia fermata da un nodo semplice. Continuo ad osservarla e mi chiedo come mai i suoi occhi brillino alla mia vista, non credo di averla mai vista prima e quella sua gioia che sprizza da tutti i pori sembra quasi inumana, questa ragazza fa quasi paura.

 

«In realtà non ci conosciamo, ma a me sembra quasi di conoscerti. Con tutte le volte che Ilenia mi ha parlato di te sento quasi di conoscerti da sempre. Comunque mi presento, mi chiamo Rosalya Levorston e sono la migliore amica di Ilenia.» Aggiunge spostandosi una ciocca dei lunghi capelli dietro l’orecchio.

«Il piacere è mio, credo, sono Misery Dorian, la sorella di Ilenia.» Affermo osservando la ragazza che continua a sorridere. Non so perché, ma ho come l’impressione che lei e Alexy potrebbero diventare amici per la pelle, credo se lui fosse una ragazza sarebbe esattamente così, ma ovviamente con occhi e capelli differenti.

«Ilenia è lei la ragazza di cui ci hai parlato tanto?» Chiede il ragazzo a mia sorella con un espressione lievemente sconvolta. «Per me è un immenso piacere fare la sua conoscenza signorina Dorian, io sono Leigh Ainsworth stilista e proprietario di questo negozio, sua sorella ci aveva parlato delle sue doti, ma fino a che non l’ho sentita parlare non riuscivo quasi a crederci.» Dice facendo un lieve inchino nella mia direzione.

«Allora queste sono tutte tue creazioni? Il piacere di conoscerti è tutto mio in tal caso. Il tuo lavoro è a dir poco sublime.» Aggiungo osservandomi attorno estasiata.

 

Chiacchieriamo per una mezzora ancora e Ilenia mostra loro delle mie foto dove indosso le mie creazione. Si può sapere quando mai me le ha scattate poi ste foto? Comunque sia, torniamo a noi. Il tempo vola mentre noi restiamo lì a parlare del più e del meno. Tra i tanti discorsi Leigh si fa sfuggire che sono a corto di personale e, sotto le intimidazioni di Rosa ed Ile, aggiunge che se mi interessa il posto è mio. Ci penserò, ma ammetto che la proposta non mi dispiace affatto, questo posto è a dir poco stupendo e poi sembra che io non abbia scelta data l’insistenza di queste due dolcissime psicopatiche.

 

 

Torniamo al parcheggio quando ormai è l’ora di chiusura, il parcheggio è ormai vuoto così troviamo l’auto con semplicità e partiamo con direzione casa. La strada è libera e il tragitto sembra quasi essere più corto di quello percorso durante l’andata, arriviamo a casa e io controllo il mio fidato orologio da taschino.

 

 

Sono le 19:30, entriamo in casa e andiamo a poggiare le borse con all’interno gli acquisti di quel pomeriggio. Io non ho comprato molto, soltanto un paio di stoffe di colori scuri, alcuni magazine di moda e un nuovo paio di forbici da cucito, sistemo il tutto e poi raggiungo Ilenia e i nostri genitori in sala da pranzo dove ceniamo immersi in quell’atmosfera elettrica dovuta ai continui litigi tra papà e Ilenia. Spero la cosa non continui ancora a lungo o le cose potrebbero diventare molto presto insostenibili. Dopo cena Ilenia mi invita a vedere un film con lei nella sua sala hobby e senza rendercene conto ci siamo addormentate sul suo divano con la testa l’una sulla spalla dell’altra curiose di quali nuove avventure ci avrebbe riservato il nostro futuro.



Angoletto delle autrici: 

Salve! Dopo... Tre mesi... Rieccoci! SCUSATECI TANTO! Davvero >.<
Dunque, questo capitolo è frutto di mesi di duro lavoro! Bugia ahaha in realtà Misery doveva studiare per la maturirà :3

Però ehy, eccovelo qua :3 in ritardo ma sempre di venerdì u.u
Dunque non abbiamo nulla da dire ahaha quindi bon ci leggiamo il prossimo venerdì :3 *passarono altri 3 mesi*
Scherziamo!
Ah il primo vestito indossato da Misery è una creazione della scrittrice :3 è made in Misery007 :3 Baci e abbracci e un biscotto u.u/
IleWriters Misery007


 

Pubblicato il: 3 luglio 2015

  
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