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Autore: kotiropotato    04/07/2015    2 recensioni
E' una fredda mattina autunnale quando il diciassettenne Andrea Perugini viene trovato morto.
La polizia non sembra in grado di risolvere il caso e la sorella della vittima, Chiara, decide di rivolgersi ad un detective per scoprire chi abbia commesso l'omicidio e perchè.
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Storia classificata seconda al concorso letteriario "Giallo in classe".
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SANGUE SUL PIANOFORTE
 
La pioggia picchiettava sulla finestra di casa quando rientrai. Andai subito in camera di Andrea: era tutto come lo aveva lasciato quella sera quando era uscito per andare a lezione da Michela e ovviamente non c'era alcun indizio in quella scatola ormai vuota. Mi guardai intorno ancora e ancora, aprii l'armadio e controllai di nuovo: niente. Vuoto. 
Sorrisi istintivamente quando sentii il suo profumo: da quando avevano ritrovato il suo corpo nel laghetto del parco vicino a scuola non l'avevo più sentito e mi mancava... sempre. Non ero abituata a stare senza di lui da quando era nato.
Le indagini andavano molto male: la polizia non aveva trovato nessun indizio in quel maledetto parco e il caso sembrava destinato a finire nel dimenticatoio come tanti altri. Niente indizi, niente sospetti, nessun indagato. 
Tornai in salotto dove i miei genitori mi aspettavano per avere notizie riguardo a lui: mi sentii impotente di fronte ai loro occhi lucidi e al rumore delle speranze che andavano in frantumi nel silenzio. Non mi piaceva deluderli: mi avevano sempre aiutata tanto. Ripensai a tutti i bei momenti passati con loro e Andrea, ma questo mi fece stare ancora peggio. Nulla addolora maggiormente che ripensare ai momenti di gioia quando si è nel dolore... Non riuscivo ancora a capacitarmi di aver perso un fratello. Mi mancava lui, il suo sorriso, le notti passate sul divano a confidarci problemi e dubbi; mi sembrava impossibile che non ci sarebbe più stato niente di tutto questo. Ma Andrea era morto e niente l'avrebbe riportato in vita.
D'altra parte non riuscivo a starmene con le mani in mano ad aspettare che la polizia fallisse e il delitto fosse dimenticato; dovevo fare qualcosa. Senza riuscire a guardare un'altra volta in faccia i miei genitori, uscii sbattendomi la porta alle spalle, diretta verso lo studio del detective Marelli. 
Lo studio era buio e sbiadito. La tappezzeria era impregnata di anni e anni di fumo di quei grossi sigari americani di cui il portacenere era zeppo. Il detective era un uomo alto, sulla sessantina, con una prominente calvizie e un canino molto più lungo del normale. Il compenso dei molti anni trascorsi seduto nello studio era una pancia protusa.
Entrai nonostante il nodo che mi stringeva lo stomaco e la nausea sempre più accentuata. Lo stavo facendo per Andrea e questo mi rendeva forte, il suo ricordo guidava le mie azioni. 
Il Sig. Marelli mi chiese dettagli sul caso e io gli dissi tutto ciò di cui ci aveva informato la polizia durante le indagini: era poco, quasi niente per l'esattezza, ma si dovette accontentare. Gli lasciai anche il mio numero di telefono e mi congedò, assicurandomi che avrebbe fatto il possibile per trovare il colpevole. 
Quella sera, dopo aver parlato con il detective, andai a cena da Michela. Fu una cena silenziosa e senza tante cerimonie, come non era mai successo.
Michela Moreschi non era solo l'insegnante di pianoforte di mio fratello e io lo sapevo benissimo. Mentre uscivo da casa sua ripensai alle parole che Andrea mi aveva detto riguardo a lei e al loro rapporto: lui la amava più di quanto avesse mai amato prima, nonostante i nove anni di differenza. A ripensarci, nel comportamento di Michela c'era qualcosa di diverso: sembrava assente, come se qualcosa si stesse prendendo un pezzo dopo l'altro di lei. Probabilmente era una reazione alla sua perdita, d'altronde anche io mi sentivo persa e fuori luogo.
Il giorno dopo il Sig. Marelli mi chiamò. Mi chiese di portarlo sul luogo in cui era stato ritrovato il cadavere. Alle quattro del pomeriggio ci ritrovammo davanti al cinema vicino al parco. 
«Quindi suo fratello aveva una relazione segreta?» mi chiese rompendo il silenzio.
«Sì, con la sua insegnante di pianoforte. Ne era veramente innamorato, ma sapeva che la loro relazione non sarebbe stata ben vista dai nostri genitori: c'era una differenza di età molto grande. Ma Michela è veramente una brava ragazza, lo rendeva felice. Per me questo bastava, l'amore non ha età» risposi io mentre prendeva appunti sul suo taccuino un po' stropicciato.
«Mi dica il nome completo della donna.»
«Michela Moreschi»
«E quanti anni ha?»
«Ne ha 26. Li ha compiuti lo scorso luglio.»
«Mi dica anche dove abita per favore.»
Gli lasciai il suo indirizzo e numero telefonico affinchè facesse le sue ricerche più accuratamente, poi ci inoltrammo nel parco dove il forte vento increspava l'acqua del lago.
«Il corpo di Andrea è stato trovato lì, in mezzo a quei cespugli. Quando l'hanno ritrovato, il cadavere aveva un segno rosso intorno al collo e alcuni tagli e lividi su torace e gambe. C'era del sangue sulla riva e delle tracce sul sentiero, come se il cadavere vi fosse stato trascinato.»
«Non hanno trovato nient'altro?»
«No.» risposi «O almeno, a noi non hanno comunicato nient'altro quindi non saprei dirle.»
«Mmm» fu l'unico commento del detective prima di chiudersi in un profondo silenzio mentre osservava attentamente i dintorni del luogo che gli avevo indicato. Si chinò di scatto a raccogliere qualcosa che non riuscii a vedere: ormai i miei occhi si erano appannati e sentivo le lacrime affiorare mentre guardavo quel luogo. Una raffica di vento mi riscosse dai miei pensieri e ricacciai indietro le lacrime, mentre continuavo a ripetere al detective che dovevo andarmene da lì.
Uscii dal parco senza neanche preoccuparmi di salutare il Sig. Marelli. Girovagai un po' per le strade di San Donato, ma mi ritrovai sempre davanti al cimitero. Alla fine decisi di entrarci...
Varcai quel cancello grigio e triste, con le lacrime agli occhi e decisa a trascorrere un po' di tempo da sola con i miei ricordi. 
Mentre camminavo sul sentiero principale, notai che c'era ancora qualcuno: riuscivo a distinguere due sagome, una molto alta e magra mentre l'altra un po' più bassa, ma altrettanto magra. Mi avvicinai finchè riuscii a sentire qualche stralcio della conversazione: sembrava stessero litigando. Capii che erano un uomo e una donna e identificai la voce di quest'ultima con quella di Michela, mentre non riconobbi quella dell'altro.
«Come puoi aver fatto una cosa del genere?» sentii Michela chiedergli sconvolta.
«Tu sei mia. Mi appartieni, qualunque cosa accada.» 
Lei farfugliò qualcosa che non riuscii a comprendere e per tutta risposta lui la schiaffeggiò in pieno viso, si voltò di scatto e se ne andò, avvicinandosi pericolosamente a me. Quando mi fu accanto riuscii a osservarlo per qualche istante. Aveva capelli castani lunghi fino alle spalle, dello stesso colore della barba e degli occhi troppo piccoli per quel naso terribilmente grande.
Non appena fu sparito dalla vista, mi avvicinai a lei e le asciugai e lacrime con la mano. La abbracciai e lei riprese a piangere sulla mia spalla, mormorando il nome di Andrea e di un certo Roberto.
Quella sera richiamai il Sig. Marelli e gli raccontai l'accaduto. Mi promise che avrebbe indagato su quell'uomo e mi chiese di incontrarci il giorno dopo.
Questa volta evitammo il parco e optammo per un bar davanti all'ospedale. Quando fummo seduti ad un tavolino appartato con un caffè davanti, mi riferì alcuni dettagli sconcertanti della vita di Michela. Mi informò della dipendenza della donna dall'eroina e della disastrosa relazione tra lei e suo marito. Pensai di aver capito male, ma il detective mi confermò che fosse sposata. Quando mi mostrò la foto dell'uomo, lo riconobbi come quello della sera prima, un certo Roberto Caetani, e ne rimasi scioccata.
«Dopo la tua chiamata, ieri, ho fatto alcune ricerche su di lui. Mi hanno riferito che è stato ripreso dalle telecamere di sicurezza del cinema mentre entrava nel parco, poco prima che la polizia rinvenisse il cadavere»
A quell'agghiacciante affermazione, un brivido mi percorse il corpo, mentre il cervello si liberava da quella morsa angosciosa e iniziava a pensare a ruota libera.
Dopo un lungo silenzio mormorai: «Pensa che sia stato lui?»
«Può darsi, ma non ne sono ancora sicuro. Meglio sospendere il giudizio fino ad ulteriori accertamenti».
Calò di nuovo il silenzio tra noi, ma questa volta fu il detective a romperlo, congedandosi e uscendo dal bar.
Anche quella sera andai da Michela. Salii lentamente le scale del palazzo e suonai tre volte il campanello del suo appartamento. Sentii dei passi avvicinarsi e un sospiro subito dietro la porta. Quando questa si aprì, la donna mi accolse in casa con un sorriso tirato.
Mi invitò a sedermi sul divano del soggiorno e aprì la bocca per parlare, ma le uscì solo un gemito e le lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi. La abbracciai e cercai di consolarla senza successo. Dopo un lungo silenzio interrotto soltanto dai suoi singhiozzi, iniziò il suo triste racconto.
«Sai Chiara, non sono mai stata del tutto sincera con te e con Andrea e questo è il mio più grande rimpianto. Un paio di anni fa mi innamorai di un uomo e lo sposai dopo soli tre mesi di fidanzamento; ma fu solo dopo un anno di matrimonio che scoprii che persona fosse veramente: possessivo, violento e vendicativo. Ucciderebbe chiunque dovesse avvicinarsi a me...»
«Mi dispiace Michela, non sapevo stessi passando una situazione del genere. Se posso fare qualcosa per aiutarti, non farti scrupoli a chiedere.» Le accarezzai i capelli mentre mi riecheggiava in testa l'ultima frase che aveva pronunciato. 
Quando si fu calmata, si alzò e si diresse verso l'antico pianoforte a coda, come faceva sempre quando aveva bisogno di rilassarsi. Mentre le note di Per Elisa scorrevano troppo velocemente, i miei pensieri si incentrarono sul marito, ma furono bruscamente interrotti dalla percezione di un'assenza. Distogliendo i miei pensieri da quell'uomo viscido e facendo più attenzione al secondo ritornello, notai che un tasto non suonava.
Stranamente Michela sembrò non accorgersi di quel dettaglio: continuava a suonare assorbita dalla musica.
Mi alzai, la salutai e uscii di casa. Mentre la nebbia mi copriva il viso, rovistai nelle tasche in cerca del telefono: questa volta avevo dei sospetti fondati da comunicare al Sig. Marelli.
«Quindi secondo lei l'assassino di suo fratello è il marito della signora Moreschi, Roberto Caetani?» chiese il detective con voce metallica per la cattiva ricezione del telefono.
«Ne sono convinta! Michela mi ha riferito alcune informazioni su di lui, che mi hanno portato a questa deduzione: l'ha definito possessivo, violento e vendicativo, in grado di uccidere chiunque si avvicini a lei. È chiaro! Roberto ha scoperto la relazione tra Michela e mio fratello e, in preda al rancore, l'ha ucciso. Non le sembra?»
«In effetti il suo ragionamento fila, ma non posso accusarlo senza prove. E l'arma del delitto? Ha qualche idea su quale possa essere?»
«In realtà no. Oh, aspetti, probabilmente non c'entra, ma poco fa a casa di Michela, mentre era al pianoforte, un tasto non ha suonato come se mancasse una corda. L'ho sentita tante volte suonare e non mi sono mai accorta del tasto rotto.»
«Indagherò» disse prima di chiudere la chiamata.
Quella notte dormii un sonno irrequieto. Alle prime luci del mattino fui svegliata dall'insistente vibrazione del telefono. Rassegnata, aprii gli occhi e controllai lo schermo luminoso: avevo due chiamate perse e cinque messaggi da parte del Sig. Marelli. Nell'ultimo mi informava di aver svolto altre indagini e aver finalmente scoperto l'assassino. Aveva anche richiesto un incontro per quel pomeriggio, nel parco in cui era stato rinvenuto il cadavere.
La mattinata passò lentamente, come accade sempre quando si è in attesa di qualcosa. Ma alla fine arrivò anche l'ora dell'appuntamento. Mi diressi verso il parco con le gambe malferme per il tremore. Quando raggiunsi il Sig. Marelli, notai sorpresa che Michela era lì con lui.
«E se l'assassino fosse uno di noi tre? E se l'assassino fosse proprio nel posto in cui ha abbandonato il corpo di quel poveretto? Già, signora Moreschi, sa a cosa mi riferisco, vero?»
«Di cosa sta parlando, detective?» chiesi. Inizialmente non riuscii a cogliere il significato di quelle parole, ma dopo alcuni secondi, durante i quali nella mia mente si susseguivano immagini sconnesse di Michela e Andrea, mi resi conto dell'atroce verità che stava venendo a galla. Mi rivolsi alla mia compagna di sventure, o forse la causa di quelle sventure, con voce tremante. «Michela, non sei stata tu, vero?», chiesi sconvolta.
Michela scoppiò in lacrime, scuotendo la testa per alcuni secondi, durante i quali mormorò che non era mai stata sua intenzione ucciderlo. «Quella sera non riusciva a suonare, non gli veniva nessun pezzo. Fu per questo che scoppiò il nostro primo litigio e gli antidepressivi, uniti alla sostanza da cui già da tempo sono dipendente, mi fecero perdere la testa. Mentre lui era in bagno, tagliai una corda al pianoforte...»
«Ma come?» la interruppe il detective, «Com'è riuscita a tagliare la corda del pianoforte?»
«In genere è molto difficile, ma il mio è molto vecchio e le corde, specialmente le più sottili, sono rovinate. Tornando a quella sera, quando lui riprese a suonare, con la corda del pianoforte in mano, lo colsi di sorpresa, gliela arrotolai due volte attorno al collo. Lui si girò d'istinto, ma io cominciai a stringergli quella maledetta corda intorno al suo collo delicato da adolescente con tutta la forza che avevo. Ci impiegò pochi secondi a morire, vidi la vita abbandonare quegli occhi così simili ai tuoi, Chiara. Solo quando la loro luminosità si spense del tutto, mollai la presa e il corpo si accasciò a terra».
Il detective le chiese come fosse riuscita a trasportare il corpo fino al parco, vedendola così esile.
«Pulii il corpo dal sangue, aspettai che in tutto in palazzo calasse il silenzio della notte e trascinai il cadavere vicino all'ascensore, poi uscii dalla porta sul retro, che dava ai box e lo feci arrivare fino alla mia macchina. Aprii cautamente il portabagagli e ce lo spinsi dentro con tutte le mie forze. Quando arrivai in prossimità del parco, mi assicurai che non ci fosse nessuno, poi lo scaricai a fatica dal portabagagli. Entrata nel parco, ricominciai a trascinarlo sulla ghiaia, fino alla riva del lago: prese diverse botte e fu così che si procurò le altre ferite e lividi. Sulla riva lo distesi supino e lo baciai un'ultima volta, prima di farlo rotolare per il pendio dentro l'acqua. Ricordo che qualcosa si impigliò ai suoi vestiti, ma non ci feci molto caso».
Il detective tirò fuori dalla tasca interna della giacca una busta trasparente contenente un sottile braccialetto d'argento.
Dopo questo gesto due agenti fecero la loro comparsa e portarono via Michela. «Mi dispiace, Chiara» disse prima di sparire dalla mia vista. Il detective li seguì non curandosi di me. Io, che per tutto il racconto ero rimasta impietrita, mi accasciai su una panchina con lo sguardo perso e le lacrime che mi rigavano le guance.
Sentivo solo un grande vuoto che mi opprimeva e mi soffocava. Intesi il volto più terribile dell'amore. Di quel momento ricordo solo di essermi chiesta, fissando la superficie del lago, come facesse il vuoto ad essere così pesante.
  
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