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Autore: Kurosmind    04/07/2015    3 recensioni
Raccolta di traduzioni di one-shots di diversi autori, tutte incentrate su Bilbo e Thorin. Ci saranno diversi rating/situazioni/generi, e sarà tutto segnalato nell'indice e all'inizio di ogni capitolo!
Sommario dell'ultima shot pubblicata: I vecchi del prato, di TheBookshelfDweller

È la storia di un giorno di aprile, e di quanto sono fortunati di essere arrivati così lontano, di aver vissuto abbastanza da vedere i capelli l'uno dell'altro diventare bianchi, nel caso di Bilbo, e argentati, in quello di Thorin.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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I vecchi del prato

by TheBookshelfDweller
traduzione di KuroCyou

Rating: Giallo
Genere: Fluff, romantico
Note:  Shire AU
Introduzione:

È la storia di un giorno di aprile, e di quanto sono fortunati di essere arrivati così lontano, di aver vissuto abbastanza da vedere i capelli l'uno dell'altro diventare bianchi, nel caso di Bilbo, e argentati, in quello di Thorin.

Storia originale qui

 


 

'Ti ricordi i tarassachi?'

È una dei nipoti di Sam a trovare il biglietto. Ivy, la figlia più piccola di Elanor, lo tira fuori da dove è incastrato sul retro della cornice vuota, posata su uno degli armadietti dello studio. La famiglia non ha mai capito perché fosse inutilizzata, ma Sam l'ha tenuta vuota e dopo un po' tutti ci si sono abituati. Era solo una di quelle cose. Una delle tante piccole, inspiegate curiosità di Casa Baggins. I biglietti sono un'altra.

"Nonno, ne ho trovato un altro," dice Ivy, avvicinandosi sui suoi piccoli piedi pelosi per passare a Sam il ritaglio di pergamena.

"Beh… era un po' che non ne vedevamo altri," risponde Sam, scorrendo le parole mentre apre il cassetto della scrivania. Tutti i biglietti riposano in una piccola scatola di legno. È una cosa strana, quella scatola, nodosa e piena di bordi ruvidi, fatta di legno di melo. Ma Sam ha trovato lì il primo biglietto, in quella scatola, quindi è sembrato giusto metterci anche tutti gli altri, quando arrivavano.

Hanno cominciato a trovare i biglietti poco dopo essersi trasferiti. All'inizio, Sam pensava che fossero solo pezzi strappati di vecchie liste della spesa o lettere stracciate, ma presto era diventato chiaro che le note erano una forma di vita propria. Vivono come insetti benigni nel letto in tutta la casa, nascosti la maggior parte del tempo, a parte per gli strani giorni nei quali uno di loro fuoriesce dal suo nascondiglio tra le pagine di un vecchio atlante, o infilato sul fondo di un vecchio barattolo della farina che nessuno usa più.

'Quella crostata era per dopo'

'Le tue trecce si sono sfatte'

'Il tuo panciotto preferito ha una macchia di marmellata'

'è di nuovo aprile'

'incontriamoci all'albero'

'Ti ricordi i tarassachi?'

E persino ora, dopo tutti questi anni, i Gamgee continuano a trovare i biglietti. È come se Casa Baggins stesse avendo giorni nostalgici, ricordando momenti andati da tempo. Se c'erano mai state conversazioni, sono perse da tempo ormai. Le note sono solo pensieri fluttuanti nell'aria, separati dal luogo al quale appartenevano in origine.

A volte, a Sam sembra che loro siano ancora ospiti in quel posto, come se ci sia un'intera vita segreta che si svolge dietro le loro spalle. Storie non dette sussurrate di notte. La cornice vuota. I biglietti in una calligrafia che sembra familiare, ma che nessuno riesce davvero a riconoscere. Come il sorriso di un vicino distante di cui ti dimentichi sempre il nome, ma più caldo. Gli scarabocchi incomprensibili sui margini dei libri di fiabe, battute lasciate a metà. Pagine che aspettano ancora la battuta di chiusura.

Ma c'è un segreto nel mistero, e il segreto è che Sam sa. Sa che la cornice vuota conteneva una mappa, e che i biglietti non erano mai solo semplici liste della spesa scribacchiate di fretta. Sam sa anche che questi non sono storie sue da raccontare. Quindi non lo fa. Osserva i suoi figli e nipoti trovare i biglietti e le piccole stranezze - è una tradizione di famiglia ormai, per così dire - e lascia che si facciano le loro selvagge teorie e storie fantastiche basate su un paio di occhiali sperduto o poche parole scritte. Non c'è male in tutto quello. Nessun male, perché non conosceranno mai tutte le storie non dette, le piccole mitologie nate e scritte tra quelle mura.

Ma conoscono gli autori. Quindi Sam prende i biglietti e li mette via. 'Ricordi i tarassachi?' chiede il biglietto, e Sam non ricorda, perché la storia non è sua. È loro.

 

-----------------------------------------
 

Prima

Il dannato polline dei tarassachi fa starnutire Bilbo. Lo ha sempre fatto, lo farà sempre. Thorin, ovviamente, trova tutto ciò molto divertente. Beh, adorabile è la parola che ha usato, ma Bilbo vede dritto dentro di lui. Negli anni, l'abilità di Thorin di mantenere un'espressione impassibile è calata, o forse Bilbo è diventato più bravo a leggere i segni, ma è impossibile non notare il modo in cui le linee intorno alla bocca di Thorin si muovono mentre cerca di non sorridere, e il modo in cui i suoi occhi falliscono a non brillare di divertimento. Scemo di un nano.

(E se Bilbo si assicura di starnutire un po' più forte intorno a Thorin, beh…)

È aprile inoltrato e i campi intorno a Casa Baggins sono punteggiati dai tarassachi in fiore. Alcuni sono ancora giallo acceso, come piccoli soli bloccati sugli steli, mentre altri hanno già scambiato i loro splendore per dei nobili ciuffi di bianco. I vecchi del prato.

"Pensavo una cosa," dice Thorin.

"Una cosa saggia, senza dubbio," è la risposta secca da dietro le sue spalle.

Sono seduti sull'erba, nascosti tra l'alto e ondeggiante verde, mentre Bilbo svolge la routine ormai giornaliera di pettinare e intrecciare i capelli di Thorin. Il sole sta calando e l'aria profuma di terra bagnata.

"Incredibilmente saggia," sorride Thorin. "Stavo solo pensando - la tua testa sembrerà un soffione quando sarai vecchio con i capelli bianchi."

Gli procura una tirata di treccia e uno sbuffo vicino al suo orecchio, e Thorin può percepire Bilbo che scuote la testa.

"Se questa è tutta la saggezza regale che sei capace di impartire questi giorni," dice "sono contento che non sei tu quello incaricato delle nostre razioni di cibo."

Thorin sbuffa.

"Se l'ammontare della nostra cena è da prendere in considerazione, non posso proprio chiamarle razioni. Piccoli banchetti è più appropriato."

"Beh, era un'occasione speciale. Tra l'altro, non ti sei lamentato prima."

"Non mi lamento neanche adesso."

"Hmm."

Scivolano in un silenzio confortevole mentre Bilbo finisce l'ultima treccia e Thorin posa la testa sul grembo dello hobbit. Il cielo è diventato viola e le stelle cominciano a mostrarsi. La vita nella Contea è diversa, deve ammettere Thorin - più morbida, più bagnata di sole di quanto un nano sia abituato - ma c'è qualcosa di molto dolce, che non è affatto male. Mahal sa che hanno avuto tutti la loro porzione di tempi duri. Alza lo sguardo su Bilbo, e forse è la data, o forse è solo la progressione naturale delle cose, ma la domanda successiva gli scivola dalla lingua facilmente come una trota in un fiume.

"Come si sposano gli hobbit?"

Bilbo lo guarda, un sorriso confuso e aggrottato sul volto.

"E questa da dove viene?"

Thorin scrolla le spalle.

"Mi chiedevo solo."

Lo hobbit continua ad avere un'aria sospettosa, ma dopo qualche istante comincia a parlare.

"Piantiamo un albero," dice. "I neo-sposi piantano un albero nel giardino della loro nuova casa. E poi, ogni anno, il giorno in cui l'albero comincia a fare frutti, ne prendono uno e lo dividono. Di solito è un albero da frutta - melo, pero, pruno, o a volte un noce. In quel modo, l'albero vive in entrambi, così come entrambi si prendono cura dell'albero."

È semplice e in qualche modo comunque profondo, pensa Thorin. Molto appropriato per gli hobbit.

"Come si sceglie quale albero piantare?" chiede. Bilbo fa spallucce.

"Oh, in un modo o nell'altro. Magari si sceglie l'albero che era in fiore il mese in cui il corteggiamento è cominciato, o che frutto c'era nelle torte o nei dolci regalato. In ogni caso, si pianta l'albero, e ce se ne prende cura fin quando si vive."

"E quando uno muore? L'albero viene tagliato?"

"Eru, no. Succede solo se i voti sono rotti quando entrambi i partiti sono ancora in vita. Il primo che muore è seppellito sotto l'albero, dato alle sue radici perché se ne prendano cura, finché il congiunto non si unisce a lui."

Bilbo scivola giù così da sdraiarsi vicino a Thorin, posando la testa sul suo petto, e il nano avvolge un braccio intorno a lui. Con l'erba che sussurra intorno a loro, e i grilli che lanciano i loro richiami cauti nella notte, cercandosi, o semplicemente piangendo la luce che svanisce, Thorin pensa di capire gli alberi un po' meglio. Se potesse farsi crescere delle radici per restare così per sempre le infilerebbe nel terreno in qualunque momento, scavando fino a trovare acqua o pietra, ossa o altre radici alle quali aggrapparsi. Tutti i racconti delle Aule di Mahal, delle grandi forge e vaste sale di pietra, sembrano in qualche modo meno grandiosi, comparati a questi semplici campi, ed erbacce fiorite che possono volare. Thorin ha sempre saputo che il luogo del suo ultimo riposo sarebbe stato nella pietra di Erebor, lo sapeva certamente come sapeva il suo nome. Essere seppelliti nella terra, per i nani, era il peggior tipo di blasfemia.

Ma questo era prima. Ora, è pronto a combatter la fede e l'ordine cosmico delle cose, se è ciò che serve. Tra l'altro, dormire tra le radici di un albero, quando arriva il momento, non sembra tanto male come tutto il resto. Sembra dolce. E molto meno solitario.

"E cosa succede a quelli che non si sposano mai?," chiede. "Dove sono seppelliti?"

"Beh, pochi rimangono scapoli o zitelle nella Contea," dice Bilbo. "Ma quelli che lo sono vengono seppelliti sotto l'Albero della Nascita. È l'albero che i genitori piantano quando un bambino nasce, come una promessa, o un desiderio, di sorta, per il loro futuro."

"Sono un bel po' di alberi."

"A noi hobbit piacciono le cose che crescono."

"Ho notato."

Accarezzando pigramente la schiena di Bilbo, Thorin si chiede se la felicità sa di essere fatta di cose così semplici, come il calore del corpo di un'altra persona, una serata tranquilla, una singola giornata di aprile che torna ogni anno, ma un anno era arrivata portando un nano sulla soglia di uno hobbit, dando inizio ad un viaggio che ora erano fortunati da percorrere insieme.

"Qual è il tuo?"

"Hm?" mormora Bilbo, giocherellando con il fermaglio di una delle trecce di Thorin.

"Qual è il tuo Albero della Nascita?"

Bilbo lancia un'occhiata a Thorin.

"Mi crederesti se ti dicessi che è una quercia?"

"Probabilmente no."

"Bene," sbuffa Bilbo. "Perché non lo è. È un salice piangente, in effetti."

Thorin aggrotta le sopracciglia. "Una strana scelta, penso, per un bambino."

"Così pensa la maggior parte della Contea." Il sorriso nella voce di Bilbo è sonoro, di quel tipo malinconico che a volte ha quando i suoi occhi si riempiono di uno sguardo lontano. "Mia madre l'ha scelto, ovviamente. Ha sempre detto che era adatto a me."

È la volta di Thorin di sorridere. Gli sarebbe piaciuto conoscere Belladonna Baggins. Se suo figlio è una qualche indicazione, era una piccola forza della natura tutta da sola.

"Capisco il perché?"

"Davvero?" la voce di Bilbo è ancora distante, al massimo educatamente casuale, come se fosse già da un'altra parte, ma Thorin si sposta così da poterlo guardare negli occhi. "Non ci ho mai pensato in quel modo. Ho sempre pensato che fossero alberi tristi, in un certo senso, tutti piegati così. C'è una favola, sai. Sui salici piangenti. Si dice che una volta, Yavanna pensava di aver perso suo marito, così si tagliò tutti i capelli per il dolore e il vento li sparse su tutta Arda. Poi camminò per le terre e pianse, e ovunque erano caduti i suoi capelli e le sue lacrime avevano innaffiato, sorsero strani alberi piegati, che sfioravano il terreno con i rami dalle foglie argentate, come mani che cercano qualcosa che hanno perduto. Le storie dicono che le lacrime di Yavanna crearono dei laghi, ed è per questo che i salici piangenti crescono così spesso vicino l'acqua. Alla fine, venne fuori che suo marito era vivo, ma gli alberi rimasero, rivolti per sempre al terreno con un dolore dimenticato, perché la prima acqua che ebbero mai assaggiato era fatta di lacrime, e le loro foglie ora portano memorie di sale e tristezza."

"Non penso che tua madre abbia scelto il tuo albero per la tristezza, Âzyungel." Dice Thorin, cercando di far capire a Bilbo. "Tua madre era saggia. Non ha scelto un albero che si sarebbe schiantato per una brezza un po' più forte del normale, né ne ha scelto uno frivolo solo per la sua bellezza. I salici possono sembrare fragili, ma sono più forti di molti altri. Si piegano sotto folate violente di vento, ma si spezzano molto raramente. Sono buoni per gli archi, e per intrecciare ripari sulla strada. E, se ricordo bene, sono anche usati per guarire. La loro corteccia allevia il dolore, calma le menti febbricitanti. È una medicina amara, ma salva la vita, se si riesce ad ingoiarla."

"Beh… lo fai suonare eroico, a parlarne così," mormora Bilbo, ma Thorin sorride perché sa che Bilbo fa così quando è toccato e un po' imbarazzato. È parte di ciò che è tanto quanto la sua lealtà e gli sciocchi gesti del cuore. E Thorin lo ama dalla punta delle orecchie arrossate fino all'ultimo pelo sui suoi piedi.

"Vuoi piantare un albero con me, Bilbo?", chiede. È così semplice. È così giusto.

Bilbo sorride, e non è che avevano intenzione di passare le loro vite diversamente da insieme, quindi la risposta arriva facilmente come la domanda.

"Si, lo voglio."

Si piega giù, posando un dolce bacio sulle labbra di Thorin prima di poggiare la fronte sulla sua. Le punte dei loro nasi si toccano ed entrambi hanno gli occhi incrociati per cercare di guardarsi, ma è comunque un momento degno di mettere radici.

"Quale dovremmo piantare allora?" chiede Thorin.

"I fichi sono i tuoi preferiti," risponde Bilbo.

"Tu odi i fichi."

"Beh, allora, una quercia è una scelta ovvia. Ho già piantato la ghianda del giardino di Beorn, ma possiamo trovarne un'altra buona facilmente."

"Non possiamo mangiare le ghiande."

"No, non possiamo."

"Penso che sarebbe insolito allora, no?"

"Molto. Ma ho imparato che non mi importa molto della normalità", dice in tutta serietà, guardando Thorin. "Piantiamo una quercia, Thorin, e troveremo un modo. Farò farina di ghiande e tu puoi intagliare degli scudi dai rami caduti."

"Non servono a molto gli scudi nella Contea."

"Allora intagliaci delle ciotole e piatti e altre cose che ci servono," sussurra Bilbo, tenendo tra le mani il viso di Thorin. "Intagliaci una fornitura a vita di pentole e poggiapiedi e scatole. E pianteremo un frutteto intero nel frattempo - pere per il conforto, fichi per l'abbondanza, e prugne per promesse mantenute - e mangeremo quella frutta dai piatti e dalle ciotole. E non ci mancherà mai frutta fin quando non siamo entrambi vecchi con i capelli tutti bianchi. Vecchi del prato, noi due."

Thorin è sopravvissuto a battaglie e viaggi e disperazione, ma nulla di tutto quello ha mai intaccato come fanno le parole di Bilbo ogni volta. Ma per quanto siano belle e sentite, non sembrano giuste. Una quercia sarebbe una scelta ovvia, ma non quella giusta, pensa Thorin. Ovviamente, le sarà per sempre legato, dal suo nome e leggenda, ma è l'albero delle sue battaglie, delle sue tempeste e avversità. Non è quello che vuole ora. Non è quello che lui e Bilbo sono lì. Ma lui non è Bilbo, quindi Thorin non riesce ad esprimere tutto questo in parole, non così da farle suonare giuste.

"Piantiamo un melo," dice invece.

"Un melo?" Bilbo corruga la fronte. Thorin vuole baciare via il cipiglio.

"Si. Una delle prime notti del nostro viaggio, sei sgattaiolato dai pony, ti ricordi?"

"Ci sono state tante notti nel nostro viaggio Thorin. E molte più impressionanti."

"Beh, l'hai fatto. E sai cos'hai fatto, Ghivashel?"

Bilbo ci pensa, cercando di ricordare la notte di cui parla Thorin, ma lui lo aiuta.

"Hai dato una mela al tuo pony."

"Myrtle."

"Si. Hai dato una mela a Myrtle, anche se sapevi che probabilmente la frutta ci sarebbe finita durante l'inverno e non avresti assaggiato mele per molto tempo. Ma l'hai fatto comunque, quando non ci avresti ricavato nulla."

"Era solo una mela, Thorin."

"No. È stata gentilezza. Pura, incontaminata gentilezza. E, per me, un promemoria."

"Promemoria di cosa?"

"Che dovrei puntare a ricordare una cosa, anche se dimentico tutto il resto: che c'è ancora del buono in questo mondo, e vale la pena combattere per esso. Non penso ti amassi già, allora, ma è stato allora che mi sono reso conto di non poter continuare a non rispettarti."

"Scemo di un nano," dice Bilbo, ma i suoi occhi sono lucidi e la sua bocca è al limite di un sorriso, quindi è il miglior tipo di vezzeggiativo, quando lo dice così. "Bene. Come vuoi allora. Piantiamo un melo. Sarai stufo di sidro e torte di mele per la fine del mese però, dammi retta."

Thorin dà sempre retta a quello che dice Bilbo, e Bilbo lo sa, così non dice nulla, si limita a baciare la cima della testa di Bilbo. Steso giù, con l'orecchio sul cuore di Thorin, Bilbo coglie un soffione, studiandone il ciuffo bianco per qualche momento calmo mentre Thorin studia lui. Il vento fa volare alcuni semi di tarassaco nei suoi capelli e nella barba di Thorin, facendo starnutire lo hobbit, che di conseguenza fa ridacchiare Thorin, che cerca di nasconderlo ma non riesce.

Bilbo si gira per lanciargli un'occhiataccia, ma si ferma a metà movimento e guarda di nuovo il fiore oltraggioso tra le sue mani.

"Oh, Yavanna." Geme all'improvviso, la voce piena di orrore.

"Che c'è?"

"Hai ragione. Finirò per sembrare un soffione quando avrò i capelli tutti bianchi."

La risata di Thorin copre i canti dei grilli e, mentre Bilbo si unisce a lui, si aggrappano l'uno all'altro, aggrovigliandosi nell'erba, un mucchio ridente di arti, e le stelle volano da terra fino al cielo in un nugolo di lucciole.

 

 -----------------------------------------
 

Ora

Non c'è un melo nel giardino di Casa Baggins. C'è il ceppo di uno, lontano sul fondo, ma l'albero è sparito da anni e anni ormai. Quando gli orchi arrivarono nella Contea, molti alberi furono persi al fuoco e alle asce durante la Razzia.

C'è solo una piccola scatola di legno nel cassetto della scrivania, e un alberello di melo che si rafforza con ogni nuova primavera.

 

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Né ora né allora

"Dov'è la mela?"

"L'ho data al pony."

"Bilbo."

Bilbo alza lo sguardo su suo marito. Ci sono troppe rughe sul viso di Thorin che non sono state messe lì dalle risate, e Bilbo odia la loro causa. Sta imballando lo studio. Partiranno per Gran Burrone il giorno dopo. È stato dichiarato più sicuro della Contea, in questi tempi tumultuosi. Sono sopravvissuti alla Razzia, ma il loro albero non l'ha fatto.

"Quel pony sta per viaggiare per metà della Terra di Mezzo."

"E quella era l'ultima mela dal nostro albero."

"Lo so."

È la prima volta in molti decenni che spezzano la tradizione. Non ci sarà una mela da dividere nel loro anniversario, e per opera di Bilbo, nientemeno. Molto insolito. Ma poi, Bilbo ha imparato ad amare l'insolito molto tempo fa.

"Ecco," dice, andando da Thorin. "Ho tenuto questi. Ho avuto la sensazione che saresti stato irritato per la mela."

Prende la mano di Thorin tra le sue e vi fa cadere qualcosa nel palmo.

"Lo ho presi dall'ultima mela," dice. Thorin guarda i semi di mela e poi di nuovo Bilbo.

"Gli alberi si spezzano e si bruciano, Thorin. Succede," dice Bilbo. "Non c'è nulla da fare. Ma non noi, amore. Mai noi. Noi ricominciamo. L'abbiamo già fatto una volta. Possiamo farlo di nuovo. Ricominciare. Tra l'altro, la cenere fa bene alla terra."

Thorin sorride e lo stringe a sè, e Bilbo pensa a quanto siano stati fortunati. Quanto lo siano ancora, ad essere arrivati così lontano, essere vissuti per vedere i capelli l'uno dell'altro diventare bianchi, nel caso di Bilbo, e argentati, in quello di Thorin. Fiori e metalli preziosi. Sono davvero vecchi del prato ora.

Più tardi, mentre osserva Thorin seppellire con attenzione i semi in un pezzetto di terra, afferra un pezzo di pergamena e un calamo.

'Ti ricordi i tarassachi?', scrive.

Bilbo mette il biglietto nella cornice della mappa di Erebor, dove sa che Thorin lo troverà. Non lo tirerà fuori - non sposta mai i biglietti - e probabilmente rimarrà lì a lungo dopo che se ne sono andati, ma lo vedrà. E si ricorderà - che c'è ancora del buono, e vale la pena combattere per esso.

 

Fine


Note della Traduttrice
Questa shot è una di quelle scritte in occasione del 6 aprile, ossia l'anniversario di quando i nani arrivano a Casa Baggins - vale a dire il primo incontro di Bilbo e Thorin. Spero che vi sia piaciuta, è una delle mie preferite!
Annuncio, poi, che per ora questa raccolta va in hiatus. Ho praticamente finito la lista di shot da tradurre, e voglio dedicarmi alla long-fic! Se esce qualcosa di nuovo e carino però lo tradurrò inserendolo qui :)
Detto, questo, alla prossima! Grazie mille per aver seguito questa raccolta fin qui ♥
-Kuro

   
 
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