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Autore: MightyZuzAnna    05/07/2015    2 recensioni
Una figura misteriosa correva nel cuore della notte lungo le antiche mura della città rincorsa da un paio di guardie. La figura era avvolta in un lungo mantello nero, il cappuccio gli copriva gran parte del volto. Lo sconosciuto si fermò davanti al muro, si girò e si vide circondato da altre guardie, gli puntarono una forte luce ed egli abituato al buio della notte, si coprì per metà il volto col braccio, qualcosa da sotto l’arto e il cappuccio sbrilluccicò. Involontariamente scostò un po’ il tessuto rivelando in parte una maschera nera e bianca a forma di farfalla. Le decorazioni nere e argentee brillavano come piccoli diamanti. Lo sconosciuto ghignò nonostante non avesse vie di fuga, eppure la notte del 14 luglio 1766, la figura conosciuta come il ladro più ricercato del secolo detto anche ‘Butterfly’ scomparve lasciando al suo posto, come ricordo della sua esistenza, la maschera a farfalla. A più di tre secoli di distanza, la leggenda del ladro ‘Butterfly’ ritornò più viva che mai.
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sora si svegliò di buon’ora quel giorno. Deboli raggi di sole filtravano dalle imposte socchiuse e per un attimo si dimenticò gli ultimi due giorni passati in camera a fare ricerche.
La rossa aveva scoperto che l’organizzazione Sunset aveva mandato al suicidio Elisewin, affinché recuperasse un oggetto antico e dai mistici e misteriosi poteri. Elizabeth era riuscita a convincere Axel ad aiutarla a salvare la sorella ed era a un passo dallo scoprire la reale identità di Mr. Mistero.
Si alzò per spalancare la finestra e far entrare finalmente aria di primavera. Quell’aria frizzantina e piena di profumi di fiori diversi, carica anche dei primi odori dell’estate. Si rimise sdraiata respirando a pieni polmoni il venticello che entrava portando freschezza e il profumo di rugiada. Volse, quindi, lo sguardo sul comodino ove stava il quaderno che la richiamava silenzioso e ingombrante nel suo piccolo. Lo afferrò e si mise sdraiata comoda, pronta a immergersi in emozioni non sue, ma reali.
 
Non mi importava di morire, sarei andata anche all’inferno pur di salvare la mia amata sorellina, e il luogo in cui ci avventurammo non era molto diverso da quello.
La località in cui ci dovevamo recare era molto distante dalla sede dell’organizzazione e riuscimmo a rubare tre cavalli.
Siamo fuggiti di notte, Axel alla mia sinistra, Mr. Mistero alla mia destra.
Dovevamo seguire a debita distanza Elisewin, inoltrata nel bosco con un cavallo e una lanterna. Inconsapevolmente ci stava facendo sia da guida sia da luce.
Proseguimmo per ore. Il terreno si faceva sempre più umido e i cavalli faticavano ad avanzare senza affaticarsi. Le prime luci dell’alba spuntarono dietro grossi nuvoloni carichi di pioggia, i quali non presagivano niente di buono.
«Dovremmo muoverci se non vogliamo prendere in pieno l’acquazzone» disse Mr. Mistero.
«Perderemo di vista Elisewin così» replicò Axel, scoccando un’occhiataccia all’uomo.
«Fidati, ragazzino, è meglio non essere all’aperto con un acquazzone del genere. Elisewin avrà pensato lo stesso e si sarà messa al riparo»
«Con quanta confidenza ti rivolgi a lei» sputò rabbioso il giovane, fermando bruscamente il cavallo.
Lo guardai preoccupata e sperai con tutto il cuore che non volesse abbandonarci proprio in quel momento.
«Lì c’è una rientranza. Possiamo fermarci lì per il momento» disse invece.
«Forza Elizabeth. Resistete un altro po’ e potremmo finalmente fare una pausa» mormorò Mr. Mistero passandomi a fianco, ben attento a non farsi vedere il volto da sotto il cappuccio.
«Sì, non preoccupatevi per me. Ce la faccio ancora. Quello che mi preoccupa è perdere di vista Elisewin»
«Di quello non preoccupatevi. Ora pensate a riposarvi e basta»
Entrambi ci fermammo e Mr. Mistero mi aiutò a smontare da cavallo. Non potei negare che internamente ne fui felice. Non ero abituata a tutte quelle ore a cavalcare.
Lasciai che del mio cavallo se ne occupasse Mr. Mistero, mentre prendevo coperte per tutti e tre e mi rifugiavo sotto una di esse, tremando per il freddo.
«Riprenderemo non appena smette di piovere» annunciò Axel, scrollandosi di dosso le prime gocce d’acqua.
Dopo un po’ di tempo iniziai a sentire la stanchezza del viaggio e della notte in bianco trascorsa e mi addormentai.
«Come mai viaggi con lei?» sentì dire da una voce indistinta.
«Per lo stesso motivo per cui tu vuoi salvarla» rispose un’altra voce.
Non riuscivo a capire chi stesse parlando. Avevo le palpebre troppo pesanti per riuscire ad aprirle e sbirciare. Ero anche troppo stanca per provare a concentrarmi e non ne avevo nemmeno la voglia. Così lasciai perdere e caddi in un sonno tormentato dagli incubi.
Nella mia testa vorticava in continuazione l’ultima sera in cui parlai a Elisewin.
Se non le avessi detto che quel racconto era solamente un mito avrebbe continuato a parlarmi? O forse è stata proprio Sunset a costringerla a ignorarmi?
Fui svegliata dopo quelli che mi sembrarono pochi minuti, ma dalla poca luce che filtrava tra i nuvoloni capii fosse passata da molto l’ora del pranzo.
Mi misi a sedere, stropicciandomi gli occhi, insonnolita. Ero sola nella grotta e questo mi spaventò molto. Mi precipitai fuori e trovai tutti e tre i cavalli ancora legati, tirai un sospiro di sollievo: non li avrei mai perdonati se mi avessero lasciato indietro, andando a salvare da soli Elisewin.
Ritornai dentro e raccolsi velocemente le coperte, ripiegandole e posandole nelle sacche legate alle selli degli animali.
Mr. Mistero e Axel tornarono poco dopo con in mano pesci e rami. Il primo si mise a sistemare la legna per accendere un fuoco, mentre io e il più giovane pulimmo il pesce per cuocerlo.
Ci rifocillammo e rimanemmo un attimo in silenzio a osservare il fuoco morire sotto la cenere.
«Dovremo muoverci se volete raggiungere Elisewin» ci disse Mr. Mistero.
Ci alzammo di scatto e Axel sciolse velocemente la briglia legata a un ramo di un albero, salendo in un fluido movimento in sella. Io ci impiegai più tempo, per niente pratica e totalmente terrorizzata dagli occhi scurissimi del cavallo che teneva puntati di fronte a sé. Eppure mi sentivo scrutare con insistenza. Mi voltai quindi verso l’uomo misterioso, ma egli era intento a far perdere le nostre tracce, cancellando i segni del focolare.
«Forza, Elizabeth, è meglio muoversi prima che perdiamo ulteriore terreno su vostra sorella» la esortò Axel, puntando dall’alto il suo sguardo su di me.
«Sì, certamente» dissi, osservando con occhio critico il cavallo. Mi aggrappai al pomolo della sella, poggiai il piede sulla staffa e cercai di issarmi, ma ogni volta la spinta che mi davo non sembrava sufficiente. Mi sentii prendere da due mani grandi e calde la vita e mi ritrovai in sella. Arrossii, guardando riconoscente Mr. Mistero che ricambiò con un piccolo sorriso accennato da sotto la maschera in pelle che indossava. Un giorno avrei scoperto chi si celava dietro quel pezzo di stoffa.
Dopo molte ore di viaggio finalmente scorgemmo il cavallo di mia sorella. Elisewin ci guidò fino a una scogliera frastagliata, alla cui base vi era un lago.
Sussultai nel riconoscere il luogo in cui si stava dirigendo la ladra: l’Antro del Diavolo.



Secondo una leggenda Sant’Elia giunse da una terra lontana in quel luogo che chiamò Aulinas* per sottoporsi a una severa penitenza e per fondare un monastero. Lì, il santo si dedicò alla preghiera, vivendo di semplici erbe reperibili dal bosco circostante. Il Demonio volle piegare quell’uomo fedele e fece cadere una pioggia di monete di oro e d’argento, che tuttavia furono buttate nelle acque del lago, e divennero nere come il carbone.
La seconda tentazione del Diavolo fu una tavola imbandita di ogni prelibatezza. Il poverello, quindi, si impose una rigida disciplina e ignorò le leccornie presenti poco fuori la grotta in cui si era rifugiato.
Il Demonio, imperterrito, si tramutò in una splendida fanciulla e cercò di indurre in tentazione il Santo, il quale, però, riconobbe la malvagità negli occhi della giovane e la scacciò immediatamente. Il Diavolo allora, furibondo per non aver piegato quell’uomo così fedele, rivelò la sua vera natura: aprì le maestose ali membranose e nere e spiccò un balzo, per poi aggredire il poverello. Sant’Elia si difese con l’unico mezzo che conosceva: la fede.
A quel punto Satana ruggì furibondo e si fiondò sulla parete oltre le spalle dell’uomo, sparendo oltre e lasciandovi solamente l’impronta del suo volto animalesco e dei suoi artigli.

Rabbrividì nel ricordare quella leggenda e mi colse un brutto presentimento. Ebbi paura che Elisewin si fosse invischiata in qualcosa di molto più grande e che l’avrebbe portata a morte certa.
«Sto soffrendo di allucinazioni, non è vero? Non sta certamente entrando nell’Antro del Diavolo!» gemetti, sapendo già la risposta; chiusi gli occhi, non volendo vedere.
«Mi dispiace arrecarvi questa delusione Elizabeth, ma sta entrando esattamente lì dentro»
«E noi la dobbiamo seguire, giusto?»
«Sì, Elizabeth. Ora sono proprio curioso di sapere cosa deve recuperare di talmente importante Elisewin» rispose Axel, riprendendo a trottare per avvicinarsi a quel punto.
«Se volete, potete rimanere qui fuori, ma non ve lo consiglio» disse Mr.Mistero.
«Perché?» chiesi terrorizzata, stringendo forte le briglie.
«Potrebbero arrivare banditi o animali pericolosi. E’ meglio non dividersi, Elizabeth. Non Vi dovete preoccupare, ci saremo io e Axel a proteggervi»
Annuii d’accordo e ripresi a trottare, subito affiancata dall’uomo misterioso.
Avrei mai saputo chi fosse?

 
Sora alzò la testa di scatto: un pensiero le vorticava in mente, senza sosta.
Aveva già sentito quel nome, l’Antro del Diavolo, e anche la leggenda non le era sconosciuta.
Accese il computer, che si avviò con un ronzio e una lentezza esasperante per i suoi nervi a fior di pelle. Avviò il browser di ricerca e mise le parole chiavi; dopo qualche minuto le apparve dinanzi gli occhi una pagina piena di risultati.
Un nome in particolare attirò la sua attenzione: il nome di una città distante qualche ora di macchina dalla sua.
Il suo cuore perse un battito per poi iniziare una folle corsa nella cassa toracica. Per un attimo credette che potesse balzare fuori dal petto e mettersi a ballare sulla scrivania.
Scacciò quel pensiero stupido e cercò altre informazioni, prendendo nota di dove si trovasse quella scogliera.
Era forse questo il luogo in cui doveva andare Williams? C’era qualcosa lì dentro che lui desiderava ardentemente?
No, non poteva essere. Quello era un luogo aperto al pubblico, se ci fosse stato qualcosa di lontanamente prezioso l’avrebbero protetto.
Forse iniziava a comprendere il perché le avessero dato il diario. Forse c’era qualcosa tra quelle pagine che viveva ancora nel suo presente.
La ragazza si allontanò di scatto dalla scrivania, tremando vistosamente. Quello che le suggerì la mente la stava terrorizzando più di tutto il resto. Lanciò un’occhiata angosciata al diario aperto sul letto. E provò una viscerale paura.
Sentiva che se avesse proseguito nella lettura le sue certezze, le sue convinzioni sarebbero crollate una a una, come un castello di carte.
Prese una grande boccata d’aria, cercando di calmare il respiro accelerato; si sedette sul bordo del letto e strinse le mani, con forza, per infondersi coraggio.
Se solo ci fosse stato Felix. Se solo qualcuno le avesse detto chiaramente il perché di tutto ciò.
E provò un profondo odio verso Williams, verso quel maledetto diario e verso Felix, che sembrava sapere più di lei e non le aveva mai detto qualcosa.
Era frustata: troppi misteri, troppe domande. Aveva bisogno di risposte, di certezze. Aveva bisogno di sfogarsi, di urlare, ma non poteva.
Prese il diario e lo ficcò in una borsa a tracolla, scese velocemente le scale e prese le chiavi sul tavolino vicino alla porta. Urlò un «Sto uscendo» e si chiuse il portone alle spalle.
Cominciò a camminare, vagando per il quartiere, per qualsiasi fosse il luogo in cui la portavano i propri piedi. Si fermò improvvisamente, voltandosi verso la sua destra, di fronte a un negozio di abbigliamento. Ma Sora non guardava i vestiti, osservava piuttosto il proprio riflesso: non credeva che la ragazza dall’aria distrutta, sconvolta che la fissava con la bocca socchiusa e gli occhi spalancati fosse proprio lei.
Indietreggiò di un passo: non poteva essere lei quella ragazza. Non voleva credere che i suoi occhi non brillassero più di vitalità, ma solamente di rassegnata arrendevolezza. Aveva smesso di lottare e non se n’era accorta; aveva ceduto alle minacce di Williams senza accorgersene; aveva smesso di sperare ed era lentamente morta.
Iniziava a credere di star lottando da tanto, troppo tempo per non aver iniziato a combattere più per abitudine che per vero desiderio di libertà.
Da quanto continuava questa situazione? Da quanto tempo si sentiva così persa, così sconfitta?
Si fermò con il fiatone e le gambe che tremavano. Non si era nemmeno accorta di aver iniziato a correre e di essersi scontrata con alcuni passanti. Non si guardò nemmeno attorno e scoppiò a piangere disperatamente, piegandosi su sé stessa e abbracciandosi le gambe al petto.
Le persone passavano, le lanciavano un’occhiata curiosa, dubbiosa ed esitavano, chiedendosi se dovessero fermarsi a consolare quello scricciolo disperato.
Dopo un periodo che parve lunghissimo, tirò su col naso e cercò di asciugarsi gli occhi con le mani; cercò frenetica un pacco di fazzoletti nella borsa, ma incontrò solamente la copertina rigida del diario.
Ritirò il braccio, come se si fosse scottata e le sembrò di impazzire per il mal di testa martellante e per il peso che quel semplice quaderno sembrava buttare sulle sue povere spalle.
Si tirò su, e cercò un posto appartato e silenzioso per poter leggere in santa pace.
Trovò un piccolo parco e cercò una panchina isolata; si sedette e prese un profondo respiro, per poi incominciare a leggere.
 
Entrammo guardinghi e percorremmo un tratto orizzontalmente, per poi seguire il pendio naturale della grotta. Man mano che mettevamo sempre più distanza dall’entrata, cresceva in me un senso di angoscia. Il buio s’infittiva e dovemmo utilizzare una delle lanterne per illuminare il sentiero, dovendo però mantenere una maggior distanza da Elisewin per non essere traditi dalla nostra luce.
Quando però giungemmo a un bivio ebbi paura di aver perso le tracce di mia sorella.
«Non temete, Elizabeth, ho ragione di credere che vostra sorella si sia inoltrata nel sentiero a sinistra, quello che scende nelle profondità della grotta» disse, con voce cupa Mr. Mistero.
«Cosa te lo fa pensare?» scattò Axel, piazzandosi di fronte all’uomo e fronteggiandolo con lo sguardo.
«Le mie fonti, Axel, sono indiscutibilmente attendibili. Ora, se volete seguirmi non perderemmo ulteriormente terreno su Elisewin»
Mr. Mistero strappò dalle mani del giovane la lanterna e si avviò per la direzione indicata in precedenza. Intimorita lo seguii senza fiatare: quella freddezza nella sua voce mi aveva terrorizzata ed ebbi paura di non sapere chi stessi seguendo tanto ciecamente.
Una mano mi fermò, afferrandomi rudemente per il braccio e mi voltò verso di sé. Il volto di Axel alla penombra, illuminata solamente dalla fioca luce tremolante della lucerna trasportata dall’uomo, mi sembrò ancora più scuro e minaccioso, ma gli occhi sembravano esprimere ansia.
«Elizabeth» sibilò lui, prendendomi la mano sinistra e stringendola forte, quasi a farmi male.
«Axel? Elizabeth?» ci richiamò Mr. Mistero, fermandosi a una decina di metri da noi e aspettandoci.
«Arriviamo subito!» risposi, cercando di liberarmi dalla presa ferrea del ragazzo.
«Elizabeth, non devi fidarti di lui. Mai» sibilò in ultimo, lasciandomi e sospingendomi in avanti.
Ripresi a camminare a passo veloce, incespicando sul terreno irregolare, stringendo convulsamente il coltello a serramanico, il quale sembrava pesare tonnellate nella mia sudata mano. Sperai con tutto il cuore di non dover usare tale arma su Mr. Mistero, o su chiunque altro che non fosse un pezzo di pane. Mi chinai per posarlo nello stivale, a portata di mano e invisibile agli occhi di possibili nemici.
Il silenzio che scese ebbe il potere di irrigidire ulteriormente i miei muscoli e i nostri passi ritmati mi rimbombavano nelle orecchie, assordandomi; avrei voluto dire qualcosa per spezzare quella tensione, ma aprivo la bocca a vuoto, senza che alcun suono fuoriuscisse.
«Fermi»
E ci fermammo, come piccoli soldatini in attesa di nuovi ordini. Si portò un dito guantato sulle labbra, intimandoci si mantenere il silenzio e con un soffio silenzioso spense la luce. Poco dopo la mano dell’uomo afferrò il mio polso e mi trascinò delicatamente in avanti. Avanzammo così, a tentoni, in silenzio e con l’ansia che cresceva a ogni passo.
Il tempo iniziò a essere scandito da dei regolari tonfi e la lanterna di Elisewin lanciava ombre agghiaccianti sulle pareti. In una stretta curva mi sembrò di veder l’ombra di una mano sulle nostre teste e mi trattenni a fatica dall’urlare: feci un piccolo balzo all’indietro, sbattendo le spalle contro la roccia e smorzando con i miei palmi il lieve gridolino sfuggitomi.
Mr. Mistero si voltò immediatamente verso di me, allarmato da quell’improvviso rumore, seppur flebile, che avrebbe potuto farci scoprire.
Il rumore martellante smise per un paio di attimi in cui noi trattenemmo il fiato; serrai gli occhi e iniziai a pregare mentalmente il Signore Misericordioso di far riprendere mia sorella la ricerca di qualsiasi cosa l’avesse mandata Sunset a raccogliere.
Fortunatamente le mie preghiere furono accolte ed Elisewin proseguì il suo operato. Dallo stretto cunicolo passammo a uno spiazzo circolare abbastanza largo per massimo tre persone. Mi sporsi dal nostro nascondiglio e vidi mia sorella tastare con accuratezza ogni sporgenza e insenatura rocciosa, dandogli anche dei lievi colpetti, per capire se la zona era vuota o meno. Poi la vidi fermarsi dinanzi a quella che era la famosa impronta del diavolo e cercò con le sottili dita un qualcosa in profondità di ogni solco. Ringhiò lievemente quando non vi trovò nulla e sbatté il pugno vicino allo stampo della mano destra del Diavolo.
La grotta tremò, facendo sbriciolare piccole rocce e sollevando una lieve polvere che si abbatté su tutti i presenti.
«Maledizione!» urlò furibonda mia sorella e la sua voce si disperse nella zona, incamerandosi nei cunicoli e nelle deformazioni, diventando cavernosa e terrificante.
Afferrò con rabbia il cerchio in metallo della lanterna, facendola ondeggiare pericolosamente. Qualcosa brillò in una piccola nicchia in alto a sinistra, catturando la nostra attenzione. Una flebile speranza si accese in Elisewin, che cercò in tutti i modi di arrivare all’angolo della grotta, stranamente più in alto del resto del soffitto.
Lasciò andare il lume e con un’abile mossa riuscì a infilare la mano nell’insenatura e afferrare qualcosa che luccicò di un bagliore arancione-rosso. Senza esitare infilò l’oggetto misterioso in uno dei solchi, per poi spostarlo frenetico, fino a fermarsi all’occhio sinistro.
Si sentì un acuto rumore e la terra iniziò a tremare. Calcinacci ci caddero addosso, si alzò un polverone che non ci fece vedere nulla per un paio di minuti, ma si riuscì a intuire che si era aperto qualcosa dal forte suono di ingranaggio in movimento. Il mondo smise di muoversi per un secondo di troppo e con terrore notai che mia sorella era sparita.
«Elisewin!» gracchiai, spaventata, fiondandomi al centro della sala e ribellandomi con tutte le forze alla presa di Mr. Mistero.
«Si calmi, Elizabeth. Non possiamo farci scoprire proprio adesso»
«Cos’è quello squarcio nel pavimento?» chiese Axel, puntando con l’indice una voragine grande abbastanza da farci passare un uomo corpulento.
Ci avvicinammo cautamente, sporgendoci quanto bastava per cercare di vederne il fondo, ma l’oscurità impregnava il cunicolo.
«Quello che cos’è?»
Indicai una spessa lastra in pietra rinforzata da due grossi tronchi, la quale iniziò a ruotare lentamente per coprire il buco.
«Maledizione. Dobbiamo muoverci. Entrerò prima io, poi Elizabeth e poi tu Axel» pronunciò Mr. Mistero, sedendosi sul bordo e calandosi con un fluido gesto.
Dopo un tempo infinito sentimmo la voce lontana e cupa dell’uomo richiamarci. Mi sedetti sul bordo che diventava sempre più piccolo e deglutii spaventata, sentendo il vuoto sotto i piedi dondolanti.
«Forza, Elizabeth, non siate così timorosa» cercò di incoraggiarla Axel, ma il suo tono tradiva una punta di nervosismo.
«Elizabeth»
Bastò quell’unico richiamo da parte dell’uomo misterioso per spingermi a prendere una grande boccata d’aria e a lasciarmi cadere a occhi chiusi. Lanciai un piccolo grido completamente terrorizzata, sentendomi strattonare da una forza ben maggiore a quanto io avessi mai immaginato, e scivolai giù, sempre più giù, in una rete di gelida oscurità. Sfregai la schiena innumerevoli volte contro la parete, che sembrava essere inclinata e ricurva per facilitare uno scivolamento, ma il mio corpo la toccava di rado.
E quel terribile momento finì quanto mi ritrovai catapultata tra le braccia di Mr. Mistero, il quale mi afferrò prontamente prima che potessi sbattere sul terreno.
Qualche istante dopo ci raggiunse anche Axel, che ruzzolò malamente sul pavimento. Lanciò un’imprecazione che mi scandalizzò, ma su cui sorvolai, e si tirò in piedi, massaggiandosi dolorante la schiena.
«Dove ci troviamo?»
«Non lo so, ma c’è un’unica via di uscita e si trova più avanti»
«Elisewin?»
«Ha proseguito. Non ci sono vie alternative, è un tunnel»
Annuii e mi incamminai, seguita dai due. V’era fin troppo silenzio e in qualche istante, quando il terreno si faceva più morbido e attutiva i nostri passi, temevo di essere rimasta sola, ma mi bastava allungare una mano per sfiorare il polso di Mr. Mistero o di Axel per sentirmi rincuorata.
Il cunicolo sembrava infinito e l’angoscia stava strozzandomi la gola. Ci sarebbe stato un modo per tornare in superficie poi?
In lontananza iniziammo a vedere un debole bagliore, il quale, passo dopo passo, si faceva sempre più grande. Mi accorsi, una volta alla luce di una lanterna, di star sfiorando con la mano una parete rocciosa ferrosa. Una miniera, forse?
Mi guardai intorno ma non vidi binari né carrelli. Aggrottai le sopracciglia, chiedendomi in che posto ero finita. La luce mi accecò per qualche istante e quando riacquistai la vista Elisewin ci puntava rabbiosa un pugnale.

Il cuore le schizzò in gola, smorzandole il fiato e costringendola ad ansimare. Osservò orripilata il quaderno di cuoio e poi il proprio cellulare, il quale squillava in tutta la sua irritante suoneria. Senza guardare il nome sul display rispose, aspettandosi di sentire la voce di Amy o quella di Mike.
«Sora, dose sei?» chiese, appunto, la voce dolce e preoccupata di Amy.
«Al parco» rispose meccanicamente, lanciando una fugace occhiata ai dintorni. Si meravigliò di notare i lampioni accesi e l’oscurità attorno a sé.
«A quest’ora? È pericoloso! Mike» strillò preoccupata, poi si rivolse al compagno e gli bisbigliò di andare a recuperarla, tra le proteste di questo che si era finalmente messo comodo dopo una giornata stancante in ufficio. «Sora, Mike ti raggiunge tra un po’. Tu non ti muovere da lì se non per stretta necessità. Se vedi qualcuno di sospetto avvicinarsi scappa subito, ok? Mi hai sentito?»
«Sì, sì. Non ti preoccupare. È successo qualcosa?»
Che diamine, Amy non era mai stata così apprensiva nei suoi confronti. Anche quando era scappata di casa una sera ed era stata riacciuffata dalla polizia, allertata da Mike, si era preoccupata così tanto. Si era limitata a guardarla negli occhi, come se aspettasse una qualsiasi parola da lei, ma Sora era rimasta in silenzio, a sfidarla con lo sguardo. Poi la giovane donna aveva scosso la testa, aveva sospirato e le aveva carezzato la testa, per poi chiudersi in camera, mentre il suo ragazzo si occupava di parlare con gli agenti di polizia.
Effettivamente, ora che ci pensava, Amy non aveva mai detto o fatto nulla per andarle contro. Si era sempre limitata a osservarla, come se con quello sguardo riuscisse a decifrare tutti i suoi pensieri e le sue paure. Si era sempre sentita a disagio dinanzi a quelle iridi. Era più Mike quello che si preoccupava, che la rimproverava, che perdeva le staffe con lei. Questa volta sembrava essere successo proprio il contrario.
Il biondo era rilassato, magari sdraiato sul divano, per una volta senza dover litigare con Felix per il possesso di esso o del telecomando, a guardarsi una partita o una serie tv e la mora invece preoccupata a guardare costantemente l’orologio o il cellulare.
«…tando?»
Sora si riscosse. «Eh?»
«Diamine, Sora, è una cosa seria» sbottò Amy facendo strabuzzare gli occhi alla rossa. Chi era quella assatanata con la voce stridula dall’altra parte del telefono? «Ti ho detto che c’è gente pericolosa in giro, a quest’ora poi…»
Le sue parole tuttavia scemarono in un flebile borbottio indistinto. Sora fissava la figura che si stagliava dinanzi alla sua panchina e che la sovrastava. Forse condizionata dalla preoccupazione della sua tutrice, ella balzò in piedi e si allontanò di scatto, correndo un poco. Si voltò indietro, stringendo ancora l’apparecchio elettronico all’orecchio. La figura, chiaramente maschile, le stava dietro a qualche passo di distanza. Sapeva che avesse voluto l’avrebbe acciuffata subito, con quelle lunghe gambe avrebbe percorso in qualche breve falcata la distanza e poi… Già, e poi? Cosa le avrebbe fatto? La conosceva? Era forse uno degli scagnozzi di Williams?
Imprecò nella sua testa per aver sentito quell’impellente desiderio di scappare da casa propria, un desiderio che effettivamente non sentiva da molto tempo. Chiuse la chiamata, quasi senza rendersene conto. Ormai non ragionava più ed eseguiva tutto in mosse meccaniche.
Diamine, Sora, riprenditi! Non sei una ragazzina qualunque, si disse, ma era così terrorizzata da non fermarsi. Poi, improvvisamente, si bloccò. Lo sconosciuto si arrestò in tempo, rimanendo a qualche passo di distanza.
La rossa si voltò nella sua direzione e gli lanciò un’occhiata gelida.
«Chi sei? Cosa vuoi da me?»
«Solo parlare»
«E secondo te io ci credo?»
Quello si strinse nelle spalle e sogghignò. «Sei libera di credere in ciò che vuoi. Forse però, dovresti riporre meglio la tua fiducia nelle persone. Non tutti sono quello che credi»
«Chi sei?» ringhiò ella. Irrigidì le spalle e spostò il peso sulle punte dei piedi, pronta a scattare.
«Fa differenza se te lo dico o meno, Sora?»
«Come mi conosci?»
«Non sono un maniaco sessuale se è questo che ti preoccupa» sbottò, nervoso.
«La cosa non mi rassicura per niente»
«Vuoi risposte? Allora sta’ zitta e ascoltami»
Sora rimase un attimo in silenzio, corrucciando le sopracciglia, poi ghignò e scattò via. Correndo come una furia, come forse aveva fatto solo una volta nella sua vita. Questa volta non c’erano stupidi poliziotti alle sue calcagna, quell’uomo era pericoloso, lo avvertiva sulla propria pelle.
Raggiunse il cancello del parco, adocchiò un bar ancora aperto dall’altra parte della strada. Attraversò la strada e si rifugiò nel locale piccolo e accogliente. Avrebbe voluto dire al proprietario che un maniaco la inseguiva, ma le occhiate torve e le facce per niente raccomandabili delle persone che trovò lì dentro le fece desiderare di non essere mai entrata.
Mai una fortuna.







L'angolo della Sadica:
Buoncialve a tutti voi, squilibrati carissimi lettori che seguite ancora questa storia, nonostante il mio immenso ritardo...
Già... Dovrei dire qualcosa in proposito vero? Beh, non lo farò ù.ù
Non ora almeno. Prima un ringraziamento speciale a ben DUE persone. Un applauso, dai, forza. (Non vi preoccupate, ringrazio anche voi, tranquilli. Su, non siate così suscettibili. Abbassate i forconi e i fucili d'assalto... Da bravi... Bravissimi)
Le sante persone che hanno recensito (e che forse... Spero per me) e continuano a seguire questa strampalata storia senza fine, perché se continuo così la fine ci sarà solo nella mia testa. Quindi se volete sapere come finisce non potete uccidermi. Lo so che siete persone curiose, ammettetelo. Vi prego.
Siete persone curiose, vero? Vero?
Ok, va bene. Ciancio alle bande.
Ringrazio di cuore Ema (
Guitarist_Inside) per essermi sempre stata accanto, per aver sostenuto questa storia con costanza e avermi infuso quella forza e quel coraggio che in alcuni momenti mi mancavano.
Un altro grande grazie va alla carissima
Trueheart, che con un discorso molto convincente (e no, non ha usato i fucili come vorreste fare anche voi. Lei è una persona civile ù.ù), mi ha fatto capire una cosa importantissima, ma che non ripeto perché sennò voi altri vi montate la testa ù.ù
Un grazie davvero grande anche a
Voi altri, che nonostante io non mi possa nemmeno definire un'autrice (troppi ritardi, troppi errori, ecc) continuate a seguire con pazienza e spero con un pizzico di passione questa sgangherata e pazza avventura.
Come avrete notato il capitolo è abbastanza lungo. In realtà secondo i miei piani originali sarebbe dovuto essere più lungo. Molto più lungo e con molte più informazioni, ma guarda caso ho ripreso proprio oggi a riscrivere questo capitolo e... Beh, i personaggi hanno preso vita e hanno fatto tutto da sé. Non sarebbe dovuto finire così, non mi è mai nemmeno sfiorata per la testa una scena del genere, semplicemente avevo le mani sulla tastiera e sotto i miei occhi si formavano parole, periodi e infine, eccola qui! Avrete ormai capito che se ho scritto solo adesso la fine di questo capitolo (e ce l'avevo da un bel po') il prossimo capitolo lo dovrò proprio creare. Beh... Avete ragione. E avete anche ragione a temere che io mi ripresenti tra due, o tre anni con un nuovo capitolo, magari che fa anche cagare (chissà se questo vi piacerà) e mi vorrete linciare (e allora i fucili e i forconi saranno giustificati... Ma anche le mie body guard eh)...
Mi sono persa... Sì. Capitolo lungo. Una specie di scusa per tutti i mesi (è forse un anno? O forse due?) in cui non ho pubblicato niente su questa storia. Vorrei scusarmi anche con
Trueheart, cui effettivamente avevo promesso di aggiornare una settimana dopo la pubblicazione del capitolo (credo) e poi non l'ho più fatto. Scusami tantissimo!
Ma scusatemi anche voi, sono imperdonabile, lo so! Non linciatemi! Se continuerete anche solo a seguirla mi rendereste felicissima! (Se lasciaste una recensione mi squaglierei probabilmente, perciò... *occhi tenerosi de Il gatto con gli stivali*)
Perciò, chiudo quest'angolo per niente sadico con un: GRAZIE INFINITE A TUTTI QUANTI!
Alla prossima ;)
MightyZuzAnna (ah, sì, ho cambiato nick. Ve gusta? *w* A me tantissimo! Ringrazio il mio amico
Manliuccio, manco la segue 'sta storia, ma chissene, per aver coniato qualche anno orsono questo fantastico soprannome)

PS: Giuro, è l'ultima cosa. Siccome qualcunA mi ha fatto diventare paranoica nei vostri confronti (non smetterò lo stesso di ringraziarla... Grazie Trueheart :*  ) il mio fare nei vostri confronti, carissimi lettori, è puramente scherzoso. Non pretendo di sapere veramente quali sono i vostri pensieri o le vostre reazioni alle mie parole, quindi se in qualche modo ho offeso qualcuno... O.O Beh, scusate!
  
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