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Autore: anqis    05/07/2015    2 recensioni
"Che ci fai qui?"
"Te l'ho detto: sono in pausa."
Lo so, ma sei qui. Dopo mesi di viaggi, paesi e città diverse, ti concedono le tue prime e uniche vacanze prima della grande America e tu sei qui. Qui con me, le gambe che tremano per colpa tua - verità - e un sorriso che a malapena vince le lacrime.
"Perché?"
"Perché non mi hai più risposto."
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Louis Tomlinson, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I Won't Mind
 
 
We messed around 
until we found 
the one thing we said 
we could never ever live without
I’m not allowed to talk about it
But I gotta tell you
 
 
Mi scrivi una notte di martedì. 
Quando  il cellulare vibra tra le lenzuola impregnate di calore e umidità, devono essere le due ed è tardi, ma per qualche motivo sono sveglio. Forse ti aspettavo. 
Mi dici che avete finito le tappe in Europa, che sei fottutamente stanco, ma anche contento perché va tutto bene - anche senza di me? vorrei chiederti, ma trattengo le dita sotto il cuscino - e che adesso vi aspettano due settimane libere. 
Sorrido nel buio della camera e vorrei tanto che ti accontentassi di questo, ma sei lontano e non puoi leggermi come hai sempre fatto, senza parole sbagliate, ma occhi attenti. 
Sospiro e mi dico, ti prometto che domani risponderò. Adesso voglio solo dormire. Provarci (senza sognarti). 
 

 
Mi dimentico - bugia
Non guardo il cellulare per un po', non rispondo alle chiamate di mamma e ai messaggi di Perrie. Si arrendono subito, hanno imparato a conoscermi. Chissà come, non mi scrivi più nemmeno tu. 
Hai capito che ti sto evitando? Sei perspicace, lo sappiamo entrambi. E sei dannatamente impulsivo e testardo, per questo non sobbalzo quando pochi giorni dopo il campanello richiama la mia attenzione. Mi immobilizzo con la bomboletta di vernice ancora in mano e le ginocchia stanche dei minuti strascorsi in quella posizione statica, sulla tela ormai sporca di chiazze verdi e gialle.
So che sei tu mentre abbasso la mascherina protettiva sotto il mento e mi alzo, tremando appena. Ho le gambe stanche, tutto qua - bugia. So che sei tu ancora prima di arrivare all'ingresso e stringere i pugni nell'incertezza di risponderti: posso sempre fingere di non esserci. Ma poi insisti con le nocche sul legno della porta ed io istintivamente abbasso la maniglia e so che sei tu con il cappuccio della felpa blu sui capelli aggrovigliati e le spalle bagnate di pioggia. Sei tu con quel sorriso stropicciato e la barba da rasare, il borsone per terra e le braccia che già mi circondano le spalle. Tu, le labbra contro la tempia, "Zayn, amico, sei un cazzo di fantasma" e la risata squillante, roca e così familiare. 
Tu, lo stesso sorriso a farsi strada sul mio viso, a forza di gomitate e schiaffi.
"Che ci fai qui?"
"Te l'ho detto: sono in pausa."
Lo so, ma sei qui. Dopo mesi di viaggi, paesi e città diverse, ti concedono le tue prime e uniche vacanze prima della grande America e tu sei qui. Qui con me, le gambe che tremano per colpa tua - verità - e un sorriso che a malapena vince le lacrime. 
"Perché?"
Ti allontani e fa freddo. Estate quando piove. Mi guardi negli occhi ed io non distolgo le pupille dalle tue, nemmeno quando sento le tue dita camminare sulle guance e soffermarsi timide e sicure insieme - il paradosso che sei sempre stato - sugli zigomi. "Perché non mi hai più risposto."

 
 
Decidi di rimanere per qualche giorno, "Fin quando le gemelle non chiameranno accusandomi di essere una merda di fratello" mi dici la prima mattina dopo il tuo arrivo, seduto a tavola. 
Annuisco dal bancone della cucina dove sono appoggiato, la pelle d'oca sulle braccia perché hai aperto le finestre e ieri sera ha fatto il temporale. Ingoio sorsi distratti del caffè nero, mentre spio il tuo profilo oltre la tazza di porcellana: hai le ciocche di capelli sollevate in aria e devono odorare della pioggia che non siamo riusciti ad evitare quando abbiamo lasciato il mio studio per venire qui a casa. Non ti sei lavato, eri troppo stanco e senza troppe parole ti sei diretto verso la camera degli ospiti che raccoglie più tuoi oggetti personali che mobili. Ti sei cambiato, le maniche larghe della canottiera ti lasciano nude le prime costole, ma ti coprono le cosce, fasciate da un paio di boxer neri. 
Distolgo l'attenzione quando ti rivolgi di nuovo a me. Deve esserci una domanda in sospeso perché continui ad osservarmi con un sopracciglio inarcato. Non rispondo, tendo a non sbilanciarmi se non conosco l'identità dell'argomento. Ad un tratto scuoti la testa, sospirando sui cereali e il poco latte che li bagna. 
"Scusa" sospiri, dita che navigano tra le ciocche più chiare per il sole estivo, "Mi sono dimenticato che di mattina vivi in uno stato catatonico. Scusa, fratello" sospiri e ti zittisci con un altro cucchiaio. 
Deglutisco e fisso un punto di fronte a me, ben conscio del significato di quel sospiro. Mi sono dimenticato. Di cosa è capace il tempo. Cancellare dalla memoria abitudini, amicizie, persone. 
Il tuo (mio) sorriso trema. 
Perché? Non mi hai ancora risposto.
 

 
Diventa più facile poi.
Guardarti in volto, abituarmi al tuo tono di voce, alle imprecazioni rotte dalle risate inopportune mentre mi racconti degli altri. 
Mi dici di Niall che ha cominciato a portare cappelli da ottantenni, di Liam che ha deciso di sprecare questi giorni di relax a Disneyland - sarà tipo la terza volta che ci va, giusto? Non puoi nemmeno immaginare il numero di foto che mi ha mandato, quel nerd. E poi sorridi in quel modo che fa zittire tutto il mondo: come se non potessi farne a meno, come se cercassi di resistere senza però successo. Le rughe agli angoli degli occhi si fanno ancora più evidenti mentre abbassi lo sguardo sulle caviglie nude e mi racconti di Harry, come se mi stessi confidando il più importante dei segreti. 
Diventa più facile poi, ma non fa meno male. Non importa, mentre sento il tuo braccio sfiorare il mio e le tue grida di vittoria perché ho perso ancora una volta alla Play. 
Ho perso ancora. 
Ancora, ancora e ancora. 
 

 
Dormi nella tua stanza le prime due notti, ti basta poco per riacquistare familiarità nelle azioni quotidiane e quindi invadere il mio spazio vitale. 
Esco dal bagno dopo una doccia e ti trovo sdraiato lungo il lato sinistro del letto - ti sei ricordato di dove dormo. 
Ti sei addormentato mentre mi aspettavi, perché il cellulare riposa in corrispondenza delle mani, adesso strette attorno al cuscino. Lo sposto sul comodino e prendo posto anche io accanto a te. Mi sistemo di pancia e affondo il viso tra le braccia allungate sul cuscino, respirando forte nell'incavo in corrispondenza del gomito. Poi mi concedo di sbirciare, finendo per soffermarmi su quei dettagli di te che non sono mai riuscito a riprodurre su carta perché ti sei sempre vergognato troppo. L'ombra delle ciglia sulla guance, la curva dello zigomo, la bocca socchiusa in un sospiro silenzioso e le narici che fremono appena.
Senza accorgermene, la mia mano ti sfiora la fronte. Mi blocco appena realizzo il gesto e mi ritiro come un animale ferito. L'ennesimo piccolo taglio invisibile. 

 
 
"Non puoi restare."
La fiamma dell'accendino si spegne a pochi millimetri dalla sigaretta. 
È tardi, fuori è buio e le piastrelle del balcone non sono più calde sotto la pianta dei piedi. Ho percepito i tuoi passi, la finestra scorrere e non ci ho visto più. Ho parlato, te l'ho detto. 
So che hai sentito anche se taci. Entri nella mia visuale, poggi i gomiti sulla balaustra dal balcone e fai scattare una seconda volta la rotellina dell'accendino. Questa volta le ceneri bruciano e cadono nel vuoto, mentre inspiri incavando le guance. 
"Come?"
Mi stai dando una seconda possibilità, ma la rifiuto. "Devi andartene, Louis."
Non parli ed io mi innervosisco perché non puoi limitarti a fumare e fingerti indifferente alle mie parole. Lo so che dietro quella tua espressione solida stai tremando tanto quanto le mie mani, adesso strette attorno al metallo della struttura fino a sbiancare. "So che non devo- non devo parlarne. So che non vuoi sentirlo, Louis, ma devo dirtelo."
Non parli. Ancora. "Che ti amo, Louis. Che non mi guardo più attorno perché lo so che l'amore è cieco, perché mi basta chiudere gli occhi, sentirti per sapere che sei tu. Che sei tu dall'inizio." 
"Zayn" non ci guardiamo, ma la sento, quella nota rotta. Quella crepa che si apre e si dirama fino a noi, fin dentro le ossa fragili. "Ti prego." 
"Louis" ti interrompo perché "Lo so, lo conosco il copione. Ma io ti amo e non mi importa, anche se so che non sarai mai mio." 
Una sigaretta che cade e le piastrelle umide. 

 
 
Te ne vai la mattina dopo. 
Mi osservi quando pensi di non essere visto e l'unico vero sguardo me lo rivolgi quando ci troviamo faccia a faccia sul varco della porta. Hai le borse sotto gli occhi rossi e le guance più scavate, mentre ti sistemi nervosamente il borsone sulla spalla. Sei bello comunque ed io vorrei baciarti la palpebra - scusa, ti amo. Ma non mi muovo, nemmeno quando sollevi una mano e mi copri una guancia con il palmo. "Allora vado."
Non reagisco, chiudo solo gli occhi. E poi fa freddo di nuovo e non ci sei più. Solo allora, piango. 
 
 

 


Buonasera, 
pubblico questa os scritta sul momento e pensata ieri in auto perché mi piace come trama e perché sono contenta di essere riuscita a dare un significato personale alle parole di I Won't Mind di Zayn (che strano effetto scrivere nelle informazioni il suo nome come artista solista). Temo di non averla riletta con attenzione e mi scuso, spero comunque che qualcuno apprezzi. Grazie dell'attenzione dedicatami,
 
Anqi
 
   
 
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