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Autore: Tormenta    06/07/2015    7 recensioni
Una piccola raccolta di esperimenti narrativi: sette storie autoconclusive di lunghezza variabile, caratterizzate da diversi stili, temi e contesti. Un unico filo conduttore: Harry e Draco. Insieme, come coppia o presunta tale, perché: "Hanno un nonsoché di complementare, ecco. Un qualcosa di stranamente astratto e concreto insieme. Si potrebbe dire che s’incastrano, come le tessere dei puzzle."
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Genere: Romantico
Contesto: Dopo la seconda guerra magica, Vago
Intro: Tra un bisticcio e l'altro, Harry e Draco trovano il tempo d'uscire a cena insieme.





 
Drinking old cheap bottles of wine
shit talking up all night
doing things we haven't for a while
 
{Bevendo vecchie bottiglie di vino economico
parlando di stupidaggini, svegli tutta la notte
facendo cose non fatte da un po’}
 
[The Script – For the first time]
 
 


 
Le serpi non dimenticano
 
 
 


 
        «Che ne dici del giapponese?»

        Lo guardò male, incrociando le braccia al petto e raddrizzando per bene la schiena sulla sedia. «Sai che non mangio cose strane».
        «Non sono cose strane, è solo, hm, sushi».
        «È pesce crudo. È strano, e io non lo mangio».
        Harry, ormai spazientito, sospirò: si sorprendeva ogni volta di quanto impostato fosse. «Hai idee migliori?»
        «Sai qual è la mia idea».
        «Non mi trascinerai in uno di quei locali pieni di gente con la puzza sotto al naso. Scordatelo».
        Come oltraggiato, Draco mi su un ghigno poco simpatico. «Sempre meglio dei buchi rustici in cui vuoi andare tu!»
        «Non sono buchi rustici, sono solo» esitò «posti più alla mano».
        «Se con più alla mano intendi totalmente privi di classe, posso anche darti ragione». Lo disse con quel suo tono acidulo, quasi provocatorio, come se dopo tutto quel tempo ancora si divertisse a lanciargli stupide frecciatine.
        Per un istante, Potter parve intenzionato a ribattere di getto, ma chissà come riuscì a fermarsi e a darsi tempo di riflettere. «Okay, ora basta», asserì, deciso. «Ci piacciono posti diversi, è chiaro. Dobbiamo solo trovarne uno che vada bene ad entrambi». La sua serietà crollò per un istante e, a metà tra la battuta e il lamento, mormorò: «Esisterà, no?»
        «Sto cominciando a dubitarne». Lo borbottò a voce bassa, ma non troppo, tanto per assicurarsi che l’altro sentisse.
        E sentì. Tuttavia, non perse la speranza, continuando a scervellarsi. «Pizza?» Buttò lì.
        Malfoy, senza nemmeno pensarci, lo stroncò: «No».
        Tra sé e sé, quasi ringhiò. «Sai, sarebbe d’aiuto se, invece di limitarti a bocciare tutte le mie idee, ne proponessi qualcuna». Incrociò anche lui le braccia al petto, convinto che così avrebbe contenuto meglio la voglia di arrabbiarsi. «E, poi, perché non va bene la pizza? Ti è piaciuta, l’altra volta!»
        «L’altra volta non c’erano alternative. Ti sei presentato con quella e avevo fame, tutto qua». Fece un gesto scocciato con la mano, come se ogni cosa fosse ovvia.
        «Mettiti in testa che devi scendere ad un compromesso».
        «Non mi piacciono i compromessi».
        «Me ne sono accorto!»
        Per un momento regnò il silenzio, poi Draco sospirò rumorosamente, piccato; possibile che tutti i locali che più gli ispiravano non fossero adeguati a Potter? Era un tipo così poco fine, lui. «Questa storia è una gran cavolata», sbottò, «lasciamo perdere». Si alzò dalla sedia e fece per andarsene, con un’espressione incomprensibile stampata sulla faccia.
        «Cosa?» Spinto da una scarica di adrenalina avanzò di un passo, allontanandosi dal mobile a cui era stato appoggiato col bacino fino a quel momento. «Solo perché non ti lascio scegliere il ristorante, vuoi lasciar perdere?»
        Alzò le spalle, «Sì». Pareva amareggiato. «Comunque vada, almeno uno dei due si sentirebbe a disagio, perciò―»
        Harry lo interruppe: «Almeno uno dei due, dici? Cioè, se quello che è a disagio sono io, tutto okay, non t’importa, ma se devi essere tu a fare un piccolo sacrificio: per carità, non se ne parla».  
        «Devo ricordarti che ho accettato di andare in un dannato locale per babbani, forse?»
        «Certo che lo hai fatto – non vuoi che ti vedano con me!»
        Non osò correggerlo, considerato che aveva colto nel segno. «Resta il fatto che non c’è motivo per stressarsi tanto. Possiamo fare a meno di questa cosa».
        «Invece no». Si morse una guancia, «Non siamo mai usciti per cenare insieme».
        «Abbiamo cenato insieme decine di volte».
        «Si ma― ma non siamo mai andati fuori. Tipo, hm, appuntamento». Tacque brevemente. «Io ci tengo. Tu no?»
        Malfoy non rispose: non l’avrebbe mai ammesso, ma la domanda l’aveva messo terribilmente a disagio; insomma, un appuntamento? Ne voleva uno, certo, ma per qualche ragione non gli andava a genio l’idea di chiamarlo così – perché dare un nome alle cose le faceva sempre diventare più reali, quasi più spaventose.
        Vedendolo tacere, Harry lo punzecchiò: «Non t’importa? Se è così dillo e basta, non mi metterò di certo a piangere». Si sarebbe limitato a deprimersi un pochino, senza farlo notare a nessuno.
        Draco non volle decidersi ad aprir bocca, ma, sentendo il pressante bisogno di esprimersi, fece uno strano cenno muovendo le mani, un po’ le spalle, la testa, e mugugnò. Lui stesso l’avrebbe giudicato un messaggio incomprensibile.
        Eppure, l’altro credette di capire: sulle note di uno sbuffo abbassò lo sguardo, e si diede una manciata di secondi per prendere una decisione. «Chiamerò quello stupido locale per snob», decretò alla fine, mogio; aveva capito che l’unico modo per ottenere quella serata insieme era giocare alle sue regole. «Venerdì va bene?»
        Con la sorpresa negli occhi, e sempre senza parlare, Malfoy annuì.
        «Bene». Senza aggiungere altro, lo aggirò per uscire dalla stanza, serio in volto.
        Rimasto solo, Draco prese a fissare il vuoto davanti a sé. Non capiva: per quale ragione Potter si era arreso così? Stava cercando di fare il superiore, forse? Di dimostrargli quanto magnanimo fosse, o di come sapeva gestire una relazione meglio di lui?
        Strinse i pugni, turbato. Sapeva di non essere una cima in merito a rapporti e compromessi, ma non poteva accettare che qualcuno gli rinfacciasse in maniera tanto esplicita la sua incapacità. Non gli stava bene, affatto. Per questo, pestando i piedi lungo il corridoio, lo cercò con gli occhi nelle varie stanze, deciso a mettere in chiaro alcune questioni.
        Lo ritrovò in sala, attaccato ad uno di quei suoi aggeggi babbani. Sarebbe subito intervenuto sbottando qualcosa, se solo non gli fosse stato fatto cenno di tacere: Harry stava già parlando con qualcuno, a quanto pareva.
        «Ho capito», lo sentì dire. «Arrivederci». Riagganciò il telefono con stizza, inspirando profondamente. «Mi hanno riso in faccia», fece, cupo.
        «Chi?»
        «Quelli del ristorante. A quanto pare è assurdo chiamarli con solo tre giorni d’anticipo – sono già pieni per venerdì».
        Draco ci rimase male, ma non lo diede a vedere: in fondo, quella poteva essere un’occasione di rifarsi del torto subito. «D’accordo», proclamò solenne quasi controvoglia, «fa lo stesso».
        «Prima insisti all’infinito per andare in quel posto, e poi non t’importa se è pieno? Che fai, mi prendi in giro?»
        «No». Tutto compunto, gli rivolse un’occhiataccia.
        «Allora che ti prende?»
        «Mi sono semplicemente reso conto che, come al solito, volevi fare il superiore, dimostrare che sei quello migliore dandomi un contentino».
        «Quale contentino?» Non voleva credere alle proprie orecchie: aveva rinunciato ad ogni pretesa pur di farlo contento, e veniva anche accusato? Gli parve assurdo. «Stavo solo cercando di organizzare una cena!»
        «Okay, allora organizzala: scegli tu il ristorante». Lo disse emulando una gran convinzione, ma se ne pentì quasi immediatamente: stava correndo il rischio di ritrovarsi a passare una serata interminabile in un posto orribile. Eppure, pur di tenergli testa, di dimostrargli di essere al suo livello, rimase fermo sulla propria posizione.
        «Vuoi che lo scelga io? Ma se fino a dieci minuti fa bocciavi ogni mia proposta!»
        Senza ribattere, Malfoy alzò le spalle. Aveva reagito infantilmente? Forse, ma se non altro poté sentirsi meglio con se stesso: non sopportava fare sempre la figura di quello in difficoltà che non sa come gestire una storia, e non tollerava il confronto con Potter che, con tutta quella sua tediosa naturalezza, era capace di invitarlo a cena e di parlare di appuntamenti.
        All’oscuro del nonsenso presente nella mente di Draco, Harry scosse il capo, sbuffando. «Insisterei nel chiedere spiegazioni, ma, sai― non importa, va bene così». Gli piacque pensare che l’altro fosse in preda a qualche raptus di gentilezza, e che lo stesse applicando in una delle sue contorte maniere. «Ti ringrazio per la fiducia, e: troverò un posto decente, vedrai».
 
 

        E lo fece.
        Il ristorante che scelse, almeno sulla carta, appariva perfetto: non era d’alta classe, ma era abbastanza elegante; le specialità del menù non erano cibi strani, come li avrebbe definiti Malfoy; aveva persino una certa fama. Era così fiero di sé per averlo scovato: pareva essere il locale in grado di metterli d’accordo.
        Peccato che fosse anche chiuso.
        Loro lo scoprirono quando ormai era troppo tardi, la sera della cena: si erano materializzati in un vicolo lì vicino, avevano raggiunto il locale sotto la pioggia – perché pioveva, e anche piuttosto forte – e a dare loro il benvenuto videro solo il cartello chiuso. Neanche a dirlo, non la presero molto bene.
        «Non ti eri informato?» Se ne uscì subito Draco, irritato.
        Harry, terribilmente deluso, balbettò per un istante senza emettere suoni. «È un posto grande e non è» tentennò «da fighetti. Non pensavo ci fosse bisogno di prenotare!»
        Non volle crederci. «Fai sul serio?»
        «Poi, dài― quale ristorante chiude il venerdì?»
        «Questo, a quanto pare». Sbuffando, si pentì di aver affidato a lui l’organizzazione. Si mise le mani in tasca in un gesto di rabbia, e mormorò, amareggiato: «Sapevo che questa serata sarebbe stata un disastro. Andiamocene, non mi va di stare qua a bagnarmi».
        Tanto dispiaciuto, Potter corrugò la fronte e si sforzò di trovare una soluzione. «Cerchiamo un altro posto», propose, parlando veloce.
        «Uh?»
        «Qui nei dintorni ci saranno dei locali aperti. E se non ci sono, possiamo smaterializzarci e cercarli altrove!»
        Non del tutto persuaso e alquanto infreddolito, Draco mugolò tra sé e sé. «Va bene», buttò lì, pensando che, considerata la cura con cui si era preparato per quella stupida uscita, sarebbe stato un peccato rientrare subito. Inoltre, a quel punto avrebbero anche potuto rifugiarsi in qualche ristorante di classe: non gli sarebbe affatto dispiaciuto.
        S’incamminarono sotto la pioggia, affiancati sotto ad un ombrello scuro che, non essendo abbastanza ampio, finì con il lasciare allo scoperto una delle spalle di Harry. Lui non si lamentò. Ciò che disse, invece, fu: «Mi spiace. Avrei dovuto chiamare». Si sentiva davvero in colpa. «Ci avevo anche pensato, ma giuro: non credevo fosse necessario, e― hm, ho sbagliato, ecco».
        L’altro lasciò passare una manciata di secondi prima di ribattere, come se una pausa di silenzio potesse dare più importanza alle sue parole. «Non ti sei dimostrato un grande organizzatore», borbottò, «ma può capitare, immagino». Si stupì da solo della propria magnanimità, e se ne compiacque.
 
 

        Camminarono per quelli che forse furono dieci minuti, poi, scorgendo un’insegna, si accostarono al lato della strada, cercando di capire in che tipo di locale fossero incappati.
        «Questo posto non m’ispira».
        «È aperto, dentro c’è gente; non sarà terribile».
        «Non possiamo optare per un ristorante più» esitò, alzando le spalle «fine
        «Siamo nel bel mezzo di una strada, perciò niente magia, e―»
        «Cerchiamo un vicolo».
        «Diluvia». Con una spalla ormai completamente bagnata, Harry decise d’impuntarsi. «Entriamo».
        Malfoy, immusonito, lo accontentò. E se lui, una volta che furono dentro, non vide che la conferma dei propri sospetti, l’altro invece si stupì, mugugnando dalla delusione: non era affatto un bel ristorante. Insomma, non era adatto ad una prima uscita – non era memorabile, né tantomeno arredato con gusto.
        Li fecero accomodare ad un tavolo piuttosto in fretta, e la prima cosa che fece Draco fu controllare che le posate fossero pulite. «Detesto questo posto», decretò poi, irremovibile.
        «Dagli una chance». Dicendo così, Potter parlava anche a se stesso: doveva convincersi che la loro cena poteva ancora avere senso. In fondo, il locale era solo marginale – l’importante era che fossero lì insieme.
        Una cameriera accorse rapidamente, con un sorriso tirato stampato in faccia e i capelli ramati stretti in un concio spettinato. «Pronti per ordinare?»
        Sfoderando uno dei suoi sguardi di ghiaccio, Malfoy schioccò appena la lingua. «Mi sono praticamente appena seduto, ma certo, sono pronto per ordinare», borbottò, stringendo in una mano il foglio plastificato su cui era stampata la lista delle pietanze. «Il menù» era quasi esagerato definirlo tale «è così incredibilmente povero che l’ho letto in venti secondi».
        «Contieni l’acido», lo apostrofò Harry, scusandosi al posto suo con la povera cameriera, che aveva preso male tutta quella cattiveria improvvisa; l’aveva turbata tanto da portarla a decidere di prestare attenzione solo a quello gentile dei due: fu lui, infatti, ad ordinare per entrambi, e a guadagnarsi un sorrisino civettuolo.
        Non appena la ragazza si fu allontanata, brontolò: «Perché le hai risposto così?»
        «La mia era una semplice osservazione, e lei è stata poco professionale: non mi ha neanche guardato in faccia».
        «Sei stato scortese. È assurdo che debba dirtelo io; fai o non fai parte dell’alta società? Dov’è finita la tua etichetta?»
        Non riuscendo ancora ad accettare l’idea di essere incastrato lì e di non poter andare in un ristorante degno della sua persona, Draco si lasciò sfuggire un mezzo ringhio piccato. «Non esiste etichetta per quando si è circondati dallo schifo», sbottò incrociando le braccia.
        A quel punto, Potter iniziò ad avere qualche dubbio sul fatto che la scelta del ristorante non contasse quanto quella della compagnia; con uno come Malfoy, probabilmente il locale giusto faceva davvero la differenza. In ogni caso, era troppo tardi per pensarci. «L’atmosfera non è granché, ma magari il cibo è buono», fece, nel triste tentativo di non perdersi d’animo.
        Purtroppo, fu un tentativo fallito. Infatti – messa da parte la loro apparente incapacità di intavolare un discorso –, neanche il cibo si rivelò all’altezza, e ciò fu motivo di una seconda scossa di avvilimento. Sospirando, cominciò persino a domandarsi per quale assurda ragione uscire insieme gli fosse sembrata un’idea tanto geniale.
        Mentre lui s’interrogava, Draco, invece di sparare lamentele sulla cena, si raccolse per un momento di profonda riflessione: era certo di aver intravisto la cameriera rivolgergli una strana occhiata e, guardando il proprio piatto, aveva iniziato a pensare male. Che quell’antipatica avesse combinato qualcosa di spiacevole alla povera bistecca che gli avevano servito?
        «Lo ammetto: ho mangiato cose migliori», mormorò d’un tratto Harry, mesto.
        «Ceneremo con il vino», propose l’altro con una serietà disarmante, reduce dalla saggia decisione di non avventarsi sulla carne. «Almeno questo è accettabile», appuntò dopo averne bevuto un sorso.
        Malgrado nella scena fosse presente una vena umoristica, Potter non si rallegrò – anzi, praticamente si depresse, abbassando la testa.
        «Perché quella faccia?»
        Per un istante, tacque: doveva sfogarsi e dirgli ciò che gli stava passando per la testa, o no? Scelse di farlo, premettendo: «Avevi ragione. Questa serata è un disastro».
        Malfoy non commentò, limitandosi a bere altro vino.
        «La prima cena fuori dovrebbe essere un bel ricordo, ma a quanto pare non ci sono speranze». Abbandonò le posate nel piatto, colto da un lampo di rabbia. «Prima litighiamo per scegliere il ristorante, poi lo troviamo chiuso perché non ho chiamato; e ora siamo qui con questa roba» indicò la carne, amareggiato «e― e, beh, non siamo neanche in grado di parlare di qualcosa per distrarci. È una situazione fastidiosa – scomoda, ecco». Riprese fiato brevemente, prima di concludere: «Dovevamo lasciar perdere, come avevi detto tu».
        «Credevo ci tenessi».
        «Infatti», scrollò le spalle, «ma immagino non fosse destino».
        Per un momento Draco si distrasse, notando che la cameriera con il concio spettinato stava guardando dalla loro parte e che, in particolare, fissava Potter. Dovette fare uno sforzo notevole per non dar peso alla questione e concentrarsi sulla conversazione in corso, e comunque non ottenne i risultati sperati, perché tutto ciò che riuscì a dire fu: «Sei noioso quando fai il depresso». Le sue intenzioni erano buone, ma di certo quello non era il modo migliore per dimostrarlo. Se ne rese conto quasi subito, e si affrettò a rimediare: «La serata non è finita», buttò lì, senza il timore di ricorrere a qualche piccola bugia, «e non è neanche terribile come l’hai dipinta».
        «Tu sei il primo ad averla definita un disastro».
        Roteò gli occhi, «Poteva essere anche peggiore. Insomma, sì, abbiamo litigato a vuoto per un’ora a causa di questa faccenda, ma non dovresti stupirti». Bevve l’ennesimo sorso di vino, «Litigare è la nostra cosa».
        «La nostra cosa
        «Già. Dovresti averlo capito da un pezzo». Accennò ad un ghignetto compiaciuto. «Poi, il ristorante era chiuso perché ho lasciato l’organizzazione a te. Grosso errore».
        «Sai, non ho ancora capito perché l’hai fatto».
        Malfoy fece un gesto insensato, borbottando qualcosa d’incomprensibile: non voleva tornare in argomento. «Sto ammettendo di aver sbagliato, possiamo concentrarci su questo?»
        Sorrise. «Sì, perché no».
        A vederlo di nuovo contento, si sentì un po’ meglio. «Vuoi ancora che sia una bella serata?»
        «Certo».
        «Allora hai due possibilità: puoi portarmi in un ristorante chic all’istante», lo guardò intensamente, sperando di risultare più persuasivo, «oppure puoi offrirmi un’abbondante quantità di vino».
        Harry ci pensò su, perplesso. «Vada per il vino».
        «Bah». Corrucciò la fronte, «Per un attimo ci avevo sperato».
        «Te l’ho detto, non mi trascinerai in un covo di snob». Rifletté ancora, afferrando il proprio bicchiere. «Per quanto inadeguato sia, questo ristorante ci mette d’accordo».
        «Hm?»
        «Siamo d’accordo sul fatto che non ci piace. È un inizio».
        «Se vogliamo metterla così».
        Da quel momento, le cose andarono un po’ meglio. Forse fu perché Malfoy si mise il cuore in pace, dimenticando il locale di classe e iniziando a smaltire la cattiveria che aveva in circolo; o, forse, fu perché Potter si era accorto che, cattiveria o meno, aveva cercato di tirargli su il morale. Ovviamente, l’aveva apprezzato. In ogni caso, si sciolsero un po’, e improvvisamente chiacchierare parve loro più facile che mai.
 
 

        «Ho notato che la cambia tutti i giorni». Corrugò la fronte, concentrato: Draco si stava veramente impegnando per raccontare quella storia. «Non mi ricordo se l’ha sempre fatto o se ha iniziato da poco, ma― lo fa. Ha sempre una tazzina diversa». Stavano parlando di Narcissa. «Una per ogni giorno della settimana».
        Era un argomento banale, ma per qualche ragione Harry lo trovava incredibilmente interessante. «Cioè, ha tipo la tazzina del lunedì?»
        «Sì. Non capisco perché».
        «Magari si diverte».
        «Collezionare tazzine è divertente?»
        «Non so, forse lo è». Non si ricordava nemmeno come fossero finiti a parlare di una cosa tanto futile, ma farlo gli piaceva: trovava molto appagante il fatto che Malfoy gli raccontasse quei dettagli della sua vita. Lo faceva sentire importante. «È bello passare del tempo insieme», commentò, con una gran smorfia contenta sul viso. «Dovremmo farlo più spesso».
        «Noi passiamo del tempo insieme. Anche troppo».
        «Troppo?»
        «Passo almeno tre notti a settimana a casa tua».
        «Non è molto. E poi, non facciamo mai niente».
        Versandosi altro vino, gli scoccò un’occhiata allusiva. «Quello dell’altra notte tu lo chiami niente
        Potter, colpevole, non poté che sorridere. «Niente a parte quello, intendevo. Parliamo poco. E se parliamo, litighiamo». A quel punto, le labbra persero la loro piega all’insù. «Poi, a parte stasera, non siamo mai usciti».
        «So che senza di me ti annoi a morte, Potter», lo prese in giro l’altro, atteggiandosi a prima donna facendo un gran gesto con una mano, «ma non posso passare con te più tempo di così».
        «Perché?»
        Draco fece per rispondere, ma all’ultimo si bloccò: sentiva le parole solleticargli la punta della lingua, ma per quanto si sforzò non riuscì ad identificarle, sfocate com’erano nei suoi pensieri. «Ehm, non mi ricordo», ammise in un soffio. Per un istante, poi, fissò il proprio bicchiere: forse, l’aveva svuotato una volta più del dovuto.
        «Uffa».
        Chissà come, quel lamento sommesso lo fece intenerire. «Beh, magari ogni tanto possiamo fare come stasera», borbottò, tanto per accontentarlo.
        Come un bambino, Harry s’illuminò: probabilmente, era anche lui un po’ brillo. «Possiamo?»
        «Ogni tanto».
        Sorrise di nuovo, «Ti ho mai detto che mi piaci di più quando bevi un pochino?»
        «Me lo dici tutte le volte che bevo».
        «È vero». Ridacchiò appena.
        «Potrei offendermi, sai?»
        «Hm, ma dico solo che sei più tollerabile. Insomma, quando sei sobrio ci sono dei momenti in cui mi fai così tanto incavolare che―» con aria ingenua, lasciò per un attimo la frase in sospeso, come se stesse cercando le parole più adatte per terminarla: «che vorrei pestarti!» Immedesimato nei propri ricordi, eseguì una strana serie di gesti.
        Prontamente, Malfoy li riconobbe: «Oh, intendi quando fai così
        «Così come?»
        «L’hai appena fatto», sbottò, ghignando. «Pieghi la testa così, e mi guardi male, e fai questa cosa strana con la lingua». Cercò di imitare quei gesti, scimmiottando la sua espressione arrabbiata.
        «Ehm, credo di sì». Divertito, si domandò se davvero appariva tanto ridicolo quando era arrabbiato.
        «Pensavo che significasse che avevi voglia di fare sesso, non di pestarmi», confessò, prima di bere un sorso di vino.
        Colpito, Potter si diede un secondo per ponderare la questione. «Beh, hm», fece poi, fingendosi serio, «magari significa entrambe le cose».
        Sciolto dall’azione dell’alcol, Draco rise; fu una risata sincera, a cuor leggero, di quelle che poteva permettersi solo di rado. «Niente batte il sesso arrabbiato», affermò poi.
        «A me piace più quello pacifico». Con quella battuta, dal piano degli scherzi il discorso parve scendere al piano della serietà: esso si rivelò più accogliente del previsto, tant’è che entrambi accennarono un sorriso.
        Improvvisamente colto da un buffo senso di imbarazzo, Malfoy sentì il bisogno di cambiare argomento. «Voglio un dolce», asserì.
        «Uh?»
        «Ne avranno qualcuno, immagino».
        Realizzando che si trattava di un desiderio vero, Harry si riscosse. «Penso di sì», disse, per poi guardarsi attorno alla ricerca di un cameriere a cui rivolgersi. Vide la ragazza coi capelli ramati, e fece per attirare la sua attenzione con un braccio, ma l’altro lo fermò.
        «Lascia, faccio io», mormorò infatti Draco, rivolgendo alla tipa un’occhiata minacciosa.
        Ordinò del tiramisù. O, almeno, quello che spacciavano per tale. Quando glielo servirono, Potter ne approfittò per chiedere il conto.
        «Non è tardi», buttò lì una volta che la cameriera si fu allontanata. «Credo che piova ancora, ma» esitò «ti va di fare qualcos’altro, prima di tornare a casa?»
        Mangiucchiando distrattamente il dolce, Malfoy mugugnò un «Hm» che, nella sua testa, voleva dire – non si soffermò a precisarlo, proseguendo: «ma sappi che non entrerò in un altro locale scadente».
        «Un pub? No?» Non gli parve molto convinto, ma non volle demordere: «Potremmo bere qualcosa che non sia vino».
        «Oh, dunque vuoi farmi bere ancora?» Assottigliò gli occhi, «Stai cercando di intontirmi per portarmi a letto, per caso?»
        Stando allo scherzo, Harry alzò le spalle. «Può essere».
        Di lì a poco, la ragazza con il concio spettinato ricomparve, dicendo: «Ecco il conto». Poggiò un foglietto di carta sul tavolo, lasciandosi sfuggire un sorrisino dolce dedicato a “quello simpatico”. «Quando siete pronti, potete pagare a me al bancone», aggiunse prima di fare dietrofront, recuperando il piatto ormai vuoto su cui era stato servito il tiramisù.
        Potter, senza neanche pensarci, sorrise a sua volta. «Grazie».
        A Draco quell’amorevole scambio di battute non piacque. Piccato, afferrò il foglio appena consegnato e sbirciò la somma da pagare, come se fosse pronto ad offrire; dopo aver costruito l’illusione, però, lo ripose laddove l’aveva trovato, per poi farlo scivolare davanti all’altro con un gesto noncurante.
        Non sapendo bene come reagire, Harry corrucciò la fronte. «Offro io, hm?»
        «Credevo l’avessimo stabilito sin dall’inizio. Tu hai invitato me».
        Non riuscì a spiegarsi l’improvvisa comparsa di una nota acida nella sua voce, ma cercò di soprassedere. «D’accordo, d’accordo», soffiò, «in effetti me l’aspettavo. Ma sappi mi aspetto anche un ringraziamento coi fiocchi». Recuperò il portafoglio, «Vogliamo andare subito?»
        «Decisamente. Non vedo l’ora di uscire da qui». Si alzarono, diretti al banco bar: un lieve capogiro lo colse, e finì col rimanere un passo indietro. Fu a quel punto, con la testa ancora leggera, che scorse la cameriera sfoggiare l’ennesimo sorriso guardando Potter. Brillo e infastidito, sulle note di un ringhio soffocato, fece quello che fece.
        Non avrebbe saputo dare a quel gesto una connotazione razionale – gli venne spontaneo, ma di una spontaneità particolare, come quella delle scene nei sogni: tese un braccio, lo costrinse a girarsi e, dopo un attimo di esitazione, gli diede un bacio. Così, senza avvertimento.
        «Hm―» Colto di sorpresa, Harry non poté non notare che la gente ai tavoli vicini prese a scoccare loro occhiate incuriosite. Qualcuno, per ragioni che non volle analizzare, si voltò dall’altra parte mostrando persino un’espressione disgustata. In ogni caso, se ne fregò, ignorandoli in blocco.
        «Era― era il tuo grazie?» Fece non appena rientrò in possesso della propria bocca.
        «Sì, quello e―» tentennò «un regolamento di conti». Abbassò la voce sino a un sussurro: «Quella gatta morta della cameriera ti aveva fatto gli occhi dolci troppe volte».
        Istintivamente, ridacchiò. «Cosa?» Rifletté un istante, piegando il capo da una parte. «Fai il geloso per così poco?»
        Alzò gli occhi al cielo, glissando la domanda. «Mentre paghi, prendo l’ombrello».
        Divertito, Potter non replicò, avvicinandosi al bancone. La ragazza coi capelli ramati, che aveva suo malgrado assistito alla scenetta, gli rivolse uno sguardo a metà tra il sorpreso e il dispiaciuto. O, almeno, così a lui parve: non prestò molta attenzione alla cosa, limitandosi ad allungarle il denaro.
        Aspettando il resto, si voltò ad osservare Malfoy che, tutto tranquillo, attendeva sulla porta con l’ombrello in mano. Sorrise tra sé e sé, più che convinto che, col tempo, quella serata sarebbe diventata un gran bel ricordo.





 
 

 
Angolo di Tormenta

Questa OS altro non è che una sorta di missing moment di una delle storie che ho scritto (quale, è piuttosto intuibile dal titolo). :) 
Era l'ultimo racconto della raccolta. Spero che vi sia piaciuto! Vi ringrazio infinitamente per aver letto e seguito sin qui. Forse prima o poi me ne salterò fuori con qualche altro scritto. Per adesso, vi saluto e vi auguro una buona estate! :* 

Un grandissimo abbraccio... e alla prossima! C:
Vostra T. ♪


 
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