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Autore: Shibuto    06/07/2015    0 recensioni
Mi sono rotto il cazzo di tutto ciò. Di me. Di me in primis. Ho ancora troppo tempo davanti e mi conosco perfettamente, nei miei dubbi risolti e nei miei aneddoti irrisolti e irrisolvibili nei quali mi crogiolo nel mio tempo inutile buttato nel cesso. Ho solo qualche domanda alla quale non sono assolutamente in grado di risolvermi. Se mi vado bene così, se mi voglio così. C'è anche un altro quesito a cui non so rispondere: LEI mi vuole così?
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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23 dicembre 2014. Finalmente potevo correre. C'è una cosa che amo tutt'ora fare nel mio tempo libero: correre. Mi sento libero, vuoto da tutti i pensieri. Correre con del punk o del jazz sparato nelle orecchie è l'ideale. Correre col freddo, è l'ideale. L'ideale per lo sfogare la disperazione, la frustrazione più profonda, per colmare la solitudine e il sentirsi solo (concetti ben diversi tra loro), per salvarsi dal crogiolarsi nelle lacrime e nelle luci che sfocate, soffuse che con fatica appaiono nei miei occhi quando s'improvvisano un'ampolla per le lacrime, ampolla che si svuota quando le lacrime accarezzano aspramente il viso. Non m'interessava molto della mia famiglia: avevo ricevuto l'ordine di rimanere in casa, ma avevo troppo bisogno di correre: urlare, sferrare i pugni al solito maledettamente familiare muro in Via Amendola, vicino il mio Liceo. Il mio Liceo, avrei dovuto studiare quel pomeriggio, compiti delle vacanze. La scuola era l'unica cosa nella quale andavo modestamente bene, i miei voti oscillavano tra il 7 e l'8. Dissi a mia madre sarei tornato dopo 5 minuti, e tornai dopo 1 o 2 ore. Rimasi nel parco, sdraiato sulla panchina col mio Harrington indosso, a guardare la foto di Ilaria e a piangere. Mi sentivo ridicolmente a casa: il mio polpaccio e i miei piedi uscivano dalla panchina, le lacrime quasi mi congelavano sulle guance, la gente mi guardava male, le nocche mi piangevano, e le sentivo pizzicare oltre che fredde.. immagino stessi sanguinando. Tornato a casa non ci feci caso: entrai in casa con un sorriso falso e chiedendo scusa del ritardo, presi un panino e andai sul balcone: guardavo nella direzione di casa di Ilaria, sperando timidamente si affacciasse. Ore passate lì a tremare, come un coglione (tale sono), facendosi durare un panino per circa 3 ore, non avevo voglia di mangiare. Nulla, nulla di nulla. Non si affacciò. Però la vidi attraverso la finestra, stava sentendo la musica sul letto. D'altro canto anch'io ascoltavo la musica in quelle ore, Pink Floyd e Lo stato sociale: mi facevano sembrare quelle ore minuti. Mi sentivo abbastanza idiota a non andare a citofonare a casa sua, ma mi vergognavo troppo. Mi sentivo geloso delle note alle cui lei dedicava la sua attenzione, ero patetico. Ero, e forse lo sono. Giunta la sera. Lacrime sconfortamente ripetitive. Le luci provenienti dalla sua camera tiepide, soffuse, e sfocate dagli spiacevoli prodotti degli occhi. Erano così accattivanti quelle luci.. un pò come lei, ecco.
   
 
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