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Autore: Rubina1970    07/07/2015    3 recensioni
Storia prima classificata nell’Anime Pairing Contest indetto da Sarah.H sul Forum di EFP.
Coppia: Georgie / Abel.
Gli anni ’80: un periodo spensierato, perfetto per vivere il primo amore. Gli anni dei pantaloncini a vita alta, dei colori forti, di Cindy Lauper e di Bruce Springsteen. Tra segreti da (non) mantenere e primi turbamenti di cui non si sa ancora il nome, tra i desideri e le insicurezze dell’età, Georgie e Abel si troveranno bloccati da soli in una baita alpina.
Questa storia supera i conflitti dell’originale con sfacciato ottimismo, ispirandosi sia all’anime che al manga, e tradendoli allegramente tutti e due: c’è anche un leggero OOC che riguarda Arthur (e solo lui, niente paura!).
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abel Butman, Arthur Butman, Georgie Gerald
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Yumiko Igarashi e Mann Izawa; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.


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Georgie uscì di corsa, diretta al fondovalle. Era il giorno del ritorno di suo fratello Abel, che per un lungo periodo era andato a studiare a Bonn, capitale della Germania Federale. Chissà quante cose avrebbe avuto da raccontare! Ridendo, la ragazza superò il bancone del rifugio, dietro il quale Arktur era intento ad affettare lo speck per il cliente che l’aveva richiesto:
 
― Allora, ciao! Torno presto, e non torno sola!
 
― Ciao, Georgie! Sì, mi raccomando, tornate subito, o la mamma perderà la pazienza! – Arktur aveva ragione, ma custodiva anche motivi personali per voler rivedere al più presto suo fratello maggiore. Temeva che, restando troppo a lungo con sua “sorella”, Abel avrebbe finito per dire cose che per nessun motivo lui avrebbe voluto rivelarle …
 
― Ma sì, ma sì! Mi sbrigo, ciao! – Georgie uscì, e anche quel giorno, un paio di ragazzotti la salutarono col solito soprannome:
 
― Ehi, dove te ne vai così di corsa, Engländerin[1]?
 
― Viktor, torna Abel, oggi! – esclamò la ragazza senza neanche voltarsi. Ma anche quel giorno, mentre prendeva la seggiovia che da una certa quota portava fino a Santa Cristina (ridente località sciistica della Val Gardena), la ragazza si pose una domanda. Come le capitava fin da bambina, si chiese quale fosse la dannatissima ragione per la quale i suoi le avevano voluto dare proprio un nome inglese, difficile da pronunciare per la gente del luogo, un nome che la faceva notare anche quando non ce ne sarebbe stato motivo.
 
Georgie era modesta, e non capiva che ci sarebbe stato sempre motivo di notarla, bella com’era: bionda e piena di boccoli aggraziati, vita stretta e decolleté appariscente, occhi verdi pieni di pagliuzze d’oro e luce. Era inconsapevole anche della vera ragione della fretta di Arktur: il ragazzo, così come Abel, non era suo fratello. Da piccolissima era stata trovata, sui gradini della chiesa del paese, con indosso solo due elementi che facessero un minimo riferimento alla sua identità: un ciondolo a forma di cuore, con una “G” incisa da un lato e un rubino, incastonato in uno stemma, dall’altro; ed una lettera disperata, scritta a matita su di un fogliaccio, che diceva solo “abbiate pietà e cura di Georgie”. Ecco la provenienza del suo nome e del ciondolo che tutti le avevano sempre raccomandato di non perdere. Col sagrestano, in quel momento, c’era solo quel brav’uomo che col tempo sarebbe diventato suo padre adottivo, e questi aveva supplicato il curato di fare l’impossibile perché la bimba fosse data in adozione a lui e a sua moglie Marie. Essi si erano trasferiti dall’Austria nel rifugio diroccato, sull’alpe, all’inizio di quell’inverno in cui la bambina era stata trovata. Quando le pratiche furono pronte, i lavori di ristrutturazione del rifugio stavano appena per essere ultimati. Quindi, nessuno in paese li aveva conosciuti bene fino ad allora, e nessuno seppe mai nulla dell’adozione.
 
I suoi genitori si erano sempre riproposti di dirle, un giorno o l’altro, la verità. Ma poi suo padre era morto quando lei era ancora piccola, e sua madre e i suoi fratelli, consapevoli anch’essi del segreto, non se l’erano sentita. Col tempo, i due ragazzini, sempre protettivi ed affettuosi verso di lei, avevano cominciato a provare un sentimento più intenso e per niente fraterno nei suoi confronti. E sua madre, un sentimento aspro, di timore per i suoi figli maschi, un sentimento per niente materno per la povera orfana di origini ignote.
 
Georgie arrivò in paese e si diresse subito alla piazza dove fermavano le corriere.
 
― Quella delle dieci da Ponte Gardena? Sì, è arrivata da una decina di minuti. – le disse un suo vecchio compagno di scuola che ora lavorava per il municipio. – Ma se è Abel che cerchi, ha detto che andava a prendere qualcosa al Goldener Engel! Eheheh!
 
Georgie ringraziò, non capendo perché il ragazzo ridesse. Avrebbe fatto meglio a chiederglielo … Entrando nella stube[2] dell’hotel, fu investita dalle note di Cindy Lauper: “Don’t you know girls just wanna have fun … Oh, girls just wanna have …”[3]. Cercò Abel in giro con gli occhi e non lo vide. Allora venne avanti e un tavolo laterale, prima coperto da un pilastro, entrò nella sua visuale. Un ragazzo alto, dai capelli scuri e lisci, lucenti, stava baciando una ragazza bruna e riccia con passione. No, non era … o sì? Sì: Abel!
 
A Georgie il cuore sembrò fermarsi nel petto, quando incrociò lo sguardo azzurro del giovane, che aveva alzato gli occhi al di sopra della capigliatura della ragazza. Non voleva che Abel, appena arrivato, avesse un appuntamento con un’altra persona. Non voleva che, invece di aspettare lei o la famiglia (lei!), si fosse subito allontanato dalla piazza per stare con una del paese. Non voleva … non voleva! Non voleva che la baciasse così … e in nessun altro modo …
 
Il giovane si alzò sorridendo, disse allegramente “Ciao, Jessica!” guardando appena la ragazza mora, poggiò mille lire sul bancone e le venne incontro, col suo sorriso luminoso e aperto di sempre.
 
― Georgie! – esclamò, poi l’abbracciò stretta, e Georgie ricambiò il suo abbraccio con felicità pura.
 
Un’ora e mezza dopo, Abel aveva raggiunto il rifugio e salutato tutta la famiglia. Stava vuotando già le valigie quando suo fratello entrò.
 
― Arktur! Che c’è, ti serve aiuto di là, c’è gente, vero? adesso vengo.
 
― Sì, arriveranno tra un po’. Per questo volevo parlarti subito. Che fai, hai deciso? ti fermi?
 
― Sì. Così tu non sarai più costretto a stare al rifugio estate e inverno e potrai tornare a guidare i gruppi, come piace a te. E io, finalmente, l’inverno prossimo ricomincerò ad insegnare sci.
 
― Già … Mi fa piacere … Abel? Non hai mica intenzione di fare cose strane, vero? Non dirai niente a Georgie …
 
― Uffa, ma è un chiodo fisso il tuo!
 
― E lei è il tuo chiodo fisso!
 
― … è vero … No, per ora non glielo dico. Contento?
 
― Quasi. Promettimi che non glielo dirai mai. Io lo so quello che provi. Lo so benissimo, perché lei è … così meravigliosa … Ma promettimi che non le darai questo dolore!
 
― No, non te lo prometto. Ti prometto solo che cercherò di fare del mio meglio, aspetterò che lei se la senta, per ora non le dirò niente, ma non ti posso promettere altro. E il discorso si chiude qua. Vado a dare una mano di là, la mamma e Georgie sono da sole.
 
Abel uscì. Con lui non era facile fare una conversazione, non cambiava mai idea su niente e poi faceva di testa sua. Arktur provò una gran rabbia per quel fratello che aveva viaggiato per due anni, avrebbe potuto avere qualunque ragazza e invece, appena arrivato, già pretendeva di sconvolgere tutto! Che ne sarebbe stato di Georgie, se avesse ricevuto una tale notizia? Poi, il giovane ebbe paura: suo fratello poteva avere davvero qualunque ragazza: anche Georgie! E gli vennero le lacrime agli occhi. Si guardò nello specchio e vide il secondo classificato, quello che perfino sua madre amava di meno. E non vide, invece, quello che chiunque altro vedeva benissimo: un viso delicato su di un corpo atletico, degli occhi azzurri espressivi e pieni di dolcezza subito sotto la frangia riccioluta ed ambrata, una bellezza già sbocciata e pronta ad emozionare.
 
 
**§**
 
 
Bastarono due mesi a cambiare tutto.
 
Georgie uscì di corsa, salutando Arktur che si trovava dietro il bancone del rifugio:
 
― Allora noi andiamo, ci vediamo dopo con i mirtilli!
 
Ma Arktur la salutò solo con un gesto, senza smettere di prestare attenzione alla fanciulla di fronte a lui. Si trattava di una villeggiante della capitale, molto graziosa e vivace, che appena arrivata aveva cominciato a guardarlo con gli occhi dolci. Arktur aveva opposto una strenua resistenza: si era detto che Roma era lontana, che il padre e il fratello se la sarebbero portata via per sempre, in capo a due settimane, e che lui aveva un ruolo che gli impediva di allontanarsi da Santa Cristina … Niente! Una sera di festa, in paese, lei si era messa un dirndl[4] e lui l’aveva trovata irresistibile. Non era riuscito a staccarsi da lei un momento, e poi, sotto i fuochi artificiali, lei gli aveva preso il viso tra le mani, lo aveva baciato sulle labbra e tutte le difese residue avevano ceduto. Arktur aveva risposto al bacio con grande intensità, abbracciandola stretta, e da allora non aveva più smesso. Quella notte, andando a letto, aveva pregato e riso da solo, aveva stropicciato a lungo il lenzuolo con una mano, aveva ascoltato il proprio cuore battere forte nel silenzio. Non erano i diversi boccali di birra che aveva mandato giù: era la contentezza del suo primo amore vissuto e corrisposto. E così Georgie era diventata, finalmente, sua sorella.
 
Georgie ed Abel s’incamminarono dunque per i sentieri tra i boschi e i rovi. Scarponcini (pedule, per la precisione) e bermuda, come si conveniva al terreno e alla stagione calda. La maglietta di Born in the USA[5] era strizzata nella cintura dei calzoncini color ciclamino di Georgie, dai quali spuntavano le sue lunghe gambe abbronzate. Quando il sentiero si strinse in un punto scosceso, in salita, con dei sassi aguzzi subito sotto, Abel la sorresse per un braccio, per sicurezza, mentre la faceva passare davanti a sé. La ragazza si dovette chinare leggermente, e il giovane non poté non osservare le sue curve, enfatizzate dall’abbigliamento che lei indossava.
 
I got a bad desire … Oh oh oh I’m on fire …[6] ― canticchiò Abel: un po’ gli era venuto in mente un successo di Bruce Springsteen guardando la maglietta di Georgie, e un po’ erano i suoi sentimenti che ribollivano e chiedevano di sfogarsi.
 
― A proposito, hai più visto Jessica?
 
“A proposito di che?!” , pensò Abel, improvvisamente nervoso.
 
― No! Mai! Perché?
 
― Niente. E perché non vi siete più visti?
 
― Oh … era solo una cosa così …
 
― Ah … ― disse Georgie, con l’aria di aver capito tutto, quando invece non capiva assolutamente niente di “cose così”. Lei non civettava nemmeno coi turisti!
 
Poi, quando ormai erano molto lontani, quasi sulla via del ritorno, di colpo il vento cambiò. E svoltando un costone, Abel vide le grosse nuvole scure a strati bassi che si avvicinavano. Presto avrebbero toccato la catena dolomitica opposta e sarebbero state costrette a fermarsi, scaricando il diluvio.
 
― Georgie … presto! – La ragazza alzò gli occhi e comprese al volo i segnali del cielo, aumentando il passo. A tornare a casa, non avrebbero fatto in tempo. Per fortuna, più in alto c’era una baita in disuso, accanto al ghiaione. Quel posto non solo offriva protezione, ma era anche privo di alberi, quindi poco adatto ad attirare i fulmini. Ci arrivarono correndo, perché avevano udito i primi tuoni. Abel dovette spingere forte per aprire la porta, e poi, di colpo, l’acqua. La montagna non aveva più nulla dell’atmosfera ridente e luminosa di poco prima, anzi era opprimente, con le vette invisibili oltre le nubi, e un muro d’acqua fitta sembrava imprigionare i boschi come dietro un vetro appannato. La luce che entrava nella baita era ridotta, poi se ne andò quasi del tutto: una nuvola tempestosa aveva avvolto l’alpe. La temperatura era scesa. Alcuni schianti vicinissimi, e Georgie urlò nella penombra squarciata dai lampi, aggrappandosi ad Abel.
 
― Georgie, no, non spaventarti. Siamo al sicuro, qui.
 
― Arktur dice sempre che i temporali in montagna sono pericolosi … ― la voce della ragazza tremolava.
 
― Solo se ti bagni i piedi e se non ti ripari dai fulmini, ma noi siamo lontani da tutto, e asciutti. – Abel la stringeva per confortarla, e dentro di lui scendeva una dolcezza enorme, mista ad un tipo di paura diverso da quello che provava Georgie. Aveva paura di soffrire ancora di più …
 
― Abel … senti … ma com’è che voi sapete tutto della montagna?
 
― Perché papà ci ha insegnato molte cose, quando era ancora vivo, mentre tu eri troppo piccola.
 
― Ma lui mi voleva bene, vero? Perché la mamma, a volte … non sembra. – Abel si sentiva stringere il cuore. Non piangeva mai, da tanto tempo, ma in quel momento stava per farlo.
 
― Ma tutti ti vogliono bene! E papà te ne voleva enormemente, non ti ricordi?
 
― Sì. Provo cose strane, a volte. Come se io non fossi di qui, se fossi diversa, come un’aliena. Ho anche un nome da aliena! Ma perché mi hanno dato un nome inglese, tu lo sai?
 
― …
 
Georgie si sentì gelare il sangue: il silenzio aveva tradito Abel, e lei capì subito che il ragazzo le nascondeva un segreto.
 
― Se c’è qualcosa che non so, devi dirmelo! Ti prego, perché io quello che provo non lo capisco, ma di te mi fido.
 
Abel udì uno schianto, ma Georgie non sobbalzò: non era un fulmine, era lui che si sentiva spaccare dentro. “Oh, Georgie! Che devo fare …?” fu il suo unico pensiero. Poi, smise di pensare. Diede un bacio sui riccioli biondi e profumati di mela verde di Georgie, e parlò.
 
Come i torrenti in primavera, irrefrenabili, corrono verso la valle portando con sé rami e tronchi, aggirando frane e ostacoli di ogni tipo, in cerca di un percorso verso il fiume maggiore dove sfogare una quantità d’acqua improvvisamente pesante, e balzano attraverso i dirupi, in fretta, rumorosamente, limpidi, così erano i sentimenti di Abel. Ma diversamente dai torrenti, le sue parole erano calde e tenere. E le sue lacrime erano salate.
 
― Tu non sei mia sorella. Lo sei diventata quando i miei ti hanno adottata. L’hanno fatto per amore, sai? E non mi chiedere chi era la tua famiglia perché non lo so, non lo sappiamo. Io so solo che ci eravamo trasferiti qui da poco quando ti trovarono, sola e piccola, sui gradini di una chiesa. Tutto quello che sapevano era il tuo nome e che il ciondolo che ti avevano messo al collo doveva essere importante. Sì, il ciondolo a forma di cuore racchiude un segreto, ma non lo conosciamo. E papà ha preteso di adottarti assolutamente, tanto ti amava. E io e mio fratello ti abbiamo amato subito, e non abbiamo smesso un giorno che fosse uno di amarti, di proteggerti da tutto, di volerti con noi.
 
Georgie aveva sbarrato gli occhi nella penombra. Era ancora stretta nell’abbraccio di Abel, che non la vedeva in viso, come lei non vedeva il viso di lui, ma la ragazza gli credeva e Abel lo sapeva, come si accorse che si era messa a piangere.
 
― No … non piangere. Tu sei amata! Arktur voleva che ti promettessi di non dirtelo, per proteggerti, perché non voleva farti piangere, e aveva ragione, accidenti a lui che ha sempre ragione! Ecco, è colpa mia … Ma lo vedi, piango anch’io. Piango perché ti amo e farti soffrire è insopportabile per me. Georgie, faremo come vuoi tu, tutto come vuoi tu: se vorrai parlarne con la mamma e Arktur quando torniamo, magari per cercare la tua famiglia, va bene, e io ti aiuterò. Se invece vuoi far finta di niente, non diremo a nessuno di oggi e resterai con noi per sempre, come vuole mio fratello. Ma parlami, per favore.
 
― Abel … ma che vuol dire che mi ami? … Jessica …
 
― No! – Il giovane prese dolcemente Georgie per le spalle, obbligandola a guardarlo – Le altre non esistono, per me! Io ho provato, sono partito per Bonn e mi sono visto con Jessica solo per dimenticare, per non pensare a te, ma tu … hai vinto. Sei stata l’unica, sempre! Mi hai fatto innamorare quando andavo in prima media e oggi sono qui che piango, lo vedi che non ce la faccio a trattenermi. Piango perché il mio amore è più forte di me, del buon senso, della distanza! E poi, tu volevi che fossi sincero, e allora …
 
― E allora lo sei stato, riguardo alla mia famiglia. Adesso tutto quadra. – la ragazza si faceva forza e parlava serenamente della sua situazione familiare, anche se la voce le tremava ancora: ― Capisco meglio la mamma e come mi tratta, te e Arktur, come mai voi vi somigliate tanto e io non vi somiglio per niente … Non ce l’ho con la mamma, in fondo l’hai detto tu che era papà a volermi adottare, e allora io cercherò di sforzarmi ancora di più perché capisca che è lei la mia mamma vera. Le dirò che so tutto, e magari mi aiuterà a cercare la mia famiglia, ma verrà prima lei. Papà, tu e Arktur siete stati sempre meravigliosi con me!
 
Ad Abel sembrò di rinascere: Georgie l’aveva presa bene! Però …:
 
― Ma riguardo a … non lo so. Quando sei arrivato … Jessica …
 
― Jessica?! Ma io non l’ho più vista, nemmeno la sera della festa, te lo giuro! Georgie … ma allora t’importa?! Tu sei gelosa … ― Abel sentì un sorriso crescergli irresistibilmente sulla faccia, dietro alle lacrime che non si fermavano.
 
― Sì … Io … ora capisco meglio la mamma, Arktur, te … e me … ― anche Georgie sorrise senza smettere di piangere. Accarezzò il bel viso di Abel con una mano, asciugandogli la guancia, e un attimo dopo chiuse gli occhi per lasciare che lui le regalasse il suo primo bacio.
 
No, quel ragazzo non era mai stato suo fratello! Quello di cui si era sempre vergognata prendeva forma cosciente in lei, mentre respirava lo stesso respiro di Abel. Abel … l’unico pensiero ormai, la felicità che la pervadeva proveniva dal suo calore, da quel bacio tremante e umido di lacrime con cui lui le offriva tutto il suo amore.
 
In linea con quello che accadeva nella baita, tra gli abeti spuntò il sole senza che smettesse di piovere. I baci si fecero continui, curiosi, intensi, e le lacrime salate si fecero più dolci. L’aria si scaldò, e la pioggia si fermò.
 
Mentre tornavano a casa, facendo attenzione ai tratti resi scivolosi dall’acquazzone e a non far cadere i mirtilli, Georgie sorrideva. Ogni cosa pareva più limpida e viva, e nell’aria si sprigionava un intenso aroma di conifere e resina, mentre i fiori di montagna (la genziana, l’erica, il bottondoro, la negritella, in alto la nobile stella alpina) luccicavano nel sole. E Abel si sentiva fortissimo, capace di smuovere il mondo, mentre rispondeva al sorriso aperto di Georgie!
 
― Sai, Georgie, tu hai tre cuori: quello che ti batte nel petto, quello che ti hanno lasciato i tuoi e il mio! Tutti e tre ti appartengono di diritto …
 

[1] “Inglese”, aggettivo femminile singolare in Tedesco.
[2] Approssimativamente, si potrebbe tradurre con “taverna”.
[3] Canzone di enorme successo di Robert Hazard, interpretata da Cyndi Lauper e pubblicata per la prima volta nel 1983, nell'album She's So Unusual (Epic). La versione che usciva dalla radio del Goldener Engel era proprio questa dell’83.
[4] Costume femminile tipico austriaco, bavarese e dell’Alto Adige.
[5] Album di Bruce Springsteen del 1984, di enorme successo (CBS Records).
[6] La canzone è “I’m on Fire”, appunto da Born in the USA. I versi cantati da Abel si possono tradurre così: “Ho un desiderio tremendo / sono in fiamme”, e si può ascoltare l’intero brano con testo e traduzione a fronte a questo link: http://www.rockintranslation.it/2014/09/im-on-fire-bruce-springsteen-video-con.html
  
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