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Autore: juniper_goblinfly    07/07/2015    0 recensioni
" Avevo creduto, inutilmente a quanto pareva, di potermi ritirare sulla mia piccola isola dopo la Grande Guerra, eppure la crisi del '29 aveva costretto me e molti altri a trovare un nuovo lavoro per poter sopravvivere. Ma ancora oggi, tre anni dopo, sono qui a fare il cacciatore di taglie, senza vedere la luce in fondo al tunnel nero che aveva inghiottito il mondo con la caduta di Wall Street. "
Ovvero di come amare vuole dire perdere tutto.
Genere: Angst, Avventura, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Tra mare e cielo
 





Avevo creduto, inutilmente a quanto pareva, di potermi ritirare sulla mia piccola isola dopo la Grande Guerra, eppure la crisi del '29 aveva costretto me e molti altri a trovare un nuovo lavoro per poter sopravvivere. Ma ancora oggi, tre anni dopo, sono  qui a fare il cacciatore di taglie, senza vedere la luce in fondo al tunnel nero che aveva inghiottito il mondo con la caduta di Wall Street.
 
Sbadigliai sonoramente, steso sulla spiaggia bianca di una minuscola laguna nascosta dalle rocce da una parte, tra cui si apriva uno stretto passaggio, e un fitto bosco dall'altra; il posto ideale in cui nascondersi se ti vogliono morto, soprattutto se a volerlo sono i peggiori pirati dell'Adriatico. Come ho già detto mi occupavo di rintracciarli e catturarli, intascando qualche soldo per averli consegnati alle autorità e, talvolta, prendendo in prestito un po' di denaro dai loro bottini. Ero il miglior aviatore italiano all'epoca, per questo non erano riusciti a prendermi mai una volta. Poveri sciocchi che ancora si ostinavano a cercarmi. Chiusi gli occhi, sghignazzando. Mi piaceva ripensare alle loro facce stupite quando, senza nemmeno un rumore, sbucavo davanti a loro con il mio idrovolante e, con un colpo ben assestato al motore, scivolavano in acqua. Probabilmente dovetti essermi assopito, perché quando riaprii gli occhi il cielo sopra di me si era fatto aranciato e nella sua  parte più scura  era possibile scorgere le prime stelle. Mi alzai lentamente, spazzando via la sabbia che si era tenacemente attaccata ai miei vestiti e mi avvicinai al mio vecchio trabiccolo, saltandoci dentro.
 
 Arrivai in pochi minuti alla mia taverna preferita,  arrampicata su uno scoglio. Quando vi entrai gli occhi di tutti si fissarono su di me, sapevano chi ero e io sapevo chi fossero loro. I tatuaggi sulla loro pelle dicevano tutto, così come le cicatrici sulle mani. Uno di loro attirò la mia attenzione, un americano a giudicare dalla piccola bandiera che teneva appuntata orgogliosamente al petto. Feci per andare a sedermi al mio solito posto, dove nessuno mi avrebbe disturbato, ma una mano mi afferrò per la spalla, stringendo la presa. Mi voltai, guardando l’uomo con calma. Era l’americano di poco prima.
 
-Lei deve essere il famoso aviatore di cui tutti parlano, il cacciatore di taglie, l’eroe italiano della guerra…- Lasciò la frase in sospeso, sorridendo in modo malevolo.
 
-Credo si stia sbagliando, vecchio mio, non sono affatto un eroe di guerra, ma si, sono un cacciatore di taglie.- Tirai corto, scansando la mano guantata ancora sulla mia spalla e cercando di sedermi al mio tavolo, ma ancora una volta lui si frappose tra quello e me. Sbuffai irritato.
 
-Mi perdoni, non è forse lei che pilota l’unico idrovolante rosso dell’Adriatico?- Assunse un’espressone innocente, ben conscio del fatto che tutta quella situazione non faceva che darmi sempre più sui nervi. Strinsi un pugno lungo il fianco, ma poco prima che potessi rispondere, Maria, la proprietaria della taverna, mi trascinò via con un sorriso, scusandosi con l’altro. Tirai un sospiro di sollievo solo quando riuscii a sedermi e a guardare negli occhi la mia salvatrice. Credetti di sciogliermi vedendo il suo sorriso a pochi centimetri da me.
 
 -Niente risse qui, lo sai bene…- Mi strinsi nelle spalle
 
 –Non lo avrei picchiato, almeno credo… In ogni caso, grazie Maria.-  Lei annuì e mi porse un bicchiere di vino rosso. Tenni lo sguardo basso su liquido scarlatto, bevendone poi un sorso, per scacciare i brutti pensieri che mi affollavano la mente. Come potevo dirglielo?
 
 -Avanti, dimmi che succede…-
 
Alzai la testa di scatto, deglutendo e umettandomi le labbra con la punta della lingua. Dovevo immaginarlo, lei si accorgeva sempre quando le nascondevo qualcosa.
 
 -Maria, è complicato…-
 
 -Nulla è complicato, semplicemente o una cosa la si vuole dire o no, il punto è questo. E tu non me la vorresti dire, ma ora, sbrigati, avanti, non me la dai a bere.- Mi fissò con quei suoi occhi neri e non potei che arrendermi.
 
-Parto.- Dissi semplicemente, distogliendo lo sguardo. Lei assunse un’espressione interrogativa.
 
 -E’ quello che fai sempre, no? Bevi e poi parti, non ti si vede per giorni e poi torni. Perché questa volta sarebbe diverso?-
 
 -Perché probabilmente non tornerò o, per lo meno, non ne sono sicuro…-
 
 -Cosa vuoi dire?- Mi guardò preoccupata.
 
-Non posso continuare a starmene qui nascosto, voglio poter volare, Maria, come ho sempre fatto. E’ l’unica cosa che mi riesca bene e non voglio farmi uccidere da questi idioti per vendetta. Mi hanno offerto un lavoro. Vogliono che mi occupi di tracciare una nuova rotta, sicura, verso l’America. Fino ad ora nessuno è riuscito a trovare la via giusta, si sono persi, non erano abbastanza bravi, sono morti… Io posso farcela, lo sai bene, e mi pagherebbero bene se dovessi riuscire!- Lo schiaffo arrivò inaspettato e la pelle cominciò subito a bruciare. Portai una mano sulla guancia mentre lei si allontanava da me con stizza. Immaginavo avrebbe reagito così, ma se fossi tornato sano e salvo avrei potuto dirle ciò che avrei dovuto confessarle da tempo, ma non era quello il momento adatto per esprimerle quelle cose, anche se ogni volta sembrava che le parole volessero traboccarmi dalle labbra. Io le ricacciavo in gola con un bicchiere di vino, come feci per l’ennesima volta quella sera.
 
 Fuori trovai l’americano che guardava con interesse il mio velivolo. Serrai la mascella e lo spinsi da parte, colpendolo con la spalla. Salii sull’idrovolante e tornai sulla mia piccola isola. Quella notte pensai a tutto quello che sarebbe potuto andare storto. Avevo paura dovevo ammetterlo. Dopo anni provavo nuovamente quel brivido lungo la schiena. Allora, per darmi conforto, mi sedetti sul galleggiante dell’ala destra, immergendo i piedi in acqua e sfiorando con una mano la carena rossa del mio idrovolante, dolcemente. Una di quelle carezze che si riservano agli amanti e, difatti, quell’ammasso di ferro e legno per anni era stato il mio unico amore. Mi aveva fatto toccare il cielo e ora, forse, sarei partito con lui nella nostra ultima avventura. In quel momento risi di gusto, sdraiandomi sul galleggiante e rischiando di cadere. Fu decisamente liberatorio e mi resi conto che non mi importava più di tanto, se dovevo morire, allora il modo migliore era proprio quello di farlo mentre volavo. L’unico mio rimpianto sarebbe stata Maria.
 
 Poi venne il giorno della partenza. Raccolsi le mie cose sulla spiaggia e le riposi accuratamente nello spazio ricavato appena davanti il posto di guida; azionai il motore e mi infilai nella mia postazione. Il rosso delle ali brillava alla luce del sole, come un fiore esotico in primavera, e mi incantai ad osservarlo per qualche secondo prima di imboccare il passaggio tra le rocce che mi avrebbe condotto fuori, tra mare e cielo. Sapevo di non poter andare via senza prima salutare Maria. Mi fermai nel porto sotto la taverna, trovandola seduta sulla banchina ad osservare le piccole onde cariche di spuma che si infrangevano contro le rocce. Mi avvicinai a lei, ma non si voltò.
 
 -Parto…- Lei annuì, ma non mi rivolse la parola. Le sfiorai una spalla.
 
 –Prometto che tornerò, davvero. Sai che sono il migliore, posso farcela.- Sorrisi amaramente.
 
 –A presto…-
 
Con quelle ultime parole mi allontanai, appena prima che l’americano scendesse la scalinata per raggiungere il porticciolo. Drizzai le spalle, con il mio solito orgoglio, e non risposi al suo spavaldo saluto. Salii sul mio mezzo, ma poco prima che il mio mezzo prendessi il volo, due mani di seta mi afferrarono il viso e un paio di labbra dolci sfiorarono le mie. Fu poco meno di una carezza, ma abbastanza per farmi arrossire violentemente. Compii un paio di giri attorno allo scoglio, salutandola, mentre alle sue spalle l’americano mi guardava con aria di sfida.
 
Fu così che cominciò il mio viaggio, ma la leggerezza che mi aveva accompagnato fino a quel momento si tramutò in un peso insostenibile dopo quel bacio. Ormai ero conscio del fatto che in ballo c’era molto più della mia vita, c’era la consapevolezza di essere ricambiato, dopo anni passati ad aspettare. Alzai sul naso la sciarpa bianca che mi avvolgeva il collo e sistemai gli occhialoni, virando verso la Francia. Solo dopo due giorni mi trovai sull’Atlantico, non senza problemi. Il mio fido compagno era ormai vecchio e di quando in quando perdeva potenza o, alla peggio, carburante. Ma mi fidavo di lui, sapevo che non mi avrebbe deluso. Sotto di me osservai il colore scuro dell’oceano, così grande e spaventoso. I flutti producevano un rumore minaccioso e a giudicare dalla brezza che ne proveniva non doveva essere caldo. Rabbrividii al pensiero di poterci precipitare.
 
 Improvvisamente uno scoppio del motore mi fece perdere  quota e olio misto a carburante mi finirono in faccia e sugli occhiali, accecandomi. Cercai di toglierli il più velocemente possibile, ma quando ci riuscii capii che non avevo tempo per fare nulla. Tentai un’ultima disperata manovra, ma il muso del mio idrovolante rosso si infranse contro la superficie dell’oceano. L’acqua era gelida e mi avvolse immediatamente, come un sudario. Non seppi come feci a riemergere, fu tutto troppo veloce. Mi guardai intorno febbrilmente, osservando la carcassa del velivolo che affondava e scompariva sotto i miei piedi. Cercai di tenermi a galla, ma era come se qualcosa volesse trascinarmi sotto. Fu per miracolo che un rimasuglio di quella che una volta doveva essere l’ala sbatté contro la mia schiena. Mi ci arrampicai e poi mi stesi su di esso, cercando di non muovermi. Avevo freddo e tremavo, non sapevo cosa fare, come sopravvivere, ma ciò che mi corrodeva da dentro era sapere che probabilmente non sarei mai riuscito a mantenere la mia promessa: rivedere Maria. Mi lasciai andare e col pensiero corsi alla mia Italia, alla mia isola e alla taverna.
 
 Un refolo di vento sfiorò la guancia della donna e questa si voltò verso il mare, sussurrando il mio nome. Sapeva che non sarei tornato.
 
 
 
  
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