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Autore: earlgreytea68    09/07/2015    5 recensioni
Sherlock Holmes, studente.
Sì, in pratica è tutto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Saving Sherlock Holmes

 

 

 

 

John non chiese il permesso per andare a trovare Sherlock durante le vacanze. 
Non sarebbe cambiato nulla, francamente, che lo avesse avesse avuto oppure no. Lui sarebbe partito e sua madre avrebbe notato la sua assenza solo qualora si fosse rotto qualcosa e lui non fosse stato lì pronto ad accorrere. Ne ebbe conferma quando lei mostrò genuina sorpresa nel vederlo entrare in casa, per poi affermare che non era più affar suo tenere conto dei suoi impegni ora che andava in quella nuova scuola. 
Harry, almeno, era felice di vederlo; John pensò che avrebbe potuto raccontarle i suoi progetti ma continuò a rimandare fino a quando Sherlock non chiamò, rendendogli così  impossibile posticipare ancora. 
Il telefono suonò mentre stava leggendo The Rubaiyat: non l’originale in persiano, perché  lui non era un esibizionista come Sherlock. Sentì Harry rispondere e poi, dopo un secondo, dire incuriosita: “Solo un momento.” 
Si sporse verso di lui e mormorò, il tono provocatorio: “È per te.”
John realizzò che doveva aspettarsi che Sherlock avrebbe in qualche modo trovato il suo numero di telefono per poterlo chiamare e confermare il programma. 
“Pronto?” disse, cercando di ignorare Harry che stava indirizzando drammatiche, ridicole mimiche di baci nella sua direzione. 
“Tua sorella,” rispose Sherlock senza preamboli, “sta uscendo con un ragazzo di Manchester.”
John non aveva idea se fosse vero oppure no, perché si era imposto di non fare domande alla sorella sulla sua vita amorosa. Premura che Harry non sembrava voler ricambiare visto come al momento era china su di lui, cercando di cogliere cosa Sherlock stesse dicendo. 
John si allontanò da lei quel tanto che il telefono gli permetteva. “Chiami per domani?”
“Ovviamente,” rispose Sherlock, impaziente come al solito. “Ho cercato in tutti i modi di convincerlo a non farlo, ma Mycroft insiste che è suo dovere venire a prenderti così da poter assicurare a tua madre che non ti uccideremo mentre dormi. Il che è profondamente ridicolo dato che Mycroft è l’uomo più pericoloso che potrete mai incontrare e che potrebbe decisamente ucciderti mentre stai dormendo, solo che lui assumerebbe qualcun altro per farlo perché odia lavorare. Comunque, ti suggerirei di ignorarlo e venire qui da solo se non fosse che poi dovremo sentircelo nelle orecchie per l’intera vacanza, perciò forse la cosa migliore è lasciare che si comporti in maniera ridicola venendoti a prendere. Probabilmente scoprirà di essere impegnato e manderà da te solo l’autista.”
Il problema era che John non aveva sentito la voce di Sherlock per cinque giorni e, mentre avrebbe dovuto concentrarsi e prestare attenzione, non poté fare a meno di distrarsi, sorpreso di aver dimenticato quanto quella voce ricordasse cose preziose e lussuriose in cui sprofondare e lasciarsi andare; come il velluto e l’ermellino. La morbidezza della crema. Il brio dello champagne. Il -
Cosa diavolo aveva appena detto? Il cervello di John riavvolse le parole di Sherlock. 
“No, no, no,” disse, un leggero senso di panico mentre si guardava attorno nella piccola e scialba cucina. “Mycroft non può venire qui.”
“Mycroft, come ti ricorderebbe lui stesso, può andare dove vuole,” borbottò Sherlock. 
“Ma...” John si raffigurò l’uomo che aveva incontrato: elegante e preciso nel suo impeccabile completo, e cercò di pensare a cosa avrebbe detto sua madre vedendolo. “Oh, mio Dio. Avrei semplicemente preso il treno. Posso semplicemente prendere il treno, Sherlock.”
“Lo so. È quello che ho detto a Mycroft. Lui ha risposto di no e ha detto che se avessi cercato di organizzare qualcosa per impedirgli di venire da te, avrebbe dichiarato una guerra e preso il controllo dei binari ferroviari.”
Sherlock sembrava credere che Mycroft avrebbe realmente fatto una cosa del genere. 
John decise che non gli importava cosa Mycroft potesse e non potesse fare: aveva problemi più grandi di guerre e binari ferroviari. Principalmente il fatto che al momento sua madre era ubriaca e priva di sensi come nella norma. 
“John?” 
Sherlock sembrava vagamente esitante. L’unica altra volta in cui John lo aveva sentito così era stata quando avevano litigato e lui era stato chiaramente terrorizzato all’idea che John non volesse più essere suo amico. 
Sherlock non aveva amici, aveva lui, ed era preoccupato che non sarebbe più andato a trovarlo. Onestamente, John non aveva proprio preso in considerazione la possibilità di cancellare il viaggio. Il giorno seguente sarebbe stato un disastro ma non era importante fin tanto che alla fine di tutto ci fosse stato Sherlock: quello bastava a far sì che ne valesse la pena. 
John considerò che il modo in cui stava ragionando avrebbe probabilmente dovuto allarmarlo, ma il pensiero di dover aspettare ancora più tempo prima di poter rivedere Sherlock gli sembrò inaccettabile e non si prese la briga di esaminarne a fondo i motivi. 
“Va bene così,” disse. “Ci vediamo domani.”
Attaccò il telefono e si girò verso un’elettrizzata Harry: stava praticamente vibrando dalla gioia. “Chi era quello? Un amico? Un amico snob? Viene a trovarti domani?”
“No, sono io che vado a fare visita a lui. Per il resto delle vacanze.”
Harry sollevò le sopracciglia. “Passerai il resto delle vacanze con un tipo dalla voce sexy?”
“Non ha una voce sexy.”
“Sì, ce l’ha.”
“Gli hai sentito dire sì e no una frase,” le ricordò John.
“Sì, ed è stato abbastanza. Non so come hai fatto a restare in piedi mentre ascoltavi tutto quel suo parlare. Perciò. Chi è e perché non lo hai menzionato prima?”
Harry non sembrava intenzionata a lasciarlo andare via finché non avesse risposto ad alcune domande e lui aveva bisogno del suo permesso per partire, non di quello della madre.
John sospirò e si rassegnò, appoggiandosi al bancone della cucina. “Si chiama Sherlock.”
Sherlock?” ripeté Harry, scettica. “Che diavolo di nome è quello?”
“Il suo,” disse John, un filino irritato. Davvero, il nome gli calzava a pennello. John non riusciva a immaginarselo con un nome comune; necessitava un nome altamente drammatico come quello che aveva. 
Harry piegò la bocca, divertita, come se stesse mantenendo un segreto meraviglioso. “Mio Dio, ti piace.”
“Certo che mi piace,” disse John, serio. “È mio amico.”
Harry continuò a sorridere. “Non riesco a credere che tu non abbia mai parlato di lui.”
“Non c’è niente da dire. È un amico.” John prese un respiro profondo e decise che non era il caso di provare a spiegare meglio cosa fosse Sherlock. Aveva un problema più grande al momento. “Lui è... non lo so, molto ricco, credo, e suo fratello verrà domani per assicurare la mamma che sarò al sicuro nella loro... tenuta estiva.”
Harry inarcò le sopracciglia. “Mettiamola così: se vuoi che io sposi questo Sherlock, per far sì che tu abbia facilmente accesso a lui e che io abbia un facile acceso a posti come ‘tenute estive’, sarei più che disposta a farlo. Giusto perché tu lo sappia.”
John scosse la testa. “Non è come pensi.”
“Dovresti farlo sapere anche a lui,” rispose Harry. 
Lui non è così.”
“Stai arrossendo.”
“Possiamo concentrarci sul vero problema?”
Con suo grande sollievo Harry non disse, Quale?  - domanda che sarebbe stata pienamente giustificata -  ma lanciò un’occhiata a loro madre che stava russando sul divano. “Questo fratello è snob quanto Sherlock?”
“Suo fratello si chiama Mycroft,” rispose John. 
“Oh, Dio,” disse Harry. “Forse posso fingere di essere io tua madre.”

 

 

***

 

 

Sua madre era sveglia e ragionevolmente sobria, perciò notò che aveva con sé un bagaglio. Non poteva semplicemente sgattaiolare via. 
“Stai andando da qualche parte?” domandò.
John ammise, “Vado a stare da un amico. Per il resto delle vacanze.”
Sua madre disse, “Un amico? Che tipo di amico?”
“Cosa intendi con ‘che tipo di amico’?”
“Un amico di scuola?”
“Non c’è bisogno di esserne così sbalordita,” fece John, seccato. 
“Oh, non dovrei?” 
“Un amico di scuola mi ha invitato a casa sua. Perciò ci vado.”
“Non hai pensato di chiedere prima il permesso a tua madre?” domandò lei. 
John la guardò duramente. “No,” disse semplicemente. “Non ci ho pensato.”
Lei abbassò lo sguardo con aria colpevole e John provò un contorto senso di trionfo di cui non andava particolarmente fiero. 
“Chi è questo amico?” chiese sua madre con minore veemenza. “Ci saranno anche i suoi genitori?”
“Non ha i genitori. Ha un fratello maggiore.”
Sua madre sembrò scettica e John avrebbe voluto farle notare che, per quanto ne sapeva lui, Harry era costantemente priva di supervisione e che era ipocrita da parte sua preoccuparsi improvvisamente di adolescenti senza controllo. 
“Maggiore di quanto?” chiese dubbiosa. 
John non ne era sicuro. “Di tanto,” si limitò a dire. 
“Dove vive?”
“Fuori Londra,” rispose John, non volendo darle troppe informazioni; il che sembrava avvenire ogni qual volta si trattava di Sherlock. “Così, adesso vado.”
John voleva essere già fuori quando Mycroft sarebbe arrivato. Non voleva che lui vedesse il suo appartamento; non riusciva a immaginare niente di più imbarazzante. 
“Hai bisogno di soldi per il treno?”
Sua madre si stava comportando in maniera estremamente gentile e John si sentì in colpa perché se le avesse detto che non avrebbe preso il treno, lei avrebbe insistito per accompagnarlo giù e lui non voleva che incontrasse Mycroft Holmes. Si vergognava di questo impulso - del fatto che si vergognava di lei, di star trattando gli Holmes come se in qualche modo fossero migliori di lui - ma non poteva farne a meno. Aveva già abbastanza cose di cui dover occuparsi. Troppe. Desiderava che la parte della sua vita che era Sherlock rimanesse in disparte e in perfette condizioni. Non voleva che il resto del suo mondo ne entrasse a contatto e se questo suo comportamento era egoista, che così fosse.  
Disse, senza mentire del tutto, “Sono a posto,” e poi, per placare il suo senso di colpa, salutò sua madre con un bacio sulla guancia. 
Lei ne fu piacevolmente sorpresa e gli arruffò i capelli come era solita fare quando era piccolo, prima che tutto andasse a rotoli. 
Chiudendo la porta dietro di sé, John non poté evitare di sentirsi come se stesse uscendo da una vita per entrare in un’altra. 
Alla fine la macchina di Mycroft arrivò, attirando il tipo di occhiate curiose che John si aspettava. Era ben conscio del fatto che la notizia di un’auto lussuosa ferma lì per lui sarebbe immediatamente arrivata a sua madre; riconsiderò la sua decisione, pensando che forse avrebbe dovuto farla scendere, ma poi Mycroft scese dalla macchina con indosso un elegante impermeabile nero, guanti neri di pelle e un paio di scarpe che luccicavano. Il tutto probabilmente costava più di quanto loro vedevano in un mese e John decise che per nessun motivo sua madre poteva incontrarlo. Mycroft sarebbe stato educato, l’istinto di John gli diceva che era sempre educato, ma avrebbe saputo. E sua madre non lo avrebbe più lasciato in pace, lamentandosi della sua nuova vita lussuosa, dei suoi nuovi amici snob, e di come aveva tradito tutto ciò che era in realtà. John odiava avere il sospetto che forse non aveva mai avuto la possibilità di essere tutto ciò che davvero era; per questo stava cogliendo l’opportunità adesso: con gli Holmes. 
“John,” disse Mycroft affabilmente, i suoi occhi erano attenti su di lui. Non erano dello steso inclassificabile colore di quelli di Sherlock, ma erano chiari come quelli del fratello; era come se avesse deciso che gli occhi di Sherlock erano troppo appariscenti e deciso di renderli più rispettabili. Erano familiari e sconosciuti al tempo stesso. 
“Da quanto tempo stai aspettando qui fuori al freddo?”
Non ne aveva idea. Troppo, perché non sentiva più le guance. “Non molto,” mentì. 
Mycroft lo scrutò ma evitò di smentirlo. “Dov’è tua madre? Volevo assicurarmi che sapesse-”
“Mi dispiace, è dovuta uscire. Si scusa per non aver avuto modo di conoscerti, ma voleva farti sapere di avere fiducia nel fatto che tu non mi avresti, lo sai, ucciso nel sonno.”
Lo sguardo di Mycroft era serio e sconcertante. John sorrise e non abbassò il proprio. Gli occhi dell’altro si spostarono velocemente sul palazzo popolare, quindi tornarono su John.
“Bene, suppongo sia il caso di avviarci. Altrimenti Sherlock diventerà ansioso, accusandomi di averti rapito.” Mycroft sorrise in modo non particolarmente confortante e scivolò di nuovo in macchina. 
John lasciò il bagaglio sul sedile posteriore e prese posto davanti con lui, cercando di non sentirsi come se tutto fosse incredibilmente imbarazzante. 
Mycroft restò in silenzio mentre guidava attraverso Londra ma, una volta sull’autostrada, chiese, “Com’è vivere con Sherlock? Un inferno, posso immaginare.”
Inferno non era il termine che John avrebbe usato: meraviglioso era più appropriato, ma così sarebbe sembrato un idiota. Decise cautamente per, “Non mi annoio mai.”
“Bene,” disse Mycroft. “È un bene, non è così?”
John non sapeva come interpretare la domanda, perciò restò in silenzio. 
Mycroft, infine, mormorò, “Hai intenzione di continuare questa tua...” si fermò, pensando, “associazione,” decise alla fine, “con Sherlock?”
“‘Associazione’?” ripeté John, non sicuro della parola. Non era esattamente a proprio agio con le possibile implicazioni. Rispose, sulla difensiva, “Non credo siano affari tuoi di chi è amico Sherlock.”
Gli occhi di Mycroft si spostarono su di lui per un secondo. “Sì, invece. Molto.”
John si accigliò. 
“Mi stai fraintendendo, credo,” continuò lui. “Non desidero scoraggiare la vostra... la chiami amicizia? Se scegli di portarla avanti, sarò felice di pagarti considerevolmente e regolarmente per... rendertelo più facile.”
John lo fissò. Non riuscì a evitarlo. A mala pena riusciva a comprendere ciò che Mycroft stava dicendo. “Perché?”
Mycroft sorrise senza allegria, concentrato sul traffico. “Potrai essere recentemente incappato in un’inaspettata fortuna, ma non sei benestante. E hai una madre e una sorella di cui devi occuparti, non è così?”
John serrò la mascella. Non si chiese neanche come potesse sapere queste cose, Mycroft probabilmente sapeva ogni cosa. “In cambio di cosa?”
“Informazioni,” rispose lui. “Niente di indiscreto. Niente che ti crei... problemi dirmi. Riferiscimi solo ciò che sta facendo.”
“Perché?”
“Mi preoccupo per lui,” disse Mycroft. “Costantemente.”
John capì che Mycroft potesse preoccuparsi per Sherlock, allo stesso modo in cui lui faceva per Harry. E sapeva che Sherlock non parlava davvero con lui, mai. Perciò non era impossibile comprendere le sue motivazioni. Ma era incredibile quanto fosse insultante il pensiero che avrebbe mai potuto tradire Sherlock in quel modo. 
“No,” disse John. 
Ci fu un altro scatto degli occhi di Mycroft verso di lui. “Ma non ti ho ancora detto una cifra.”
“Non disturbarti a farlo.”
Mycroft restò in silenzio per un lungo momento. “Sei molto leale.”
“Doveva essere un insulto?” controbatté John. 
Mycroft sorrise di nuovo e questa volta sembrò più sincero. “Non sei spaventato da me, non è vero?”
“Non fai davvero paura,” lo informò John. 
Lui lo guardò, sempre sorridendo. “Ti fidi di Sherlock.” Ne sembrava meravigliato.
“Certo che mi fido di lui. E lui si fida di me. Credevi davvero che avrei accettato dei soldi per fare la spia su di lui?”
Mycroft considerò la domanda. “Non sapevo cosa pensare. Non sei esattamente facile da interpretare,” disse rivolto al traffico e John, nell’imbarazzante silenzio, ponderò quella risposta per il resto del viaggio.

 

 

***

 

 

Sherlock stava facendo impazzire la signora Hudson. 
Era possibile che non avesse affatto dormito durante le vacanze tanto era agitato in previsione dell’imminente visita di John. Non che Sherlock avrebbe mai ammesso di essere in agitazione, ma era chiaro quanto lo fosse. C’era una lunga lista di cose che lei poteva e non poteva fare mentre John era lì: partendo dal non chiedergli della sua famiglia (in particolar modo del padre) perché a lui non piaceva parlare di loro, fino al fatto che ‘polipo’ era la parola che a John piaceva meno e che quindi non avrebbe dovuto essere usata in sua presenza. 
“Non credo di aver mai detto la parola ‘polipo’,” la signora Hudson informò Sherlock.
“Si assicuri solo di non usarla mentre John è qui,” le disse Sherlock, estremamente serio per la gravità della situazione. 
“È molto particolare, questo tuo John?” domandò la signora Hudson, nonostante conoscesse già la risposta. Non era John ad essere particolare, ma Sherlock: pretendeva niente meno della perfezione da se stesso e per estensione dalla sua ospitalità.
“Quasi niente,” la informò Sherlock, “è in grado di turbare John. Ecco perché è compito mio fare in modo che niente di sconvolgente accada mentre è qui.”
“Sono sicura che la sua visita non sarà rovinata dalla parola ‘polipo’,” disse la signora Hudson.
Sherlock si accigliò.
“Ma starò attenta a non usarla,” lo rassicurò in fretta.
E Sherlock si tranquillizzò.
Giovedì era un giorno terribile. Sherlock era convinto che gli orologi non stessero funzionando a dovere: aveva smontato e rimontato l’orologio del nonno, infastidito perché era certo che il tempo stesse scorrendo più lentamente di quanto fosse normale. 
L’orologio del nonno almeno lo aveva distratto: una volta rimessolo assieme non gli era rimasto altro da fare a parte gironzolare avvilito in cucina, assillandola mentre preparava il pollo arrosto che, come le aveva assicurato, era il preferito di John. 
“Spero,” disse seccamente Sherlock, guardandola, “che sia sicura di star preparando del buon cibo.”
“Sherlock,” sospirò esasperata la signora Hudson. “Vai a leggere un libro o qualcosa del genere. Mi stai rendendo nervosa.”
“Non sia nervosa,” le disse Sherlock. “John è davvero gentile.”
“Allora perché tu sei nervoso?”
Sherlock le lanciò un’occhiata indignata. “Io non sono nervoso. Non sono mai stato nervoso in tutta la mia vita.”
“Se non sei mai stato nervoso in tutta la tua vita come puoi essere sicuro di non essere nervoso in questo momento?” gli chiese la signora Hudson. Imparavi a fare domande del genere dopo aver passato parecchio tempo con Sherlock - lo zittivano per un po’.
Questa in particolare riuscì nell’intento. Sherlock la ponderò e poi disse, “John dovrebbe avere un telefono.”
“Ha un telefono. Lo hai chiamato ieri.”
“No, un telefono da portare con sé tutto il tempo. Così potrei sapere dove si trova.”
“Pensavo odiassi parlare al telefono,” gli fece notare la signora Hudson. 
“Infatti.” Sherlock meditò. “Qualcuno dovrebbe inventare un modo per comunicare che preveda solo il comporre parole.”
“Qualcuno lo ha fatto,” disse la signora Hudson. “Si chiama ‘corrispondenza’.”
Sherlock corrucciò le sopracciglia. “No, invece dovrebbe avvenire istantaneamente. Così da non dover aspettare la posta. Come un cercapersone, solo migliore: più veloce e facile da usare. Un cercapersone con una tastiera. Ma portatile.”
“Be’, perché non ne inventi uno, allora? Scommetto che potresti aver quasi finito prima ancora che John arrivi qui.”
“Potrei,” disse Sherlock. “Ma non mi interessa.” Batté le dita sul tavolo della cucina e per un po’ guardò imbronciato fuori dalla finestra; poi scattò: “Cosa crede che gli stia dicendo, Mycroft?”
“Niente di tremendo, Sherlock.”
Sherlock schioccò scetticamente la lingua. 
“Mycroft ti vuole bene, Sherlock.”
Sherlock emise un suono ancora più incredulo. 
La signora Hudson sospirò. “Non dirà niente di brutto su di te. Cosa mai potrebbe dire, in ogni caso?”
Sherlock ci pensò. Quindi azzardò, cautamente, “Quella volta in cui ero convinto che i gioielli della signora Rainey erano stati rubati da un famoso ladro di gioielli.”
“E invece si scoprì che era stato un tasso,” ricordò la signora Hudson, scoppiando a ridere. Sherlock mise il broncio e lei si scusò, contrita, “Mi dispiace, caro, non volevo ridere. Ma fu divertente.”
“Fu un errore in buona fede!” protestò Sherlock. “Ha mai sentito di tassi che si introducono in casa e rubano gioielli? Come avrei dovuto prevederlo?”
La signora Hudson sorrise e aprì il forno per controllare il pollo. 
Sherlock annunciò di colpo: “Sono qui,” e scattò in direzione della porta principale. 
La signora Hudson non si disturbò neanche a chiedersi come facesse a saperlo; Sherlock notava sempre cose che a lei sfuggivano. Si asciugò le mani su uno straccio e lo seguì a passo più tranquillo. Quando arrivò all’ingresso Sherlock stava dicendo al ragazzo arrivato con Mycroft, “Ti ha raccontato la storia del tasso?”
Mycroft girò attorno alla macchina. Roteò gli occhi in direzione della signora Hudson e si avviò verso la porta. “No,” rispose, scomparendo in casa. 
“Davvero, non lo ha fatto,” il ragazzo che doveva essere John Watson rassicurò Sherlock. 
Non era alto quanto Sherlock, ma questo non la sorprese; aveva i capelli color sabbia: erano appena un po’ troppo lunghi, ma ben più docili degli indomiti riccioli di Sherlock. Era un ragazzo abbastanza bello, ma non ciò che la signora Hudson si era aspettata. 
Sherlock era sempre stato talmente drammatico, la forza della sua personalità così travolgente: aveva dato per scontato che la prima persona in cui avrebbe mostrato interesse sarebbe stata altrettanto affascinante e rumorosamente carismatica. John appariva come un ragazzo normalissimo, gradevole e senza pretese: incontrandolo per strada, probabilmente gli avrebbe sorriso e pensato che ragazzo carino per poi dimenticarlo subito dopo. Accanto a Sherlock diventava quasi invisibile. 
“Che cosa ti ha detto?” domandò Sherlock, sospettoso. 
“Niente. Smettila di essere scortese e presentami.” E tutto ebbe senso, improvvisamente. 
Nell’affettuoso tono di comando nella sua voce, nel modo in cui superò Sherlock e si avvicinò a lei con un semplice sorriso. Lui non scompariva, non lasciava che Sherlock lo maltrattasse né cercava di placare il suo modo di essere: si limitava a muoversi tranquillamente nelle sue vicinanze. Era proprio lì nella sua calma: un’irresistibile forza in grado di attrarre che era difficile notare senza prestare attenzione. Sherlock lo aveva fatto.
O forse era talmente intelligente da essersene accorto subito. 
Improvvisamente, il perché dell’ovvia infatuazione di Sherlock per questo ragazzo le fu perfettamente chiaro. 
“Lei deve essere la signora Hudson,” disse allegramente John, affascinante senza sforzo e in un modo che Sherlock probabilmente gli invidiava. Lui doveva sforzarsi duramente per riuscirci e di conseguenza il più delle volte lo riteneva noioso, stupido e inutile. 
“Colei che è tutto tranne una domestica, mi è stato detto,” continuò John. 
Così Sherlock doveva averla descritta, in un modo che lei trovò talmente adorabile da farle venir voglia di abbracciarlo se solo così facendo non lo avesse fatto morire di imbarazzo. 
La signora Hudson avrebbe voluto abbracciare John. Avrebbe voluto dirgli, Ci preoccupiamo sempre che Sherlock si senta solo, come potremo mai ringraziarti per averlo reso talmente felice? Ma sarebbe stata un’idea peggiore di abbracciare Sherlock, perciò si limitò a dire, “E tu devi essere il dottor Watson.”
Lui guardò Sherlock, confuso. “Non ancora...”
“Be’, ovviamente no, ma Sherlock mi ha parlato delle tue ambizioni. E non preoccuparti: starò attenta a non usare la parola che non ti piace mentre sei qui con noi.”
“Io...” John rifletté per un secondo e poi si girò verso Sherlock. “Ho una parola che non mi piace?”
“Signora Hudson,” disse Sherlock, ovviamente seccato. “Non dovrebbe star preparando la tavola?”
“E tu non dovresti prendere il bagaglio del tuo ospite e mostrargli la sua stanza?” ribatté lei. 
Sherlock corrugò le sopracciglia e prese la borsa di John, “Da questa parte.”
La signora Hudson sorrise guardandoli incamminarsi su per le scale e sentì John dire, divertito, “Raccontami la storia di questo tasso.”
Tornò in cucina, dove Mycroft aveva tolto il polo dal forno e preso un pezzo di pelle. 
“Sai quanto faccia male quella roba?” gli chiese. 
“Io so tutto, signora Hudson,” rispose lui. 
“Incluso il fatto che il pollo era pronto, suppongo.” Controllò il pollo.
È pronto.”
Non poté controbattere perché aveva ragione. “Prepara la tavola,” gli disse, rigidamente.
Lui si leccò le dita prima di lavarsi le mani e poi prese quattro piatti. 
“Com’è stato il viaggio?” gli domandò. 
Mycroft le dava la schiena, ma lei lo conosceva abbastanza bene da poter immaginare la sua espressione infastidita quando rispose, “Silenzioso.”
La signora Hudson scosse la testa e tolse le patate dalla padella. “Non puoi passare tutta la tua vita pagando persone per essere sicuro che lui stia bene.”
“Pago lei per questo,” le fece notare Mycroft.
“Non potrai farlo per sempre.”
“Sì, invece. Non pensi neanche una cosa del genere. Non so come gli Holmes potrebbero mai funzionare senza di lei.”
Lo disse con leggerezza, come diceva sempre tutte le cose più gentili; la signora Hudson desiderò ardentemente poterli abbracciare entrambi senza infastidirli, perché alle volte ne avevano davvero bisogno. Disse, ritornando al punto della conversazione, “Non puoi pagare i suoi amici.”
“Non c’erano prove che lui lo fosse fino a oggi, perché non ha mai avuto degli amici.”
“Dovresti essere contento per lui, lo sai. Contento del fatto che ha un amico adesso e che è felice.”
“Ne sono contento,” disse Mycroft e si spostò al suo fianco per tagliare il pollo.
La signora Hudson lo guardò. “Sei geloso.”
Mycroft si concentrò sull’infilzare una forchetta nel pennuto per tenerlo fermo. “Geloso di un diciassettenne con un terribile gusto in maglioni e un orribile taglio di capelli?”
“Nessuno lo conosceva meglio di te prima di John.”
Il coltello continuò a muoversi con movimenti veloci e precisi. “Il suo lavoro è prendersi cura di Sherlock,” le fece notare.
“Sì,” concordò lei. “Mi prendo cura di te nel tempo libero.”
Mycroft scoppiò a ridere, rallegrandola: era un arduo compito far ridere i suoi ragazzi. 
“Il suo pensiero è stato annotato,” le disse, ammettendo a modo suo che aveva ragione. Portò il pollo a tavola e annunciò, “Vado a chiamarli per la cena.”
“Lo hai minacciato?” gli domandò bruscamente. 
Mycroft esitò prima di uscire e tornò in cucina. “Non lo so. Non credo. Non sono mai certo di ciò che gli altri considerino una ‘minaccia’. So che non è facile sconcertalo: non l’ho spaventato, ma non ci sarei riuscito nemmeno provando.”
“Avresti potuto minacciarlo, lo sai. Giusto un pochino.”
Lui inarcò le sopracciglia. “Davvero? Pensavo mi avrebbe sgridato per aver anche solo preso in considerazione una cosa del genere.”
“Non mi lamenterei se lo minacciassi di sguinzagliargli dietro una squadra speciale se mai dovesse spezzare il cuore di Sherlock.”
“Ha passato troppo tempo con mio fratello, ultimamente,” disse Mycroft. “L’ha contagiata con la sua tendenza al melodramma. Nessun cuore verrà spezzato, qui, e certamente non quello di Sherlock. Lui non è così.”
La signora Hudson scosse la testa e disse, “Mycroft. Come può proprio questa essere l’unica cosa che non sai?”

 

 

§

 




Comincio ora a rispondere alle recensioni, promesso.
Il prossimo capitolo è già tradotto per metà, perciò l’attesa non sarà lunga. 

Spero che con questo caldo non siate bloccati a una scrivania come la sottoscritta, bensì in piscina, o al mare, o sotto una doccia (qualsiasi cosa, davvero)... se invece così non fosse, be’, almeno c’è il nuovo capitolo! ;)









 

 

 

 

 

   
 
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