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Autore: LeFleurDuMal    18/01/2009    11 recensioni
Il profumo della macchia mediterranea si fondeva con quello del mare che risaliva dalla spiaggia, mugghiante delle onde dell’Egeo.
Per Milo sarebbe stato sempre l’odore dell’infanzia, di un’infanzia antica e ancestrale che veniva prima del Santuario, prima di tutto.
Milo di Scorpio, Cavaliere dell'Ottava Casa, racconta a Camus la propria infanzia. Da quando giunse all'isola di Milo, fino al momento della sua investitura.
Un episodio dopo l'altro, come frutti dolci e velenosi.
Genere: Generale, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3. Frutto proibito


“In quale colpa ti ha sorpreso Zeus,
che così ti sfregia e ti tormenta?"

Eschilo, Prometeo Incatenato



C’era il riflesso del sole che filtrava dagli alberi, dorato, sulle sue dita. Sotto al melo lo scricchiolio della sedia di Dimetrios mossa del vento. Dal mare arrivava un profumo leggero, salmastro, si confondeva con quello dolce del frutteto.
Milo vi chiuse la piccola mano sopra.
Poi ci fu un lampo di dolore incredibile.
Poi più niente.


“Conosci la leggenda di Discordia, no?” domandò Milo, appoggiato alla colonna dell’Undicesimo Tempio. Una domanda retorica, era naturale che Camus la conoscesse bene.
“La ninfa Eris che promise una mela d’oro alla dea più avvenente” ricordò infatti Aquarius. I racconti di Milo erano piacevoli nella calura estiva, dopo gli allenamenti pomeridiani.
Scorpio annuì: “E con una cosa così bella, ha fregato tutti”.
“E’ sempre così, bada”. Lo ammonì distrattamente ed entrambi pensarono alle rose di Aphrodite “In Russia e nei libri del mio maestro si racconta una leggenda cristiana sulle mele e sugli inganni. Di un demone serpente che indusse l’uomo in tentazione”.
“Ma guarda” rise Milo “Sembra che ai piani alti sia diventata un’abitudine. Ma è vero quello che hai detto: le cose più belle sono sempre quelle più pericolose”.
Camus alzò di nuovo lo sguardo su di lui, incuriosito.


Passato mezzogiorno, Dimetrios si era allontanato. Non aveva lasciato detto all’allievo dove sarebbe andato, né il piccolo Milo l’aveva chiesto: era stato troppo impegnato a cercare di salire su un albero. L’impresa era notevole considerata l’età, ma non dubitava di farcela.
Il suo Maestro dubitava eccome, invece, osservando il tronco nodoso del melo davanti casa e le gambette piccole del suo moccioso. Ma era giusto che ci provasse e si rendesse conto da solo.
Così era andato.
Camminava per Adamas, adesso, sulla pietra calda del porto, scalzo. Stephanos e sua figlia erano seduti sul molo. Lei teneva le caviglie incrociate nell’acqua, che si rifrangeva calma nel golfo, la gonna leggera tirata su oltre il ginocchio. Sorrise quando lo vide arrivare, lo salutò. Baciò suo padre sullo zigomo e si ritirò, per lasciarli parlare.
Dimetrios le strizzò l’occhio. Poi sedette accanto a Stephanos, dall’altra parte.
“Sono già arrivati?”

“E’ un po’ presto, no?” Dimetrios sorrise, guardando l’acqua.
“Niente affatto. E’ un Cavaliere d’Oro quello che stai addestrando, ricordalo sempre”.
Dimetrios annuì. Credeva comunque che fosse troppo presto. Milo non era lì che da due settimane, alla fine. Non ci voleva forse un po’ di più perché lui potesse dare a ragione qualche giudizio oggettivo?
Mosse i piedi nell’acqua e Stephanos rimase fermo a scrutare l’orizzonte. Il suo sguardo era vecchio, molto più del suo viso e Dimetrios si chiese quanto gli occhi dell’amico vedessero più in là dei suoi.


Erano passate due settimane. Prendendo o lasciando un giorno o due, certo.
Due settimane avevano dato i loro frutti, già. Milo si muoveva con più agio di qualsiasi bambino della sua età, ormai, abituato a destreggiarsi tra le pietre vulcaniche colorate o nell’intricata macchia mediterranea. Già riusciva a correre, seppur con l’andatura altalenante dei bambini piccoli, e a fare più forza del normale sulle braccia.
Adesso che il Maestro era andato via – Milo se ne era reso conto vedendolo già lontano che spariva oltre il frutteto – avrebbe dovuto anche lui andarsene a spasso per l’isola a cercare cose nuove.
Era già arrivato decisamente più in là, in quelle due settimane, rispetto al punto in cui aveva incontrato Stephanos. Un passo alla volta, qualche volta anche un po’ di più, si era spinto verso i dirupi delle scogliere. Quel giorno contava di spostarsi fino al limite del precipizio, per sentire il vento pieno di sale alle spalle e guardare giù e vedere fin dove le onde si spingevano, infrangendosi sulle rocce. Il giorno prima era arrivato molto vicino e le aveva sentite mugghiare, feroci, sotto. Come mostri che si arrampicassero verso di lui.
Quel pomeriggio voleva vederle. Elettrizzato dall’avventura imminente, caracollò giù dai venti centimetri di tronco che era riuscito a salire e trotterellò nell’erba.
Ma aveva appena svoltato l’angolo della casa, che qualcosa catturò irrimediabilmente la sua attenzione.


“Forse sono io che prendo tempo, Stephanos. E’ che desidero vederli il meno possibile, gli emissari di Atene”.
Stephanos rise di gusto. “Sei un Sacro Guerriero. I tuoi rapporti con Athena e la la città cui presiede non possono essere tesi”.
"Sono un Sacro Guerriero in esilio”, precisò Dimetrios con puntiglio. Dimetrios era del segno dello Scorpione. Ma il suo ascendente Capricorno si faceva sentire un sacco.
Il fatto era che non aveva potuto ritirarsi dal compito che Atene gli aveva affidato insieme a quel bambino dai riccioli biondi. Lui, l’esiliato dalla dea, prendersi a carico l’addestramento di un Gold Saint? Eppure egli, dicevano nelle missive, egli era il grande Orione. Il più forte tra i Cavalieri d’Argento. Il Cacciatore arguto e potente. L’addestramento gli era stato imposto quanto l’allontanamento dalla Terra Santa.
Adesso, doveva ammettere, non gli dispiaceva più. Si era affezionato al bambino e aveva instaurato con lui, da subito, un’alchimia strana che si apriva con il sorriso di entrambi. Naturale come il sole e il mare di quell’isola selvaggia.
E si stava abituando all’idea di avere tra i piedi non solo un allievo amato, ma davvero un futuro Gold Saint.
“E se non lo fosse, Stephanos?” diede voce ai suoi dubbi. L’uomo si girò a guardarlo, con quel suo sguardo antico, di chi è abituato a guardare lontano.
“Cosa vuoi dire?” domandò sereno “I Gold Saint vengono addestrati. Ma la loro appartenenza alla costellazione guida è questione di predestinazione. Che cosa temi?”
“Milo mi è stato affidato come predestinato dello Scorpione del Cielo. Ma sai bene che nemmeno per il Pontefice, che esamina migliaia di bambini candidati c’è mai l’assoluta certezza fino alla fine”.
Stephanos annuì.
“E’ per questo che Atene manda i suoi messi. Per monitorare la situazione e intervenire. Verranno presto: aspettali”. Sorrise caldo, appoggiando una mano sulla spalla dell’amico più giovane. “ma non temerli: vengono a constatare quello che già sai”.
“E se il Cosmo di Scorpio si fosse già manifestato altrove, quando verranno? Che ne sarà di Milo?”
Stephanos tacque.
Che ne era dei bambini scartati dal potere vestito di sembianze sociali che era la sacra polis di Atene? Il loro destino non era diverso da quello dei neonati dell’antica Sparta giudicati troppo fragili: venivano eliminati. Uccisi, perché non fossero di intralcio. O, se in grado di sopravvivere comunque ad un allenamento pesante, finivano tra gli innumerevoli soldati senza volto dell’esercito.
“Tu ti stai affezionando troppo, Dimetrios”.  Sussurrò l’altro, dolce come le onde che accarezzavano loro i piedi. “E il troppo affetto ti fa temere: addestra il tuo ragazzino, il Pontefice sbaglia di rado. In ogni caso, il Cosmo non si è mai manifestato prima dei cinque anni, in nessun Cavaliere d’Oro, quindi mettiti il cuore in pace. C’è tempo”.
Dimetrios tacque, rendendosi conto di quanto fossero vere quelle parole. Milo aveva cominciato a rappresentare il nodo focale di tutta la sua vita, ormai. Non solo un allievo troppo simile a lui – quanto un figlio, un fratello – ma la possibilità di catarsi della sua sacra tragedia d’esilio.
Il suo personale riscatto dorato.


Milo pensò che se era riuscito a balzare sul tronco nodoso del melo, sarebbe riuscito a salire anche sul davanzale. Nella sua mente, la scogliera era già infinitamente lontana: le onde mugghianti le avrebbe viste un altro giorno.
Era caracollato giù dai venti centimetri di tronco che era riuscito a salire e aveva trotterellato nell’erba. Ma aveva appena svoltato l’angolo della casa, che qualcosa aveva catturato irrimediabilmente la sua attenzione.
Si trattava della grossa bestia lucente ed elegante che aveva già visto sul muro e che aveva la sua tana sotto la brandina che condivideva con Dimetrios.
La sorpresa di trovarsela davanti, a pascolare sulla parete esterna, lo aveva riempito di eccitazione. Era corso subito al muro intonacato, per vedere se riusciva a prenderlo. Si era alzato in punta di piedi, tendendo le braccia, ma niente: solo vicino.
“Bestiola!” aveva miagolato, invitante. L’animale, lucido e nervoso, aveva drizzato la coda. Era rimasto per un attimo immobile, le grosse pinze rivolte verso la mano del bambino e le sue piccole dita flesse.
La coda, agile e minacciosa, si era alzata di più nell’avvertimento.
Il messaggio era abbastanza chiaro: togliti dalle palle, su. Alza i tacchi. Ma Milo era troppo giovane, troppo attratto e assolutamente incurante del pericolo, per rendersene conto.
E aveva allungato la mano. “Vieni!” aveva implorato.
La bestia era rimasta ancora ferma, pronta a far scattare la coda e l’aculeo su di essa.
Invece, poi, aveva preferito girare su se stessa e sgambettare un po’ più in là, per la parete. Era rimasta immobile in un raggio di sole per un po’, ma sentendo Milo saltellare poco al di sotto, pensato di spostarsi ancora, mettendosi al sicuro fin sopra al davanzale di pietra.
Milo l’aveva guardata scomparire delusissimo, mettendo un broncio che avrebbe sciolto un cuore di pietra. Aveva fatto ricadere le braccine lungo il corpo.
Poi qualcosa si era indurito di determinazione nei suoi occhi azzurri: ci sarebbe salito anche lui, su quel davanzale, per vedere se la bestiola c’era ancora.


Dimetrios si era rasserenato dopo la conversazione con Stephanos. Adesso avevano lasciato il molo, passeggiando sulla strada asfaltata di recente. Bruciava, sotto le piante dei piedi nudi di Dimetrios, ma il Silver Saint di Orione non era tipo da farsi piegare da simili sciocchezze.
Si sedettero al bar poco lontano, all’angolo del paese, a bere liquore all’anice, come facevano da ragazzi, e ci restarono per tutto il pomeriggio, fino a quando il carro del sole non cominciò a tendere verso il basso, colorandosi di toni caldi.
“Che programmi hai?”
Dimetrios si spinse indietro i capelli. Meditò di prendere dell’altro liquore e alla fine se ne versò un bicchiere. “Risponde bene agli stimoli: è curioso, vitale, si muove bene. Disubbidisce spesso, più per gioco che per altro. Come hai detto, per due anni abbondanti ancora il Cosmo resterà sopito. Fino a quel momento – se quel momento verrà, pensò in un angolo della propria mente – porterò avanti esercizi per irrobustirlo il più possibile e renderlo agile: gli attacchi dello scorpione necessitano della massima velocità”.
“Mh”. Fece Stephanos “Bravo. Ma adesso falla finita con quell’ouzo. O almeno allungalo con l’acqua…” fece per versargliene.
“Che accidenti fai, sacrilego?” rise e spostò il proprio bicchiere per un pelo. “Annaffia il tuo! …ma non temere, questo è l’ultimo”.


Milo era piccolo e, anche a tirarsi in punta di piedi, di arrivare al davanzale non c’era modo. Ma, se ancora scarseggiava in altezza, non mancava in inventiva e al davanzale ci arrivò da dentro, salendo in piedi sulla brandina, dopo sforzi notevoli.
Il letto di Dimetrios aderiva sul lato alla parete. Milo ci si buttò sopra di pancia, poi cercò di arrancare fin sopra, dimenandosi. Per un attimo rimase in bilico, sul bordo, e quasi non cadde all’indietro, per terra, dopo un volo non indifferente per un bambino così piccolo.
Bilanciato per puro istinto con una gamba, spinta di lato, non prese nemmeno in considerazione il possibile incidente.
Imbronciato, le guance rosse per lo sforzo, spinse il piede fino al bordo del materasso. In condizioni normali non ce l’avrebbe fatta: sarebbe potuto restare così, a sgambettare, fino all’arrivo del Maestro. Invece - il corpo e i riflessi affinati dal trotterellare sugli scogli, lo sfidare il vento e l’arrampicarsi sulle coste frastagliate - riuscì a puntellare il tallone. Ci mise più tempo e più fatica di quanto avesse immaginato, ma alla fine, i riccioli corti sparati attorno alla faccia come raggi di sole, cappottò sul letto e si mise in piedi.
Un passo sul materasso, che se fosse stato appena un po’ più morbido l’avrebbe fatto cadere di faccia. Era duro e spartano, invece, e il bambino sgambettò verso la finestra.
Il davanzale adesso gli arrivava all’altezza del naso.
Era cosparso di foglie e resina appiccicosa. C’era anche una mela bacata, caduta al mattino.
Stremato per lo sforzo, rimase lì qualche minuto, a respirare la salsedine e i profumi acri delle mele marce e di quelle ancora sugli alberi.
A infondergli nuova forza,  il ticchettare leggero e familiare delle zampette della sua preda, alla propria destra. Vicinissimo.
Si stava avvicinando al frutto troppo maturo: probabilmente era il suo odore che l’aveva attratta. Milo la guardò immobile, e la bestiola si fermò di scatto. Inarcò nuovamente la coda, descrivendo una forma perfetta, che esprimeva eleganza e potenza.
Il bambino l’ammirò spassionatamente. Lentamente alzò il braccio, per sporgerlo sull’animale. Non intendeva fargli male: voleva solo prenderlo. E chissà cos’avrebbe detto Dimetrios vedendolo!
C’era il riflesso del sole che filtrava dagli alberi, dorato, sulle sue dita. In basso lo scricchiolio della sedia di Dimetrios mossa del vento. Dal mare arrivava un profumo leggero, salmastro, si confondeva con quello dolce del frutteto.
Milo vi chiuse la piccola mano sopra.
Poi ci fu un lampo di dolore incredibile.
Poi più niente.


“Milo!” sibilò Camus e il suo tono fece scorrere un brivido gelato sulla schiena del compagno, anche in quel pomeriggio estivo. Aveva vissuto la scena con tanta intensità che gli parve più presente che mai e il suo rimprovero retrospettivo non gli parve abbastanza.

Dimetrios rincasò insieme al sole che tramontava. La costa si tingeva di rosso e i raggi infuocati si spingevano fino al frutteto, penetrando tra i tronchi e colorando le mura bianche. Regnava il silenzio, in quel regno profumato di sale e di mela, e nessuno gli era corso incontro al suo arrivo: Milo doveva essere ancora i giro.
Il vento si era placato e il mare era calmo. Il giovane si fermò sul sentiero, spingendo lo sguardo verso l’entroterra, per scorgere l’allievo, nel caso stesse rientrando: gli aveva imposto d’essere puntuale, la sera. Poiché non arrivava, rientrò per aspettarlo ancora qualche minuto, slacciando la camicia.
Sì fermò con la mano a mezz’aria, sentendo qualcosa spezzarsi dentro.
Nell’ombra densa, non sfiorata dal sole morente, i suoi occhi individuarono con fin troppa chiarezza il corpo rannicchiato di  Milo, esanime. Sembrava incosciente e non si muoveva, se non per orrendi spasmi irregolari. Di tanto in tanto gemeva ed era come il lamento di uno spirito nella sera.
Dimetros si rese conto di essersi lanciato verso di lui solo quando la sua mano già toccava la fronte e le guance riarse.

 

 

Rispondendo:
Gem: Grazie! çOç Non sai che piacere. Sono contenta ti piaccia. Spero di vederti ancora! >O< <3
Juka: Ti ringrazio tanto per i complimenti. Le cose che mi hai detto sulla narrazione le vedo adesso che me le hai fatte notare. E' interessante la tua osservazione sulla memoria, mi ha fatto molto piacere. Sì, Orione è stato seccato dallo Scorpione, nel mito *C*; che incidente spiacevole per i nostri amici qui, eh? *C* Comunque niente paura: io aggiorno, ma ho i miei tempi! ^__- Ti aspetto ancora!
Stateira: *C* eh si... ci avviciniamo ad un momento ostico. Lo scorpione si è rotto le palle di essere inseguito. Stammi vicina, ora, tesoroh *C* <3
Damaris: Sono così felice che ti piaccia Dimetrios! çOç Con questo personaggio ho un debito un po' particolare, le lodi che gli vengono, se ci sono, non possono che riempirmi d'orogoglio e d'amore per lui. La storia di Orione... ha un ruolo piuttosto fondamentale, qui,l spero di riuscire a renderla. la tua presenza mi incoraggia e sostiene moltissimo. Grazie infinite.  é__è Il paragone sottile con la cacciata dal paradiso e l'albero della conoscenza che porto avanti forse diventerà più chiaro. C'è il pericolo di mischiare un po' troppo le mitologie. Dimmi, continuando, se stona, secondo te. ^__- Un bacio immenso.
ArabianPhoenix: grazie anche a te! Gentilissima. Ah, beh, di ombre ce ne sono finchè ne vuoi, sotto tutti quei colori abbaglianti. Le scopro insieme a te! >O< <3
Ren_Chan: amore mio çOç grazie *SPUCCIA TUTTA* Dimetrios lo curo più che posso, anche perchè ci serve. ù__ù  "fissa l'ALTRO". Vai che tra poco lo incontri. *C* Sono contenta ti sia piaciuta tutta la storia di Orione: tienila d'occhio! XD Lo sai cosa muove Milo, in realtà. Quello che muove tutte le Nespole. La merce rara. ù__ù  Grazie per le tue parole su Stephanos. Grazie infinite.
Shinji: grazie a te per averlo letto. é__è e per i complimenti. E per la tua dolcezza, sempre. Ti adoro, caro.

 

   
 
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