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Autore: Nanek    09/07/2015    9 recensioni
E da sciocco credo sia anche una buona idea prendere un pezzo di carta, una penna e fingermi come la mamma, piccoli miei, fingermi scrittore e non compositore, fingermi autore di questa storia che chissà se mai vi verrà voglia di conoscere, di leggere.
Io la scrivo lo stesso, forse perché mi sento troppo ispirato, forse perché ora capisco cosa prova la mamma quando dice di dover sfogare su carta quello che le frulla in testa.
E pensare che tutti non ci avrebbero scommesso un dollaro su di noi.
E pensare che doveva finire nell’arco di qualche mese.
E pensare che era considerato tutto impossibile.
Perché, dai, chi crede che un cantante famoso possa innamorarsi perdutamente di una fan?

Una tra mille, milioni, una che non la distingui neanche dalla folla, una che è lì e ti sembra uguale a quella accanto.
Solo una fan in mezzo ad un mare di volti che cantano le tue canzoni, volti sempre diversi.
Dai, chi ci crede che questo possa funzionare davvero?
Beh, io e la vostra mamma lo abbiamo fatto.
~
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=kLzoGYhAfeE
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lune's Love'
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6. Tenerife sea

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We are surrounded by all of these lies
And people who talk too much
You got the kind of look in your eyes
As if no one knows anything but us.

 
 
“Mi manchi”
“Tu di più”
“Wow”
“Wow?”
“Mi aspettavo una classica risposta alla Vane del tipo: quanto sei mieloso, quanto sei da diabete, oddio mi è uscita una carie. Che succede?”
“Mi manchi e basta. Tanto”
“Che succede, Vane? Ti hanno fatto qualcosa? Vuoi che ti chiami?”
“Che ore sono da te?”
“Non importa l’ora, ti chiamerei in ogni istante. Dimmi cosa succede”
“Non succede nulla”
Ho premuto il tasto verde per chiamarla subito dopo aver ricevuto quel messaggio.
«Perché mi hai chiamata?»
La voce della mamma era lieve, quasi un sussurro, come se non volesse farsi sentire.
«Cosa succede?»
«Nulla, Luke. Quante volte te lo devo ripetere?»
Eppure c’era qualcosa che non andava per il verso giusto.
«Che ore sono lì, in Italia?»
«Le sette e mezza di mattina, lì? A Los Angeles?»
«Le dieci e mezza di notte. Stai andando all’Università?»
«Sì.»
«Hai guardato le notifiche di Twitter. Potevo scommetterci. Quante volte ti ho detto di non leggere? Vane, a me importa solo-»
«No, Luke. Non ho letto nulla, ormai mi sto anche abituando all’idea di essere osservata dalle ragazzine e di essere un po' detestata. Ma non è quello, lo giuro…»
E io e mamma ormai continuavamo la nostra relazione da mesi, mesi che però non venivano vissuti a dovere, tra i miei impegni con la band e i suoi impegni universitari, tra i miei viaggi da ogni lato del globo e quel maledetto fuso orario che impediva ogni tipo di contatto.
Eppure, facevo di tutto pur di non perderla mai, facevo di tutto pur di starle vicino, anche se eravamo così lontani.
Non avevamo neanche passato il Natale insieme, tanto meno Capodanno, e Febbraio era arrivato senza neanche chiedere, erano passati troppi mesi da quella improvvisata in Inghilterra, erano passati troppi mesi e troppi gossip su di noi.
Foto ovunque, fan allarmate, cose che leggevo per conto mio, articoli che leggeva pure la mamma, senza dirmi nulla, senza chiedermi di fare qualcosa a riguardo.
Perché nonostante i mille pettegolezzi, io non avevo ancora confessato niente.
Cosa c'era da dire?
L'avevo baciata davanti agli occhi delle fan, l'avevo tenuta stretta a me mentre decine di cellulari ci scattavano foto, l'avevo portata dentro al mio hotel: più chiaro di così.
Eppure, mi sentivo un po' in colpa per questo mio comportamento.
La conoscevo da nove mesi, nove mesi passati con lei in testa, con mille pensieri rivolti a lei, con mille preoccupazioni solo e solamente per lei.
Eppure... potevo davvero dire di essere in una relazione?
Ad essere sincero, mi sembrava solo una presa in giro.
Mi detestavo, bambini, mi detestavo, perché mi rendevo conto di non essere presente per lei, mi rendevo conto di essere solo una figura che compariva qualche volta ogni venti giorni, una figura che pretendeva di trovarla lì, ad aspettarmi, anche se passavano quaranta giorni.
Mi sentivo una merda, un autentico stronzo nei suoi confronti, un egoista che non aveva neanche il coraggio di lasciarla andare.
Perché non volevo, bambini, non mi sarei mai perdonato un gesto simile: lasciarla andare avrebbe significato dimostrare quanto poco mi fossi sforzato per far funzionare le cose.
Non me lo sarei mai perdonato.
Avrei fatto di tutto pur di dimostrarle quanto contasse per me, quanto importante fosse per la mia esistenza, quanto importante fosse aver trovato una persona come lei.
Dovevo, quindi, trovare una soluzione, trovare un modo per renderla felice, per renderla parte della mia vita.
L'illuminazione è arrivata in tempo, per fortuna, sempre nel corso di quella chiamata.
«Senti... io... vorrei proporti una cosa»
«Che succede?»
«Parteciperemo ai Brit Awards, tra poco»
«Sì, lo so... ma non voglio che tu...»
«Vieni con me»
«C-cosa?»
«Vieni con me. Sarai mia ospite, ti manderò tutto quello che ti serve. Però, vieni, accetta, vieni con me, resta con me. Ci vediamo così di rado, mi manchi, mi manchi da morire, sei la mia ragazza e ti vedo meno del dovuto. Ti prego, vieni, pagherò tutto.»
Un minuto di silenzio.
Un minuto pieno di panico, di terrore, di fiato sospeso.
Un minuto prima di sentirla ridere appena.
«La tua ragazza?»
E, bambino mio, le donne capiscono solo quello che vogliono, senza offesa, bambina mia.
«Sì, la mia ragazza, qualcosa in contrario?»
«Non posso accettare, Luke. Lo sai, io... non posso, non ti lascerei pagare tutto, però... non posso spendere più di quanto non spenda già, lo sai... io... non posso venire, lo sai»
Il resto di quella conversazione ve lo risparmio, bambini, perché tanto il papà ha sempre fatto di testa sua.
Esattamente una settimana prima dei Brits sono atterrato in Italia.
Esattamente una settimana prima, mi sono presentato a casa della mamma con tanto di vestito elegante in una borsa, comprato appositamente per lei, due biglietti aereo e la voglia di passare almeno una settimana in sua compagnia, prima di trascinarla a forza a Londra, a quell'evento che non scorderò mai.
La fortuna era dalla mia parte, in quei giorni, e me ne rendevo conto man mano che il tempo passava.
Casualmente i nonni erano in vacanza.
Casualmente la mamma era a casa da sola in quei giorni.
Ma quanta casualità, eh?
Eppure, è andata davvero così, infatti, mi sono ritrovato chiuso fuori casa ad aspettarla, occhiali da sole indossati anche con la pioggia, l'ombrello inondato d'acqua, la valigia che pesava più di me e la paura di mandare in rovina quel bel vestito che custodivo come qualche tesoro prezioso.
Ho aspettato la bellezza di... cinque fottutissime ore.
Sotto quel dannato portico ci ho messo le radici e per fortuna che la sua vicina mi ha aperto il portone! Così mi sono riparato dentro, seduto sulle scale, sempre in attesa della mia ragazza preferita.
Ragazza che dopo cinque ore si è fatta viva, sotto un ombrello blu, lo zaino giallo sulle spalle, il giubbotto che la copriva tantissimo e quegli occhi blu che non osavano alzarsi da terra: sembrava in incognito, sembrava solo... triste.
«Buongiorno, principessa!» ho esclamato con il cuore in gola, facendole prendere uno spavento, non appena ha aperto il portone.
Quegli occhi blu mi hanno un po' fulminato in quel momento, prima che quel sorriso la tradisse brutalmente sotto il mio sguardo.
Ha sorriso, bambini, ma quei sorrisi che non si dimenticano mai.
Quel sorriso che esprimeva ogni cosa: le mancavo, mi voleva esattamente lì, l'avevo resa felice anche solo con un saluto, eravamo entrambi nel posto giusto al momento giusto.
E quando ho sentito il tonfo del suo ombrello caduto a terra, me la sono sentita addosso.
Mi ha abbracciato stretto, talmente stretto che a momenti non la riconoscevo, mi ha abbracciato e finalmente mi sono sentito a casa, mi sono sentito come in paradiso, in pace con me stesso.
«Dio... ma sei veramente qui? Sei veramente tu?»
«In carne ed ossa, non sono né una visione, né un angelo, sono io» e la frecciatina lei l'ha colta subito.
«Che ci fai qui?»
«Sono venuto a trovare la mia ragazza, non so se sai dove abita, ma è in questo palazzo, mi sembra al primo piano»
«Ma tu non avevi un evento a cui partecipare?»
«Tra una settimana e, per la precisione, non voglio andarci da solo»
«Luke... ti ho già detto che...»
Non l'ho lasciata finire, non avevo voglia di sentirla ripetere le stesse cose, anche perché alla fine, tra i due, avrei vinto io.
L'ho baciata, lasciando che quel bacio fosse leggermente diverso dagli altri, lasciandole ben intendere che quello era il momento meno adatto alle parole.
L'ho baciata così forte da farle diventare le labbra arrossate, l'ho baciata sul collo, facendola gemere appena, mentre le mie mani vagavano sui suoi fianchi, mentre i nostri bacini combaciavano alla perfezione tanto da farci sussultare.
«Luke... aspetta»
«Dimmi»
«No è che... siamo all'ingresso del condominio e... beh, non so se hai notato ma... qua rimbomba tutto e...»
«Ci sono i tuoi?»
«No»
«No?»
«Sono a casa da sola da tipo due giorni, sono andati in montagna, tornano la settimana prossima»
«Perché non me l'hai detto?»
«Perché... beh, eri a Los Angeles!»
«Sì, ma... insomma, potevi dirmelo»
Silenzio.
Le guance della mamma sempre più rosse.
«Resti qui, fino ai Brits? Tanto... ho un letto in più»
Sorrisi beffardi.
Sapevamo entrambi che un letto per due era più che sufficiente, ma ci piaceva fingerci innocenti e capaci di trattenere gli ormoni, al pensiero mi viene ancora da ridere.
Beh, siamo entrati in casa, questo è importante, ho lasciato la valigia in entrata, ho avuto un brevissimo primo incontro con il caro Charlie, prima di riprendere quello che mamma aveva interrotto.
Ci siamo baciati di nuovo, ancora con più bisogno di prima, ancora con più foga, tanto da avere il fiato corto, tanto da avere le mani tremanti ad ogni singolo gesto, ancora insicuri e dubbiosi su quello che stavamo per fare.
Da parte mia, mi sentivo come ad una specie di esame: ero nervoso mentre le sfilavo i vestiti, ero nervoso e nella mia testa regnava un bel po' di casino.
Mille domande, mille preoccupazioni, forse fin troppo inutili e idiote, ma che il mio cervello si divertiva a creare, solo per creare ancora più scompiglio.
In fin dei conti, non l'avevo vista per mesi, non ci eravamo neanche parlati per cinque minuti: era la cosa giusta fare sesso in quel momento?
Come si sarebbe sentita, lei?
Usata? Amata?
Si sarebbe sentita bene?
Forse non lo voleva?
Forse ricambiava quei baci per compiacermi?
Ma a tutte quelle domande si era aggiunta quella più importante: dove cazzo è il preservativo?
Non ce l'avevo, ovviamente.
E, no, bambini, non era questo il momento per darvi vita.
E da quel pensiero, sono cominciate le comiche.
«Vane...»
«Sì?»
«Non ho il... il preservativo. Prendi la... la pillola?»
«Ehm... no»
«C-come no?»
«No, Luke.»
Quel “no” ha dato vita a molte cose che mamma mi teneva ancora nascoste.
«Non la uso, perché io non ho mai avuto rapporti, semplice» una confessione detta di getto, ma con un tono di voce che lasciava ben intendere che ci fosse molto altro.
Non che la cosa mi avesse scandalizzato, però non me l'aspettavo, tutto qua.
La mamma era un'autentica bomba, bella da morire, un fisico che personalmente trovavo perfetto, nonostante lei non lo capisse, quindi... beh, considerando che mi aveva parlato dei suoi ex, pensavo che uno di quei coglioni fosse arrivato al punto.
Invece no.
E scoprire questa cosa mi ha reso felice.
Egoista da parte mia? Vero, non lo metto in dubbio, ma non sapete che sollievo.
Il solo pensiero di lei con un altro prima di me mi faceva più che rabbrividire, sapere che però lei sarebbe stata solo mia... mi rendeva la persona più importante della sua vita.
Sarei stato io il suo primo.
Sarei stato io il suo ricordo più vivo.
Mi piaceva pensarla così, e mi piace tutt'ora pensare che per lei sono il suo unico e solo.
Tranne per un piccolo errore, ma non è il momento di parlare di questo.
In conclusione, la mamma tra un balbettio e l'altro mi ha spiegato un po' la situazione, mi ricordo i suoi occhi lucidi e le sue mani tremanti mentre si scusava per nulla.
«Scusa per cosa? Non devi scusarti»
«Mi dispiace»
«Quanto sei scema. Non voglio nessuna scusa»
«Scusa perché io non sono come quelle che hai avuto tu» e questa frase, bambini, non potete neanche immaginare quanti casini ha creato tempo dopo.
Sto facendo troppi riferimenti a fatti avvenuti dopo quel giorno, riferimenti a cose di cui vorrei parlarvi più avanti, seguendo il filo conduttore di questa storia.
Quindi, riprendendo il discorso.
Alla fine sono dovuto andare in farmacia, da solo, e fare la mia bella figura di merda con la tipa dietro al bancone: mi ha semplicemente guardato dentro, con quegli occhi grigi, mi ha fissato per tutto il tempo che sono rimasto lì, concludendo il mio acquisto con «Divertiti» e una strizzata d'occhio che mi ha fatto arrossire di brutto.
Quella sera, alla fine ce l'abbiamo fatta.
Abbiamo fatto l'amore per la prima volta.
Vi risparmio ulteriori dettagli, dato che certe cose stanno tra me e la mamma, bambini.
Quello che posso dirvi è che è stata la notte più bella della mia vita.
Mi sentivo diverso, mi sentivo bene con lei.
E, sì, aveva ragione, lei non era neanche paragonabile alle “altre”, ma perché lei era l'emblema della perfezione.
Non mi sono mai sentito così amato da qualcuno, non mi sono mai sentito così completo mentre mi univo a lei, non mi sono mai sentito così preoccupato di ogni mia singola azione, preoccupandomi per lei, per il suo corpo, per il suo piacere, lasciando completamente in disparte il mio.
Potrà sembrare pure banale quello che dico, ma fidatevi che non sempre troverete delle persone che mirano al vostro star bene e non al proprio.
E io mi sentivo così, sentivo il dovere di preoccuparmi solo di lei.
Non dovevo rivolgere pensieri a nessun altro, tanto meno a me stesso, perché nella testa della mamma c'ero solo io.
Ci preoccupavamo a vicenda l'uno dell'altra, con le nostre paure, con i nostri timori, ma con la consapevolezza che mai e poi mai avremmo trovato un'altra persona in grado di amarci così.
Ed è stata proprio quella notte a farmi capire quanto potessi amare davvero, è stata quella notte ad aver un po' sigillato una promessa silenziosa, una promessa destinata a durare in eterno: la promessa di riuscire a non perderci mai, nonostante tutto.
*
«Ripetimi perché ho accettato di venire ai Brits, Luke?»
«Ancora? Ma la vuoi smettere?»
«Io mi vergogno. Poi, questo vestito è troppo corto! E questi tacchi? Ma mi hai visto come cammino? Appena scendo dalla macchina farò una capriola»
«Ti tengo io, dai, non cammini così male»
«Perché i miei genitori mi hanno lasciato venire qui?! Mi risparmiavano una figura di merda davanti agli occhi del mondo»
«Quanto sei scema! Andrà tutto bene, vedrai. Il Red Carpet non è così male: cammini, sorridi e poi entriamo e starai seduta tutta la serata»
«La fai semplice tu, dato che sei la star di turno. Le tue fan urlanti mi odiano, mi odiano pure Michael, Ashton e Calum! Non capisco perché tu mi abbia portata qui»
«I ragazzi non ti odiano, e tanto meno le mie fan, smettila di preoccuparti»
«Posso restare in macchina? Ho mal di pancia...»
«Tu non hai mal di pancia, ti diverti a fare la bambina»
«Tu non puoi sapere se ho mal di pancia o meno»
«Ripetimi quanti anni farai ad agosto? Ventitré? Oppure sette?»
«Smettila, Hemmo. Non sei divertente»
«Bambina capricciosa»
«Hemmo, stai giocando con il fuoco»
«Vuoi un po' di latte dalla tetta della mamma? Piccolina lei»
«Hemmings! Io ti uccido»
«Prova a prendermi, allora» e in quell'istante la macchina si è fermata.
Sono sceso alla velocità della luce, sentendola imprecare contro di me in italiano, facendomi sorridere mentre venivo accecato da troppi flash di macchinette fotografiche a pochi passi da me.
Le ho aperto la porta, porgendole la mano, sentendo come la sua pelle fosse estremamente congelata a confronto con la mia.
Quel vestito blu le stava un incanto, non era per niente troppo corto, era bello, era un po' stretto con dei fiocchi color oro sulla schiena che tracciavano la spina dorsale, le sue gambe scoperte che non erano così bianche come diceva lei, la sua carnagione era perfetta, delicata e mi piaceva da morire.
I capelli sciolti, poi, lisci e perfettamente piastrati, color dell'oro, quella frangetta che ho sistemato con l'indice, prima di perdermi nel blu dei suoi occhi.
Il rossetto scuro, la matita azzurra, era un contrasto perfetto, era lei semplicemente meravigliosa per quell'evento, nonostante mi stesse guardando con sguardo malefico e intimidatorio.
«Andiamo» le ho preso la mano, cominciando la nostra camminata verso l'entrata, chiamati da ogni parte, mentre la presa di lei si stringeva ad ogni passo, ad ogni foto scattata senza preavviso.
«Sono color cadavere. Guarda che bianca che sono. Guarda come mi guardano male, perché mi hai portato qui?» mi ha sussurrato appena, parole che io ho evitato di ascoltare, per il semplice motivo che io, lì con lei, mi sentivo sopra il mondo.
Le fan hanno urlato il mio nome così forte da attirare la mia attenzione, ci siamo pure avvicinati a loro, la mamma rossa in viso, le fan che la fissavano interdette.
Non volevano nulla da lei, e lei lo sapeva benissimo.
«Se volete, vi faccio le foto» si è offerta, ricevendo uno scarso entusiasmo, ricevendo la prima delusione che io non ho colto: il non essere accettata.
Forse, ero solo troppo preso ad essere felice, così felice da non accorgermi che lei stava già un po' soffrendo a causa mia, a causa delle mie fan senza rispetto, a causa della loro gelosia che lei sembrava capire, che sembrava voler giustificare, nonostante facesse male a lei e al suo animo fragile.
Siamo andati dentro mano nella mano, ci siamo seduti insieme agli altri in attesa della proclamazione dei premi.
Ed è stata in quell'occasione che l'ho presentata agli zii.
L'unico che l'ha fatta sentire un po' a suo agio è stato Ashton, con sua grande sorpresa.
Calum e Michael, sembravano solo irritati dalla mia decisione di portarla lì, dalla mia frettolosa scelta di sbandierare ai quattro venti gli affari miei.
L'aver vinto solo un premio su tre ha portato solo al peggio.
Perché quando le persone si mettono in testa un'idea sbagliata su qualcuno, quell'idea comporta a ragionamenti inutili, stupidi, illogici, ma che possono comportare a grandi cambiamenti, a gravi incomprensioni, a gravi litigi che porteranno solo al peggio.
Ma io, bambini, non mi ero ancora reso conto delle nuvole nere che stavano per invadere la mia vita.
Ancora non mi rendevo conto di quanto le cose stessero per cambiare di lì a pochi mesi dopo.
Ancora non mi rendevo conto di come una mia scelta potesse portare a cose tristi da ricordare.
Ancora non me ne rendevo conto, bambini, non me ne rendevo conto, ero troppo preso a stringere la mano della mamma, ero troppo preso ad abbracciarla e a baciarla per la felicità che sentivo dentro: vincere il premio ed averla lì, al mio fianco.
Ancora non me ne rendevo conto.
 



 

Note di Nanek
DI SEREEEEEE NEREEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE
Perché FA MALEEEEE MALEEEEE MALEEEEE DA MORIRE SENZA TEEE T.T
Di ritorno da Verona (di nuovo lol), con ben 4 ore di sonno dopo una serata meravigliosa al concerto di Tiziano Ferro, SONO NUOVAMENTE QUI.
E RINGRAZIO SEMPRE CHI SA PIANGERE DI NOTTE ALLA MIA ETàààààà
No allora, prima di iniziare le mie solite scuse per essere una ritardataria cronica, parliamo di Tiziano Ferro.
Cioè, voi non potete capire, E MAI NESSUNO CAPIRàààà PUOI RIMAAAANEREEEE.
Devo calmarmi, ma quell’uomo mi ha fatto fuori con le seguenti canzoni: Sere Nere, Troppo buono, E fuori è buio, Alla mia età, la Fine, se mi vedevate mi avreste preso per pazza, ma avevo i lacrimoni da morire.
Cioè, non so. Durante Sere nere stavo per urlare “FA MALE DA MORIRE SENZA LUKE” e il resto delle canzoni invece è… boh, ascoltatele, sono troppo per questo mondo, sono troppo belle.
Poi E fuori è buio… quanti ricordi, io non so.
È solo che… CHE QUANDO NON RITORNI ED è Già TARDI E FUORI è BUIO NON C’è UNA SOLUZIONE QUESTA CASA SA DI TE T.T
Comunque, in conclusione a questo sclero, sì, sono qui, sono viva e sono ancora in fibrillazione da ieri sera e e e e udite udite: SONO SOTTO TESI.
Purtroppo i miei ritardi sono anche a causa della tesi da scrivere, tra ff e tesi ormai ho gli occhi che mi si incrociano!!
Chiedo perdono (regalami un sorriso io ti porgo una rosa TIZIANO ESCI DALLA MIA TESTA) e spero di tornare presto, ma vi giuro non ho una briciola di tempo!!
Passando al capitolo: è molto… non lo definirei gioioso.
Okay, c’è la parte sentimentale di Luke che insegna ai suoi figli che trovare qualcuno che si preoccupi per te in ogni momento è difficile e bla bla bla ma… inizio e fine capitolo sono un po’… dubbiosi, non sono tanto sereni.
Qualcuno ha idee su cosa succederà?
Il prossimo capitolo è quello decisivo, preparatevi!
Detto questo, io vorrei pubblicizzare la mia OS su Niall, perché boh, mi piace e… vorrei sapere che ne pensate =) questa è la OS: Night Changes.
E dopo questo, io vi saluto.
Tornerò presto, FORSE di sabato, non questo ma il prossimo, nell’attesa, ascoltatevi ste canzoni di Tiziano che meritano tutte *--------*
Grazie di cuore per ogni cosa <3
Nanek

 
 
  
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