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Autore: _Fire    10/07/2015    2 recensioni
"Era da un paio di mesi che Lexie aveva uno strano dolore alla spalla destra, come un pizzicore.
Ma non se n’era preoccupata affatto.
Prima di tutto, era un medico, una specializzanda in chirurgia, e poi conosceva già perfettamente la sua diagnosi.
A breve avrebbe compiuto venticinque anni, e il giorno del suo compleanno sarebbe comparso, su quella stessa spalla che le faceva male, il nome della sua anima gemella."

| Scritta a quattro mai con Life before his eyes | Soulmate!AU | Principalmente Slexie | Accenni MerDer e Japril |
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Sheperd, Jackson Avery, Lexie Grey, Mark Sloan, Meredith Grey
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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You and I, we’re meant to be.
 
 
What’s a soulmate?
It’s like a best friend but more.
It’s the one person in the world who knows you better that anyone else.
That someone who makes you a better person.
No, actually they don’t make you a better person.
You do it by yourself, because they inspire you.
A soulmate is someone who you carry with you forever.
It’s one person who knew you, accepted you and believed in you, before anyone else did or when no one else would.
And no matter what happens,
you’ll always love them and nothing could ever change that.
 
 
 
 
 
Alexandra Caroline Grey non poteva crederci.
Aveva aspettato quel giorno da anni e per lei era sempre stato chiaro cosa sarebbe successo.
Quale nome sarebbe uscito.
Eppure, continuava a fissare attonita la propria spalla, capendo in quel momento quanto si era sbagliata.
Perché non era Jackson ciò che lesse sulla propria pelle, ma Mark.
 
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Era da un paio di mesi che Lexie aveva uno strano dolore alla spalla destra, come un pizzicore.
Ma non se n’era preoccupata affatto.
Prima di tutto, era un medico, una specializzanda in chirurgia, e poi conosceva già perfettamente la sua diagnosi.
A breve avrebbe compiuto venticinque anni, e il giorno del suo compleanno sarebbe comparso, su quella stessa spalla che le faceva male, il nome della sua anima gemella.
Essendo una donna di scienza, non riusciva a spiegarsi un fenomeno simile, ma ormai si era rassegnata al fatto che fosse semplicemente così.
L’aveva visto succedere a sua sorella Molly, e tutti le avevano detto che sarebbe accaduto anche a lei.
Susan, sua madre, era sempre stata eccitata all’idea di scoprire quale nome sarebbe uscito.
Molly aveva sposato un soldato. Aveva aspettato con ansia quel giorno: ci aveva fantasticato su a lungo, come una principessa sul principe azzurro.
Lei, invece, all’inizio aveva avuto paura. Era come un rito di passaggio, qualcosa da celebrare, e questo l’aveva spaventava.
Poi si era tranquillizzata, all’idea che probabilmente aveva già trovato la persona con la quale doveva stare, ed era da un po’ che anche lei aspettava con impazienza quel giorno.
Lei e Jackson stavano insieme da qualche anno, ma si conoscevano da molto prima.
Sapeva che era rischioso stare con qualcuno seriamente prima di conoscere il verdetto, ma sia lei che Jackson credevano di aver scelto bene.
Anche perché, se fosse uscito un nome diverso, non avrebbe saputo cosa fare.
Come avrebbe fatto se fosse stata destinata a qualcuno che non conosceva?
Se l’era chiesto spesso, e non aveva trovato una riposta, ma solamente un’altra domanda.
Come si può dedicare completamente anima e corpo ad uno sconosciuto?
È possibile?
Non lo sapeva, ma l’avrebbe scoperto presto.
Voleva solamente leggere un nome sulla sua pelle, perché il dubbio la faceva sopraffare dall’ansia.
E pensare che molti credevano fosse quella la cosa bella delle anime gemelle.
Lexie non era per niente d’accordo.
 
 
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Quando la ragazza vide il suo fidanzato, lui si stava mettendo il camice.
Lo faceva in fretta e guardandosi nervosamente intorno, come se avesse paura di arrivare in ritardo ad un appuntamento. Peccato che mancasse ancora un’ora all’inizio del giro di visite.
Consapevole del fatto che non avrebbe dovuto esserci nessuno lì – tranne April, a cui era stato assegnato il turno di notte, e lei, che doveva farne uno di quarantotto ore – Lexie fece qualche passo in avanti e si preparò a parlare con Jackson.
C’erano tante cose che avrebbe voluto dirgli.
Qualcosa non va.
Non è uscito quello che mi aspettavo.

Ma le sue labbra rimasero sigillate.
E continuò a non proferire parola, nel momento in cui vide la sua compagna di corso entrare nella stanzetta.
La rossa aveva il camice sporco di sangue ed i capelli arruffati, che indicavano quanto fosse stanca.
Eppure, nonostante tutto, non poté trattenere un sorriso, vedendo il moro che la salutava e le sorrideva a sua volta. 
Da quanto tempo era che loro non si guardavano in quel modo?
Lo avevano mai fatto? 

Con una scrollata di spalle si allontanò e fece un profondo respiro.
Si stava solo immaginando tutto.
Più tardi si sarebbero chiariti e avrebbero riso per la stupidità del loro comportamento. 
Ne era convinta.
 
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Mark Sloan varcò la soglia dell’ospedale, lasciando che i mormorii dei suoi colleghi lo inseguissero nel tragitto verso il pronto soccorso.               
Non era mai stato particolarmente amato in quell’ambiente e, stranamente, gli era sempre andato bene così.
Dovendo essere sincero, nella sua vita non aveva avuto molte occasioni di conoscere l’amore ed era ormai abituato a quella sensazione di vuoto che percepiva al centro del petto. 
Come se sapesse che c’era era una sola persona in grado di colmarlo ed avesse paura di non incontrarla mai.
La sua anima gemella.

Scoraggiato, ripensò al giorno del suo venticinquesimo compleanno e a quando quelle lettere erano apparse sulla sua spalla. 
Ma che diavolo di nome era Alexandra Caroline?
Sin dal primo momento, aveva faticato a credere che qualcuno potesse chiamarsi in quel modo ed il tempo glielo aveva confermato.                               
Per quanto l’avesse cercata, lei non era mai arrivata e l’unica cosa che l’uomo aveva potuto fare era nascondersi dietro a relazioni vuote e scappatelle occasionali.
In fin dei conti, doveva esserci un motivo più che valido, se lo chiamavano la prostituta.
Scrollandosi di dosso quei pensieri e camminando il più velocemente possibile, giunse finalmente a destinazione e si rivolse alla matricola che gli era stata assegnata.
«Cosa abbiamo?» domandò, mentre si infilava un paio di guanti in lattice.      
Il ragazzo non rispose, visibilmente agitato di trovarsi al suo cospetto, e Mark sospirò.
Si sarebbe fatto assegnare qualcuno di più competente, rispetto a quel giovane immaturo.
 
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«Grey, sei con il dottor Sloan oggi» le comunicò Webber, mentre cercava di bere un po’ di caffè per riprendersi dalla stanchezza.
Lexie si alzò immediatamente, annuendo.
Aveva sentito quel nome, anche se la maggior parte delle volte l’uomo veniva chiamato dottor Bollore.
Alcune ragazze del suo corso dicevano che era andato a letto con quasi tutte le infermiere dell’ospedale, che ora programmavano una sorta di rivolta contro di lui.
Lei aveva riso a quel pensiero.
Non aveva mai visto il diretto interessato, ma a giudicare da queste voci doveva essere proprio un bell’uomo, nonostante l’età.
Tant’è vero che le stesse sue compagne di corso speravano di avere qualche chance con il medico, indipendentemente dagli anni di differenza.
Lei aveva riso di nuovo.
«Ha richiesto una matricola capace» aveva ripreso Webber. «So quanto sia esigente e, per questo, ho scelto te. Vedi di non farmi fare brutta figura.»
Lexie mandò giù il suo caffè. «Dove posso trovarlo?»
«È al pronto soccorso.»
Annuì di nuovo, prima di dirigersi lì.
Anche se preferiva nettamente neurochirurgia, e lavorare con il dottor Shepherd, che era anche suo cognato, le faceva sempre piacere.
Quel giorno si sarebbe dedicata a chirurgia plastica.
Chissà se quella specializzazione era interessante come il suo strutturato…
 
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Mark stava compilando la cartella della sua paziente, che aveva riportato gravi ustioni in seguito ad un incidente domestico, quando arrivò la sua nuova matricola.
Era una ragazza dai capelli neri e gli occhi verdi, a cui doveva essere stato assegnato un turno molto lungo, considerando la lentezza con cui stava camminando verso di lui, e l’uomo non poté fare a meno di pensare che era davvero carina.
Non gli importava granché che fosse decisamente inopportuno.
«Mi scusi, è lei il dottor Sloan?» domandò lei, una volta che si fu posizionata di fronte a lui.
«Sì» confermò lui, divertito dal fatto che, in un ospedale dove bene o male quasi tutti si conoscevano, loro due non si fossero mai incontrati.
Comunque, anche se la sua sottoposta non lo dava a vedere, era sicuro che fosse a conoscenza delle voci sul suo conto.
Lui, al contrario, non aveva mai sentito parlare di lei.
Cercò di capire il suo nome dalla ricamatura sul camice, ma lesse solo Grey, L.
Aveva lo stesso cognome di Meredith, la moglie del suo migliore amico Derek.
Avrebbe potuto chiedere a loro qualcosa sul suo conto, per esempio il suo nome.                                             
Scacciò quei pensieri, aprì la bocca e si preparò a dirle qualcosa, che probabilmente riguardava i casi che avrebbero dovuto affrontare quel giorno, ma la giovane non seppe mai quali parole stava per pronunciare.
Semplicemente perché, in quello stesso istante, sua sorella la raggiunse nella hall e le rivolse uno sguardo carico di gelida furia.
«Tu!» sibilò Meredith, ignorando completamente la presenza di Mark e rivolgendosi alla bruna, che sembrava più che mai in imbarazzo.                      
Il rossore sulle sue guance ne era la prova.
«Cosa ti è saltato in mente?» iniziò la bionda, senza riuscire a trattenersi.
Sentiva la rabbia montarle dentro e riversarsi all’esterno come un fiume in piena.
«Avevi promesso di occuparti di Zola e invece hai accettato un turno di quarantotto ore! Sei incredibile, veramente incredibile!» continuò frustrata, cominciando ad accettare l’idea che, se non avesse trovato una soluzione, avrebbe dovuto annullare i suoi interventi serali e occuparsi lei della bambina malata.

«Io mi sono dimenticata. Mi dispiace» provò a scusarsi Lexie, ma si accorse subito che le sue parole non sortirono l’effetto sperato.
«Alexandra Caroline Grey - » fece per rimproverarla Meredith, notando troppo tardi di aver eccessivamente alzato il tono.
A quel punto, Mark decise di parlare e di mettere fine a quella situazione imbarazzante.
«Dì a Derek che me ne occuperò io, visto che questa sera non devo lavorare.»
Sentendo quella riposta, la donna sembrò calmarsi e se ne andò a passo svelto.
Ma, al contrario, il chirurgo non era affatto tranquillo e il suo cuore iniziò a battere più velocemente. 
Alexandra Caroline.
Quante altre persone potevano chiamarsi in quel modo?

 
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Stremata, la ragazza si lasciò scivolare contro il muro del corridoio e chiuse gli occhi.
Non sapeva per quale ragione il dottor Sloan si fosse comportato in modo così strano, quella mattina, e faticava ad immaginare come sarebbe stato lavorare con lui per una settimana intera.
Di certo, tutt’altro che semplice.
Forse, lui avrebbe addirittura chiesto a Webber di sostituirla.
Fino ad allora, infatti, non aveva fatto altro che correre per tutto l’ospedale e ritirare analisi, mentre l’uomo faceva di tutto per evitarla.                                                      
Si comportava in quel modo per quanto accaduto quella mattina?
Non ne era sicura, ma certamente Meredith l’avrebbe sentita e si sarebbe pentita di averla trattata come una stupida davanti a tutti. Le voleva bene, sì, però era anche delusa dalla modalità in cui aveva reagito.
Sospirò.
Quello non era un periodo facile per lei e, nonostante rimanesse positiva e non si abbattesse, non sapeva più cosa aspettarsi.
Riaprì gli occhi solo quando, delicatamente, qualcuno le posò una mano sulla spalla e si sedette accanto a lei.
Era Jackson, che la fissava con un’espressione al contempo dolce e ansiosa, come se dovesse dirle qualcosa che sapeva non le sarebbe piaciuto.
Teoricamente, quello era il loro primo incontro dalla sera prima e, nel momento in cui era scoccata la mezzanotte del suo venticinquesimo compleanno, Lexie aveva saputo che presto avrebbe dovuto affrontarlo.                       
Che sarebbe stata costretta a dirgli che non era lui la persona con cui avrebbe dovuto passare il resto della sua vita.
«Così, adesso anche tu hai raggiunto l’età. Immagino che dovremmo parlarne» borbottò lui semplicemente.
Il solo fatto che non le avesse fatto gli auguri fu per lei un campanello di allarme.
Si erano conosciuti da piccoli – a otto anni, precisamente – ed erano sempre stati migliori amici, tanto da fare anche l’università insieme.           
Non aveva mai mancato di complimentarsi con lei per essere invecchiata così bene, specialmente da quando si erano fidanzati due anni prima, e quasi non riusciva a credere che in pochi mesi si fossero allontanati a tal punto.
«Mi stai spaventando» gli disse a quel punto e la sua voce era carica di ansia.
Ansia e paura di scoprire che fosse tutto finito.
Capendo che non aveva senso temporeggiare, Jackson iniziò a parlare.
«Noi siamo i più giovani del corso. Abbiamo fatto due anni in uno e abbiamo iniziato a lavorare a ventiquattro anni» disse, come se questo potesse spiegare ogni cosa. 
Vedendo che lei non accennava a capire, continuò a raccontare. «Quando siamo arrivati, tutti sapevano il nome della loro anima gemella, fatta eccezione per noi. E uno dei primi giorni, April è venuta da me, rivelandomi che sulla sua spalla c’era scritto Jackson. Me l’ha anche mostrata e tutto ciò che riuscivo a pensare era che doveva trattarsi di qualcun altro. Glielo ho detto e lei ha capito, capito talmente bene che non abbiamo più parlato dell’argomento, almeno fino al mio compleanno.                          
Quel giorno ho letto sulla mia pelle il suo nome. Ecco perché non ti ho raccontato nulla e ho aspettato.
Pensavo che ci avremmo riso sopra e compreso insieme che era stato uno sbaglio.»
Sentendo la sua spiegazione, il sangue le si era gelato nelle vene.
Finalmente, tutto iniziava ad avere un senso.
Era per quello che si erano allontanati e per la stessa ragione che sulla sua spalla c’era scritto, a caratteri cubitali, Mark.
E, dovendo essere sincera, adesso le era chiaro perché aveva visto il suo fidanzato – se ancora poteva definirlo in quel modo – in ospedale un’ora prima del previsto.
Per incontrare lei, che stava finendo il turno di notte e sarebbe tornata a casa prima del suo arrivo.
«Ti sei innamorato di lei?» domandò, con una voce che tentava di nascondere il dolore.
Non perché lo stava perdendo, anche se doveva ammettere che facesse male, ma perché non aveva più alcuna certezza. Sembrava che il mondo le stesse crollando sotto ad i piedi.
«Noi non ci siamo mai sfiorati» rispose lui, sperando che almeno questo potesse rincuorarla.
Odiava aver fatto male ad una persona così buona e speciale.
«Non hai risposto alla mia domanda» insistette Lexie.
«Io… credo di aver iniziato ad amarla quasi da subito. Ma i mesi passavano e noi eravamo felici, perciò ho sempre pensato che fosse solo una cosa passeggera. Non sai quanto mi dispiaccia.»
La bruna avrebbe voluto dirgli che lo capiva, che era felice che avesse trovato la sua persona, ma non riuscì a parlare. «Credo che la nostra relazione sia appena finita» mormorò solo e gli fece segno di andare via.
A malincuore, lui la accontentò.
Quando si erano messi insieme, entrambi erano consapevoli che la loro era solo una bellissima amicizia. 
Di non essere innamorati l’uno dell’altra.
E, con il tempo, questo non era mai cambiato.
Ma erano stati contenti, contenti davvero, e si erano bastati l’un l’altra, fino a quando lui non aveva conosciuto colei che lo completava.                                
Adesso, Lexie sapeva che era anche il suo momento per farlo.
Anche se questo significava abbandonare il più bel sogno ad occhi aperti che avesse mai vissuto.
 
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Lexie pensava che dopo quel giorno non avrebbe mai più lavorato con il dottor Sloan.
Tra la figuraccia fatta a causa della scenata di Meredith e la sua preferenza per neurochirurgia, si era rassegnata al fatto di aver deluso il capo Webber e che il chirurgo plastico avrebbe richiesto qualcuno più capace.
Sospirò in modo teatrale, accasciandosi sulla sedia della mensa.
«Cosa fai, Grey? Perdi tempo? I miei pazienti aspettano il giro di visite.»
Una voce familiare la scosse.
Alzò gli occhi, ritrovandosi a guardare le iridi azzurre del dottor Sloan.
«Dottor Sloan! Non pensavo di essere ancora la sua matricola…»
«Sarai la mia matricola finché non deciderò che non lo sei più» disse a parole semplici l’uomo.
«Adesso per colpa del tuo ritardo dovrò fare io una parte del giro. Portami almeno un cappuccino Grey, su. Dimostrami che non sei un incredibile disastro come dice tua sorella.»
Quell’ultimo commento fece arrossire Lexie, che scattò immediatamente in piedi, volando alla caffetteria, raccattando contemporaneamente le cartelle dei pazienti del dottor Sloan.
Nonostante lo strutturato avesse voluto apparire severo, la ragazza sentì chiaramente la sua risata alle spalle.
Non seppe se ciò l’avesse offesa o spronata.
Fatto stava che avrebbe fatto il possibile per lavorare ancora con il dottor Sloan e per dimostrargli quanto valeva veramente.
 
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Erano ormai ben tre settimane che era la matricola del dottor Sloan.
Doveva ammettere di essere piuttosto soddisfatta di sé stessa.
Nonostante tutti i suoi compagni pensassero che chirurgia plastica fosse una specializzazione più semplice rispetto alle altre, era difficile essere all’altezza delle aspettative del suo strutturato.
Lasciando da parte tutti i servizi che il dottor Sloan includeva nei suoi doveri da matricola, era sempre emozionata e ansiosa ogni volta che andavano in sala operatoria.
Non avrebbero aperto crani, tenuto in mano cuori o esplorato un addome, ma ogni volta cambiavano la vita di una persona.
La aiutavano a farsi accettare, dagli altri ma anche da sé stessa.
E il sorriso luminoso che avevano tutti dopo, guardando nello specchio il loro pezzo nuovo, le faceva sempre piacere.
In particolare, amava come la gioia e la soddisfazione dei pazienti si riflettesse negli occhi del dottor Sloan.
In quei momenti, capiva quando l’uomo difendeva la sua specializzazione.
Non salvavano delle vite, ma le miglioravano sicuramente.
«Grey, ho una craniotomia alle quattro. Ti va di lavarti?» le chiese Derek, cogliendola di sorpresa mentre compilava le ultime cartelle per il dottor Sloan.
«Der- Dottor Shepherd, mi piacerebbe, ma oggi sono in chirurgia plastica.»
«Me l’hai detto anche tre settimane fa, Lexie.»
Quando la chiamava per nome al lavoro solitamente non si trattava di nulla di buono.
Era uno di quei momenti in cui si comportava come un fratellone, e in cui o le dava notizie dolorose o la rimproverava in modo non-formale.
Lexie abbassò lo sguardo sulla sua cartella.
«Non ti interessa più neurochirurgia?»
«Certo che mi interessa!» esclamò lei. «Ma…»
«Lexie, devi scegliere. Hai molto potenziale, ma se non lavori con qualcuno di neuro non potrai specializzarti in questo. Fammi sapere cosa hai deciso e se devo trovarmi un’altra matricola a cui insegnare.»
Derek si infilò la cuffia blu e si diresse in sala operatoria, lasciandola sola.
Neurochirurgia era la sua specializzazione. Era quello che voleva fare, che aveva sempre voluto fare.
Allora perché era così difficile lasciare chirurgia plastica?
Non poteva essere per…
Non poteva essersi innamorata del dottor Sloan.
 
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Lexie cercò di essere ragionevole.
Aveva sempre riso, quando le sue compagne accennavano ad avere una cotta per lui, e adesso si trovava lei in quella situazione.
Il dottor Sloan era sicuramente un uomo bello, e affascinante – il suo soprannome era azzeccato, dopotutto – ma c’era anche un’altra cosa che la attraeva di lui.
Era così…tormentato.
All’inizio si era proprio sbagliata, doveva ammetterlo.
Il dottor Sloan non era una prostituta, era semplicemente qualcuno che non aveva trovato la sua anima gemella.
Si chiese come fosse conoscere il nome da anni e non trovarlo.
Probabilmente, sarebbe stato il suo stesso crudele destino.
In quel momento più che mai, si sentì vicina a lui.
Ed era una bella sensazione.
Ma non sapeva cosa lui provasse.
Era difficile leggere i suoi sentimenti.
Forse avrebbe dovuto lasciar perdere e dirgli che tornava a neurochirurgia definitivamente.
Una risata la scosse dai suoi pensieri.
Si voltò, per vedere da dove provenisse.
April volteggiava tra le braccia di Jackson, con gli occhi che brillavano.
Anche il ragazzo aveva un sorriso a trentadue denti, mentre la metteva giù e le dava un dolce bacio.
Lexie si sentì quasi di troppo, come se avesse invaso la loro intimità.
Pensava che sarebbe stata gelosa, almeno all’inizio, di vedere Jackson con un’altra, invece non poteva essere più contenta.
Loro erano amici da quando erano piccoli, e finalmente lui era davvero felice.
Grazie ad April.
Grazie alla sua anima gemella.
La visione di loro due insieme la spronò a non abbattersi.
Avrebbe parlato con il dottor Sloan e gli avrebbe chiesto il suo nome.
Avrebbe affrontato la paura che da settimane le impediva di fare quella domanda.
Avrebbe avuto anche lei il suo lieto fine.
Ringraziò silenziosamente Jackson ed April, avviandosi verso il pronto soccorso, per cercare lo strutturato.
L’eccitazione superava quasi la paura.
 
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«Dottor Sloan!» chiamò, guardandosi intorno.
L’uomo uscì da dietro una tenda divisoria. «Grey! Arrivi giusto in tempo, c’è un’ustione, vorrei vedere come te la cavi.»
Lexie cominciò a torturarsi le mani. «Ecco, in realtà dottor Sloan… ho una craniotomia con il dottor Shepherd tra poco.»
Lui sembrò deluso. «Oh. Torni a neurochirurgia, quindi?»
«Mi è piaciuto molto lavorare con lei, davvero. Ma non è questa la specializzazione che voglio seguire. Sono sicura che troverà un altro specializzando per sostituirmi.»
Il dottor Sloan sospirò, passandosi una mano tra i capelli leggermente brizzolati. «Ne dubito.»
«Jackson Avery» mormorò lei. «Gli piace chirurgia plastica, e vorrebbe tanto imparare da lei. Le assicuro che è molto bravo, abbiamo fatto l’università insieme. Due anni in uno.»
L’uomo annuì. «Lo terrò in considerazione.»
Ci fu un attimo di silenzio. «Vado a visitare il mio paziente, allora. Buona fortuna con la craniotomia.»
«Dottor Sloan, aspetti!» lo richiamò Lexie, prima che lui potesse tornare al suo lettino.  «Non vorrei sembrarle indiscreta, ma… qual è il suo nome?»
Lui sembrò stranito da quella domanda. «Non importa. Lexie…» la chiamò per nome, e questo le provocò un brivido. «Non chiederlo più. Okay?»
La ragazza dischiuse le labbra per dire qualcosa, ma il dottor Sloan se n’era andato.
Così come tutta la sua speranza.
                                                  
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«Mi hai rubato la matricola!» sbottò Mark, entrando nel laboratorio di Derek.
«Come?»
Mark chiuse la porta e si sedette sulla scrivania, mentre l’altro rimase al suo posto sulla sedia lì vicino.
«La piccola Grey. Ha detto che vuole tornare a neurochirurgia.»
Derek non riuscì a trattenere un sorriso. «È quella la sua vocazione, Mark. Accettalo.»
«Sei proprio un bastardo.»
«Dai, Mark, troverai un’altra matricola» tentò di consolarlo l’amico.
«Sì, ma lei era diversa…»
Derek cominciò ad interessarsi sempre di più alla piega che la conversazione stava prendendo. Lui e Mark erano amici sin da bambini, avevano fatto medicina insieme, erano parte integrante della vita l’uno dell’altro.
Certo, si erano allontanati quando Mark era andato a letto con Addison, sua moglie, ma in fin dei conti doveva ringraziarlo.
Se non fosse stato per quell’episodio sarebbe rimasto con lei a New York, non si sarebbe mai trasferito a Seattle né avrebbe incontrato Meredith.
Sapeva, comunque, che Addison non era l’anima gemella nemmeno di Mark.
L’amico, infatti, si era più volte lamentato di quanto fosse assurdo il nome che gli era capitato.
Alexandra Caroline.
Non aveva mai sentito qualcuno chiamarsi così.
«Mark, non dirmi che volevi portartela a letto, ti prego. È mia cognata, la sorellina di mia moglie…»
«Sì- cioè no. Voglio dire» Mark iniziò a tirarsi le dita.
Non era mai stato così agitato.
Fin da quando aveva conosciuto Lexie, aveva desiderato di parlare di lei con il suo migliore amico, ma non ne aveva mai trovato il coraggio.
Il fatto era che un’anima gemella era qualcosa di così puro e perfetto che aveva paura di rovinare tutto.
L’anima gemella era una e non poteva perderla.
Sospirò. «Tu dovresti saperlo.»
Derek sgranò gli occhi. «Dovrei sapere perché vuoi andare a letto con lei?»
«Esattamente.»
«Mark, ma che diavolo…»
«Ho il suo nome, Derek! Il suo nome.»
Lentamente, l’amico sembrò realizzare. «Lexie è un diminutivo…»
«Ci sei arrivato.»
«Non lo sapevo! Non ho mai pensato che potesse avere un altro nome, anche perché lei si fa chiamare sempre e solo Lexie.»
Mark gettò la testa all’indietro. «Adesso capisci? Non avrò più occasione di vederla…»
«Potresti dirglielo.»
Mark lo fulminò con lo sguardo. «Ho paura di rovinare tutto. E poi io sono molto più grande di lei e sono stato con tantissime persone…perché dovrebbe voler stare con me?»
«Le hai detto il tuo nome, piuttosto?»
«Me l’ha chiesto, ma io le ho detto di non farlo più.»
«Mark!»
«Cosa avrei dovuto fare, Derek? Io ho il suo nome, sono certo che sia lei, e ho paura. Non ti è capitato quando hai incontrato Meredith?»
«Certo che sì. Mi sembrava assurdo che la ragazza del bar fosse la mia anima gemella. E lei non si è resa conto di come mi chiamavo fino alla mattina seguente. Ma vedi, Mark, dopo Addison mi ero ripromesso che non mi sarei più lasciato sfuggire l’anima gemella. Non sarei stato con le mani in mano e l’avrei cercata, disperatamente, finché non l’avessi trovata.
E alla fine ho fatto bene, no?
Chi dice che non sia così anche per te e Lexie?»
«Tu, fino a due secondi fa.»
Derek rise, esasperato. «Oh, andiamo Mark, non sapevo avessi il suo nome.»
«Non glielo dirò, Derek. L’ho aspettata per troppo tempo per rovinare tutto con questo peso. Se deve succedere, succederà. Se siamo anime gemelle è così, no?»
«Lexie è una ragazza intelligente, Mark, e curiosa. Lo scoprirà, e a quel punto dovrai affrontarla.»
«Me ne vado» disse lui, alzandosi. «Goditi la mia specializzanda.»
«Sei un caso perso!»
«È per questo che siamo ancora amici.»
 
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Lexie Grey correva per i corridoi dell’ospedale, intenta a cercare sua sorella.
Sebbene avesse provato ad accontentare la richiesta del dottor Sloan e avesse resistito all’impulso di farsi dire il suo nome dal primo che passava, era per lei impossibile resistere alla tentazione.                                           
Non poteva continuare ad ignorare proprio quel particolare, quando il suo cuore aveva iniziato a battere da tempo solo per lui.
Doveva assolutamente scoprire se aveva ragione.
Con il fiatone, sorpassò una coppia di infermiere che si stavano scambiando delle battutine e si fermò un attimo.
Dove diavolo si era nascosta Meredith?
Era sicura che non stesse operando, perché il suo nome non era sul tabellone, eppure avrebbe giurato che quel giorno fosse di turno. Doveva essere di turno.
Perché – e ne era pienamente consapevole  – non avrebbe potuto fare il discorso che aveva in mente a nessun altro, senza essere scambiata per una pazza.
Velocemente, fece mente locale su tutti i luoghi in cui avrebbe potuto trovarsi e poi sfrecciò decisa verso l’asilo, che si trovava solo a qualche piano di distanza.
Quando arrivò, aveva le gambe molli ed i polmoni che le bruciavano per lo sforzo, ma questo non le impedì di raggiungere il più velocemente possibile la bionda.
Lei stava giusto uscendo da quella scuola, dopo essere passata a salutare la sua bambina in quello che probabilmente sarebbe stato l’unico momento libero della giornata, e si preoccupò immensamente, vedendo le condizioni in cui si trovava Lexie.
Aveva la fronte imperlata di sudore e non respirava bene, eppure sembrò più risoluta che mai, mentre la raggiungeva.
«Come si chiama?» chiese immediatamente.
Meredith impiegò solo un secondo per capire a chi si riferisse. «Ma non avevi detto che avevi paura di -» provò a domandare, ma un’occhiataccia della sorella la convinse a stare zitta.
«Come?» ripeté la bruna, calcando ogni singola lettera che componeva quella parola.
La bionda sembrò pensarci un attimo, come se temesse di star facendo la cosa sbagliata, poi fece un leggero sbuffo e rispose. «Mark. Si chiama Mark.»
Il sorriso luminoso che comparve sul volto dell’altra la convinse che, probabilmente, aveva fatto una delle cose più giuste della sua vita.
 
+
 
Mark era appena uscito dall’ascensore al primo piano.
Si appoggiò al bancone per compilare alcune cartelle.
«Questo è un lavoro da matricole» borbottò, annoiato.
«Mark
La voce che l’aveva detto aveva accarezzato il suo nome con una dolcezza che nessuno aveva mai usato.
E la cosa più bella – e spaventosa – era che conosceva quella voce.
Si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con Lexie Grey.
O meglio, Alexandra Caroline Grey.
«Qualcuno ha parlato» disse lui.
I suoi sospetti caddero immediatamente su Derek.
«Vieni con me.»
Lexie gli afferrò il polso – era forte per essere così minuta – e lo trascinò nella stanza del medico di guardia.
«Piccola Grey…»
Lei si tolse il camice e la maglietta. Si alzò i capelli e gli mostrò le spalle.
«Lo vedi?»
E Mark lesse.
Sulla sua spalla destra, all’altezza del collo, inciso nella sua pelle, c’era il suo nome.
Proprio il suo.
Mark.
Lexie tornò a guardarlo in faccia. «Io sono innamorata di te. E- e ho provato a lasciar perdere, a rispettare la richiesta che mi avevi fatto e a non chiedere il tuo nome, ma… non riesco a pensare a niente e a nessun altro. Solo - sono innamorata di te.»
Quella ragazza era intensa. E quelle parole furono tutto ciò che Mark aveva bisogno di sentire.
Si sfilò camice e maglietta, proprio come aveva fatto lei, mostrandole così il suo nome – il suo lungo e raro nome – inciso sulla spalla muscolosa.
Quando si girò, Lexie sorrideva.
E, in quel momento, tutti i dubbi, tutte le paure vennero spazzate via.
Fece un passo in avanti.
Sembrava che il tempo si fosse fermato.
Lei era lì, davanti a lui.
Ed era così bella.
La sua anima gemella.
Sarebbe stato coraggioso.
Non se la sarebbe fatta scappare.
Un altro passo.
«Ti ho aspettata così tanto, Alexandra Caroline…»
«Lexie. Preferisco solo Lexie.»
«Già, solo Lexie sarebbe stato più semplice.»
Mark la prese tra le braccia.
Si chinò e baciò Lexie, che ancora sorrideva.
Fu un contatto leggero, dolce, come se potessero farlo per il resto della loro vita.
E sarebbe stato così.
Perché loro erano fatti l’uno per l’altro.
 
 
We can get married, and you’re going to become an amazing surgeon.
And we’re going to have two or three kids.
Yeah, a sister and two brothers.

We’re going to be
happy, Lex.
You and me.
We’re going to be so happy.
Because we’re supposed to end up together.
We’re meant to be.”








 


Note delle autrici

Life before his eyes: Dunque, per prima cosa, ci tengo a ringraziare chiunque leggerà questa storia. Io e Lucrezia ci siamo impegnate molto nello scriverla e sono contenta che lei abbia avuto questa bellissima idea. Senza di lei, non ci sarebbe stato nulla di tutto questo e spero che potremo scrivere ancora qualcosa insieme in seguito. Se avete tempo, lasciateci un'opinione, che non mordiamo!
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Beh, io cosa posso dire. Forse alcuni di voi già sanno che scrivo a quattro mani (per chi mi segue sull'account Malec Lovers) e la trovo un esperienza davvero bella, oltre che costruttiva, soprattutto se la si fa con persone che conosci e a cui vuoi bene.
Avevo sentito spesso parlare delle Soulmate!Au, e dato che non ne avevo mai vista una su Grey's Anatomy, ho deciso di adattarla alla Slexie - otp di entrambe - e ne ho parlato subito con Alice. (Life, per intenderci.)
E da lì è nato tutto. Ci siamo impegnate molto, e devo ammettere di essere piuttosto soddisfatta del risultato.
Spero che possa essere piaciuta anche a voi.
Un grazie a tutti coloro che sono arrivati fin qui e che vorranno anche lasciarci un parere. 
Ci piacerebbe tornare al più presto con un'altra collaborazione, fateci sapere com'è andata questa prima volta!
In più, questa è anche la prima volta che mi cimento a scrivere dei personaggi di Grey's Anatomy, e spero di essere rimasta IC.
Insomma, termino qui il mio papiro e vi lascio.
Alla prossima, 


   
 
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