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Autore: ella96    12/07/2015    0 recensioni
Dalla storia, prologo:
Lei era una resiliente.
E solo io potevo conoscere la sua storia. Non il ragazzo che ora la guardava come se fosse un tesoro raro, non la madre di lui che la tratta come se fosse una figlia baciandole le guance, non la bambina di quattro - o forse cinque - anni che la sta rincorrendo.
La osservo da lontano, io non appartengo al suo mondo, ma io so perché lei è una resiliente. So perché è così lontana da casa, esiliata in quel luogo che è l'Ungheria, con il suo sole caldo che le sfiora le spalle coperte da una sottilissima camicetta bianca, leggerissima.

Una storia d'amore vista da fuori, da un narratore sconosciuto che ripercorre la vita della protagonista con un passato da dimenticare, finita anni prima in cura. Una storia di introspezione, di crescita personale, di segreti e di bugie e di un amore che non muore mai, anche quando sembra dimenticato. Anche quando è lontano.
«E ora mi vuole spiegare perché proprio le rose canine, Miss Hamilton?»
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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PROLOGO
Rideva, rideva tanto, si portava quella manina piccola piccola davanti la bocca e gli occhi si assottigliavano e quel verde intenso dell'iride diventava brillante mentre si girava verso di lui, lui che l'aveva fatta ridere e che ora la avvolgeva fra le sue braccia, non la faceva scappare, la divertiva. Era diventata grande quella bambina. Lo era diventata da un giorno all'altro, sai, come capita di solito. Il giorno prima sei ancora una bambina, tutti ti stanno attenti perché non sei autosufficiente e il giorno dopo sei diventava una donna. Eppure la riconoscevo ancora, anche dopo anni, nei piccoli gesti. Sai, nelle piccole cose: non sapevo se lavorasse, se facesse sul serio con quel ragazzo nè come stesse la sua famiglia nè se avesse continuato realmente la cura come aveva promesso. Ma sapevo che non aveva mai imparato a mangiare come una signorina: si sporcava le labbra e le mani e si puliva le mani sui pantaloni e lui aveva imparato a sederglisi al suo fianco e a poggiarle un tovagliolo sulle gambe, così che non si sporcasse più del dovuto. E lei gli sorrideva, gli sorrideva sempre. Ed era bellissima. Non che fosse realmente bella, cioè, lo era ma di quella bellezza che non noti, di quelle ragazze che ti passano accanto e le puoi anche guardare per ore ma l'attimo dopo non ti rimane più nulla. Erano i modi di fare. Era quel modo di sorridere, di arricciare il naso, di abbassare gli occhi per la timidezza derivante da un complimenti inaspettato e le spalline delicate e piccolissime che si stringono sminuendo il mondo tutt'attorno a lei. Era così piccola che nessuno le si avvicinava mai più del dovuto, temevano tutti che, anche solo sfiorandola, ci fosse il rischio di spezzarla.
Ma lei era una resiliente. 
E solo io potevo conoscere la sua storia. Non il ragazzo che ora la guardava come se fosse un tesoro raro, non la madre di lui che la tratta come se fosse una figlia baciandole le guancie , non la bambina di quattro - o forse cinque - anni che la sta rincorrendo.
La osservo da lontano, io non appartengo al suo mondo, ma io so perché lei è una resiliente. So perché è così lontana da casa, esiliata in quel luogo che è l'Ungheria, con il suo sole caldo che le sfiora le spalle coperte da una sottilissima camicetta bianca, leggerissima.
Ha 26 anni ora, ha il viso rosato e i capelli corti mossi le rendono morbide le forme ancora da bambina, sembra molto più piccola della sua età e la prima volta che la vidi non era tanto diversa da ora. Non d'aspetto, per lo meno.
Indossava un vestito leggerissimo, bianco con un sottile nastro di raso azzurro sulla vita che le sottolineava il fisico esile, la gonna lunga fino alle ginocchia svolazzava ad ogni suo movimento  e l'assenza di spalline lasciavano nudo il collo se non fosse stato per quella massa di capelli scuri, bruni, boccolatissimi lunghi fino alla vita. Sembrava una fatina uscita fuori da un libro di fiabe: il fisico esilissimo, il vestitino leggero, i movimenti leggerissimi, compiuti sulla punta dei piedini, e quei capelli che seguivano ogni suo movimento. Più capelli che ragazza. Aveva solo diciannove anni all'epoca e ne mostrava quattordici, forse quindici. Aveva il nasino all'insù a furia di curiosare all'interno della stanza quadrangolare non troppo grande nella quale si trovava, fatta di scaffali di mogano colmi di libri dal volume consistente che percorrevano tutte e quattro le pareti, un tavolo rettangolare grande con tanti oggettini che lei sfiorava con le sue dita lunghe, non capendo l'utilità di quella sfera che cambia colore o quella che le sembrava fosse una penna che non scriveva a forma cubica. Rideva piano, uno squittio di topolino, si divertiva a toccare tutte quelle cose che non sapeva cosa fossero o a cosa servissero. Girava intorno alla scrivania, guardava le varie cartelle mediche, le sfiorava e poi alla fine cedette alla curiosità, si sedette sull'ampia poltrona e io ricordo che ce ne sarebbero potute stare tre di lei e iniziò a sfogliare quelle cartelle, le leggeva e poi le richiudeva, interessandosi a quella successiva. Non si era interessata per nulla al lettino sull'angolo della stanza, alla poltrona dietro esso o alle finestre sigillate nonostante fosse una fresca giornata primaverile.
«Il mio studio è di suo gradimento, signorina?» il viso paffuto e gentile del Dottor Kavens spuntò da oltre la porta, chiudendola dietro di sè e stringendo fra le mani una cartella clinica, dallo spessore si sarebbe detto che fosse vuota. Invece di reclamare il suo posto, si sedette di fronte alla scrivania, dove sarebbe dovuta stare quella ragazzina invadente ma dal viso pulito e semplice, e le porse la cartella. «Vuole vedere cosa c'è scritto?» le propose con gentilezza. 
La bimba fissò quell'uomo per qualche secondo in silenzio, inclinando la testolina e lasciando che gli occhioni lo esaminassero. «Manca un tocco femminile in questa stanza» aveva la voce acuta, squillante, ma non in modo fastidioso, da bambina. «Penso  che sarebbe carino ravvivare un po' questa stanza. E' tanto scura, tutto questo mogano...» mise su il broncio finendo per divertire il dottore che si passo una mano sui suoi baffi all'inglese poggiando di fronte alla ragazza la cartella medica che lei non fissò, mai, era come se non ci fosse. E lui non le disse nulla, poggiò comodamente la schiena sulla sedia da visitatore come se dovessero solo chiaccherare.
«E mi dica, cosa metterebbe di nuovo? Un vaso di fiori?» la voce gentile del medico e i suoi occhi scuri non erano cattivi nei confronti della ragazzina, attendevano un cenno di assenso che arrivò ben presto. «E che tipo di fiori?»
«Rose» rispose senza esitazione ma lasciò le labbra socchiuse per un po' quando le chiese quali tipo di rose. Era come se non riuscisse a dirlo, non immediatamente. «...Canine. Rose canine. Mi piacciono quelle.» la voce si era abbassata, come gli occhi per un istante. 
Il medico dispose al suo assistente, rimasto sul fondo della stanza, in silenzio, a prendere appunti, di uscire a comprare quelle rose canine insieme a un bel vaso, colorato a variopinto, per dare un tocco di luce alla stanza. 
«E ora mi vuole spiegare perché proprio le rose canine, Miss Hamilton?»
TITOLO: 

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Rideva, rideva tanto, si portava quella manina piccola piccola davanti la bocca e gli occhi si assottigliavano e quel verde intenso dell'iride diventava brillante mentre si girava verso di lui, lui che l'aveva fatta ridere e che ora la avvolgeva fra le sue braccia, non la faceva scappare, la divertiva. Era diventata grande quella bambina. Lo era diventata da un giorno all'altro, sai, come capita di solito. Il giorno prima sei ancora una bambina, tutti ti stanno attenti perché non sei autosufficiente e il giorno dopo sei diventava una donna. Eppure la riconoscevo ancora, anche dopo anni, nei piccoli gesti. Sai, nelle piccole cose: non sapevo se lavorasse, se facesse sul serio con quel ragazzo né come stesse la sua famiglia o se avesse continuato realmente la cura come aveva promesso. Ma sapevo che non aveva mai imparato a mangiare come una signorina: si sporcava le labbra e le mani e si puliva le mani sui pantaloni e lui aveva imparato a sederglisi al suo fianco e a poggiarle un tovagliolo sulle gambe, così che non si sporcasse più del dovuto. E lei gli sorrideva, gli sorrideva sempre. Ed era bellissima. Non che fosse realmente bella, cioè, lo era ma di quella bellezza che non noti, di quelle ragazze che ti passano accanto e le puoi anche guardare per ore ma l'attimo dopo non ti rimane più nulla. Erano i modi di fare. Era quel modo di sorridere, di arricciare il naso, di abbassare gli occhi per la timidezza derivante da un complimenti inaspettato e le spalline delicate e piccolissime che si stringono sminuendo il mondo tutt'attorno a lei. Era così piccola che nessuno le si avvicinava mai più del dovuto, temevano tutti che, anche solo sfiorandola, ci fosse il rischio di spezzarla.

Ma lei era una resiliente. 

E solo io potevo conoscere la sua storia. Non il ragazzo che ora la guardava come se fosse un tesoro raro, non la madre di lui che la tratta come se fosse una figlia baciandole le guance, non la bambina di quattro - o forse cinque - anni che la sta rincorrendo.

La osservo da lontano, io non appartengo al suo mondo, ma io so perché lei è una resiliente. So perché è così lontana da casa, esiliata in quel luogo che è l'Ungheria, con il suo sole caldo che le sfiora le spalle coperte da una sottilissima camicetta bianca, leggerissima.

Ha 26 anni ora, ha il viso rosato e i capelli corti mossi le rendono morbide le forme ancora da bambina, sembra molto più piccola della sua età e la prima volta che la vidi non era tanto diversa da ora. Non d'aspetto, per lo meno.


Indossava un vestito leggerissimo, bianco con un sottile nastro di raso azzurro sulla vita che le sottolineava il fisico esile, la gonna lunga fino alle ginocchia svolazzava ad ogni suo movimento e l'assenza di spalline lasciavano nudo il collo se non fosse stato per quella massa di capelli scuri, bruni, boccolatissimi lunghi fino alla vita. Sembrava una fatina uscita fuori da un libro di fiabe: il fisico esilissimo, il vestitino leggero, i movimenti leggerissimi, compiuti sulla punta dei piedini, e quei capelli che seguivano ogni suo movimento. Più capelli che ragazza, era questo lo slogan di chi la vedeva. Aveva solo diciotto anni all'epoca e ne dimostrava quattordici, forse quindici. Aveva il nasino all'insù a furia di curiosare all'interno della stanza quadrangolare non troppo grande nella quale si trovava, fatta di scaffali di mogano colmi di libri dal volume consistente che percorrevano tutte e quattro le pareti, un tavolo rettangolare grande con tanti oggettini che lei sfiorava con le sue dita lunghe, non capendo l'utilità di quella sfera che cambia colore o quella che le sembrava fosse una penna che non scriveva a forma cubica. Rideva piano, uno squittio da topolino, si divertiva a toccare tutte quelle cose che non sapeva cosa fossero o a cosa servissero. Girava intorno alla scrivania, guardava le varie cartelle mediche, le sfiorava piena di indecisione e alla fine cedette alla curiosità, si sedette sull'ampia poltrona e ricordo che ce ne sarebbero potute stare tre di lei lì. Iniziò a sfogliare quelle cartelle, le leggeva e poi le richiudeva, interessandosi a quella successiva. Non si era interessata per nulla al lettino sull'angolo della stanza, alla poltrona dietro esso o alle finestre sigillate nonostante fosse una fresca giornata primaverile.

«Il mio studio è di suo gradimento, signorina?» il viso paffuto e gentile del Dottor Kavens spuntò da oltre la porta, chiudendola dietro di sé e stringendo fra le mani una cartella clinica, dallo spessore si sarebbe detto che fosse vuota. Invece di reclamare il suo posto, si sedette di fronte alla scrivania, dove sarebbe dovuta stare quella ragazzina invadente ma dal viso pulito e semplice. Non le disse nulla, come se fosse lui il paziente e lei la dottoressa. Anzi, le porse la cartella che tratteneva fra le mani. «Vuole vedere cosa c'è scritto?» le propose con gentilezza notando che aveva sbirciato fra le altre cartelle.

La bimba fissò quell'uomo per qualche secondo in silenzio, inclinando la testolina e lasciando che gli occhioni lo esaminassero. «Manca un tocco femminile in questa stanza» aveva la voce acuta, squillante, ma non in modo fastidioso, da bambina. «Penso che sarebbe carino ravvivare un po' questa stanza. E' tanto scura, tutto questo mogano...» mise su il broncio finendo per divertire il dottore che si passo una mano sui suoi baffi all'inglese poggiando di fronte alla ragazza la cartella medica che lei non fissò, mai, era come se non ci fosse. E lui non le disse nulla, poggiò comodamente la schiena sulla sedia da visitatore come se dovessero solo chiacchierare.

«E mi dica, cosa metterebbe di nuovo? Un vaso di fiori?» la voce gentile del medico e i suoi occhi scuri non erano cattivi nei confronti della ragazzina, attendevano un cenno di assenso che arrivò ben presto. «E che tipo di fiori?»

«Rose» rispose senza esitazione ma lasciò le labbra socchiuse per un po' quando le chiese quali tipo di rose. Era come se non riuscisse a dirlo, non immediatamente. «...Canine. Rose canine. Mi piacciono quelle.» la voce si era abbassata, come gli occhi per un istante. 

Il medico dispose al suo assistente, rimasto sul fondo della stanza, in silenzio, a prendere appunti, di uscire a comprare quelle rose canine insieme a un bel vaso, colorato a variopinto, per dare un tocco di luce alla stanza. 

«E ora mi vuole spiegare perché proprio le rose canine, Miss Hamilton?»

 

 

NOTE AUTORE:

Salve a tutti *-* è estate e mi sto imbarcando in una nuova avventura con una storia originale ♥ Miss Hamilton - aka sto ancora cercando un nome carino adatto a questa signorina, quindi abbiate pazienza *-* - è un personaggio che in vari modi sto già delinando da anni, quindi eccovela riproposta qui, come la protagonista di una storia u.u

Se il prologo vi è piaciuto, lasciare una recensione incoraggia sempre ♥ se non vi è piaciuto, lasciatela lo stesso la recensione, così capisco come migliorare u.u°
PS molte tag le ho messe in previsione del futuro e/o le ho saltate perché non ho ben deciso quanto descrivere. Quindi in seguito potrebbero esserci dei cambiamenti di tag/raiting che non dovrebbero turbare il lettore o modificare il mood della storia, solo essere più coerenti possibili con quello che descriverò. Grazie a tutti della lettura però :)

 

   
 
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