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Autore: tylica_tmr    13/07/2015    0 recensioni
“Non mi ricordo più, ma sono sicuro di aver amato una ragazza indimenticabile”
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calum Hood, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Epilogo

Note
E quindi siamo arrivati all'epilogo.
È la prima storia a capitoli che finisco ed è qualcosa di leggermente emozionante e di leggermente nuovo per me.
Solo che questo non è un diario e a voi siete più interessati a ciò che succede ai nostri protagonisti.
Quindi è tutto: ringrazio te che stai leggendo, che nonostante tutto sei arrivato fino a qua.
Sei parte della storia anche tu, ora: tanto quanto Ashley o Calum. Sei parte di questa storia perché vi hai partecipato, hai condiviso qualcosa di simile alle tue emozioni attraverso la finzione e la realtà dei personaggi.
Grazie, perché senza di te questa storia non sarebbe stata degna di essere definita tale.
Grazie per essere entrato in questo piccolo mondo nascosto.
Nella speranza che ti sia piaciuto, alla prossima e buona lettura,
Veronica

"Poi però andiamo al luna park vero? Papà, papà ci andiamo?" Un piccolo cappotto rosso splendeva per le vie del centro.
"Sì tesoro, te lo prometto, domani ti ci porto. Ora andiamo a magiare"
"Cosa si mangia qui?" Chiese la bambina prendendo la mano di suo padre.
"Beh, visto che la mamma non c'è potremmo mangiare hamburger e patatine ti va?"
"SÌÌÌ!!" Urlò la piccola.
Andavano in giro così, un uomo a cui non avresti dato più di trent'anni ma che ne aveva quasi quaranta e una bimba con i capelli lunghi e scuri come la pece.
Si erano allontanati dalla zona più affollata di turisti vicino alla London Eye e vagavano per i quartieri di Soho.
Calum si sentiva un po' a casa. Un po' come se una parte di lui potesse rivivere solo tra quelle strade.
Il suo primo appartamento, quello in cui aveva trascorso più di un anno, quando era arrivato per la prima volta in Inghilterra, era un seminterrato in un vicolo cieco (probabilmente il posto più umile di quel quartiere).
Ma era diventata la sua casa, il luogo in cui era nato il Calum artista, musicista e scrittore.
C'erano solo bei ricordi: risate, lavoro, divertimento, emozioni, prime volte.
La prima volta che aveva visto la neve, la prima volta che aveva conosciuto il suo idolo Alex Gaskarth, la prima volta che avevano composto un pezzo tutti insieme, il primo concerto, la prima folla, i primi brividi.
Era bello sapere di appartenere ancora ad un luogo come quello. Era rassicurante.
La band esisteva ancora, certo, ma ormai c'era meno lavoro e ritmi decisamente meno stressanti: spesso si trovavano tutti e quattro in sala di registrazione ad ascoltare se stessi, chiacchiere e note da convertire in canzoni innovative per il loro prossimo album.
Calum non si ricordava che numero era, ma sapeva che probabilmente sarebbe stato l'ultimo.
Ricordava il senso di tristezza che aleggiava durante l'ultima volta che aveva visto Michael, Luke e Ashton: nessuno aveva annunciato che quelle sarebbero state le ultime volte in cui avrebbero lavorato insieme, ma in qualche modo lo sapevano tutti.
Dopo tutti quegli anni, le parole non erano veramente più necessarie per loro quattro.
Per questo motivo aveva fatto le valigie ed era partito per Londra, per il luogo dove tutto era cominciato.
Doveva capire se aveva ancora qualcos'altro da dire o, al contrario, cosa fare della sua vita dopo lo scioglimento, o comunque l'inattività della band.
Aveva una famiglia: sette anni prima si era sposato con la donna più importante della sua vita e due anni dopo era nata la bambina che ora portava in giro per le vie di Soho. 
Non avrebbe mai potuto desiderare una carriera migliore di quella che aveva avuto, eppure, da qualche parte, si chiedeva se ne fosse valsa veramente la pena.
Perché aveva scovato e scoperto la paura peggiore nella carriera di un'artista: il timore di non essere capiti, il timore di cantare per una folla urlante di sordi, che non sapevano ascoltare ciò che lui aveva da dire.
La paura di non aver cambiato la vita di nessuno, la paura di non essere andato fino in fondo.
Si era ritrovato, in poche parole, adulto, disilluso e confuso.
Aspettava ardentemente qualcosa senza essere disposto ad attendere veramente.
Qualcosa successe.

Una mano gli tocco la spalla e una voce femminile pronunciò il suo nome.
Calum pensò che fosse l'ennesima fan che desiderava una foto, ma appena si voltò capì di essersi sbagliato.
Lei era lì, di fronte a lui, gli occhi azzurri come un tempo e i capelli ancora neri, solamente più corti: le uniche differenze erano le piccole rughe che le contornavano il viso e il bambino di circa quattro anni che teneva in braccio.
Il suo sguardo si accese con un moto di entusiasmo per poi incupirsi velocemente.
Calum la fissava con la rassegnazione di chi non è mai riuscito a dimenticare, nonostante il tempo, nonostante la distanza, nonostante le lacrime, nonostante la fatica.
Non glielo disse mai.
"Calum? Sono Ashley, da Sydney! Ti ricordi?"
"Ma certo"

Parlarono come due vecchi amici che avevano bisogno di sapere il più possibile l'uno della vita dell'altra.
Così Calum seppe che Ashley era diventata uno dei più importanti ingegneri biomedici, o qualcosa del genere.
Era sposata da poco meno di dieci anni, tuttavia il bambino che teneva in braccio era il suo unico figlio: si era accorta di essere troppo occupata con il lavoro per fare la mamma a tempo pieno.
Lavorava a New York, ma girava per il mondo continuamente.
Aveva cominciato a frequentare l'università di Boston subito dopo la fine della scuola superiore, il che corrispondeva alla prima partenza di Calum, ma questo Ashley non lo disse, pensando che sarebbe stato stupido ed infantile nominare la loro storia quando, quasi sicuramente, Calum l'aveva dimenticata.
Ma Calum si accorse subito di questa omissione e si sentì ferito.
Ferito in quel modo profondo ed autentico tipico solo dei giovani.
Com'era possibile che lei avesse dimenticato tutto?
Il loro primo dialogo, la festa, la notte al parco, il concerto, la canzone, il pestaggio, il tour, la partenza, l'aeroporto e...
Solo lui aveva custodito con attenzione morbosa quei preziosi dettagli e ora si pentiva di averlo fatto.
Calum raccontò nei particolari la sua carriera anche se Ashley ammise che aveva sentito parlare di lui in continuazione.
"Quando ti sei accorto di essere diventato famoso?"
"Beh, immagino che sia stato quando tutti i nostri compagni di scuola hanno ricominciato a farsi vivi pretendendo di essere stati i miei migliori amici"
Lei rise, poi risero entrambi, ricordando i vecchi tempi. Risero come facevano durante quei vecchi tempi, noncuranti per qualche ora delle loro vite attuali e dei loro impegni.
"A proposito, grazie per non esser stata come loro. Sei stata forse l'unica che non ha cercato di riallacciare i rapporti con me solo per fama"
E qui si palesò il paradosso.
Calum ringraziava Ashley di non essere stata parte della sua vita quando era stato tutto ciò che aveva desiderato per molti anni.
Non più.
Non ricordarono la loro storia, non approfondirono l'amore che li aveva legati l'uno all'altra per un periodo terminato ma non definito.
Nessuno dei due provò rimorso per ciò che avevano fatto in passato, tanto che sia Ashley sia Calum erano convinti di aver avuto una rilevanza infinitesimale nella vita dell'altro.
Tutto ciò non era vero, ma non avevano il coraggio di ammetterlo, pur avendo la prova più grande del loro legame davanti ai propri occhi.
La figlia di Calum osservava il bambino di Ashley con diffidenza.
Interrompendo un silenzio scomodo tra i loro genitori si rivolse direttamente al bimbo con un filo di voce:
"Come ti chiami?" Gli chiese.
"Calum" riflettè il piccolo.
"E tu?" Continuò.
"Io mi chiamo Ashley" rispose la bimba con il cappotto rosso.
 
   
 
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