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Autore: A_Typing_Heart    13/07/2015    2 recensioni
Nella cornice di un Giappone moderno schiacciato dalla tirannia di un regime militare Hibari Kyoya e Rokudo Mukuro si ritrovano a inseguire i propri ideali di giustizia e libertà su fronti opposti. Hibari è pronto a separarsi da Mukuro in nome della legge, dell'ordine e della disciplina, lasciando il suo cuore imprigionato in un gelido inverno. Ma altri sono pronti a dare la vita affinchè torni a soffiare un vento carico di petali di ciliegio...
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Hayato Gokudera, Kyoya Hibari, Mukuro Rokudo, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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-Kyoya, ma questa roba non doveva arrivare domani?-
Hibari Kyoya si voltò a guardare la pila di scatoloni vicino alla porta.
-Non ne ho idea... aspetta...-
Posò la scatola di merendine ammaccata che aveva fra le mani e andò al calendario appeso al muro, controllando i vari nomi che vi erano scritti in colori diversi. Notò che effettivamente la consegna era prevista per il giorno seguente, il trenta di marzo. Si stupì che fosse quasi aprile.
-Hai ragione, dovevano arrivare domani... sei sicuro che sia roba nostra?-
-Sì, c'è il nome del negozio sopra.-
-Che strano.- commentò Kyoya pensieroso, e tornò di fretta alla cassa per imbustare la spesa di una vecchietta. -Yoshida san, ha trovato tutto quello che le serve?-
-Oh, sì, Kyoya kun... finalmente Sentaro si è deciso a mettere le cose che compro in uno scaffale più basso! Era ora, dico, faccio sempre la stessa spesa ogni tre giorni qui da lui da quando ha aperto il negozio! E poi, dico, lo badavo io da bambino! Era ora che mostrasse della riconoscenza!-
Hibari Kyoya si limitò a fare un sorriso. Ascoltò qualche altro aneddoto sull'infanzia sregolata del suo capo, poi registrò il pagamento dell'anziana signora con i soliti buoni sconto, prima di uscire come sempre a portarle la borsa della spesa sull'autobus.
-Buona giornata, signora Yoshida.- la salutò scendendo dall'autobus.
Lei lo salutò con la mano quando le porte si chiusero. Hibari restò lì a guardare il veicolo che si allontanava e spariva dietro una curva, poi prese un gran respiro e si guardò intorno. La giornata era luminosa, tiepida, nell'aria c'era già il profumo dei ciliegi fioriti... a proposito...
-Kyoya, ma tu non hai un appuntamento?- domandò Saeki, affacciandosi dal negozio. -Non era oggi che dovevi andare a vedere la fioritura con Mukuro?-
-Sì... ma c'è ancora un sacco di roba da sistemare...- fece lui rientrando nel negozio. -E poi Matsumoto non è ancora arrivato.-
-Ma non ti preoccupare, sistemo io qui... tanto il capo arriverà tra un po', e ora in negozio non c'è nessuno, sono passati tutti prima di pranzo.-
-Però tu non dovresti sforzarti...-
Tanaka Saeki gli fece un gran sorriso. Anche se non avesse detto nient'altro, Kyoya si sarebbe sentito meglio lo stesso, era un balsamo vivente.
-La nuova cura funziona benissimo... sono pieno di energia... su, vattene, così posso fare questo lavoro... non ti dimenticare il pranzo o lo mangio tutto io.-
Hibari sorrise, si avvicinò e gli diede un bacio sulla fronte, sotto il berretto da cui spuntavano cortissimi ciuffi di capelli biondi. Era stato scioccante rivederlo dopo la fine della battaglia senza più la sua lunga chioma dorata, presagio di orribili sventure, ma evidentemente la cura a cui si era sottoposto era davvero la migliore al mondo, ormai era guarito e i capelli avevano ricominciato a crescere da qualche mese.
-Sei un angelo.-
-Lo so.- fece lui voltandosi, ma le orecchie gli erano diventate rosse. -Su, sparisci, prima che arrivi Dino a molestarti. Ah, chiedi a Mukuro quella cosa, eh.-
-Sì, me ne ricorderò!-
Hibari si tolse il grembiule gettandolo appallottolato sotto il bancone, prese la sua borsa con i portapranzo e uscì dal negozio di corsa. Era già in ritardo di una ventina di minuti, sperò soltanto che Mukuro lo stesse ancora aspettando. Raggiunse il parco, lo stesso parco di Namimori dove oramai dodici anni prima avevano assistito alla fioritura insieme a Tsuna, Gokudera e Yamamoto. Era così assorto nei suoi pensieri che all'improvviso inchiodò sull'erba e si voltò. Mukuro era seduto sulla panchina di pietra che aveva appena superato e lo guardava divertito.
-Hai un appuntamento, Kyoya?-
-Spiritoso...-
Lo raggiunse e sedette accanto a lui mentre Mukuro spostava la sua stampella sull'altro lato. Forse notò lo sguardo afflitto che lanciò all'oggetto, perchè il suo sorriso divenne più ampio.
-Pensavo già di dovermi scusare, sono arrivato solo cinque minuti fa.-
-Davvero? Perchè?-
-I ragazzi mi hanno trattenuto, non riuscivo più a scappare dall'aula.-
-Discussione interessante?-
-Come sempre.- ribattè Mukuro. -Mettersi a parlare di etica e di diritti umani davanti a degli studenti di legge che non vogliono altro che impressionare il relatore genera sempre discussioni avvincenti.-
-A proposito, Mukuro... Saeki ti chiede se puoi mandare a Mei la dispensa che hai dato l'altro giorno, ha detto che l'ha persa ma si vergogna a dirtelo.-
Mukuro sospirò platealmente mentre apriva uno dei bento.
-Quando mai... Mei è una meravigliosa ragazza, gentile, ma è così imbranata...-
-Dicevi la stessa cosa di Sawada, una volta... guarda che cosa è adesso... che cosa è riuscito a fare per questo paese in così poco tempo...-
-Lo so, lo so... però... mi manca.-
Hibari non seppe cosa rispondergli. Dopotutto, in nove mesi dopo la rivoluzione, Tsuna non era più ritornato a Namimori. Ormai viveva stabilmente a Edo, aveva comprato lì un appartamento vicino al palazzo del governatore, teatro della grande battaglia, dove si trovava il suo nuovo ufficio. Con lui era partito anche Basil, che lavorava insieme a lui, in ruoli molto simili a quelli che avevano avuto un tempo Byakuran e Kikyo, ma pur sempre soggetti allo scrutinio delle due camere che un tempo erano state abolite dall'Haido.
-Non ti ha chiamato?- domandò Hibari, assaggiando un polipetto dal bento.
-Oh, sì, mi telefona... ma le cose importanti me le nasconde.-
-Sarebbe?-
-Credo che stia con Enma Kozato.- disse Mukuro divertito. -Sai, il segugio spirituale che Byakuran mi aveva sguinzagliato contro... dai, quello coi capelli rossi!-
-Ah!- fece Hibari, improvvisamente illuminato. -Ma come lo sai, se non te lo dice?-
-L'altra volta mi ha telefonato alle due di notte e ho sentito la sua voce in sottofondo.- fece lui alzando le spalle. -E poi li hai visti anche tu, prima che tornassimo a Namimori, non lo lasciava un attimo per tutto il giorno.-
-Anche Haru sta ancora lì?-
-Sì, Tsuna mi ha detto che sta studiando molto sodo per laurearsi e lavorare con lui.-
-Ah, a proposito... come vanno gli studi di Nagi?- domandò Kyoya, guardando lungo la strada come se si aspettasse di vederla arrivare. -Non è venuta a vedere i ciliegi?-
Mukuro rise e indicò a Hibari il parco. Lui guardò da quella parte e dopo un momento individuò una coperta patchwork ingombra di cibo su cui Ken e Chikusa stavano banchettando. Vicino a loro il piccolo Mikado camminava con passo ancora incerto e si accucciava nell'erba quando notava insetti o fiori che lo attirassero. Poco più indietro, appoggiata all'albero, Nagi era assorta nella lettura di un grosso libro.
-Si impegna molto... Madeleine la aiuta a preparare gli esami, Ken e Chikusa si occupano di Mikado quando lei è impegnata o va a lezione... non lo avrei mai detto...- aggiunse pensieroso. -Ma Ken è bravo coi bambini... beh, di fatto è lui che fa il padre adesso.-
Hibari sorrise e guardò Nagi che riponeva il libro e sedeva sulla coperta con gli altri, prendendo il figlio sulle ginocchia. Era felice che avesse superato tutto, che la sua vita ricominciasse con una famiglia più grande e più felice. La guerra per la primavera aveva anche messo da parte i dissapori tra lei e Madeleine.
-Sì?-
Hibari si voltò e si rese conto che Mukuro non parlava con lui, ma si stava rivolgendo a un ragazzo lentigginoso, all'incirca della loro età, che stava in piedi vicino alla panchina con l'intento, evidente, di dire loro qualcosa. Lo guardò incuriosito e il ragazzo sembrò ponderare l'idea di scappare, ma alla fine entrasse dalla sua borsa un libro. Non ne vedeva il dorso per leggerne il titolo o la copertina, ma la foto dell'autore sul retro era straordinariamente somigliante all'uomo che aveva accanto, tranne che nella fotografia aveva ancora i capelli lunghi.
-Tu sei... Rokudo Mukuro?- domandò timido il ragazzo. 
-Oh. Sì.-
-Io... io mi chiedevo... se... potessi...- balbettò lui, allungando il libro verso Mukuro. -Una firmetta...-
-Ah... ma certo... non c'è problema.- disse Mukuro, posando le bacchette e prendendo il libro. -Hai una penna?-
Hibari notò, mentre Mukuro lo apriva per scrivere nella seconda di copertina, che il libro aveva un'aria frusta e le pagine erano gonfie, come sfogliate molte volte. Mukuro commentò che si trattava della prima edizione e scherzosamente disse che avrebbe fatto una dedica speciale a chi si era assicurato uno dei primi volumi, e firmò. Hibari non prestò grande attenzione alla scena, pensando che il ragazzo avrebbe preso il libro e se ne sarebbe andato, invece era ancora lì.
-Lei... è... è Hibari Kyoya.- esalò, come se avesse assistito a una specie di miracolo. -Hibari san, sarei troppo invadente se... se le chiedessi anche la sua firma?-
Hibari lo guardò come se avesse annunciato di voler comprare un unicorno e spostò lo sguardo su Mukuro, che stava ridacchiando. Gli fece un gesto incoraggiante e Hibari allungò la mano per prendere il libro e la penna, sentendosi straordinariamente confuso. Scarabocchiò la sua firma in lettere, come aveva fatto Mukuro, nello spazio bianco sotto il titolo della terza pagina, poi lo restituì. Il ragazzo sembrava fuori di sè dalla gioia.
-Grazie! Grazie mille! Io... io... posso... posso farle una domanda, Hibari san?-
-Puoi... ma non sono sicuro che potrò rispondere.-
Fin troppe domande e interviste gli erano state fatte dopo la rivoluzione, da ogni genere di persona, dal cliente occasionale del negozio all'ex militare incontrato alla caffetteria al più amatoriale dei giornalisti. Molte di quelle domande erano ancora senza una risposta.
-Perchè ha lasciato la milizia per sempre e non è entrato nella polizia? Nessuno ha mosso accuse formali contro di lei...-
-Ho ucciso delle persone.- ribattè Hibari. -Ho potuto lasciare la milizia e trovarmi un normale lavoro... è anche troppa fortuna per uno come me. Chi non capisce il valore della vita non può difenderla.-
-Io... credo di capire.- disse il ragazzo. -Grazie per aver risposto alla mia domanda.-
Il ragazzo si congedò, ma non prima di stringere la mano a entrambi. Hibari lo guardò allontanarsi.
-Quindi il libro va bene, eh?-
-Altrochè, l'editore vuole ristampare per la quinta volta... tra le vendite del libro e il risarcimento per la mia invalidità permanente, potrei non lavorare mai più. Chissà se faranno un film sulla nostra storia?-
-Glielo lasceresti fare?-
-Solo se mettono degli attori sexy per interpretare me e te... e se ci mettono le scene piccanti, ovviamente.-
Hibari rise e mentre guardava verso il parco notò che accanto alla coperta patchwork era apparsa un'altra coperta blu scuro. Non potendo parlare a causa nel nigiri sushi che si era appena messo in bocca, tintinnò con le bacchette sul bento e indicò la direzione a Mukuro. Accanto agli amici di Mukuro erano andati a sedersi un perfettamente ristabilito Yamamoto, che nascondeva la brutta cicatrice al braccio con una bandana legata sopra, e Gokudera, in una uniforme blu nuova di zecca.
-È la prima volta che vedo Gokudera in uniforme!- esclamò Hibari, inspiegabilmente divertito.
-Ma come? È entrato in polizia da quattro mesi...-
-Te lo giuro, è la prima volta! Proprio lui che mi parlava tanto dietro!-
-Non sei andato alla cerimonia di apertura, il mese scorso?-
-No... no, ho avuto il doppio turno, non ho proprio potuto... ma mi hanno detto che la nuova accademia militare è davvero bella, che ha l'architettura un po' antica. L'ho anche vista su internet.-
-Tsuna l'ha fatta fare così... dopotutto è così che sarebbe piaciuta al padre di Yamamoto... è intitolata a lui, il minimo che potesse fare è che ricordasse a tutti che l'apprendimento delle arti marziali è un percorso per migliorare gli uomini e non per dominarli.-
-Ho visto la targa all'ingresso dove c'è scritto questo.- disse Hibari. -Lo diceva il padre di Takeshi?-
-Sì, è stato Yamamoto a volerla mettere proprio lì.-
-Credo che sarebbe felice di vedere la nuova accademia... Takeshi ha deciso se insegnarci?-
-Per ora non se la sente... e lo capisco.- ammise Mukuro. -È un nuovo Giappone... siamo appena usciti da un periodo così buio... nessuno sa davvero che cosa ci aspetta il futuro... stiamo ancora metabolizzando i danni che abbiamo subìto, il vuoto lasciato dalle persone che abbiamo perduto...-
Hibari non potè fare a meno di guardare la stampella, ma poi si accorse che Mukuro lo stava guardando in faccia. Con le dita sfiorò la benda che aveva sull'occhio destro e si sforzò di sorridere.
-È più un danno alla tua immagine che alla mia, lo sai?-
-In che senso?-
-Hai notato che le persone che dici di amare di più tendono a perdere l'occhio destro?- fece Hibari, accennando con la testa a Nagi. -La gente penserà che è un tuo sadico rituale... il collezionista di occhi destri, il tuo prossimo best seller... tratto da una storia vera.-
Mukuro non potè trattenersi dal ridere.
-Kyoya... non c'è mica da scherzare, dai...-
Come nel cielo passò una nube che gettò ombra fresca sul parco, negli occhi di Mukuro passò qualcosa di indicibilmente cupo e triste. Mukuro non aveva detto nulla in proposito, ma ormai Kyoya lo conosceva troppo bene per non capire che cosa gli passasse per la testa, e comprese anche che se aveva fatto tardi quel pomeriggio non era stato per una lezione troppo lunga. Non potè non scoccargli un'occhiata di esasperazione e rimprovero.
-Sei andato di nuovo da lui?-
Mukuro non disse niente e non lo guardò, spostandosi dalla faccia un ciuffo di capelli.
-Mukuro... ne abbiamo già parlato, mi sembra...- proseguì Hibari cercando di non esibire un tono troppo polemico. -Non devi andarci più... è inutile, e ti fai del male così.-
-Non è inutile...-
-Ma lui non ti riconosce, non capisce più niente, no?-
-... Lenisce il mio senso di colpa.-
Hibari non rispose. Dubitava molto che le sue visite al reparto lungodegenti gli dessero qualsivoglia forma di sollievo, anzi, secondo lui non facevano che alimentare il senso di colpa. Ma continuare a parlarne serviva soltanto a girare il coltello nella piaga. Era l'unico degli amici a conoscere quel segreto a parte Tsuna, lui e Mukuro, e se non era capace di persuaderlo lui, allora non aveva senso che ci provasse chiunque altro.
-Ehi, Mukuro... andiamo dagli altri, Nagi ti sta chiamando.-
In effetti era vero. Mukuro si voltò e notò che Nagi gli faceva segno di andare da loro e anche Gokudera li notò e fece un gesto fin troppo entusiastico di saluto, ripetendo lo stesso gesto per convincerli a unirsi a loro.
-Mi sa che dovremmo andarci...- convenne Mukuro. -Non priviamo oltre Hayato della gioia di pavoneggiarsi con il suo distintivo davanti a un dimenticabile scrittore e al commesso di un negozio.-
Mukuro si alzò e fece una strana smorfia; si era appoggiato alla stampella in modo insolito nella fretta di alzarsi. Hibari, che stava riponendo i bento, lo guardò un po' rattristato, anche se lui rise come sempre faceva sulla sua nuova, limitata condizione.
-Oya, oya... cosa pensavo di fare, andarci di corsa?-
-Sai...- esordì Hibari mentre superavano un ponticello. -Mi dispiace che tu non possa più essere libero come prima...-
Le nuvole liberarono il sole proprio mentre Mukuro si voltava verso di lui con un gran sorriso.
-A dire il vero, Kyoya... non mi sono mai sentito tanto libero come adesso.-


Shoichi Irie si guardò nervoso intorno, ma alla reception non c'era proprio nessuno. Si stava chiedendo se fosse il caso di aspettare o di tornare un altro giorno, quando una bella donna di mezz'età, con l'uniforme candida, tornò sbrigativa alla sua postazione.
-Ci mancava... buongiorno.- disse poi a Shoichi. -Posso aiutarla?-
-Io... sì, io sono venuto a vedere una persona... Byakuran Gesso.-
-È un parente?-
-Un... un collega.-
-Un collega.- ripetè lei, prendendo un grosso registro. -Non dovrei stupirmi, nessun parente è mai venuto a cercarlo... e francamente capirei il motivo. Firmi qui e qui, prego.-
Shoichi appose la sua firma due volte dove indicatogli e vide che la pagina dei visitatori di Byakuran era piuttosto scarna: oltre al suo, c'era un solo nome anche se scritto molte volte. Un nome che conosceva bene e sinceramente l'ultimo che si sarebbe aspettato di leggere.
-Di qua, mi segua.-
-Signora... signorina. Mi scusi, ma... perchè non è sorpresa che nessun parente cerchi il paziente...?-
-L'unico amico che gli fa visita mi informò che la madre del paziente è deceduta lo scorso inverno e il padre nessuno sa chi sia, né se sia vivo. Non aveva fratelli né cugini conosciuti.- ribattè in tono sbrigativo. -E comunque, il paziente non potrebbe riconoscerli. Il danno al suo cervello è esteso a tutta l'area della memoria, non ricordava nemmeno il proprio nome, assolutamente nulla. In tanti mesi che è qui non ha fatto nessun progresso.-
-Non ricorda nulla?-
-No, gliel'ho detto. È un danno esteso e permanente. Non ricorderà mai la sua vita prima del giorno in cui si è svegliato qui. Però è piuttosto intelligente, adora l'enigmistica. A volte gli infermieri gli portano il giornale per fargli fare i cruciverba e i rebus, o gli fanno degli indovinelli che trovano, a quanto pare è molto bravo. Una volta ha riparato la bambola parlante di una nostra paziente tutto da solo.-
-Sì...- rispose piano Shoichi. -È sempre stato intelligente. Doveva andare al MIT.-
-Ah, questo spiega un po' di cose.-
L'infermiera si fermò davanti a una porta e l'aprì. Shoichi la ringraziò ed entrò nella stanza.
Era quasi completamente bianca, le uniche macchie di colore erano rappresentate da un mazzolino di rose di un color rosa confetto e un piccolo collage di fotografie appese al muro. Shoichi fece un passo e riuscì a distinguere la fotografia di una donna sorridente; una di un uomo che, riconobbe Shoichi con un sussulto, era indiscutibilmente il poco compianto capitano Kikyo visibilmente giovane con un Byakuran ventenne seduti al tavolo di una caffetteria, e un'ultima foto che sembrava di un annuario o un giornalino scolastico, dove Byakuran festeggiava la vittoria di un piccolo trofeo vicino a un robottino. Nel letto accanto, il vero Byakuran lo stava guardando con un'espressione triste nonostante il suo sorriso.
-Tu saresti...?-
-Ah... salve... cioè, ciao.- disse Shoichi impacciato. -Sono... Sho. Shoichi, ma tu mi chiamavi Sho, quando ci siamo conosciuti.-
-Sho.- ripetè lui, come a volerlo mandare a memoria. -Non ricordo di averti mai visto, mi dispiace.-
-Lo so... l'infermiera mi ha detto che non ricordi niente...-
-Ed è vero... siamo amici?-
-Beh... più o meno, sì... noi... ci siamo visti a una gara di elettronica... è... la stessa gara dove ti sei piazzato terzo, in questa fotografia.- disse lui indicandogliela. -L'anno dopo ci siamo visti lì... poi però non ci siamo più visti per anni... però, lavoravamo insieme prima che tu avessi... che tu stessi male.-
-Dicono che ho avuto un incidente, ma io non lo ricordo.- disse Byakuran in tono leggero, come parlasse di cose di scarsissima importanza. -Ho una brutta cicatrice nel fianco, forse me la sono fatta quel giorno... ricordo che mi faceva ancora male quando mi sono svegliato qui.-
Shoichi non riusciva a capire se Byakuran volesse più informazioni al riguardo, ma non poteva dargliele in alcun caso. Erano stati molto chiari: se si fosse saputo che l'ex generale era ancora vivo avrebbe potuto avere dei grossi problemi, per questo era stato messo in una struttura dove potesse vivere in pace la vita che gli restava.
-È per me?- domandò, sbirciando il cestino in mano a Shoichi.
-Oh! Oh, sì... ecco, di solito si porta della frutta, ma... a te non piaceva, così ti ho portato del mochi... i dolci ti sono sempre piaciuti un sacco...-
-Ti ringrazio, ma ho appena pranzato... ti spiace metterli lì? Oh, mangiane pure se vuoi, mentre sei qui.-
Shoichi era piuttosto confuso. Il Byakuran che conosceva aveva dei momenti di tranquillità in cui era gentile, ma per lo più aveva lunghi momenti di silenzi cupi, sbalzi umorali pericolosi che sfociavano in deliberata violenza e spesso un atteggiamento di fastidiosa, sprezzante superiorità. Questo Byakuran invece sembrava sereno, quasi felice, seppure nell'oblio, completamente dimentico della sua vita.
Poi si accorse che, sul dito che aveva usato per indicargli il comodino, indossava un anello d'argento, riccamente elaborato, con incastonata una grossa pietra color blu, o forse indaco. Non ricordava che Byakuran portasse degli anelli, così si chiese dove lo avesse preso.
-Hai... proprio un bell'anello, Byakuran...-
-Byakuran?- domandò lui sorpreso. -Mi chiamo così?-
-Ehm...-
-Qui tutti mi chiamano Ran. Ran e basta. Mi chiamo Byakuran?-
-Oh, no, no...- si affrettò a negare Shoichi, convinto che meno sapesse della propria identità e meno ne avrebbe sofferto. -Io... ti chiamavo così... per il colore dei tuoi capelli.-
-Oh, ho capito...-
-Dicevo, del tuo anello...- si affrettò a cambiare discorso.
-Oh, questo? Me lo ha regalato il bel ragazzo che viene a farmi visita.-
-Il bel ragazzo...?-
-Sì, c'è un ragazzo che viene tutte le settimane... è venuto anche stamattina... credo che ci conoscessimo prima del mio incidente... porta sempre una stampella, quindi mi sono chiesto se non fosse con me quando c'è stato quell'incidente... ma lui è molto riservato, non mi dice come ci siamo incontrati o dove...-
Shoichi non potè biasimare la riservatezza di Rokudo Mukuro, dato che a quanto gli risultava si erano incontrati in un carcere dove erano capo e prigioniero.
-L'altra volta è venuto e mi ha regalato questo... sembra che valga molto, vero? Ma lui ha insistito tanto, voleva che lo tenessi io... diceva che lui non ne aveva più bisogno, che serviva più a me che a lui... ha detto che questo anello era il suo passato...-
Shoichi non poteva conoscere la vera provenienza di quell'anello, ma fu comunque colpito che fra tutti proprio Rokudo Mukuro avesse tanto a cuore l'attuale condizione di Byakuran. La frequenza delle sue visite, e quel dono... si chiese se le fotografie con i pezzi del passato del Demone Bianco le avesse recuperate lui.
-Anche le fotografie me le ha portate lui!- fece Byakuran, quasi avesse intuito la domanda. -Questa qui ha detto che era mia madre, ma è morta lo scorso inverno... non questo, quello prima... e questo qui, Mukuro chan dice che è il mio migliore amico... però mi ha detto che è morto nello stesso incidente in cui ho perso la memoria...-
Byakuran si rattristò e prese la fotografia. Shoichi non credette ai suoi occhi quando vide quelli viola dell'ex carceriere di Sekko, del Demone Bianco, diventare lucidi. Furtivamente si lucidò gli occhiali.
-Dovrei essere felice di non ricordare più niente... farebbe più male sapere di aver perso la mamma e il mio migliore amico, se riuscissi a ricordare le loro voci... o il momento in cui abbiamo scattato queste foto...-
-Ran... se ti fidi di me, ascolta... è molto meglio che tu non ricordi la tua vita.- disse Shoichi risoluto, e indicò le altre due foto. -Queste foto sono così poche perchè sono pochi i momenti felici della tua vita... una gara vinta alle medie, un amico... hai avuto pochi motivi per essere felice, infatti non lo eri... eri pieno di rabbia per le occasioni che avevi perso, per le ingiustizie che hai subìto... è meglio così. Credimi.-
Byakuran lo guardò sorpreso, ma poi sorrise e rimise la fotografia al suo posto con cura.
-Ti credo... anche Mukuro chan mi dice che ora sono più felice di prima, anche se ho perso tanto...-
Calò il silenzio per qualche lungo, imbarazzante momento, poi Shoichi si alzò e aprì la finestra per lasciar entrare il venticello che soffiava fuori. Quello fece ondeggiare le tende bianche e i ciuffi dei capelli di Byakuran, che si erano allungati molto. Aveva fra le dita un petalo delle rose che teneva sul comodino.
-Sho... tu credi che... Mukuro chan fosse il mio ragazzo?-
Allarmato, Shoichi diede nella risata più naturale che riuscisse a mettere insieme.
-Che cosa te lo fa pensare?-
-Ecco... quando... quando entra nella mia stanza e mi sorride... sento... qualcosa...- cercò di spiegare Byakuran, stringendo la mano sul cuore. -Io so di averlo conosciuto prima dell'incidente... non so come... non so che cosa eravamo... ma io sono sicuro di averlo amato... che lo amo anche ora.-
Byakuran guardò fuori dalla finestra, con un sorriso che probabilmente nessun uomo aveva mai visto all'ultimo generale dell'Haido. Shoichi, convinto che nessuno più di lui potesse confermare i propri sentimenti, non rispose e gli strinse amichevolmente la spalla, lasciando vagare lo sguardo nella sua stessa direzione.
Fuori, il sole splendeva e i ciliegi erano in fiore. Il vento portava i piccoli petali rosa fino a quella stanza bianca.


 
Siamo giunti alla fine de La dodicesima primavera, il culmine, finora, della mia "carriera" di scrittrice di fanfiction, dopo poco più di un anno dall'inizio della pubblicazione qui su EFP. Voglio ringraziare la solitudine di un viaggio in treno e una canzone che hanno fatto nascere in me l'idea per questa storia, e anche te, che sei arrivato a leggere fino a questo punto. Un ringraziamento speciale va a tutti quelli che hanno amato, sofferto e tenuto il fiato sospeso leggendo questa storia lunga e travagliata, a coloro che hanno recensito facendomi coraggio, e a quelli che hanno consigliato la storia ad altri.
Un ultimo immenso grazie va a coloro che la terranno nel cuore, come me, insieme a tante altre storie che vi accompagneranno. Grazie.
   
 
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