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Autore: Amaya Lee    13/07/2015    2 recensioni
[ Daisuga | Raccolta | Rating variabile | #Adults AU]
)1. Rosso ¤ Daichi qualche volta faceva un gioco. Gran parte del gioco consisteva nel guardare le persone.
)2. Arancione ¤ "Devi sapere una cosa, Daichi."

¤
Dicono che la meraviglia stia negli occhi di chi guarda. Sawamura Daichi, ogni singola volta che incontra con gli occhi un uomo di cui ha amato uno ad uno i colori, nonostante a entrambi manchino cose importanti, dubita ciò che gli altri dicono.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Daichi Sawamura, Koushi Sugawara, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Rosso come il filo che mi lega a te

 

 

 

 

Daichi amava i colori. Da bambino, li aveva amati.

Forse era nata dai cieli blu in technicolor che gli mostrava la televisione, o dal canarino giallo che la vecchia vicina lasciava sempre libero di scorrazzare per il giardino dei Sawamura; lui li amava come se il suo filo (rosso) fosse legato ai colori, piuttosto che alle persone.

Le passioni però, si sa, con il tempo diventano come quelle foto color seppia.

 

#

 


Il venerdì di Daichi non era iniziato esattamente bene. Nessun giorno della settimana, per Daichi, iniziava esattamente bene.

Si svegliava troppo presto, tanto per cominciare, e quasi sempre ad opera del suono squillante dell'ambulanza che passava di fronte a casa sua almeno una volta ogni mattina. A quel punto, anche se la sveglia segnava coi suoi disgustosamente brillanti numeri digitali le quattro e un quarto, gli conveniva alzarsi dal letto. Pescava una camicia e una cravatta senza preoccuparsi dell'abbinamento, visto il suo guardaroba una successione strategica di chiaroscuri.

Bianco e nero. Ancora bianco e nero. Finché non finivano le stampelle.

Le sue erano giornate nere e bianche, e rischiava di diventarlo anche quel venerdì sera.

Yui Michimiya non si era mai dimostrata una persona puntuale, e questo Daichi lo sapeva bene; stavolta era tutta colpa del navigatore satellitare nuovo che si era installata nell'auto, assolutamente inattendibile.

Forse era un po' anche colpa sua, che le aveva chiesto di incontrarsi in un pub appena aperto nella zona periferica meridionale. Ne stava pagando le conseguenze.

I clienti del locale lo stavano sicuramente fissando come un pietoso uomo di trent'anni che non ha nulla da fare la sera se non affogare la solitudine nell'alcohol. O forse un disperato a cui l'amante ha dato buca.

Daichi rimuginava e più lo faceva più si innervosiva, finché decise di farsi durare la birra ancora cinque minuti e poi andarsene. Agognava l'appartamento caldo e la sua coperta termica dalle sfumature argento.

Quello sì che era una acquisto, altro che un maledetto navigatore satellitare.

Fece scorrere gli occhi sull'ambiente con attenzione, per la prima volta da quand'aveva varcato la soglia, già allora di umore plumbeo.

Uomo, donna; donna, ragazza; ragazzo, ragazza; uomo, donna, bambino; uomo, bambino, cane (un dalmata); e così via. Non era nemmeno sicuro che i cani fossero ammessi. Il barman – un tipo avvincente ma dall'aria un po' tonta, con la testa rasata e i tratti decisi – non guardava in quella direzione.

Lo sguardo di Daichi sgusciò sul tavolo più distante, a cui sedeva un uomo solo. Ne aveva visti molti, e tutti gli facevano pressoché la stessa impressione che in quel momento associava a se stesso.

Daichi qualche volta faceva un gioco.

Gran parte del gioco consisteva nel guardare le persone. Quasi tutte quelle che vedeva ogni giorno regolare erano bianche e nere, punti fermi, annegati tra parole verdi, gialle, rosse. L'azzurro, per la nostalgia, Daichi non lo considerava spesso, se non distillato e diluito con mille altre tonalità. Anche l'indifferenza aveva un colore. Più spento degli altri, ma più comune di ciò che si potesse pensare, specialmente alle fermate degli autobus.

L'uomo che beveva da solo aveva occhi castano-dorati che parevano fatti con le tempere. Miti e cordiali, rivolti pacatamente al bicchiere.

Daichi era risaputamente un uomo stressato, ma le tempere l'avevano sempre tranquillizzato in un modo ondeggiante e vago, addirittura spirituale. E se Yui non gli uscì immediatamente dalla mente, una tiepida curiosità si accese ad offuscarla.

Con la coda dell'occhio scorse il barman inclinare il capo nella direzione dove il suo sguardo sostava da un po'. Un sorrisetto deformò la bocca sottile dell'impiegato "Tanaka-senpai", con l'onorifico scarabocchiato sulla targhetta in pennarello – probabilmente per scherzo.

    "Oi, vacci a parlare."

Daichi corrugò ingenuamente la fronte, pur avendo capito al volo. "Scusi?"

    "Gli tieni gli occhi incollati addosso da troppo perché possa sopportarlo ancora un altro secondo. Fate pena entrambi, soli soletti" aggiunse il barman con un versetto scocciato. "Non sei nemmeno troppo messo male. A parte la cravatta..."

    "Cosa non va con la cravatta?"

Tanaka lo trafisse in modo cruciale ed accusatorio. "Andiamo, amico. Grigia. Il grigio non va bene, è barboso."

Sorvolando sul fatto che il suo interlocutore si servisse del lessico di un bimbo delle elementari, Daichi si portò le mani al petto e cominciò ad allentare la cravatta con gesti secchi.

    "Bravo, bravo." Tanaka sembrava soddisfatto del proprio intervento. Probabilmente credeva di aver appena stravolto un destino. "Come fareste se non ci fossi qui io..."

Daichi si alzò dallo sgabello e si voltò prima che il barman potesse aggiungere altro, raccogliendo ogni prezioso grammo di coraggio che restava sopito nei lunghi periodi in cui non osava approcciare anima viva per una chiacchierata senza impegno, o scopo. Era certo di averci perso la mano dai tempi del college.

Notò che accanto al tavolo stava in piedi un ombrello rosso. Il suo possessore di rossa aveva solo qualche sbavatura, ma per la maggior parte no.

Gli occhi di tempera si sollevarono dalla bevanda traslucida – tè, forse – a metà strada.

Stavano guardando Daichi. Ed ecco che spariva la possibilità di ripensarci.

    "Salve" cominciò Daichi quando raggiunse il lato opposto del tavolo, solo un po' impacciato. "Mi scuso se interrompo la sua serata così d'improvviso..."

Daichi, in realtà, stava già cominciando ad agitarsi. Maledisse il barman, maledisse se stesso, maledisse Yui, maledisse i navigatori.

L'inaspettato e ampio sorriso dell'altro lo lasciò confuso, oltre che esageratamente sollevato.

Sorrideva proprio a lui. Ecco, era un bel sorriso color corallo.

    "Sawamura Daichi" si presentò, porgendo educatamente la mano. L'altro la strinse con la destra e gli fece un cenno d'assenso. "...Posso sedermi? ...Oh, grazie."

Daichi si accomodò sulla sedia di fronte. L'uomo continuava a mostrare un piccolo sorriso amorevole, e gli occhi non comunicavano altro che vivacità. A Daichi piaceva.

Non disse niente per pochi secondi, aspettando che l'altro formulasse una frase, una cosa qualsiasi, poiché sembrava davvero sul punto di dire qualcosa.

Ancora un momento.

Ma nessuna parola lasciò le labbra cristalline, leggermente inumidite dalla bevanda calda.

Invece, l'uomo prese un tovagliolo dal piccolo distributore al centro della tavola e frugò nella propria borsa a tracolla. La sua mano, pallida come il viso tondeggiante, ne estrasse una penna a biro di colore blu.

Si mise a scrivere sul tovagliolo. Daichi aveva perso il controllo della propria espressione, la quale doveva risultare molto perplessa.

Prese il tovagliolo che gli venne porto pochi istanti dopo e lo lesse, non potendo negare il brivido che gli corse lungo la spina dorsale.

   "Mi spiace, sono sordomuto dalla nascita. Se vuoi chiacchierare però lo farei volentieri.

    Sugawara Koushi, comunque"

Daichi rilesse la prima frase più volte. Poi alzò il capo e, di fronte all'incantevole sorriso un po' dispiaciuto che gli venne rivolto, avvertì lo stomaco contrarsi bruscamente.

    "Mi spiace moltissimo, non me n'ero reso conto. Lei... legge il labiale?"

Le spalle di Sugawara sussultarono in una risata leggera. Poi l'uomo annuì, come se non avesse un problema al mondo. Mise di nuovo in moto la mano che sosteneva la penna e scrisse sul tovagliolo. "Chiamami soltanto Suga, Daichi."

L'altro respirò profondamente, mentre i suoi occhi mulinavano attorno ai due nomi scribacchiati in elegante fretta, e le lettere oblunghe, che stavano così bene vicine. Daichi scommetteva che unite avessero una deliziosa musicalità.

    "Va bene, Suga." Sì, ce l'avevano.

E se non era una meraviglia il suo nome scritto in quella calligrafia. La voce di Koushi.

    "Aspettavi qualcuno?"

    "La mia migliore amica, Yui. Probabilmente ormai si è persa qui inorno."

    "In effetti in questo quartiere sono particolarmente densi i vicoli. Starà bene?"

    "Se c'è una cosa che Yui sa fare, è cavarsela." Daichi sorrise.

Suga ricambiò con piacere; se i suoi sorrissi fossero stati yen, Daichi si sarebbe potuto sentire detentore di una fortuna.

    "Cosa fai nella vita, Daichi?"

Si stava lasciando fregare tutte le domande, ma finché la conversazione andava avanti poco importava. "Lavoro in un'agenzia pubblicitaria. E tu?"

Sugawara arricciò le labbra. "Sono un pediatra."

     "Oh Dio, è... particolare." Daichi si sporse di più sul tavolo. Le sue mani si avvicinarono pericolosamente a quelle dell'altro uomo. "Devono piacerti molto, i bambini."

     "In effetti. In un modo o nell'altro ho sempre desiderato lavorare con loro"

     "Lo trovo molto bello. Voglio dire, io coi bambini me la cavo, ma non saprei tenerli fermi durante un vaccino, per esempio."

Suga rise, allungando di poco, inavvertitamente, le dita sulla superficie di plastica nera. Daichi rimase con il fiato sospeso finché non si rese conto che da un po' non si erano più detti nulla. Non era sgradevole e non faceva venire voglia a Daichi di alzarsi e salutare.

    "Nel mio lavoro ho capito che sono, come dire, sensibili. E trasparenti. Ogni tanto piangono, l'attimo dopo ridono. Li vedo ogni giorno e non mi stanco mai."

E Daichi ebbe l'impressione che trascorrendo un sacco di tempo con i bambini, Koushi – Suga, con il sorriso rassicurante come il corallo, gli occhi dorati e l'ombrello rosso – fosse molto simile a loro.

 

 

 

Daichi tornò a casa, quella notte, con il numero di telefono di Koushi in una tasca dei pantaloni, ripromettendosi di mandargli un sms la settimana a venire, per non disturbarlo nel week-end. Gli aveva fatto abbastanza piacere parlare con qualcuno, visto che Yui non si era fatta vedere e, se Daichi la conosceva bene, l'indomani l'avrebbe tempestato di chiamate per scusarsi; Daichi non era più così arrabbiato.

Un po' irritato per aver dimenticato la cravatta sul bancone del bar.

Però le tempere l'avevano sempre rilassato.

 

 

#

 

 

Daichi amava i colori. Fin da bambino, li aveva amati.

Forse era nata dai cieli blu in technicolor che gli mostrava la televisione, o dal canarino giallo che la vecchia vicina lasciava sempre libero di scorrazzare per il giardino dei Sawamura; lui li amava come se il suo filo (rosso) fosse legato ai colori, piuttosto che alle persone.











Buongiorno, avventurosi lettori. Okay, è il momento di fare un paio di precisazioni; 1) i personaggi di questa raccolta sono maggiorenni. Ciò significa che non ci sarà nulla di "underage" e che il rating si alzerà (soprattutto perché il fluff mi piace fino a un certo punto) nei prossimi aggiornamenti. Probabilmente. 2) Lo so che qui non si vede molto del nostro Suga, ma abbiate pazienza. Riguardo sia lui che Daichi, apprezzerei se mi faceste sapere se li trovate abbastana OOC da impostare l'avvertimento. 3) Questa raccolta sui colori la volevo fare da tempo, ma finora purtroppo ho in mano solo questo capitolo. Non so quando aggiornerò - probabilmente più in fretta, se vedo che l'idea interessa. (Apprezzo con tutto il cuore sia recensioni positive che costruttivamente critiche!)
Accettate un po' di dozzinale Daisuga love, di periferia, con un po' di problemi esistenziali, perché non ce n'è mai abbastanza.
A presto, e grazie infinite per aver letto
-Amaya

 
  
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