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Autore: BukowskiGirl2    13/07/2015    1 recensioni
E' dalla noia, da quel sentimento angoscioso e innocente, che nasce tutto.
Marzia ha intenzione di vivere la sua vita da sola, perchè nessuno la capisce. Lei, con il suo "problema", non va proprio d'accordo. Lorenzo è italo-americano, rigido ma ingenuo. Troveranno la salvezza insieme, perdendo però di vista, la loro meta. Sogni, false ambizioni, aria di depressione, momenti invisibili di felicità, attimi infantili. Cos'ha il futuro in serbo per loro?
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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In realtà, non è andato tutto così. Ci sono sfumature e angolazioni che Lorenzo non ha mai provato o provato a vedere. Col suo cinismo mediocre e la sua letteratura da italiano medio, non è riuscito ad andare oltre. E, da bravo uomo, ha parlato solo di quello che sentiva. Per carità, sarà pure un progresso, ma non ci si deve concentrare solo sulla propria psiche. Ho deciso che le cose devono andare per il giusto,  e che ognuno deve raccontare la storia per come l’ha vissuta. Così.
Quella notte avevo spento la mente, perché quello che c’era da programmare era già stato programmato. Sapevo che avremmo dormito insieme, sapevo che non mi sarei sentita più sola, sapevo che tutto si sarebbe risolto in un istante. Perché, sapevo, che nonostante il suo essere nullo, Lorenzo aveva la capacità di ricomporre i pezzi di me, come se fosse stata l’unica cosa che da sempre faceva.
Quella telefonata, era l’ennesima beffa degli dei e io non volevo concedermi.
Quell’attimo è stato mortale. Credo capiti più volte, nella vita, di morire. Capita perché il male fisico di un omicidio di carne, è paragonabile al male che l’anima prova dopo essere stata uccisa a parole, gesti, azioni. Sono morta tante di quelle volte e la gente ha sempre giustificato le morti con “è normale, chiude tutto dentro di sé”. Semplicemente si affidano troppo ad una scienza inesatta.
Quel grande dolore che non ho potuto dire. Le persone che mi conoscono credono non sia capace di amare, credono abbia in qualche modo dimenticato. Io tengo tutto dentro, più archiviato è, più lo ricordo.
Come il mio primo fidanzato. Un ragazzo normale, dal normale viso e la normale età. Ma che ricordo solo perché con lui feci per la prima volta l’amore. E’ fin troppo ipocrita per essere un ricordo che mi appartiene: le cose importanti vanno dimenticate, si sa. Avevo diciott’anni e niente andava bene nella mia vita. Si crede che ai diciott’anni, così, magicamente, si scopra di essere maturi: o per un foglio sporco di accademiche parole o per un altro foglio sporco di parole identificative. E’ ovvio quindi che la nostra vita non si debba affidare a fogli sporchi, ma ad anime pulite.
Ci affidiamo a ricordi che esistono solo perché noi lasciamo che esistano. Mi ricordo che mio padre diceva sempre una frase, prima di andare a lavoro: “ci vediamo martedì, alè!”. Non era così, ci saremmo visti alle diciannove di quella stessa giornata, ma era una frase che ripeteva sempre uno dei suoi conduttori preferiti, prima di chiudere il programma. Così era diventata quasi una tendenza, fra di noi. Nell’ultimo periodo, quello prima di andare a vivere da sola, mi diceva quella frase quando mi riaccompagnava a casa, da mia madre. In quel caso sì, ci saremmo rivisti solo martedì e la cosa iniziava a suonare triste.
Come dimenticare, poi, il modo in cui prendeva il ritmo delle canzoni, battendo le dita sulla mia gamba, in macchina. Da piccola era una cosa che odiavo, lo guardavo infatti in modo animalesco e lui continuava a farlo apposta. Da grande, poi, ero quasi io, a farlo. Soprattutto con I gotta feeling dei Black Eyed Peas.
Non mi mancava perché se n’era andato. Aveva sempre sofferto di cose che non avevo mai capito, quindi mi ero in un certo modo preparata. Ma ero enormemente offesa dal fatto che determinate cose, fra di noi, fossero finite da tempo. E che lui non mi avesse mai chiesto scusa per questo.
Non che avessi voluto sentirmi ancora una bambina, dopo tutto quel tempo. Ma è facile sedersi a guardarmi e dire “no, non ha sofferto per niente della nostra separazione”.
Io lo so che lui l’ha amata, mia madre. Lo so, perché le faceva vedere i suoi film preferiti, le faceva leggere dei bellissimi libri, le programmava un sacco di viaggi e di sorprese, dopo le quali diceva sempre “almeno una cosa mi riesce ancora bene”.
E dove si è perso, allora, l’amore? Su quale strada posso trovarlo e farlo fuori, prenderlo a pugni?
Ma nulla, ci son troppe cose di cui dovrei lamentarmi, troppe cose che mi hanno tolto, piano a piano, la vita. Cose che mi hanno fermato il respiro, che mi hanno rigirata all’interno, che mi hanno, ahimè completamente, annullata.
Sono questo, ora: silenzi e, dopo poche parole senza radice, altri silenzi. 
   
 
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