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Autore: Undead    14/07/2015    5 recensioni
Quando qualcosa che ti ha donato tanto e ti ha fatto crescere finisce, ti lascia un vuoto. Ma la fine di un percorso lascia spazio solo all'inizio di quello successivo.
Pensieri e riflessioni derivanti dal periodo ,per ora, più significativo ed importante della mia vita.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Gender Bender
- Questa storia fa parte della serie 'La storia di Alex'
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È finito un percorso. Un percorso che mi ha fatto crescere, mi ha fatto scoprire lati di me che pensavo non esistessero. Mi ha aiutato ad essere me stesso, mi sono trovato in balia dei sentimenti che inevitabilmente, ogni lunedì, venivano a galla.
Cercare di reprimerli, mi sono accorto presto, non serviva a nulla, così ho provato a rifletterci su, a ripensare a tutto quello che avevate detto e cercare di rievocare ciò che provavo mentre vi ascoltavo, spesso, basito da tutto quello che non conoscevo e che non mi aveva mai veramente interessato.
 
Spesso sentivo pesare la mia giovane età, le esperienze non fatte e nemmeno lontanamente immaginate. Anche quelle esperienze che, solitamente, alla mia età si fanno, ma alle quali io non mi sono mai nemmeno avvicinato.
Parlavamo d’amore, di violenza, di orientamenti sessuali e di genere, di orgasmi, di empowerment, di auto-piacere. Certo, non sono totalmente estraneo a questo ma, di molte, troppe cose, non posso parlare per esperienza personale, sentita sulla mia pelle.
L’auto-piacere mi fa sentire, ancora una volta, “sbagliato”, diverso. In effetti lo sono.
Non riesco a darmi auto-piacere. Ci ho provato. Ma mi blocco, arrivo a sfiorare i miei genitali, che  poi miei non sono tanto, appena sento quella concavità che dovrebbe procurarmi piacere (nell’immaginario collettivo), è come se stessi violando il mio io interiore, come se mi stessi annullando, come se stessi dando ragione a tutte le persone che pensano al mio disagio come un capriccio. Lo so che è sbagliato, dovrei fregarmene. Non dovrei lasciarmi condizionare da cosa possono pensare le altre persone, ma di questo in realtà non mi importa più di tanto.
Però il disagio che sento ogni volta che provo a darmi piacere non so se posso superarlo da solo, non so se riuscirò a farlo nemmeno con qualcuno.
 
D’altra parte pensare che a 20 non ho ancora mai nemmeno baciato una ragazza è frustrante. Ci sono momenti che penso veramente di non avere nessuna speranza, in fondo chi vorrà qualcuno senza esperienza? È un po’come nel lavoro, tutti cercano chi di esperienza ne ha già. E gli altri? Chi non ha avuto le possibilità, il tempo, la fortuna di farne?
Sono domande che mi faccio ogni tanto. Domande che scatenano dubbi, perplessità ed inevitabilmente altri mille complessi mentali. Arrivano nei momenti più disparati, anche in quelli dove dovrebbe esserci solo spazio per il divertimento.  
Succede quando sono con gli amici e loro, pieni di alcool, ad esempio, propongono di giocare ad obbligo o verità, io mi sento di troppo, una rottura di scatole, perché o non gioco o gli obblighi che piacciono a loro per me sono tabù. Mi sento di troppo quando parlano delle loro esperienze, mi sento di troppo quando si ubriacano, quando fumano, quando parlano di droghe o quando ne fanno uso. Mi sento di troppo quando al mare o in piscina tutti si divertono senza preoccuparsi di essere in costume, mentre io sto il più coperto possibile.
Mi sento di troppo ma anche in imbarazzo, mi sento inutile, un peso.
Mi sembra di essere come l’aria nei giorni di calma piatta, quando c’è ma non si sente perché non tira vento.
Ci sono giorni nei quali mi chiedo per quale motivo continuano a chiedermi di uscire con loro, mi chiedo perché, se mi sento un peso, ci vado sempre, anche quando non ne ho voglia e preferirei mille volte stare a casa a rifugiarmi nella lettura di un libro o a scrivere.
La risposta è semplice, mi chiamano perché sono miei amici e forse non sono un peso come credo e poi io vado perché a rispondere “No guarda se bevete io passo” oppure “Stasera no, grazie” riceverei solo mille domande che alla fine avrebbero una semplice, scherzosa forse, ma pesante soluzione: “Ma dai bevi anche tu, provaci vedrai che ti divertirai. Lasciati andare”. E cavolo, lo so che hanno ragione, dovrei lasciarmi andare, distruggere quelle maledette barriere che sento così presenti e potenti nella mia vita. Certo qualche passettino in avanti lo sto facendo, ma solo se sono gli altri ad indirizzarmi o a fare il primo passo.
 
Il gruppo mi ha aiutato sì, ma adesso? Adesso che non discuteremo più tutte le settimane di temi importanti, non avrò più modo di apprendere e crescere così velocemente come ho fatto in questi 6 mesi. Un periodo che porterò nell’anima per sempre, ci saranno ricordi indelebili e col tempo ne riaffioreranno altri che, ora, con la mia memoria da pesce rosso che mi ritrovo, sembrano essere stati già dimenticati.
Adesso affronterò un altro percorso, concentrato esclusivamente su me stesso, su chi sono veramente, un percorso che, come se fosse fatto apposta, dovrebbe durare circa 6 mesi e che ho intrapreso soprattutto grazie a quello appena concluso.
Dovrò parlare, devo imparare a farlo.
Dovrò esprimere tutto quello che per anni ho tenuto dentro, trovare le giuste parole.
Devo essere concentrato e non sottovalutare nulla di quello che mi verrà detto e quello che dirò, devo dare il giusto peso alle parole.
Devo tirare fuori le palle e smettere di far finta che vada tutto bene, che niente mi tocchi, che non mi dia fastidio ogni volta che sento pronunciare il “mio” nome. Quel nome che ogni volta mi lascia un segno dentro, mi ferisce piano piano, ma prima o poi colpo su colpo si cade e io non voglio cadere, voglio alzarmi in piedi per la prima volta, voglio smettere di tenermi tutto dentro, devo imparare a sconfiggermi, a liberarmi dai miei demoni. 
   
 
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