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Autore: Evias    15/07/2015    0 recensioni
Sherlock Holmes investiga una serie di omicidi astuti e cruenti con un inquietante filo conduttore. Riusciranno lui e Watson ad uscre indenni da indagini che li coinvolgono sempre più da vicino?
Genere: Angst, Drammatico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Scacco matto in quattro mosse

di Paola Giari ed Arianna Avanzini
Illustrazioni di Paola Giari


Prologo

Durante i lunghi anni della mia amicizia con il signor Sherlock Holmes, ho avuto più volte l'occasione di constatare quanto le sue abitudini potessero risultare, a chi non lo conoscesse bene, straordinariamente stravaganti e singolari. Stravagante e singolare egli stesso, pareva che certe volte quasi esagerasse queste sue peculiari caratteristiche con l'unico obiettivo di provocare nel prossimo una reazione di sconcerto. Io, dal canto mio, sapevo bene quanto tale apparente sregolatezza fosse il riflesso dell'estrema metodicità della sua mente brillante, e confidavo ciecamente nel fatto che ogni sua azione avesse uno scopo ben definito e razionale, nonostante io non lo comprendessi nell'immediato.

Non fui eccessivamente sorpreso né mi posi troppe domande quindi nel momento in cui, nella primavera del 1888, passando per una visita dopo una giornata di lavoro nel mio studio medico di Kensington Road, trovai una breve nota, affissa alla mensola del caminetto col suo affilato pugnale, con la quale avvisava la signora Hudson di non fargli trovar pronta la cena. Nei giorni seguenti non ebbi notizia alcuna del mio amico finché una mattina, incuriosito da quell'assenza, ripassai dal 221b di Baker Street dopo una nottata al capezzale di un paziente e intravidi un lume ad olio acceso attraverso la vetrata opaca della finestra del salotto; trovai la signora Hudson ad attendermi sulla soglia della porta.

"Il signor Holmes è rientrato," rimarcai, dopo aver scambiato i dovuti convenevoli con la padrona di casa.

"Ah, dottor Watson," mi rispose la paziente donna, "Tre giorni senza dare alcuna notizia di sé, ed ora mi saluta con un Buongiorno, signora Hudson, come sta?, come se nulla fosse."

Mi apprestavo a fare appello a tutta la mia empatia per risponderle, quando uno sparo rimbombò nell'adito, facendomi sobbalzare e strappando alla gentildonna uno strillo acuto. Istintivamente mi chinai, guardandomi intorno, mentre i lontani trascorsi del mio servizio militare riaffioravano prepotentemente alla mia memoria. Un secondo sparo risuonò tra le pareti di mattoni, e con mio infinito orrore non ebbi alcun dubbio sulla sua provenienza: il colpo era stato esploso nel salotto ora abitato solamente da Holmes.

"Watson!"

L'accoglienza terribile e inaspettata di quegli spari sarebbe bastata a colmare di sgomento il mio animo, ma un ulteriore suono, altrettanto inatteso, mi atterrì se possibile ancora più. Era il suono della voce del mio amico Holmes, innaturalmente stridente e pervasa di un tono d'urgenza che non avrei mai potuto ignorare.

"Watson!" ripetè la voce del mio amico, ed io non esitai a salire di corsa, per quanto la mia gamba dolorante lo permettesse, i diciassette gradini che mi separavano da lui. Spalancai la porta con un tonfo secco, irrompendo nel salotto e, freneticamente, mi guardai intorno, preparandomi al peggio.

Holmes era seduto placidamente in poltrona, l'orologio da taschino aperto nella mancina e la sua pistola dal grilletto sensibilissimo fumante nella destra. Sollevò lo sguardo su di me con una punta di severità nel contegno annoiato e apatico ed io, nella frenesia che mi aveva condotto a quella corsa, notai che aveva aggiunto uno svolazzo alle iniziali V.R. incise a fori di proiettili sul muro dirimpetto a lui.

"Ebbene, Watson," mi apostrofò, la voce ora fredda e impersonale, così diversa da quella che avevo udito chiamare aiuto pochi istanti prima, "È in ritardo."

Ripresi fiato, concedendomi qualche istante perché l'ondata di sollievo che mi aveva investito al vedere il mio collega illeso facesse il suo corso; quindi, l'assurdità della situazione investì la mia coscienza con durezza. "Holmes!" esclamai, fissandolo ad occhi sbarrati. "Bontà divina, cosa sta succedendo?"
 





"Watson!" ripetè la voce del mio amico, ed io non esitai a salire di corsa, per quanto la mia gamba dolorante lo permettesse, i diciassette gradini che mi separavano da lui.
 



Holmes balzò dalla poltrona, richiudendo con uno scatto l'orologio e, aggirato il divano, si avvicinò alla scrivania per riporre nel cassetto l'arma che aveva esploso quei due malaugurati colpi. Mi favorì con uno sguardo freddo e scrutatore, "È necessario, dottore, che io abbia intorno a me persone sulle quali posso sempre contare. Il mestiere che svolgo è rischioso, i miei incarichi sono infidi e fonte di inaspettate difficoltà."

Confesso che, in quel momento, le parole del mio amico ebbero un effetto bruciante su di me, come lo avrebbero avuto su un soldato le parole di un ufficiale. Nella mia ancora pressante agitazione, che iniziava a lasciar posto ad una più lucida razionalità, come le nubi dopo la tempesta si diradano lentamente consentendo che il sole filtri pian piano, mi resi conto di ciò che quelle parole sottintendevano. Con la preoccupazione che lentamente prendeva il posto dell'ansia, mossi qualche passo verso di lui.

"Mio caro Holmes, " proruppi, "Si trova dunque in pericolo?"

Sollevò le sopracciglia, rivolgendomi uno sguardo che esprimeva una sopportazione al limite della pazienza, "Ovviamente, Watson. Data la peculiare tipologia di soggetti umani con i quali mi trovo ad aver a che fare quotidianamente - criminali ed ottusi, principalmente - non potrei certo ritenermi al sicuro."

Senza attendere una risposta - boccheggiavo, e l'esasperazione era ormai al pari della preoccupazione nel mio animo - mi oltrepassò, e strappato un telegramma dal voluminoso fascio di carte che erano affisse alla mensola del caminetto con un coltello dalla punta acuminata me lo porse, "Ecco un esempio di ciò che le esponevo. Lo legga ad alta voce, per cortesia: è di oggi."

Ricambiai la degnazione nei suoi occhi con uno sguardo vagamente piccato. Zoppicai sino alla scrivania, avvicinando al lume ad olio, ancora necessario alla lettura nella poca luce dell'alba, il foglio parzialmente lacerato.

"Coburg Square, brutale omicidio STOP Jabez Wilson STOP Mi raggiunga subito STOP Lestrade FULL STOP," risollevai su Holmes uno sguardo sbalordito, "Bontà divina, Jabez Wilson! Il proprietario del banco dei pegni che fu coinvolto suo malgrado nella straordinaria vicenda della lega dei capelli rossi1."

"Precisamente, Watson," esclamò lui, "Questo spero le possa dare un'idea della terribile fatalità che spesso accompagna quelle che lei così romanticamente definisce avventure." mi considerò per un momento con gravità, quindi il suo sguardo freddo parve ammorbidirsi, forse nello scorgere nel mio contegno una punta di indignazione sfuggita al mio autocontrollo. "Andiamo, amico mio; come le ho detto, ho assoluta necessità di avere al mio fianco qualcuno sul quale posso sempre contare."

"Non desidero di meglio che sapere chi abbia potuto compiere un crimine del genere ai danni del povero signor Wilson," gli risposi, scegliendo di non far più riferimento a quella precedente tirade. Sapevo infatti come il mio amico, nella solitudine dei suoi pensieri, potesse scegliere di seguire linee di pensiero spesso contorte ma unicamente profonde, che lo portavano a conclusioni ciniche e catastrofiche.

Premette per un istante una mano ossuta sulla mia spalla, quindi, con uno svolazzo, infilò il soprabito. Mi precedette di nuovo nella strada imbevuta di nebbia e di smog; io non potrei reprimere un brivido, dovuto non tanto alla pungente aria mattutina, ma ad un cupo presagio che mi era giunto insieme a quel macabro telegramma.


 


[1] Testo originale de "La Lega dei Capelli Rossi" disponibile qui: https://en.wikipedia.org/wiki/The_Red-Headed_League

   
 
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