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Autore: Taira Croft    16/07/2015    0 recensioni
Tanto uguali quanto diverse, scioccanti nel rivelare la loro vera natura. Scoprirete che Leila e Delia sono molto più che sorelle...
Genere: Azione, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Ania'
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Tanto uguali quanto diverse, scioccanti nel rivelare la loro vera natura. Scoprirete che Leila e Delia sono molto più che sorelle...

N.B. Le vicende narrate sono completamente fittizie e quindi di mia invenzione, ma non le presta volto delle protagoniste che sono realmente esistenti.

Più che sorelle

Dopo tre giorni infernali di prove estenuanti per entrare in quella stramaledettissima società segreta della Luce Emersa, ci ritrovammo tutti e sedici ad essere rinchiusi in un sotterraneo di circa duecento metri quadri con solo una frase incisa sul muro.

"16 son troppi; meglio averne un quarto che una mandria senza controllo"

Non c'era neanche bisogno di proferire parola che subito partì una rissa per decretare chi sarebbero stati i quattro che avrebbero superato anche questa prova. E così fu.

Mentre però, quasi tutti se le davano di santa ragione, io, Leila, nostro fratello Gregory e un tizio di nome Jared ci chiedevamo in disparte quali fossero le veri intenzioni dei Lumi Emersi. Dalla frase si capiva che ci volevano sotto controllo, nel vero senso della parola. Ma se sapevano tutto su di noi, grazie alle ricerche fatte, cos'altro gli serviva? Alla fine arrivammo alla conclusione che non erano in possesso dell'elemento più importante che ci rendeva degni di essere neo Lumi e membri della Δφ, e secondo loro farci combattere come esseri primordiali era il miglior modo per scoprirlo. Cosa poco intelligente a nostro parere.

Pian piano gli studenti cadevano sotto i colpi dei colleghi universitari, fino a quando ne rimasero due oltre a noi quattro. Eravamo riusciti ad evitare di essere tirati nella mischia e tutto si stava per decidere.

Sarebbe stato da infami, ma sia io che mio fratello e mia sorella volevamo rimanere insieme e seppur Jared sembrava un tipo apposto lo avremmo anche buttato nella mischia qualora fosse stato necessario. Così tra i due che ancora si assestavano pugni spaventosi vinse inaspettatamente quello più basso, abbassandosi all'ennesimo colpo e facendo battere la testa dell'avversario, una volta perso l'equilibrio, sul pavimento ruvido e freddo. Quello scomparse proprio come gli altri, in modo agghiacciante tra l'intermittenza delle lampadine sul soffitto, subito prima che le luci si spensero definitivamente.

Allora una voce gracchiò nell'aria: ‹‹Per essere un Lume Emerso bisogna saper trovare la via che porta alla verità.››

D'istinto io e mia sorella ci prendemmo per mano per uscire insieme da quell'oscurità, mentre nostro fratello ci stava davanti, lo sentivamo. Invece Jared era talmente silenzioso che sembrava essere scomparso; l'altro ragazzo urlava impazzito per paura di restarci secco.

Leila mi strinse la mano e mi fece capire nel modo in cui solo noi potevamo capirci di ascoltare attentamente. Effettivamente se ci concentravamo si sentiva un leggero soffio di vento che proveniva da uno spiraglio. Ci avvicinammo più possibile senza inciampare in qualche ostacolo, mentre ancora quel tizio urlava a squarciagola, e infilai le dita nella fessura facendo pressione. Un meccanismo si azionò e fuori ne venne un rumore stridulo, come se qualcosa di pesante si spostasse. Seguimmo allora questo rumore e ci dirigemmo verso un lungo corridoio in salita, ma a metà percorso ci accorgemmo che nostro fratello era sparito improvvisamente dalla percezione dei nostri sensi e ci allarmammo. Lo cercammo a tentoni intorno a noi e lo chiamammo, ma nessuna risposta da parte sua si sentì. Eppure non poteva essere sparito.

Maledetta Luce Emersa! E maledetti noi che volevamo entrare nel circolo.

Ci stringemmo di nuovo la mano e decidemmo di uscire fuori da quel luogo lugubre con la consapevolezza che Gregory era più che capace di cavarsela. Infatti fu il primo ed unico volto che vedemmo non appena uscite fuori dalla botola che dava sul sotterraneo lasciato alle spalle. Intorno a lui vi erano quattro soggetti incappucciati, due dei quali ci porsero una scatola grande e due più piccole a testa con su scritti i nostri nomi.

Aspettammo così gli altri due. Jared uscì per primo seguito dall'altro mingherlino a cui gli incappucciati porsero le nostre stesse scatole. Ci girammo poi verso nostro fratello e notammo che non possedeva ciò che avevano dato a noi così ci insospettimmo.

‹‹Perché lui non ce l'ha?›› chiese il mingherlino vedendo nostro fratello, precedendoci.

All'inizio nessuno rispose, poi una voce ovattata uscì dal cappuccio dietro le mie spalle. A quel punto mi chiesi se si trattasse davvero di esseri umani, troppo alti, troppo magri, troppo silenziosi per esserlo.

‹‹Il Signor Silen non è stato trovato idoneo.››

Fu come un colpo a ciel sereno eppure nostro fratello fu impassibile, eccetto per la scrollata di spalle un po' in rassegnazione. Ci rimanemmo male, ma non pronunciammo parola e libere di tornare nei dormitori ci dirigemmo verso il nostro appartamento.

Posammo i pacchi sul tavolino in mogano del salotto e ci fiondammo sotto l'acqua per una doccia rigenerante. Fortunatamente ognuna aveva il proprio bagno. Una volta uscire fuori tornammo in soggiorno ancora con l'asciugamano a contenere i nostri capelli grondanti di acqua; io con una t-shirt e un paio di pantaloncini color cobalto in tinta con i miei occhi che sfilava sul mio essere "pelle e ossa", Leila con un baby-doll color panna che le risaltava le curve formose. Ci sedemmo sui divanetti bordeaux ed aprimmo le rispettive scatole.

Mia sorella tirò fuori dei tacco a spillo neri da una delle scalote piccole, da quella più grande un semplicissimo vestito bianco di seta che le arrivava fin sotto i glutei e una borsetta anch'essa bianca con una cordicina in velluto. In quella rimanente c'era un sacchetto di stoffa color caffè contente Chanel n°5, un rossetto color vinaccia, dei trucchi perfetti per la sua carnagione mulatta, un paio di punti luce e un bracciale laccato d'oro con un orologio abbinato in stile floreale.

Io prima di aprire passai le dita sulle lettere incise con inchiostro dorato sul cartone di ogni scatola, Delia Silen. Poi scartai tutti i pacchi con frenesia ed entusiasmo, al contrario di Leila che maneggiò tutto con cura come se qualcosa potesse rompersi. Trovai un paio di decolleté nere con tacco grosso e plateau bianco, una borsetta nera nello stesso stile della precedente ma con piccole borchie dorate, stessi gioielli ma trucchi decisamente più tenui ed un vestito nero della stessa lunghezza di quello di mia sorella, presentava però una doppia gonna, una che seguiva lo stile tubino e l'altra più corta e svolazzante in vita.

Ci guardammo e per un momento avremmo voluto scambiarci i vestiti - erano l'esatto stile opposto di ognuna -, ma pensando che quelli della società segreta lo fecero apposta scendemmo a compromessi. Così ci vestimmo di tutto punto come ci era stato implicitamente ordinato, ma senza indossare gioielli a parte i punti luce e con una piccola variante sul trucco: Leila puntò sulle proprie labbra carnose passando solo un filo di matita sotto l'occhio già scuro di suo, io risaltai i miei occhi azzurri e lasciai le labbra al naturale con solo l'applicazione di phard color miele per delineare la mia pelle lattea con qualche chiara lentiggine sparsa qua e là.

A vederci a prima vista non si poteva dire proprio di essere parenti, infatti a raccontarlo nessuno ci credeva, a volte fummo persino costrette a mostrare il certificato di nascita. Ma come biasimarli? Io ero e sono l'incarnazione di una rossa irlandese e lei quella di una riccia e ribelle afro-nigeriana.

Così ci guardammo un'ultima volta allo specchio, prima di farci fare una foto da nostro fratello che ci volle accompagnare al ricevimento descritto sulle cartoline in fibra di cotone trovate sul fondo delle scatole, per poi prendere i cappotti ed uscire con la sua decappottabile blu notte.

Una volta arrivate alla sede dei Δφ, alcuni dei quali erano membri affermati tra i Lumi Emersi, uno sfavillio generale di illuminazioni ci travolse. Lusso, eleganza chic, galanteria e finta cortesia erano all'ordine del giorno tra questa gente altolocata, nella quale stavamo per entrare.

Sull'entrata un cameriere ci porse dei drink analcolici in dei calici di cristallo che portammo con piacere con noi. Nel proseguire dei corridoi e delle stanze notammo che la luce accecante era lo sfondo perenne in ogni cosa, ciò ci stava leggermente irritando il sistema nervoso non essendo abituate a tanta luminosità.

‹‹La Luce della Verità è il nostro credo. Da domani in poi sarà anche il vostro.›› ci informò una voce alle nostre spalle, che poi si rivelò essere Jackson, il viceprefetto di allora della Luce Emersa.

Sorseggiava un drink leggermente più scuro dei nostri dal quale proveniva un forte odore di alcool.

‹‹Il mio è leggermente corretto.›› ci disse vedendoci distorcere il naso e osservare di tralice il suo calice sottile e lungo e soffermandosi sulla parola "leggermente" ‹‹Ma è un segreto›› finì col portarsi un dito sulla bocca in segno di silenzio, sorridendo oltremodo e facendoci l'occhiolino. Poi si allontanò.

‹‹Che tipo!›› osservò mia sorella e non potevo dargli torto.

Dopo vari giri arrivammo nella sala più grande della sede dei Δφ, conteneva tranquillamente una cinquantina di persone. Noi ci avvicinammo al mobile della collezione musicale e ci appoggiammo ad esso, evitando di scaricare tutto il peso sui già doloranti tacci, e avvistammo una tenera coppietta dall'altra parte della sala che stava sorseggiando del buon vino bianco.

Lui alto e con le spalle larghe fasciate in un completo scuro, camicia bianca e cravatta color ghiaccio che contrastava con i suoi occhi color dell'ebano ed i ricci morbidi e scuri; cingeva con un braccio la vita di lei e portava il suo naso ad inebriarsi del profumo dei suoi capelli bruni. Lei magra, formosa e tonica mostrava elegantemente la gamba sinistra dal profondo spacco dell'abito lungo in velluto, di una tonalità più scura dell'abbigliamento di lui, e con i due smeraldi che si ritrovava al posto degli occhi contemplava serena il volto di lui.

Improvvisamente si volse verso di noi e fu impossibile non riconoscerla, almeno quanto credere che uno dei capi della multinazionale che sosteneva la rinomata e richiestissima società segreta della Luce Emersa era propria lei.

Improbabile che tanti dettagli si possano concentrare in un unico evento, ma vero.

Ed era inutile chiedere a mia sorella se volesse andare a salutarla perché ci spostammo tutte e tre all'unisono spinte da gioia inconsapevole per incontrarci, ma la voce leggermente incrinata di Jackson ci richiamò all'attenzione e ci fece sistemare in cerchio intorno a lui

‹‹Ladies e Gentlemen, stasera festeggiamo l'entrata nella società di quattro nuovi membri della Luce Emersa.›› cominciò tragicamente il suo discorso già per via del barcollare e del liquido alcolico del suo calice finito sul parquet ‹‹Quindi invito i neo gentili membri a fare un passo avanti quando verranno chiamati per mostrarsi a noi.››

Poteva ancora salvarsi la faccia e continuare con dignità, se non fosse che con un movimento errato del bacino perse equilibrio e cadde in ginocchio davanti a tutti. Ci girammo verso i capi della multinazionale e notammo i loro sguardi duri e sdegnati, probabilmente Jackson sarebbe stato espulso per cattiva condotta, o per lo meno sospeso dal suo ruolo. Quando l'uomo della coppia vista poco prima lasciò la nostra conoscenza e sorresse Jackson, aiutato da un altro ragazzo che lo portò via.

‹‹Bene Signore e Signori›› proruppe rompendo il silenzio venuto a crearsi.

Io e Leila convenimmo che avesse una voce così calda e invitante, ma al tempo stesso protettiva e sicura. Insomma, il tipo da sposarsi quanto era perfetto.

‹‹Come ha già accennato il Signor Jackson, quando verrete chiamati vi posizionerete dove ora mi trovo io e parlerete di voi stessi. Sarà l'ultimo test da affrontare. Dovrete convincere o al contrario far dubitare di ció che direte.››

Poi tornò a cingere la vita della sua amata e chiamò Jared Anso, il quale si posizionò e roteò su se stesso mostrandosi pieno di sé. Questo gesto faceva intuire molto.

‹‹Devi convincere›› disse solenne la coppia incredibilmente all'unisono.

Così Jared snocciolò con grande abilità oratoria la sua grandiosa vita da riccastro figlio di papà con l'unico difetto - se era un difetto - di non avere la r moscia come tutti quelli del suo rango. Poi si procedeva per alzata di mano, chi credeva alla sue parole e chi no. Noi eravamo le uniche ad essere in disaccordo con le sue parole, oltre alla coppietta che si astenne al voto. Allora Jared ci raggiunse e incrinò la testa di lato.

‹‹Perché voi no?›› chiese.

‹‹Il tuo volteggiare all'inizio.›› dissi semplicemente e lui sbarrò gli occhi.

‹‹Denota un chiaro volersi mostrare sicuri di sé quando in realtà non si ha nessuna certezza nella vita.›› imputó Leila.

Quello sbiancò. La sala era muta ma sbalordita, la coppia ci osservava interessata e sorridente. Alla fine Jared batté le mani.

‹‹Complimenti!›› disse. Poi urlò: ‹‹In realtà, Signori miei, sono figlio di contadini senza un quattrino, ma che vi ha fatto le scarpe. Tranne a queste due splendide creature.›› finì con un inchino reverenziale nei nostri confronti, ma sapevamo entrambi che lí era appena cominciata una guerra che avrebbe decretato il migliore.

Tutti furono scioccati. E se Leila arrossiva a questo genere di complimenti, io ne ero impassibile.

Poi fu la volta dell'altro, il mingherlino, Christian Mapei. Anche a lui toccò di convincere il pubblico e semplicemente raccontò la sua storia così come era, identica alla vera vita di Jared ma senza la sua sfrontatezza. Nessun gli credette tranne noi, ma ci astenemmo dal voto per non essere troppo osservate. Ci dava fastidio.

E questo esperimento mostrò come la falsità regnava nel mondo e che l'uomo credeva più ad una menzogna colorita che ad una semplice verità.

‹‹Le Signorine Silen... siete cugine immagino. Potete venire insieme.›› sorridemmo a quell'affermazione. Cugine! No.

Ci portammo al centro della sala e ci mettemmo spalle contro spalle sorridenti, sotto lo sguardo incuriosito del pubblico sia Δφ che Lumi Emersi.

‹‹Dovete non far credete alle vostre parole.››

Compito più facile non poteva esistere per noi.

‹‹Sono Leila Silen, ho diciotto anni e frequento Legge.›› cominciò mia sorella che mi diede il cambio.

‹‹Sono Delia Silen, ho diciotto anni e frequento Arte e Designer.››

‹‹Lei è molto più estroversa di me e si veste da maschiaccio.››

‹‹Lei è il tipico apparente angioletto, il galateo in persona, ma non c'è da fidarsi.››

‹‹Avete presente il detto: Perdonare ma non Dimenticare. Lei non dimentica e non perdona neanche, anzi riserba in futuro il peggio per il nemico.››

‹‹Lei è amante della giustizia e Dei delitti e delle pene è il suo libro preferito.››

‹‹Le piace cambiare molto spesso, soprattutto il colore di capelli. Anche se trovo che il rosso, il suo colore naturale, gli stia divinamente.››

‹‹Anche lei è lunatica oltremodo: un momento può essere la persona più coccolona del mondo, il momento dopo è fredda come il ghiaccio.››

Pausa. Il silenzio regnava e l'ascolto era interesse di tutti, anche se elencare i caratteri piuttosto che gli eventi poteva sembrare un depistaggio.

‹‹Siamo diverse.›› ricominciò Leila.

‹‹Di sicuro.››

‹‹Cugine dicevate.›› disse riferendosi all'ultima affermazione dell'uomo che ci chiamò.

‹‹Infatti siamo più simili di quel che pensate.››

Pausa. Ora il silenzio fu spezzato dai respiri, ma l'attenzione era più forte. Sorridemmo alla bomba che stavamo per sganciare e che avrebbe spazzato via tutte le convinzioni.

‹‹Noi siamo sorelle.›› dicemmo all'unisono.

Stupore e vocii increduli investirono la stanza.

La convinzione fotte l'uomo, dice sempre nostra madre.

‹‹Noi siamo gemelle.››

Silenzio tombale. Nessuno si azzardava più a proferire parola. Sui volti delle persone scorrevano i colori dell'incredulità, dello stupore, dello sgomento. Eppure nessuno fiatava, nessuno parlava. Nessuno tranne lei, che sorrideva compiaciuta della nostra riuscita.

‹‹Chi ci crede?››

Solo noi alzammo la mano, oltre all'amata dell'uomo che fece la domanda, ridendo un po' sguaiate, sapendo che ce l'avevamo fatta. Forse questo era visto come gesto che rafforzava il raggiungimento del nostro obbiettivo, poiché si aspettavano che noi ci mostrassimo convinte di quel che dicevamo.

‹‹Chi non ne è convinto?››

Tutti alzarono la mano.

Ora questa era invece la dimostrazione che l'eccezione conferma la regola: l'uomo difronte all'eccesso, ad un cambiamento radicale, si mostra scettico.

‹‹Ora fuori il rospo! Qual è la verità?››

Noi ci guardammo e secca gli risposi io: ‹‹Questa è la verità.››

Un altro vocio morboso dietro di noi si alzò.

Ci girammo e ci mettemmo difronte alla coppia, Jared e Christian.

‹‹Dimostratelo.›› sbottò Jared un po' incavolato, come se la cosa lo riguardasse di persona.

Non avevamo certificati di nascita con noi. Avevamo però la nostra voglia identica sulla schiena, io nera e lei bianca, e seppur avremmo mandato a quel paese la nostra dignità spogliandoci non era comunque una prova di essere gemelle. C'era solo una possibilità e speravamo potesse essere a nostro favore.

La donna mora si avvicinò a noi silenziosa sotto gli occhi di tutti e ci cinse le spalle, come a proteggerci e con voce grave ma ferma parlò: ‹‹Queste sono Delia e Leila. Sono gemelle ed io lo confermo. Sono un anno più piccole di me e sono mie cugine di terzo grado.››

La certezza fu chiara e tutti ammutolirono di nuovo, senza ribadire alle parole di un capo affidabile come lei.

‹‹Loro sono gemelle.››

Sorridemmo e le fummo grate, molto grate. Ma per il momento potevamo solo dirglielo.

‹‹Grazie, Ania.››

Taira Croft


   
 
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