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Autore: the Matrix Restored    18/07/2015    3 recensioni
August non è più un bambino. Ora sa badare a se stesso quanto basta per andare e tornare dalla fiera, senza cadere in tentazione.
Rose è solo una ragazzina dalla prodigiosa capacità di osservazione, anche se a volte sembra che veda un po' troppo in là...
I folletti. Creature antiche, frutto dell'incrocio tra gli spiriti del bosco, i Silvani, e le Anguane, ninfe dell'acqua e degli alberi. Creature capricciose e umorali, capaci di grande generosità come di scherzi molto pericolosi. Meglio non offendere un folletto.
Genere: Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~Il Violino~

August salutò caldamente i suoi genitori sulla porta della casa in legno e sassi. Diede un bacio affettuoso sulla fronte alla propria madre, una donna alta e secca ma dal viso dolce, e ricevette una vigorosa pacca sulla spalla dal padre, un omone grande e muscoloso con un paio di baffoni da competizione.
La giornata era perfetta per una partenza. Cielo limpido, qualche nuvola bianca e sfilacciata su in alto, un sole perfetto che sorgeva da dietro la collina a est e un'arietta gentile che faceva cantare le fronde più alte degli alberi. La campagna rideva bagnandosi nella magica luce dell'alba, accarezzando l'aria con le proprie spighe dorate e l'erba verde.
La casa dei genitori di August era una bella fattoria indipendente, una delle prime abitazioni in pietra della zona. Suo padre Morann, che l'aveva costruita con le proprie mani dopo essersi sposato, si occupava con una costanza quasi ossessiva di estirpare l'edera che, instancabilmente, cercava di insediarsi tra i sassi del muro. Attorno ad essa erano state aggiunte, oltre al granaio, una stalla che d'inverno ospitava una discreta mandria di mucche e due asini, un porcile di piccole dimensioni e un pollaio. In mezzo al cortile stava un piccolo noce, che sua madre aveva piantato da qualche anno, ma che ancora non aveva dato un solo frutto.
La fattoria sorgeva lungo una strada bianca che attraversava la campagna diretta verso la grande città di Vyhelia, a due giorni di cammino. Al contrario delle altre fattorie, che erano state costruite lontano dalla strada principale, ed erano collegate ad essa da una piccola stradina rialzata sui campi, quella della famiglia di August dava direttamente sulla strada. Per questo motivo l'aia era stata ricavata alle spalle dell'edificio, mentre di fronte ad esso vi erano due semplici vasi di fiori. Al di là della strada, a breve distanza dalla casa, il terreno cominciava a inclinarsi e incresparsi, la pianura a diventare collina e la campagna bosco.
Era la prima volta che August andava da solo alla città. Certo, ci era stato altre volte con suo padre o con suo fratello, da bambino, per vendere alcuni prodotti alla fiera. Ma mai una volta vi si era recato per conto proprio.

​~ • ~
 
Il ragazzo procedeva a piedi, scortato dal suo asinello sul quale aveva caricato tutta la merce che doveva vendere in città: alcune statuine di legno, dei formaggi, qualche verdura e due dei più stupendi galletti che avessero mai posseduto.
Camminò per quasi tutta la mattina superando due altre fattorie, qualche capanna di pastori e innumerevoli campi e pascoli, dopodiché decise di fermarsi per riprendere il fiato e bagnarsi la gola. Poco dopo essersi rimesso in cammino, si imbatté in un ponticello di legno sopra il piccolo fiumiciattolo che incrociava la strada. Appena al di là del ponte, proprio sulla riva rigogliosa del torrente, si ergeva una locanda a due piani, interamente costruita in legno, di cui August non conservava alcuna memoria dai suoi viaggi precedenti, e dal cui interno proveniva un allegro vociare e il suono colorato e festoso di un violino.
August richiamò l'asinello, lo prese per la briglia e lo sospinse un po' al di fuori della strada per avvicinarsi alla locanda e osservarla. La musica che proveniva dal suo interno era sconosciuta alle orecchie del ragazzo, ma era dotata di un'allegria e, per dir così, di un carisma fuori dal comune, tanto che aveva indotto perfino lui ad abbandonare, seppur per pochi attimi, la strada per ascoltarla. Ora si trovava proprio davanti alla porta, e il sole già alto della tarda mattinata era nascosto dal tetto dell'edificio. August scacciò dalla mente quel vago senso di inquietudine dovuto all'improvviso passaggio dalla piena luce all'ombra, e grattò un orecchio al somaro, che a giudicare dalla leggera resistenza che opponeva alla briglia aveva la stessa impressione. D'altronde non era passato un gran tempo da quando era ancora un bambino, si disse il ragazzo, e l'animale dal canto suo era assai suggestionabile.
Perso in questi pensieri, non si era accorto che il violino aveva cessato di suonare, e che la porta della locanda si era aperta davanti a lui.
-Wow, un nuovo avventore!- esclamò il bizzarro uomo che aveva sporto il capo al di fuori della porta. Era un omino basso e mingherlino, con delle gambe e delle braccia secche e sottili come bastoncini, ricoperte di una fitta e ispida peluria castana. Testa, mani e piedi, invece, erano straordinariamente grandi per un uomo di quella statura. Dal berretto rosso, la cui punta pendeva sull'orecchio destro, spuntavano ciuffi di capelli radi e ispidi, quasi vaporosi, e sul mento campeggiava una simpatica barbetta da caprone. Gli occhi erano distanziati tra loro, ed erano costantemente affamati di dettagli da osservare, cosa che li faceva sembrare più grandi del normale. A completare il buffo quadro stavano un naso decisamente importante e una bocca che sembrava potesse ospitare un'intera coscia di tacchino senza alcun problema. Indossava una camicia a quadroni color verde bosco fin troppo larga, con le maniche arrotolate all'altezza del gomito, aperta sul torace nudo, e un paio di pantaloni campagnoli in tela, fermati in vita da una striscia di cuoio annodata. A giudicare dallo strumento che teneva nella mano sinistra, non vi era alcun dubbio che si trattasse del violinista. -Entra pure, non farti problemi. Fanno tanta confusione là dentro, ma sono tutti bravi uomini. Se vuoi legare il tuo animale, là dietro- e fece il gesto di seguire il muro del locale fino al piccolo raggruppamento di alberi sul retro - ci sono un paio di sbarre a cui puoi legarlo, e una mangiatoia con della... biada, sì.
August ebbe quasi la tentazione di ascoltare le parole del musicista e fermarsi per una pinta di birra e una zuppa d'orzo, ma subito si rese conto che lasciare il somaro incustodito con la merce dei suoi genitori sulla groppa, in un posto come quello, avrebbe attirato senza dubbio qualche malintenzionato, o semplicemente qualche povero affamato. Senza contare che si era già concesso una mezz'oretta di riposo non più di dieci minuti prima.
-La ringrazio, ma non posso permettermi di fermarmi qui- rispose educatamente, togliendo per rispetto il gran cappello di paglia che portava sulla testa riccioluta.
-Ah- fece il violinista, corrucciando la fronte. Dopo qualche momento di intensa attività cerebrale - almeno, questo era quanto la sua espressione facciale denunciava - riprese a parlare con piglio. -Facciamo così: ti sfido ai dadi, e se vinci ti offro una birra e un pasto caldo. Altrimenti, sei libero di andare quando vuoi. E comunque puoi ascoltare la mia musica!- esclamò felice, pizzicando due corde del violino.
-Mi dispiace- si scusò il ragazzo -Non mi sono spiegato. Il denaro non mi manca, almeno quello per una sana birra in compagnia. Solo che entro domani devo raggiungere la città per la fiera, e non posso permettermi nemmeno una deviazione. Sono uscito di strada solo per cercare di riconoscere la melodia.- Evitò saggiamente di accennare ai propri timori riguardo al prezioso carico. Perdere quei due galletti gli sarebbe potuto costare caro.
-La melodia? Impossibile che la riconoscessi, l'ho scritta io!- Si gongolò, accennando al volo qualche nota della ballata. Poi, riprendendo una parvenza di serietà: -Dunque, il tuo problema è il tempo. In questo caso ho una proposta che fa senz'altro al caso tuo. Alfred, il mio amico qui dentro, sta tornando alla città dopo essere stato a Seven Stones, un villaggio a mezza giornata da qui...
- Lo conosco, praticamente è dove abito.
- Perfetto, allora. Dunque, dicevo... Il suo carretto è vuoto, dato che ha venduto tutta la sua merce. Potrebbe darti un passaggio lui, così viaggeresti senz'altro più veloce, e tu potresti lasciare qui il tuo asino e venirlo a riprendere sulla via del ritorno!
-Grazie di cuore, ma non voglio pesare a nessuno- mentì August, spazientito dall'insistenza dell'uomo. -Prometto che quando sarò di ritorno mi fermerò per una birra e anche per una partita a dadi, se vuole.
- Ehi! Ma... se vuoi- Senza neppure lasciargli finire la frase, il ragazzo si calcò il cappello sulla testa, e fece un profondo inchino all'ometto. - Ho detto tutto ciò che c'era da dire. Arrivederci signore, sarò qui tra cinque giorni o, se la fortuna mi assiste, meno. Grazie comunque per l'invito.
Sulla faccia del musicista si disegnò un'espressione indispettita e oltraggiata. Si sarebbe giurato che stesse meditando una terribile vendetta. Il ragazzo lo sentì a malapena borbottare qualcosa come "È così, non ti piace la mia musica", ma non se ne curò, e non si voltò fino a quando non sentì la porta della locanda sbattere dietro di lui. In quel momento, subito prima di uscire dall'ombra dell'edificio, girò sui tacchi per osservarlo, e notò l'insegna, a cui prima non aveva fatto caso. Su un cartello di legno ondeggiante nella brezza, era dipinto in verde scuro un folletto che danzava con in mano un violino e in faccia un ghigno astuto. Non era così sicuro che avrebbe mantenuto fede alla promessa di ripresentarsi sulla via del ritorno. Quel posto metteva i brividi.

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Dopo aver percorso qualche chilometro, sia lui che l'asino si erano calmati. August pensò di dover essere fiero di ciò che aveva scelto. Solo l'anno prima, in una situazione del tutto simile in cui era incappato durante i giorni della fiera in città, si era trattenuto unicamente grazie all'intervento del padre. L'inesperienza e l'avventatezza della giovane età lo avrebbero distratto dai suoi compiti con chissà quali conseguenze. Ma ormai aveva imparato bene.
In effetti si era portato tutto quanto gli serviva per mantenersi durante il viaggio - dell'acqua, pane nero, un salame stagionato, un fiaschetto di vino rosso e delle prugne - e non aveva bisogno di acquistare nulla, né tantomeno di riposare.
-Non possiamo permetterci di mettere in pericolo il nostro lavoro, non sei d'accordo?- domandò rivolgendosi all'asinello, che per risposta gli strofinò divertito il nasone sulla guancia.
Quando, lungo il cammino, raggiunsero e attraversarono un piccolo borgo di casette rurali, il ragazzo si rese conto che senza la compagnia del padre era molto più attento ai dettagli dell'ambiente circostante. Oltre alla locanda, infatti, non aveva mai notato che tutte le case che sorgevano al di là del fiume erano state decorate con un ferro di cavallo appeso all'architrave di porte e finestre, usanza che invece non aveva mai riscontrato sulla sponda del fiume sulla quale abitava.
Superato il borgo si fermò a pranzare, avendo ben cura di legare l'asinello a un albero solitario sul margine della strada, dopodiché continuò a camminare con poche pause fin quasi al calar del sole, quando si fermò a chiedere ospitalità per la notte in una fattoria isolata.
Anche questa abitazione era dotata del ferro di cavallo su ogni apertura, come si avvide nell'avvicinarvisi.
La casa sorgeva in mezzo a un piccolo raggruppamento di alberi di vario genere, tra cui dei pioppi, qualche frassino, qualche tiglio e un fico a cui era appesa un'amaca. Era una piccola casetta in mattoni e assi di legno, con un granaio incorporato nell'edificio principale e un muretto di un metro e mezzo a delimitare il cortile ghiaioso. Dalla parte del granaio, incluso nel muretto, stava un grazioso orticello rigoglioso in cui un giovane uomo stava raccogliendo foglioline aromatiche, probabilmente per la cena. Alle spalle della fattoria, la campagna si stendeva a perdita d'occhio, interrotta qui e là dai canali e dai fossi, e punteggiata di tanto in tanto da maestosi alberi solitari o da piccole polle rilucenti dei riflessi scarlatti del tramonto. Di fronte, invece, l'aia dava quasi direttamente sulla strada, che in quel punto fiancheggiava la base della collina, tenendosene a breve distanza.
Fece qualche passo in direzione del cancello, rivolgendosi al giovane con un saluto cordiale. Quello sollevò la testa dalla propria occupazione sbirciando oltre il muretto, poi si mise in piedi, si rassettò e rispose al saluto, sporgendosi verso l'esterno per stringergli la mano.
-Io sono Owen, e tu vieni da Seven Stones.
Aveva un viso sereno ed allegro, dall'aspetto sano e ben curato, nonostante la barbetta incolta che gli incorniciava la mascella. I due profondi occhi marroni lo osservavano con curiosità e interesse. Sulla testa aveva un intrico di ricci castani degni di un satiro.
August rimase leggermente interdetto. -Si, ma...
-E stai andando a Vyhelia per la fiera, motivo per cui vorresti che mio padre ti ospitasse per la notte nella sua fattoria.- lo interruppe.
- Senti, se tu mi hai spiato o sei una specie di stregone che legge le menti, io posso andarmene seduta stante - disse August per tutta risposta, mezzo spaventato e mezzo seccato da tutta la gente strana che stava incontrando quel giorno. Fece per invertire la marcia senza nessuna esitazione, e quando si fu voltato sentì il rumore del cancelletto in ferro battuto che si apriva.
-Ehi, non scappare! Non è il massimo lì fuori di notte... scusami se ti ho spaventato, non era mia intenzione.
Il ragazzo si voltò, e il sorriso sincero sulla faccia del contadino lo convinse che le sue intenzioni non fossero malvagie.
-Era soltanto per divertirmi un po', ho tirato a indovinare. Se vieni dentro possiamo offrirti qualcosa di caldo, fa sempre piacere avere ospiti.
Il tono della sua voce era pacato e gentile, tanto che August, che pure aveva avuto tanta diffidenza nei confronti del violinista insistente, si persuase di non avere nulla da temere. - Grazie, ve ne sarei molto grato.- E seguì Owen all'interno della casa.
La fattoria era abitata dalla famiglia di Owen: i due genitori, Edward e Marla, entrambi sulla sessantina; la sua giovane moglie Susan, una ragazza bionda dolce e gentile quanto lui, e il loro figlioletto di pochi mesi, Marcus; suo fratello Dankmar e le sue sorelle Carol e Rose, tutti e tre minori. Tutti lo accolsero molto caldamente e furono lieti di condividere con lui il desco in cambio di notizie da Seven Stones, dove la sorella maggiore di Owen si era sposata e viveva.
Una volta che ebbero cenato, prima che qualcuno si alzasse da tavola Edward decise di intrattenere famiglia e ospite con una fiaba. Evidentemente per i membri della famiglia non era proprio nulla di nuovo, anzi i ragazzi più giovani davano tutta l'impressione di aver sentito quella storia altre mille volte, ma nessuno ebbe nulla da ridire. Susan avvertì il piccolo Marcus, che pure non conosceva nemmeno una parola, di ascoltare attentamente il nonno, dato che un giorno sarebbe stato lui a dover narrare.
La fiaba narrava di un giovane ragazzo impulsivo che si lasciava sfidare a scacchi da un folletto astuto e che, pur avendo avuto fino all'ultimo l'illusione della vittoria, alla fine veniva sconfitto e punito per aver pensato di poter vincere contro un essere fatato.
L'unico momento di imbarazzo per August si ebbe una mezz'ora più tardi, nel momento in cui Susan dovette portare il piccolo a dormire. Per caso, il giovane viaggiatore si era accorto che, subito dopo aver coricato il bimbo nella culla, la madre aveva appeso con cura un paio di forbici affilate sopra la sua testa. Quando, giustamente incuriosito, aveva tentato di domandare il motivo di un tale gesto, lei gli aveva risposto, fissandolo con una faccia simile a quella che si fa davanti a uno sprovveduto o a un idiota:
- Per precauzione!
August aveva ritenuto opportuno non affrontare più l'argomento, oltre che per la reazione della ragazza, anche per quella dei due anziani. Marla, infatti, si era girata verso di lui con uno sguardo esterrefatto, mentre Edward si era rabbuiato e aveva cominciato a pregare in silenzio.

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Venne sistemato per la notte nel granaio, su un giaciglio di paglia sul soppalco. Era andato a coricarsi da pochi minuti, quando dalla scaletta a pioli sbucò la testa ricciuta di Owen, chiedendo se arrecasse disturbo.
L'ambiente era ampio e arioso, inondato dalla luce della luna che filtrava dalle alte finestre e dell'odore dolce del fieno fresco.
Ricevuta la risposta che aspettava, il giovane uomo si issò agilmente sul soppalco, mettendosi a sedere su una balla di fieno rettangolare a lato del giaciglio di August. Era immerso nella penombra come tutto il resto e, dato che dava le spalle all'unica fonte di luce - le finestre - il ragazzo ne indovinava la silhouette senza vedere chiaramente il suo viso.
- Volevo chiederti scusa per come ti ho accolto oggi, mi è dispiaciuto vederti così turbato.-Pronunciò la frase con un tono sommesso e delicato, come se fosse attento a non disturbare il canto dei grilli o il dolce sonno dei piccoli uccellini sugli alberi che circondavano la casa e le davano ombra durante il giorno.
-Non ti preoccupare- rispose August. -Ho avuto una reazione esagerata perché non ho mai viaggiato solo, sono un po' diffidente.
-È legittimo.- August indovinò un sorriso sul volto del contadino. -Io mi diverto con gli indovinelli, e non nascondo di essere stato soddisfatto quando ho capito che avevo indovinato.
In effetti non c'era nulla di strano. La strada attraversava due soli villaggi, Seven Stones e il piccolo borgo che aveva attraversato nel pomeriggio, Birchwood. Ma se fosse partito dal secondo, non avrebbe avuto senso che, al crepuscolo, si fosse trovato ancora così vicino a casa. E per quanto riguardava la fiera, qualcuno che percorresse la strada per Vyhelia in quei giorni con un asino carico di prodotti agricoli lasciava pochi dubbi.
-Già, sembra proprio che tu abbia azzeccato tutto. È un vostro passatempo di famiglia quello degli indovinelli?
-Diciamo che io e i miei fratelli lo facciamo da sempre, quindi si.
-Beh, sei bravo.
-Non sono io il più bravo, però. Rose, lei è incredibile.
Rose era la ragazza più giovane; probabilmente non aveva pronunciato nemmeno una frase per tutta la serata. L'aveva guardato attentamente con i suoi occhi verdi, praticamente aveva bevuto ogni particolare del suo aspetto, e aveva ascoltato con attenzione tutto ciò che aveva raccontato sul suo villaggio.
Era una bella ragazza. Aveva capelli lunghi e mossi, di un color castano scuro arricchito di qualche riflesso ramato, che incorniciavano un viso dolce e tondeggiante, il naso piccolo e appuntito e una spolverata di lentiggini chiare un po' dappertutto. Non era il tipico viso da contadina, aveva qualcosa di affascinante e, forse, di nobile. Era evidente quanto preferisse ascoltare che parlare, nutrirsi del mondo attraverso i propri occhi e le proprie orecchie. Non lo stupiva che fosse più abile addirittura di Owen.
-È una ragazza affascinante- disse con tono quasi trasognato.
-Senz'altro attira l'attenzione- fece il contadino, e August non seppe se quella frase fosse davvero compiaciuta come voleva sembrare o se nascondesse, in realtà, una vena di amarezza. Pronunciò un semplice cenno di assenso, e le parole che seguirono dissiparono i suoi dubbi.
-Abbiamo avuto dei problemi qualche tempo fa, a causa di una comare di Birchwood. Ha avuto un'esperienza simile alla tua, se vogliamo: stava passando per di qui per chiedere un aiuto a mia madre, e Rose ha indovinato esattamente quello che le sarebbe successo nel pomeriggio successivo. Questa è quasi impazzita, si è presentata da noi e ha cominciato a urlare come un'ossessa, dicendo che Rose è una strega e un'eretica e che sarebbe andata dal prete del villaggio e anche dagli inquisitori a Vyhelia. Per nostra fortuna è solo una bisbetica che dà fiato alla bocca, ma è sempre meglio stare all'erta.
-Vero- confermò il ragazzo, senza saper bene cosa rispondere. Il dubbio si era insinuato irrimediabilmente nella sua testa. Non sarebbe mai riuscito a pensare che quella ragazza così dolce e carina, riservata eppure gentile, fosse in realtà una strega malvagia ed eretica. Eppure aveva visto il futuro, ed era imbattibile negli indovinelli, e senza dubbio era dotata di un fascino magnetico. E se avesse avuto ragione la comare? E se fosse davvero una strega?
Quasi avesse intuito i dubbi che gli ronzavano nel cervello, Owen prese la parola. -Non capisco come si faccia a dare a quella povera ragazza dell'eretica. Ha uno spirito d'osservazione sopra al normale, certo, e quindi è brava a capire le cose che stanno per succedere. Però conosco poche persone più gentili e sensibili, senz'altro tutto quello che fa lo fa per rendersi utile.
August era in preda a un conflitto interiore vero e proprio riguardo a quella ragazza, e non riusciva a pensare a una risposta decente da dare al suo ospite, complice la stanchezza del viaggio del giorno appena trascorso. -Non saprei,- disse quindi -spesso la gente parla solo per dare fiato alla bocca, come hai detto. Ora, mi dispiace davvero interromperti, ma domani sarà una giornata faticosa e ora avrei davvero bisogno di riposare.
Owen si alzò di scatto dal luogo in cui sedeva, sbattendo gli abiti dalla paglia che gli era rimasta addosso. -Scusami, non ci ho nemmeno pensato. Non dovevo disturbarti a quest'ora, né tenerti sveglio così a lungo con i miei discorsi.
-Tranquillo, mi ha fatto piacere parlare con te. Solo che ora comincio ad avere un po' di sonno, tutto qui.
-Allora buon riposo, dormi bene e domattina avrai riacquistato le forze per il viaggio- disse il contadino con un sorriso, mentre si calava dal soppalco attraverso la scala a pioli.
-Buonanotte, e grazie di tutto.
Pochi minuti dopo si stava già addormentando, la mente ancora fissa su quella ragazza enigmatica.

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Luce rosa dalle finestrelle alte.
Canto di un gallo.
Scendere la scala a pioli.
-Buongiorno, dormito bene?
Colazione tutti insieme.
Rose che osserva in silenzio.
Owen molto cordiale e loquace.
Caricare l'asino con le merci.
Calcare il cappello sulla testa.
Saluti, Arrivederci, Torna a trovarci.

Tutti quanti, dopo che lui ebbe varcato il cancello, erano tornati alle proprie occupazioni. Owen e Dankmar si stavano avviando per lavorare nei campi, Edward si era seduto sulla sua sedia nel cortile a intagliare un bastone di frassino, le ragazze e Susan avevano seguito Marla dentro casa.
Dopo poche centinaia di metri, tuttavia - la fattoria era appena scomparsa dietro un costone del monte - August sentì dei passi di corsa che lo inseguivano. Non era un maestro degli indovinelli, ma aveva assai pochi dubbi su chi lo stesse cercando di raggiungere.
La ragazzina si fiondò addosso a lui non appena lo ebbe a portata, cingendolo in un abbraccio forte e, forse, spaventato. Teneva le braccia ostinatamente strette attorno alle sue costole e la tempia appoggiata alla sua spalla, senza guardare il suo viso, il fiato tagliato, e sembrava scossa da singhiozzi repressi.
August fu colto alla sprovvista da un comportamento del genere, e sulle prime rimase rigido come un palo, ingabbiato da quell'abbraccio inatteso. Quando i secondi passarono, e forse anche i minuti, e Rose non accennava a staccarsi, anche lui si sciolse e rispose all'abbraccio.
Non appena, tuttavia, le sue braccia ebbero cinto le spalle della ragazzina, questa si scosse, come destata da pensieri profondi, e si allontanò da lui. Il suo volto era tutto bagnato di lacrime, ma la sua espressione era innaturalmente calma. Lo guardò con occhi persi e, parlando quasi sottovoce, disse:
-August, forse hai commesso un grave errore.
La sua voce, per quanto piatta e atona, tradiva una sorta di preoccupazione, il preludio di un dolore non ancora in atto. August era seriamente inquietato dalla piega presa dagli eventi. Senza sapere con che tono esprimersi, rispose semplicemente: -Quale?
-Non ne sono certa. Tu credi nei folletti?- domandò lei, cambiando discorso ma non tono di voce.
Il ragazzo fu spiazzato da quella domanda, ma gli avvenimenti degli ultimi tempi cominciavano a far vacillare qualcosa nella sua ragione, motivo per cui rispose senza nemmeno darci troppo peso.
-Direi di no, perché dovrei?
Rose ebbe come una smorfia di dolore, contorse gli occhi e smise di guardarlo in faccia. Rovistò in una tasca del grembiule e ne trasse una grossa spilla di ferro battuto raffigurante il cerchio con l'onda, il simbolo della Dea.
-Tieni questa, sono certa che potrà esserti utile un po' di protezione.
August portò due dita alla fronte e poi al mento in segno di devozione verso il simbolo sacro, ma accettò il dono con una certa diffidenza. Il comportamento della ragazzina aveva ridestato l'inquietudine della sera precedente e così, pur accettando il dono di buon grado, lo mise in un taschino senza prestarvi attenzione, come per scacciare la sensazione che esso portava con sé, e presto dimenticò la sua esistenza.

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Aveva camminato per circa tre ore. Il sole della mattina spandeva la sua luce dorata sui pascoli incolti e sui rari campi coltivati. La collina, che per tutto il tragitto gli aveva tenuto compagnia seguendo fedelmente, con la sua ripida scarpata, il percorso della strada, da qualche minuto si era ritirata a sinistra nonostante la strada continuasse a solcare la campagna dritta verso nord. August lo sapeva, presto anch'essa avrebbe compiuto una decisa curva verso est, dopo essere passata per un altro villaggio, per raggiungere le torri affilate di Vyhelia a nordest.
Il ragazzo osservava la striscia bianca della strada davanti a lui dividere in due la distesa verde dell'erba, che a destra come a sinistra cresceva rigogliosa fino al metro abbondante di altezza. Sapeva benissimo che tagliando attraverso la prateria avrebbe risparmiato parecchia strada, ma era altrettanto sicuro che i sentierini di bracconieri che si diramavano per i pascoli fossero un ottimo modo per perdersi o per fare brutti incontri.
Fu così che quando comparve la musica, come dal nulla, si trovava ancora sulla strada principale.
Dapprima neppure vi fece caso, dato che nulla o poco la differenziava dal suono della brezza tra gli alti steli dell'erba, o dalla voce di un piccolo fosso in lontananza, o dal canto monotono e sereno delle cicale.
Poco a poco divenne più definita, più distinta, distaccandosi dalla musica della viva natura, aggiungendo qualcosa a quel suono, a quella voce, a quel canto - un trillo, una legatura, una dissonanza espressiva qui o là.
August ascoltava rapito l'evolversi di quella melodia, tanto da non accorgersi nemmeno di aver abbandonato inconsciamente il centro della strada per avvicinarsi alla fonte della musica, il folto della prateria. Fu solo quando il suo asinello, perplesso, gli ebbe strofinato il naso sul braccio che si destò e tornò a camminare in posizione più centrale, ma non percorse che pochi metri prima di ritrovarsi, ancora più sostenuto, ad accostarsi al muro d'erba.
Ora la melodia si era definitivamente separata dai suoni della natura, assumendo un proprio timbro e una propria personalità unitaria, cominciando ad esporsi in fraseggi più complessi e meno primordiali, una sorta di danza rustica dal ritmo incalzante.
A nulla valsero questa volta i richiami del somarello, dapprima discreti, poi sempre più insistenti e forse nervosi, affinché ritornasse a camminare in mezzo alla strada.
Qualcosa in quel canto, qualcosa di indefinibile ma in qualche modo carismatico, lo attraeva irrazionalmente verso quella che sapeva esserne la fonte.
Mise da parte la cautela, pensando che grazie all'anticipo accumulato avrebbe avuto il tempo di fermarsi per ascoltare.

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Era terrorizzato. Ormai stava per arrivare a casa, e presto avrebbe dovuto affrontare la resa dei conti.
Si era lasciato distrarre, nonostante tutti i buoni propositi, e aveva abbandonato la strada. Oltre a ciò, una volta raggiunto il luogo da cui proveniva la musica prodigiosa, al limitare di un boschetto di tassi si era sdraiato tra l'erba per ascoltare, e si era appisolato.
Si era svegliato dopo un tempo imprecisato, tutto acciaccato, asino e merce scomparsi, senza memorie del giorno precedente e con una sensazione di fiacchezza diffusa. Aveva realizzato che viaggiare fino alla città, senza neppure una fettina di formaggio, sarebbe stato alquanto inutile; aveva quindi deciso di dirigere i propri passi sulla via del ritorno, e strada facendo ricordi avevano cominciato ad affiorare. La locanda, il violinista, la musica misteriosa...
Solo a un certo momento, quando era stato scosso da un brivido ingiustificato, si era accorto di un dettaglio così evidente, al quale tuttavia non aveva fatto caso. La giornata precedente era stata una tipica giornata di prima estate, con un bel sole caldo e un'aria limpida mossa da lievi brezze rinfrescanti, e i colori della pianura erano così vividi e brillanti da sembrare dipinti. Ora, tuttavia, si era levata una nebbia densa e grigia, che allagava i campi fino all'altezza delle ginocchia, e il cielo era pallido e smorto. E, cosa alquanto inquietante, i campi stessi erano brulli e sterili, e le foglie sugli alberi - quelle poche che restavano sugli alberi e non si trovavano a terra - erano delle tonalità dell'oro e del rosso. Una volta accortosi di questo cambiamento, le sue interiora si erano annodate come un nido di bisce, e allo stesso modo di bisce avevano cominciato a contorcersi. Quanto accidenti aveva dormito?
Un'immagine affiorò repentina nel suo cervello, e subito il ragazzo portò la mano alla tasca dove aveva distrattamente infilato la piccola spilla di Rose, sperando di trovare in essa non forse la protezione che la ragazzina aveva promesso, ma almeno un piccolo conforto. La sua mano frugò la piccola tasca in lungo e in largo, due volte, tre volte, senza volersi rendere conto della verità. La spilla nella tasca non c'era.
Preso da un'inspiegabile disperazione, August frugò tutte le altre tasche della camicia e dei calzoni, senza arrivare ad alcun risultato più soddisfacente. Nulla. La spilla si era liberata di lui.
All'improvviso, quando ormai si approssimavano le prime capanne di pastori del villaggio di Seven Stones, la luce cominciò a scemare e in breve lasciò posto a un crepuscolo grigio e brumoso. Il ragazzo si stupì quando realizzò di aver camminato tutto il giorno senza mai fermarsi per riposare o mangiare, e nonostante ciò non provava fame o stanchezza.
Guardandosi di lato, nella penombra umida del crepuscolo vide una vecchina ferma a un bivio della strada, che si appoggiava ingobbita a un bastone di legno scuro e lo osservava con grandi occhi grigi, senza dire nulla. I capelli candidi legati in una stretta crocchia e lo scialle che le copriva le spalle avevano un aspetto rassicurante, in qualche modo familiare. La sua espressione sembrava cupa, ma August decise che ciò era solo una suggestione dovuta alla preoccupazione e all'ansia che l'intera situazione aveva generato in lui. Distanziata che ebbe la vecchina, si girò per vedere se avesse proseguito per la sua strada, ma si accorse con disappunto che quegli occhi grigi erano ancora fissi su di lui. Cercò di non farci caso, ma percorse i pochi passi che ancora lo separavano dalla soglia di casa con una stranezza in più che gli ronzava in capo.

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La prima cosa che notò fu la facciata della casa. Nonostante August conoscesse l'impegno che suo padre aveva sempre messo nel tenerla sgombra dall'odiata edera, la casa era evidentemente e inspiegabilmente coperta di un intrico di ramoscelli contorti e foglioline che nascondeva a tratti la superficie sassosa delle pareti. Solo dopo, a causa della semioscurità, fece una scoperta che lo lasciò di sasso. Sollevando gli occhi verso il tetto della casa, nera contro il grigioblu del cielo, vide la sagoma di un albero imponente spuntare di alcuni metri da dietro la fattoria, con ogni probabilità dal centro del cortile. Non poteva distinguerlo chiaramente, a quell'ora e con quella luce, ma la sola silhouette e una sorta di presentimento parlavano chiaro. Noce.
Si tolse il cappellone di paglia e con mano tremante bussò alla porta, preferendo non fare congetture su chi avrebbe aperto.
Dopo tutte le stranezze della giornata, il fatto che la porta fu aperta da uno sconosciuto sulla trentina in camicia da notte non lo scosse particolarmente. L'uomo chiese ad August chi fosse, con voce assonnata e un po' diffidente.
-Mi chiamo August- rispose il ragazzo -Sono uscito due giorni fa da questa casa per andare a vendere le merci di mio padre Morann alla fiera di Vyhelia, ed era giugno, ma poi ho sentito una musica e mi sono allontanato dalla strada per ascoltarla meglio, e dopo mi sono addormentato, e mi sono svegliato questa mattina che faceva ancora buio, e oggi sembra autunno ed è tutto cambiato, e il noce è enorme e la casa è piena di edera!- aggiunse poi, tutto d'un fiato.
L'uomo alla porta, al sentire queste parole, era sbiancato. La sua voce non era più né assonnata né diffidente, ma solo lugubre.
-Cento volte ho sentito questa storia dal mio povero bisnonno. La storia di August che è partito per la fiera, e che non torna più a casa. La storia di suo fratello.

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Eccomi, finalmente! Per prima cosa mi scuso con tutti quelli a cui ho fatto leggere pezzini di questa storia senza poi pubblicare nulla. (È da più di un anno che ho questo dannato capitolo in cantiere!)
Come ho detto, è da tanto che questa idea mi ronza intorno, e quindi spero di averla resa in maniera decente... Insomma, spero che vi piaccia o almeno vi intrighi!
Questa prima storia è tratta da una leggenda belga, in cui un giovane di nome Hermann - beh, fa più o meno queste stesse cose O:)
Alla prossima! *evoca boccale di birra volante e scompare a bordo di quello*
 
   
 
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