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Autore: velvetmachine    19/07/2015    2 recensioni
Dragons, Warrior!AU • Harry/Louis, accenni: Liam/Zayn | ambientazione fantastica (nordica), Mi.C. Death • ~194.8KB
“Dicono che esistesse un tempo in cui i mendicanti siano diventati eroi e il deserto sia cresciuto in torreggianti città di vetro. Si dice che allora le persone potessero chiamare i draghi dalle montagne ai confini del mondo, e maneggiare il cielo stesso come arma.
Dicono che ci sia stato un tempo in cui l’umanità ha portato gli dèi in ginocchio.
Ma questo era prima; e molto tempo fa.”


O quella dove per vivere, bisogna combattere. E sarà il guerriero dagli occhi azzurri che cavalca il drago nero, a doverlo insegnare al figlio della casata Styles.
Ma, ovviamente, le cose sono sempre più complicate di quanto sembrino.
Genere: Avventura, Erotico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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and i see fire burn auburn on the
mountain side

—i see fire, ed sheeran +

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Dicono che esistesse un tempo in cui i mendicanti siano diventati eroi e il deserto sia cresciuto in torreggianti città di vetro. Si dice che allora le persone potessero chiamare i draghi dalle montagne ai confini del mondo, e maneggiare il cielo stesso come arma.”

Harry osserva le labbra fini di Gemma pronunciare le parole delle Scritture, seguendo con il dito la pergamena macchiata d’inchiostro rosso come sangue; i fumi d’incenso che arrivano dagli angoli delle pareti di pietra gli rendono difficile respirare, ma ormai ne è abituato.

—Dicono che c’è stato un tempo in cui l’umanità ha portato gli dèi in ginocchio.” La ragazza si scosta appena il velo dal volto, facendo tintinnare le conchiglie perlacee ricamateci sopra: Harry non può fare a meno che lanciare, con la coda dell’occhio, un’occhiata a suo padre.

È seduto accanto al leggio, vicino alla statua di osso del dio Fato. Lo osserva, assorto: la scultura del dio è intenta a tenere un bilico tra due dita un coltello dalla lama affilata e ai suoi piedi due mortali, nella loro sofferenza, si combattono a vicenda, cercando di spingersi sotto la punta del coltello.

Chi colpirà, l’arma? Chi finirà per primo sotto la lama?

Nessuno può saperlo.

Ritorna con lo sguardo sulla ragazza.

Harry si chiede se suo padre abbia fatto una buona scelta a far indossare a Gemma il velo che una volta apparteneva a sua madre: un velo che aveva ricamato lei stessa, con piccoli ninnoli e pietre preziose e conchiglie provenienti da Est. 

Indossarlo significa entrare a far parte delle Sacerdotesse del tempio, un ruolo ambito da tante e raggiunto da poche.

Gemma deve esserne fiera come poche volte lo è stata nella sua vita.

Harry la osserva seguire con il dito l’ultima riga della pergamena, tentennando un attimo prima di pronunciarla.

—Ma questo era prima; e molto tempo fa.” Alza lo sguardo verso il padre, recitando a memoria l’ultima parte:“Ora la guerra logora la terra e i nostri popoli, ora gli dèi sognano per noi un esercito che crei soldati dal suo stesso sangue versato.”

Fa una pausa, prendendo una grossa boccata d’aria sporca d’incenso: “È così, che le recitano le Scritture.”

Lancia un’occhiata a Harry, agitata: quello gli sorride rassicurante e annuisce.

“Molto bene,” l’uomo, dall’altra parte della sala di pietra, si volta improvvisamente verso sua figlia, battendo le grosse e callose mani: “Molto bene, Gemma—dovresti leggere a voce più forte, in modo che anche gli anziani possano sentirti, questa sera.”

Harry sbuffa, sistemandosi meglio sullo sgabello intagliato finemente: “Penso che siano abbastanza anziani da averle imparate a memoria, le Scritture.”

Gemma tramuta una risata in un colpo di tosse appena scorge lo sguardo ammonitore del padre, fulminarla: “Non prendetevi gioco di loro. I vecchi saggi mi aiutano a governare e senza di loro—”

“—il nostro regno non esisterebbe. Sì, padre, lo sappiamo.” Gemma fa un gesto allusivo con la mano, prima di afferrare i bordi frastagliati del suo abito e scendere dal leggio d’alabastro.

“Allora—” comincia, togliendosi dal capo il velo e sistemandolo con grande cura dentro un cofanetto di legno ambrato: “—posso congedarmi per prepararmi alla cerimonia di ‘sta sera?”

Afferra da una piega della veste un cordoncino rosso scuro, al quale è appeso un anello di ferro lucido, e se lo risistema al collo, mettendolo ben in vista.

Il padre la osserva compiere il gesto, con le mani strette dietro la schiena e la fodera della spada che gli ricade morbidamente lungo il fianco.

“Certo, vai pure.” Le sorride: “Oggi sarà un grande giorno, con una grande festa” esclama, ridacchiando: “Oggi una novizia si unirà alle Sacerdotesse del tempio.”

“Uh.” Gemma si osserva l’anello appeso al collo, rigirandoselo tra le dita: “Se non altro potrò smettere di portare il simbolo delle Vergini al collo.”

Harry si alza, strascinando le gambe dello sgabello contro il pavimento ruvido. “Io penso che ti doni” la prende in giro, pizzicandole il gomito.

Quella emette un sibilo basso con la bocca: “Mai quanto a te, fratellino.”

Afferra l’anello sul collo dell’altro, ma il ragazzo è più svelto e le caccia via la mano.

Gemma gli lancia una smorfia accompagnata da un verso di scherno prima di voltarsi e dirigersi verso il portone di bronzo massiccio del tempio.

Harry e il padre osservano la sua figura ricoperta dalla veste smeraldo finché non scompare al di là del corridoio malamente illuminato dalle torce decorate col simbolo della casata Styles: un drago rampante con il muso schiacciato.

“Sta crescendo così in fretta.” Sente suo padre sospirare, dirigendosi a grandi passi verso la vetrata della parete, che mostra un cielo plumbeo e opaco.

“Mi sembra che fosse ieri quando la cullavo e—questa sera diventerà una Sacerdotessa” mormora, perso con lo sguardo e con la mente.

Harry annuisce tra sé e sé. “Spero di poterla raggiungere anch’io, altrettanto presto.”

L’uomo, a pochi metri di distanza da lui, si volta di scatto, facendo tintinnare la spada contro la sua cintura.

“Ne abbiamo già parlato, Harry” dice, con il tipico tono di voce di chi non ammette repliche: “Tu non diventerai Sacerdote. Non m’importa se ti ostini a tenere la collana delle Vergini al collo.”

Indica il ciondolo, con una smorfia contrariata sul volto: “Tu sarai un guerriero. Come ero io, e mio padre prima di me e mio nonno prima di mio padre.”

Harry si morde l’interno della guancia, auto-imponendosi di controllarsi per non scoppiare in una delle innumerevoli liti che hanno già dovuto affrontare negli ultimi due anni: “Ma, padre—Io non voglio diventare un soldat—”

“Non importa cosa vuoi o non vuoi!”

Il ragazzo s’azzittisce all’istante, osservando il padre alzare i palmi delle mani al soffitto alto e scuro, furioso: “È così che andrà! Importi non servirà a niente. Hai diciassette anni e, com’è sempre stato nella nostra famiglia, sceglierò uno dei guerrieri più anziani che ti farà da mentore e ti troverà un drago. Tu obbedirai a lui e a me.

Lo guarda, gli occhi ridotti in due fessure scure: “E che tu lo voglia o no, dovrai combattere e dovranno insegnarti a farlo, se vuoi sopravvivere alla guerra.”

“Gli dèi penseranno alla guerra!” sbotta Harry, esasperato, facendo un passo avanti: “Loro sistemeranno tutto, ci salveranno. Non c’è bisogno che io vada in aiuto, sulla Barriera!”

L’uomo, davanti a lui, abbassa lo sguardo sul pavimento: afferra con la mano libera l’elsa della spada e la stringe, senza fare altro.

Dopo un paio di secondi, alza lo sguardo, incrociando gli occhi verdi del figlio.

“Tu hai sangue di guerriero, nelle vene. Non importa per quanto tempo rinnegherai il tuo destino; tu sei nato per combattere, uccidere e vincere.”

Prende un profondo, rauco sospiro: non c’è rabbia nella sua voce, solo una sorta di amaro rancore.

“Diventerai un soldato, Harry. E questa è la mia ultima parola.”

 

 

 

 

            Harry ha sempre odiato i banchetti; troppo rumore, troppo vino, troppo caldo.

Non importa se stanno festeggiando il voto di Gemma come Sacerdotessa, non importa se ci sono decine e decine di persone sedute nell’enorme tavolata della sala principale, Harry non vorrebbe essere semplicemente lì.

Lancia un’occhiata di soppiatto alla sorella, seduta nel tavolo degli altri Sacerdoti, Sacerdotesse e Vergini: si sta portando una mano alla bocca, ridendo per qualche battuta che una compagna le ha sussurrato all’orecchio.

Ovviamente lui non può sentire di cosa si tratta. Dannazione. Il frastuono delle risate ubriache e dei canti e delle voci troppo potenti di tutti gli uomini, rendono quasi impossibile ascoltare anche i propri pensieri.

C’è da diventarne matti.

Abbassa lo sguardo, mogiamente, sul proprio piatto ricolmo di cibo intatto. E sul suo calice di vino rosso ancora perfettamente pieno; sospira.

Vorrebbe scappare in camera sua, mettere via i vestiti scuri di cuoio pesante con gli stemmi che è costretto ad indossare per l’occasione e—non lo sa.

È abbastanza sicuro che qualsiasi cosa sarebbe migliore che starsene lì.

Invece deve rimanere fermo, immobile, al tavolo principale mentre osserva suo padre ridere sguaiatamente e battere ripetutamente la grossa mano sulla spalla di uno dei guerrieri che ha invitato per la festa.

E che, ovviamente, ha scelto di far sedere proprio accanto a lui. Che idiozia.

Harry, stringendosi nelle spalle, li osserva: l’uomo—il ragazzo? Quanti anni potrebbe avere?—con cui suo padre sembra andare particolarmente d’accordo è ancora giovane.

Porta una cotta di maglia con fili d’argento intrecciati, lo stemma dell’Ovest appeso ben in vista sul petto; ha i polsi stretti da nastri di cuoio ricamati finemente, le mani piccole che stringono senza troppo entusiasmo il calice di ferro e bronzo ricolmo di vino.

Sorride, lanciando continue occhiate agli altri suoi tre compagni d’armi, sedutigli rispettivamente a fianco.

La sua bocca è tremendamente fine, pensa Harry, osservandolo ridere: la curva della mascella ricoperta radamente di un sottile strato di barba scura sembra non finire mai.

Esistono poche persone con tratti così aggraziati, nel loro regno.

Una di queste è Harry—tanto per dirne una—ed è sempre stato preso in giro per le sue forme poco virili, fin da quando era costretto a partecipare alle lezioni di spada, quand’era piccolo.

“La bocca troppo piena, gli occhi troppo verdi, la pelle troppo diafana, le gambe troppo lunghe. Nemmeno un accenno di barba; capelli troppo morbidi.”

Era una tortura sentire gli scherni degli altri bambini, del suo maestro d’armi, di suo padre.

Invece, nel soldato che sta osservando di nascosto dall’altra parte del tavolo, quei tratti delicati non stonano: gli zigomi alti e lisci nascondono due occhi azzurri ghiaccio, blu scuro e denso come le pietre che i mendicanti portano da Sud.

La fronte ampia è nascosta da ciuffi scomposti di capelli del colore della corteccia degli alberi più antichi, le sue orecchie sono fini, piccole.

Ma—Harry non è sicuro di saperlo spiegare, c’è qualcosa nella sua postura.

Le spalle muscolose e dritte che si stringono tra loro, i gomiti appoggiati al tavolo, lo sguardo che pare scrutare e fare attenzione ad ogni più piccolo movimento all’interno della sala, quasi sull’allerta.

Fa scorrere lo sguardo sul suo volto e—Harry si morde il labbro inferiore, deglutendo.

Un’enorme cicatrice spessa gli solca la parte visibile di clavicola che fuoriesce dalla cotta: come un verme lucido e perlaceo che striscia fuori dalla pelle.

È davvero questo ciò che suo padre vuole?

Sente la rabbia rimontare dentro di sé come fuoco; osserva ancora la cicatrice frastagliata, ricoperta in piccola parte da bruciature nere e rossastre.

Deve essere stato il suo drago.

Il suo drago deve averlo ferito, sicuramente; non c’è altra spiegazione. Sono creature potenti e malvagie, quelle: per quanto si possa tentare di educarle, risulterà sempre impossibile addomesticarle.

Che l’abbia ferito in battaglia? In combattimento? Mentre lo stava cavalcando? O—

Quando Harry alza appena lo sguardo, per seguire daccapo tutta la superficie chiara della ferita rimarginata, i suoi pensieri s’azzittiscono all’istante.

Il cavaliere lo sta fissando, con un sopracciglio alzato. Suo padre sta continuando a parlare con gli altri tre, ma lui sembra essersi di proposito estraniato dalla conversazione per girarsi e—fissarlo di rimando?

Oh. Da quanto tempo sapeva che Harry lo stava a sua volta guardando? Dèi, deve sembrare un perfetto idiota. Grandioso.

Le sue guance si colorano immediatamente, per la vergogna di essere stato colto sul fatto: appena riacquista un minimo di lucidità mentale, distoglie immediatamente gli occhi da quelli taglienti dell’altro e comincia a fissare insistentemente il proprio piatto.

Al suo fianco, due membri Saggi stanno discutendo vivamente (dopo aver bevuto decisamente troppo vino) sul prossimo acquedotto da costruire nella piazza principale.

Harry, ora, vorrebbe più che mai nascondersi nella sua camera. (Spera con tutto il cuore che le torce appese alle pareti di pietra coprano il suo rossore, diamine.)

Dèi, dèi. Non sa nemmeno chi diamine sia quel dannato cavaliere e già lo odia a morte; perché rappresenta tutto ciò che Harry odia a morte.

Perché suo padre preferirebbe mille e mille volte ancora avere lui come figlio, piuttosto di quello che gli dèi gli hanno dato.

Stringe i pugni, sotto il tavolo; sente l’anello del voto di castità pesare incredibilmente contro il suo petto, nascosto appena dai vestiti pesanti.

Alza appena gli occhi, giusto il tanto che basta per dare un’ultima occhiata a quel dannato guerriero, con i suoi compagni e suo padre, che ridacchia, felice come non è mai stato nella sua vita.

Il ragazzo dagli occhi azzurri lo sta ancora guardando da dietro il calice che s’è portato alle labbra; Harry sussulta.

Perché lo guarda? Cosa c’è?

Il suo sguardo sembra addirittura divertito; scommette che quel tipo se la starà spassando un mondo a metterlo a disagio.

In casa sua, oltretutto. Ma come si permette?

Questo è decisamente troppo.

Preso da un impeto d’irritazione, Harry si alza improvvisamente dal tavolo, lasciando che le gambe della sedia raschino contro il pavimento: uno stridio si diffonde, per un attimo, nella sala.

Nessuno sembra farci troppo caso, considerando il fatto che tutti i presenti sono o troppo ubriachi o troppo intenti a ridere e a parlare di guerre e di draghi.

Harry storce il naso, dirigendosi a gran passi verso il portone d’ottone che dà sul corridoio di palazzo; solo sua sorella gli lancia un’occhiata perplessa, alla quale il ragazzo dagli occhi verdi s’affretta a rispondere con un cenno del capo.

Me ne vado. Sono stanco.

Gemma annuisce.

Cammina nel corridoio fin quando il rumore del banchetto non s’affievolisce del tutto: delle torce illuminano fiocamente le pareti leggermente ricurve, creando tremolanti ombre sulla pietra.

Raggiunta la rampa di scale che porta al primo piano, si ferma di scatto; l’improvviso silenzio pare quasi stordirlo.

Che—che diamine sta facendo? È—scappato?

Scappato da una festa dedicata alla sua stessa sorella?

Si batte un palmo sulla fronte: non potrà mai essere un re, lui. Troppo immaturo, incapace di imporsi e con una soglia dell’attenzione decisamente troppo bassa. (E quella dell’irritazione troppo alta, uh.)

Sarà un pessimo re, un giorno. E il popolo lo odierà a morte. Incoraggiante. Ottimi pensieri per concludere la meravigliosa giornata appena svolta, come no.

Prende un profondo respiro, facendo scivolare fuori dal colletto della casacca l’anello di ferro, se lo rigira tra le dita, sospirando e dandosi ripetutamente dell’idiota: potrebbe recarsi al tempio fuori città per pregare un po’. Giusto per consolarsi.

No, no. Decisamente no.

Scuote la testa, fissando la rampa di gradini scuri di fronte a lui; ecco cosa farà, ora: ritornerà in quella sala e festeggerà con Gemma uno dei giorni più importanti della sua vita. All’inferno gli sguardi che quel tipo gli ha lanciato.

Prende un profondo respiro e si volta, facendo perno sui talloni: oh sì, pensa, tornerà in sala e—

“Ouch!”

Cade. Cade?

Forse sarebbe più corretto dire che è inciampato.

Non è sicuro esattamente su cosa, o perché stia cadendo ma il punto è: sta perdendo l’equilibrio mentre continua ad annaspare con le mani in aria e cercare un qualsiasi appiglio che non gli faccia sbattere il naso contro il pavimento.

Quando, però, la caduta si arresta improvvisamente, Harry decide di non aprire ancora gli occhi che aveva deciso di chiudere.

Bene. Ci sono due possibilità: o qualcosa lo ha bloccato in aria, o è già caduto e il pavimento è decisamente più caldo e morbido di quanto si sarebbe mai aspettato.

“Attento a dove metti i piedi.”

Il pavimento parla?

Harry spalanca improvvisamente gli occhi, e la prima cosa che vede è un intreccio infinito di fili argentati che risplendono sotto la luce del fuoco delle torce; alza appena lo sguardo.

Il cavaliere dagli occhi blu lo sta fissando, divertito.

Oh. Oh.

Harry c’è caduto sopra, e ora si trova ancora spalmato sopra di lui, tenendo stretta tra le dita la cotta di maglia con lo stemma. Dèi, potrebbe sembrare più goffo e stupido di così?

Si stacca improvvisamente, quasi scottato, dall’altro ed indietreggia di qualche passo fingendo di grattarsi una guancia per nascondere il rossore propagatosi sulle sue gote: il ragazzo di fonte a lui ridacchia, arcuando le fini sopracciglia.

“Dovresti fare più attenzione a dove cammini.”

Oh, grazie tante per il consiglio.

Se non fosse per il fatto che Harry si sta letteralmente mordendo l’interno della guancia per la vergogna, ora potrebbe uscirne con un incredibile sguardo sarcastico.

“Sei tu che—” si schiarisce la voce, cercando di darsi un tono: “—sei tu che mi stavi seguendo” scandisce, con un tono accusatorio nella voce.

Il cavaliere si scosta un ciuffo di capelli dalla fronte, per poi sistemarsi più strettamente i nastri di cuoio intorno ai polsi: senza volerlo, Harry si ritrova a seguirne il movimento.

“Non ti stavo seguendo” sbuffa quello: “Rilassati, ragazzino.”

L’espressione perplessa ed offesa di Harry bastano per farlo scoppiare a ridere rumorosamente.

Ragazzino? Sul serio? Ma chi diamine si crede di essere?

“Hai la minima idea di con chi tu stia parlando?” sbotta allora, raddrizzandosi nelle spalle e cercando di mantenere uno sguardo alto e sicuro; lui è il figlio del re, diamine. Dovrà pur contare qualcosa, no?

Le persone gli devono un po’ di rispetto. E dannazione.

Nonostante tutto, però, la reazione del ragazzo dagli occhi azzurri è tutto fuorché intimorita o spaventata. Anzi: tira su un sogghigno divertito, mentre corruga la fronte e si picchietta l’indice sul mento, fingendo di pensarci su.

“Il figlio del re, no?”

Oh, quindi lo sa e non gliene importa niente. Grandioso.

“Be’—” si avvicina fin quando non si trovano a distanza sufficiente perché Harry possa distinguere una ad una le pagliuzze dorate nei suoi occhi. Il cavaliere so squadra dalla testa ai piedi.

Pare trovare qualcosa di estremamente interessante, all’altezza del suo petto poiché allunga una mano, stringendo le labbra in una linea sottile: “Sei—un Vergine?”

Harry, per un attimo rimasto stordito, riafferra velocemente la propria lucidità: abbassa lo sguardo e vede il cavaliere stringere tra le dita l’anello di ferro, i suoi occhi azzurri, però, sono puntati contro quelli di Harry.

“Sei davvero un Vergine?” domanda ancora, senza scherno o derisione.

Solo—con stupore? È sempre piuttosto raro trovare un aspirante Sacerdote uomo, soprattutto di questi tempi.

Il ragazzo dagli occhi verdi s’affretta a scacciare la mano dell’altro dal suo ciondolo, prima di riporlo sbrigativamente dentro la casacca.

“Non sono affari tuoi” borbotta piccato.

II cavaliere davanti a lui rimane in silenzio ad osservarlo per secondi interi; nemmeno a dire che tutto ciò metta incredibilmente a disagio Harry. Grandioso.

Eccolo di nuovo: un perfetto estraneo lo sta mettendo a disagio dentro casa sua.

E lui non può fare niente se non fingere che la cosa non lo disturbi.

Ribadendo: sarà davvero un pessimo re, un giorno. (Un giorno molto, molto, molto lontano; si spera.)

“Louis?”

Una voce proviene da fondo al corridoio, una voce un po’ strascicata e brilla, ma comunque chiara e tonante: Harry—grazie agli dèi è arrivato qualcuno a tirarlo fuori da quella situazione. Lo sguardo penetrante e blu dell’altro stava davvero diventando impossibile da sopportare—e il cavaliere si voltano quasi contemporaneamente.

“Louis! Mi stavo chiedendo dove diamine fossi—” La voce si blocca nuovamente, mentre l’uomo emerge sotto la luce scoppiettante di una torcia: “Harry? H—che ci fai qui? Non, uhm, eri dentro alla sala?”

Harry ruota gli occhi all’ampio soffitto, stringendosi nelle spalle. “No, padre. Sono uscito prima per prendere un po’ d’aria.”

L’uomo rimane in silenzio, passandosi una mano sulla barba che ricopre gran parte del suo volto: la fodera della sua spada dondola sul suo fianco, seguendo ancora il ritmo dei suoi passi affrettati di poco prima.

Rimane un paio di secondi immobile strabuzzando e strizzando gli occhi, come se cercasse di mettere a fuoco una qualche figura lontana: poi si scuote improvvisamente.

“Be’—!” esclama, battendo una forte mano sulla spalla del cavaliere dagli occhi blu: Harry lo vede sussultare appena a quell’improvvisa botta, ma nemmeno per un secondo perde la sua compostezza.

“—vedo che hai conosciuto la Prima Sentinella delle montagne ad Ovest: Louis, dei Tomlinson.” 

Louis?

Dèi, che nome strano. Harry trattiene una smorfia mordendosi il labbro inferiore: non ha mai sentito un nome così delicato appiccicato addosso a qualcuno che non fosse una damigella di corte.

Louis. Louis Tomlinson. Non suona male, nell’insieme.

“Grande ragazzo, grande ragazzo, bravo ragazzo—” continua a sussurrare suo padre, nel frattempo, in una cantilena interrotta soltanto dai singhiozzi improvvisi dovuti al bere.

Harry non lo sta più ascoltando: il cavaliere, Louis, ha puntato nuovamente lo sguardo su di lui e ha un sorriso divertito stampato in faccia.

Che diamine ha da ridere?

Apparentemente, solo il fatto che il re lo stia facendo dondolare da una parte all’altra, a forza di trascinarselo dietro nel suo molleggiamento.

Va bene, forse la scena è piuttosto comica: poche volte ha visto suo padre così rilassato e ubriaco, ma. Non dovrebbe assolutamente mettersi a ridere, se non altro per non dare soddisfazioni a Louis Tomlinson.

“Vostra Altezza,” mormora improvvisamente quello, sgusciando via dalla presa dell’uomo: “vi ringrazio ancora infinitamente per avermi invitato a questa festa in onore della vostra bellissima figlia. E, uh, anche per avermi incaricato di un compito così sacro e importante.”

Bla, bla, bla. Che melenso; Harry gli lancia un’occhiataccia.

È davvero così che le persone si rivolgono ai più potenti per ottenere grazie e favori? Dovrà farci più caso, le prossime volte che qualcuno gli parlerà.

Ma il re suo padre, ovviamente, sembra più che contento delle moine del cavaliere; gli sorride apertamente, facendo passare lo sguardo da lui a suo figlio, da suo figlio a lui.

“Sarai perfetto, me lo sento” biascica, infine.

Perfetto?

“Perfetto per cosa?” domanda allora Harry, improvvisamente perplesso. Non sa esattamente il motivo, ma ha una brutta sensazione dentro lo stomaco: dettata principalmente dal fatto che quei due continuino a lanciarsi strane occhiate.

“Perfetto per cosa, padre?” domanda ancora, dopo poco, un po’ più forte.

Louis si volta verso si lui sorridendo lascivamente, ma aspetta che sia il re, a parlare.

“Harry—” comincia quello, avvicinandosi: “—Tra due giorni partirai per il confine ad Ovest. Ho—scelto Louis come tuo mentore guerriero.”

Il ragazzo dagli occhi verdi spalanca lo sguardo.

E no, no, no.

 

 

§

 

 

Harry stropiccia più volte gli occhi; l’alba non è ancora sorta e il freddo della notte è decisamente troppo poco allettante per tentare di uscire dalle coperte calde.

Si stringe le braccia al petto, imponendosi di tenere le palpebre serrate: finge di non sentire i continui colpi alla porta di legno. (Che ha saggiamente sigillato col chiavistello, la sera prima.) 

“Harry!”

Dannata Gemma. Che vuole, adesso?

Non dovrebbe essere al tempio a pregare? Ora che è diventata una Sacerdotessa ha dei compiti da svolgere. Harry pensa che lui sarebbe trecento volte meglio, come Sacerdote.

Se solo ne avesse la possibilità; se solo il padre gli lasciasse un minimo di margine di scelta.

“Harry hai intenzione di alzarti o no?”

La voce della ragazza lo strappa via dai suoi pensieri: risulta un po’ ovattata da dietro lo spesso strato di legno massiccio, ma non sufficientemente da renderla meno fastidiosa.

No. Non voglio, grazie tante per la domanda.

“No” grugnisce il secondo dopo, sperando di averlo detto troppo piano perché qualcun altro possa averlo sentito.

“Ti ho sentito!”

Ecco, appunto. Non gliene va mai una giusta, eh? Sbuffa, tirandosi le coperte fin sopra la testa e raggomitolandosi tra le lenzuola di lana ruvida e morbida.

“Nostro padre è furibondo! Ti stanno già aspettando fuori in cortile; se non esci immediatamente verranno a buttare giù la porta a spallate—Ti frusteranno, Harry!” Sente la sorella sospirare affranta, battendo un altro colpo: “Ti prego, apri questa dannata porta. Qual è il problema?”

Oh, vuole la lista? Potrebbe volerci di più di una mattinata, allora.

Harry ruotagli occhi all’ampio soffitto di pietra e, con grandissimo sforzo, si scosta le spesse coperte di dosso; immediatamente il freddo della notte lo attanaglia in una morsa dolorosa.

Per puro miracolo arriva a trascinarsi fino alla porta ed a sbloccare il cardine: sa già che Gemma gli salterà praticamente addosso e che il velo di cordini intrecciati che ora è costretta a portare intorno al capo gli finirà in bocca, ma. Quando percepisce le sue esili braccia stringersi intorno al suo collo in un abbraccio gentile, Harry non può fare altro che ricambiare.

Insomma, se tutto va come suo padre ha programmato, non tornerà a casa per un bel po’ di tempo; è normale che Gemma stia nascondendo il volto nell’incavo del suo collo, no?

“Ehi, ehi” Harry le batte gentilmente una mano sulla schiena: “stai piangendo?”

La ragazza tira su col naso e ridacchia: “Mi mancherai tantissimo—La vita qui sarà una noia tremenda, senza d te.”

“È solo per un paio di mesi.”

“O un anno.” Gemma si stacca per riuscire a guardarlo negli occhi: “O forse anche di più.”

Harry abbassa lo sguardo puntandolo sulle dita fredde delle sue mani, ora congiunte davanti a sé; dèi, non ci vuole nemmeno pensare. Un anno, un dannato anno.

Un anno del ciclo del Sole che dovrà passare in compagnia di quel cavaliere dalla cicatrice bianca.

“Tu non ci vuoi nemmeno andare.” È Gemma a parlare improvvisamente, in quasi un sussurro, mentre gli afferra le mani e le stringe delicatamente tra le sue: “Tu non ci vuoi nemmeno andare—Rimani qui. Con me. Potremmo, uh, potremmo diventare entrambi servi degli Dèi,” alza lo sguardo, guardando il fratello con aria speranzosa.

“—per piacere. Non andare a combattere; non andare in guerra. Non morire. Ti prego, ti prego, ti prego.”

Senza che Harry possa farci niente, gli occhi di Gemma sono diventati di nuovo lucidi; lo guarda come se aspettasse una risposta.

Come se l’ultima parola toccasse a lui. Come no.

Le scosta un ciuffo di capelli dietro l’orecchio e la guarda, alzando appena gli angoli della bocca: “Gem, ascolta. Io—Non puoi capire quanto vorrei non dover andare. Ma,” prende un profondo respiro: “io sarò re, un giorno. Per quanto non voglia, dovrò imparare a proteggere il mio popolo. Glielo devo, capisci?”

Cerca di sorriderle: “—Forse nostro padre ha ragione. Forse—sono solo destinato a combattere. Anche se è la cosa che più odio al mondo.”

“Uhm. Hai ragione,” la ragazza distoglie lo sguardo, improvvisamente mogia: “hai ragione, scusa. Non avrei nemmeno dovuto chiederti una cosa del genere—Che stupida. È il tuo dovere. Io non posso—”

“Ehi” la interrompe Harry, dandole un buffetto sulla guancia: “È tutto a posto, tranquilla. È bello vedere che mi tratti finalmente come un fratell—ouch!

Arriccia il naso, massaggiandosi il bicipite appena colpito: “Perché diamine l’hai fatto?!”

“Non è questo il momento di fare lo spiritoso!” Lo ammonisce la sorella, non riuscendo però a trattenere un sorriso: “Rovini ogni momento serio!”

Harry sorride, piegando la testa di lato: le sembra di vederla di nuovo crescere, sotto i suoi occhi. Da quand’era una bambina alla donna che è diventata, tutto in un attimo.

“Mi mancherai anche tu, Gem.”

 

Fuori dal castello, un’alba perlacea inonda le cime degli abeti scuri e delle montagne di pietra e terra: Harry respira profondamente, lasciando che una piccola nuvola di condensa fuoriesca dalle sue labbra.

Mentre cammina per il cortile, verso il portone d’ingresso, alza gli occhi al cielo imbrunito nel quale riesce ancora a distinguere le ultime stelle, prima che vengano spazzate via dalla luce del sole.

Vorrebbe fermarsi al tempio per un’ultima preghiera prima della partenza per le montagne ad Ovest.

Vorrebbe pregare un’ultima volta: ci sarà almeno un altare, dove sta andando? Dove potrà compiere i suoi sacrifici?

Gli dèi sono potenti e iracondi, non accetteranno che il figlio del re non compia i rituali a loro dedicati; sono esseri malvagi, più soggetti alle emozioni umane di quanto non lo siano gli umani stessi.

Sono anche benevoli, però. Caritatevoli; servizievoli. Le preghiere salvano le anime prima dell’oblio, le preghiere sbagliate possono portare alla morte.

«Il sangue innocente che verrà versato sarà ripagato con città intere trasformate in sale e polvere.»

O, almeno, è così che recitano le Scritture che Harry ha memorizzato già da molto, molto tempo: quando sua madre gliele leggeva prima di addormentarsi, quando le studiava da solo, la notte, cercando di nascondersi da suo padre.

Una guardia, appena accanto al portone d’ottone, gli fa un cenno di saluto: ricambia, stringendosi le spalle dentro il suo soprabito di stoffa pesante e scura, ricamata in cuoio.

Il prato fuori dal castello è ancora coperto di rugiada fresca e sente i fili d’erba solleticargli le caviglie, mentre si dirige a grandi passi verso le due figure che si stagliano contro il cielo porpora, a qualche decina di metri.

Il cavaliere con la cicatrice è accanto a suo padre, in piedi, appoggiato comodamente sull’elsa della sua spada che ha piantato al suolo, tra la terra morbida; dèi, i suoi occhi blu sono distinguibili chiaramente persino da lì.

Lo vede annuire, ascoltando ciò che il re gli sta dicendo, ha le braccia conserte, dondolando sui talloni.

Harry deglutisce, avvicinandosi.

“Guarda un po’ chi ci ha degnato della sua presenza.” È la prima cosa che gli dice il re, ruotando gli occhi scuri al cielo.

“Scusa, padre. Gemma mi ha trattenuto per i saluti.”

“Dovresti scusarti anche con Louis—” l’uomo indica il cavaliere, che si limita a ridacchiare lanciando a Harry un’occhiata eloquente.

“—è qui ad aspettarti da prima dell’alba.”

Be’, di certo non è stato lui a chiederglielo; grazie tante. Nessuno l’ha costretto a presentarsi al castello, quella mattina: dovrebbe persino chiedergli scusa? No, non crede proprio.

Si fissano, in completo silenzio; Harry non ha nessuna intenzione di abbassare lo sguardo e cedere, così si limita a contrarre la fronte e le labbra in una linea rigida.

Percepisce suo padre, accanto a lui, cominciare ad alterarsi.

“Allora?” domanda, con una punta d’asprezza nella voce: “Scusati con Tomlinson, Harry. Ti ho educato meglio di così.”

Oh, come no. Non importa se, così facendo, Harry stesso sta dimostrando l’infantilità e l’immaturità di cui suo padre l’ha sempre accusato: lui non chiederà scusa a quel ragazzo.

Non ha nessun motivo per farlo e non lo farà. Non importa se quello lo sta fissando, divertito, in attesa delle sue scuse, se sta inarcando le sopracciglia o sollevando gli angoli delle labbra sottili.

Non. Lo. Farà.

Il re si sta irritando; dopo un altro paio di secondi passati nel completo silenzio, batte improvvisamente un piede a terra e fa per ordinare nuovamente a suo figlio di scusarsi con il cavaliere.

Ma, qualcosa lo interrompe.

“Il principe non ha bisogno di scusarsi, vostra altezza.” Il ragazzo dagli occhi azzurri si raddrizza nella schiena e afferra l’elsa della spada, facendone uscire la punta dalla terra morbida.

Con un gesto veloce e pulito della mano le fa compiere una perfetta circonduzione e la riafferra, in aria, per poi sistemarla dentro la fodera di metallo lavorato appesa al suo fianco con un movimento secco del polso; Harry, nonostante tutto, non può fare altro che fissare incantato la scena.

(Cerca di nascondere la sua ammirazione.)

Certo, lui è bravo con la spada, molto bravo, grazie a tutte le lezioni che ha preso da ragazzo; ma non crede di essere in grado di compiere un movimento del genere.

“State pur certi che entro la fine del nostro percorso, il ragazzo avrà imparato la disciplina che gli manca” conclude, lanciandogli un’occhiata.

Harry viene preso alla sprovvista, mentre sente il padre ridacchiare con voce gutturale; quel tipo gli ha dato nuovamente del ragazzino, vero?

L’ha fatto nascondendolo sotto un mucchio di ciance, ma l’ha fatto, no? Gli ha appena dato dell’immaturo.

“Bene, ora direi che potete andare,” il re si volta verso il figlio: “cerca di imparare il più possibile: per l’oggi e per il domani, quando diventerai il sovrano di queste terre e dovrai riuscire a controllare la guerra contro i Barbari, al di là della Barriera.”

Gli batte una mano sulla spalla, stringendogliela: “Ti scriverò.”

Non è vero, non lo farà. Harry lo sa bene; ma forse ha qualche possibilità di ricevere dei telegrammi da Gemma, se le staffette non moriranno durante il viaggio per cercare di raggiungere le montagne ad Ovest.

Harry annuisce ed osserva il padre lanciare un’ultima occhiata a Louis, prima di voltargli le spalle e dirigersi verso le mura del castello. Quando si trova a una sufficiente distanza, il cavaliere—senza dire una parola—comincia a camminare in direzione opposta, verso il bosco di pini scuri, poco più in là.

È costretto a correre, per raggiungerlo.

“Dove stai andando?” gli domanda, seccamente, col fiatone a causa della piccola corsa che è stato costretto a fare per riuscire a stargli dietro. Sente l’anello al collo dondolargli ad ogni passo.

“All’accampamento delle Sentinelle, sulle montagne dell’Ovest. Mi pare ovvio.”

“E vuoi andarci a piedi?!”

Suo padre ha scelto per lui il mentore più squilibrato della storia; vuole che raggiungano le montagne camminando? Sarebbero giorni di percorsi brulli tra le rocce, dovrebbero attraversare pianure e steppe immense, per non parlare dei boschi.

Quel Louis deve essere completamente impazzito.

“Sei completamente impazzito” dice allora.

Il cavaliere si ferma d’improvviso, appena al limitare del bosco. (Harry va quasi a sbatterci sopra, ma riesce a trattenersi dall’inciampare all’ultimo minuto.)

Lo osserva voltarsi verso di lui, puntandogli gli occhi azzurri addosso, insistentemente: “Stai attento a come ti rivolgi a me, ragazzino. Non importa se sei il figlio del re; per i prossimi mesi sei sotto il mio comando e se non vuoi che ti faccia trasportare massi dalla mattina alla sera o non vuoi essere frustrato, sarà meglio che cominci a tenere a freno la lingua, ci siamo intesi?”

Il volto di Louis si piega in una smorfia strana, il secondo prima che scoppi a ridere.

Sicuramente Harry deve essersi perso qualche passaggio: l’attimo prima l’aveva fatto raggelare sul posto, minacciandolo, ed ora lo sta confondendo ridendogli in faccia.

“La parte della persona seria non mi riesce bene, scusa” lo sente ansimare, prendendo una grossa boccata d’aria gelida per placare le risate: “Comunque, uh, sul fatto dei massi e delle frustrate non scherzavo. Quindi attento.”

Harry annuisce, incapace di fare altro.

L’alba, all’orizzonte, si fa ogni secondo più rosea e brillante, rischiarendo un po’ il mondo dalle tenebre della notte.

Louis è ancora immobile, piantato sui suoi piedi, mentre osserva concentrato la cima degli alberi appena illuminati; che cosa sta aspettando?

È quasi tentato di domandarlo, Harry, ma non vorrebbe che l’altro riesplodesse in—be’, quello che è successo poco fa; è costretto a massaggiarsi coi palmi delle mani le braccia intorpidite dal freddo mattutino.

Aspettano, aspettano e aspettano.

Passano minuti interi prima che un lievissimo fruscio si faccia strada tra l’aria immobile del mattino; diventa sempre più forte, ogni secondo che passa.

Harry guarda Louis con le sopracciglia aggrottate in una taciturna domanda, ma quello si limita a sorridere sornione e fissare il cielo perlaceo.

“Che mi dici dell’equilibrio?” domanda improvvisamente il cavaliere dagli occhi azzurri, quasi urlando a causa del fruscio che è diventato un vero e proprio rombo.

Cosa?” grida in risposta l’altro, mentre un vento improvviso—probabilmente causato dal rumore del rombo—gli scuote i capelli e fa piegare i rami degli alberi.

“L’equilibrio!” Louis scoppia a ridere, scostandosi un ciuffo di capelli dal volto: “Con quelle gambe lunghe penso che tu non ne abbia molto!”

Harry fa davvero, davvero fatica a capire di che diamine stia parlando il ragazzo, soprattutto considerando il fatto che il vento è diventato almeno dieci volte più forte e un rumore fortissimo ed ovattato gli riempie i timpani.

Che diamine sta succedendo? Una tempesta? Un terremoto?

Un’ombra improvvisa oscura il sole.

Harry non fa in tempo ad alzare lo sguardo che già l’enorme figura scura come la pece è passata oltre, vorticando e scendendo in picchiata contro di loro; l’aria che l’ombra muove è sufficiente per far scaraventare Harry a terra, ma non abbastanza da fare lo stesso con Louis.

Il vento raschia l’erba soffice del prato; Harry riesce a malapena ad udire il cavaliere urlare qualcosa alla figura, euforico.

Poi, l’ombra compie un ultimo balzo e, placidamente, si accuccia a qualche metro di distanza da Louis, coprendolo interamente con la sua ombra.

Quando Harry riesce finalmente ad aprire gli occhi, è costretto a spalancarli.

Un drago.

C’è un drago ad appena qualche decina di metri di distanza da lui: ha il muso lungo, affusolato, le ali scure ripiegate mollemente sul suo corpo, lisce come pece fusa, unghiate da enormi artigli neri.

Una fila di corna di bronzo piccole e tozze si fa strada dalla fronte della bestia—proprio tra gli occhi gialli—fino al retro della nuca.

Tiene le zampe piegate scompostamente, avvolte dalla sua enorme coda nera spinata, come il resto del corpo: due canini affilati e grandi quanto coltelli fuoriescono dal labbro inferiore e paiono brillare, sotto la luce tiepida del sole.

Harry percepisce il proprio sangue, dentro le vene, raggrumarsi e sciogliersi più volte: ha un drago davanti.

Non ne aveva mai visto uno dal vivo. Le sue enormi narici si allargano e si restringono e dalla sua gola pare provenire un riverbero profondo come una grotta.

Louis si avvicina alla bestia, accarezzandone le squame nere e lucide della gamba: continua a mormorargli qualcosa, sorridente.

Improvvisamente si volta verso Harry: “Questa è Masha,” ridacchia: “la mia dolce metà.”

Quella è—cosa? Harry è troppo confuso per pensare. Ed è ancora a terra. Dannazione.

Cerca di rialzarsi, ma si rende conto che le sue gambe stanno tremando. Un drago. C’è un drago davanti a lui. Dèi, sta per impazzire.

Louis pare non notarlo: “È una coccolona, non farti spaventare dagli artigli. Ma—uh. Non farla arrabbiare; e non graffiarle le ali.” Scuote la testa: “Puoi farlo solo una volta nella vita, prima che ti calci via di dosso, mentre siamo in volo.”

Mentre—Cosa?!

“Oh, no.” Harry ora ha riacquistato abbastanza lucidità da rispondere, affannato: “No, no, no, no. No. Non saliremo sopra quel coso.”

Il drago—Masha—emette un improvviso sbuffo dalle narici che fa rizzare i capelli di Harry.

Louis sbuffa: “È l’unico modo per raggiungere le montagne.”

“Possiamo—andare a piedi.”

“Come se io avessi tutto quel tempo da sprecare. Ho un compito da svolgere come Prima Sentinella, ragazzino.”

Il ragazzo dagli occhi verdi cerca diplomaticamente d’ignorare l’ultima frecciatina: “Non salirò su, uh, quel drag—”

“Masha.”

“Non salirò su Masha.”

“Cosa ti dicevo prima, sull’obbedirmi?”

Il drago piega improvvisamente il lungo collo verso il basso, fin quando i grandi occhi gialli non si trovano alla stessa altezza del volto di Louis; il ragazzo le accarezza il muso affilato.

“No, non parlavo con te, tranquilla” le sussurra e la bestia scrolla la testa, emettendo un forte sospiro dalle narici.

Harry sobbalza. “Non salirò lì sopra.”

Osserva l’altro invitare il drago ad allungare il collo; con un gesto fluido ci salta sopra, posizionandocisi.

L’animale emette un basso gemito, apparentemente soddisfatto di riavere il proprio padrone in sella.

“Parte fondamentale di essere un Guerriero sul Drago,” gli urla Louis, mentre il drago sotto lui comincia a stiracchiarsi le enormi ali per prendere il volo: “è saper cavalcare un drago.

Harry stringe i pugni, cercando di non prestare troppa attenzione alle enormi zampe di quella bestia; la sua enorme coda sbatte a destra e a manca, sollevando ciuffi d’erba e pezzi di terriccio scuro.

“Io non voglio nemmeno diventare un guerriero!” sputa, costretto ad urlare per sovrastare il rumore dei pesante passi del drago.

Louis, da lì sopra, scoppia a ridere: “Giusto, giusto, tu vuoi diventare un Sacerdote, verginello.”

Cosa?

“Come mi hai chiamato?!”

Il ragazzo dagli occhi azzurri gli lancia un’occhiata melliflua, piegando le labbra in una smorfia divertita; l’armatura di ferro leggero che indossa risplende per un attimo sotto la luce del sole.

“È quello che sei, no?” gli grida in risposta, afferrando saldamente con entrambe le mani un corno bronzeo del suo destriero: “Hai l’anello: sei un verginello.”

Un verginellMa come si permette?! E sarebbe Harry, quello che deve imparare un po’ di disciplina?

“Un Vergine” ringhia tra i denti, cercando di dare una controllata al tono della voce: “Sono un Vergine di mia scelta!”

Louis scoppia a ridere: “Certo, come no. Ora—monta su prima che il sole sorga completamente.”

Harry è quasi sicuro che possa uscirgli fumo dalle orecchie da un momento all’altro: come fa a parlarne così tranquillamente, quel tipo dagli occhi azzurri? Essere Vergini è una parte fondamentale dell’essere Sacerdoti: bisogna conservarsi agli dèi, è così che recitano le Scritture Sacre.

È una delle cose più nobili che un uomo o una donna possano fare per dimostrare l’amore che provano per i loro dèi e quel cavaliere si permette di riderne? Sul serio?

“Cosa intendi con certo, come no?” sbotta, con voce decisamente più stridula del dovuto: “Io un giorno diventerò Sacerdote e re, ed è per questo che indosso l’anello.”

“Non ti sto accusando di niente,” Louis cerca di nascondere un’ulteriore risata in un colpo di tosse, mentre borbotta un: “—verginello.”

Le mani di Harry pizzicano dalla voglia di afferrare una spada qualsiasi (che ovviamente non ha) e buttare giù quel dannato cavaliere sbruffone da quel coso nero; gli toglierebbe il risolino irritante dalla faccia a forza di schiaffi.

“Hai intenzione di montare su o no? Non ho tutto il giorno” gli grida improvvisamente Louis, passandosi una mano sopra la barba rada.

Masha, il drago, emette uno sbuffo spazientito ed è forse questo che fa decidere a Harry di darsi una mossa e raggiungere pacatamente l’altezza di Louis; quello sorride, soddisfatto, e gli tende una mano per aiutarlo a salire sull’enorme collo della bestia.

Gli occhi gialli del drago lo squadrano e Harry si sente incredibilmente a disagio.

“Tranquillo, è solo perché non ti ha mai visto prima. Non ti torcerà un capello.” Louis gli tende ancora la mano e il ragazzo dagli occhi verdi, nonostante tutto, si vede costretto a stringergliela. (Quando lo fa, distoglie lo sguardo.)

Louis dei Tomlinson deve avere decisamente molta più forza nelle braccia di quanto non sembri perché con un movimento fluido tira letteralmente su il corpo di Harry—che pigola, sorpreso—a sedere appena dietro di lui.

“Stringiti forte, Harry.”

Da quando si conoscono, questa è la prima volta che lo chiama per nome; il ragazzo dagli occhi verdi non può fare a meno di esserne sorpreso: sorpreso dal fatto che l’abbia pronunciato così semplicemente.

Arrotondando le erre finali, com’è d’uso nell’idioma dell’Ovest; suona piacevolmente bene, il suo nome, nella bocca dell’altro.

Oltre a Gemma e a suo padre, Louis deve essere il primo a non rivolgersi a lui con altezza o principe.

Ma la cosa non lo infastidisce. Sorprendentemente, nemmeno un po’.

Viene brutalmente strappato via dai suoi pensieri quando il cavaliere dà una piccola pacca sulle squame lisce del drago e tira un grido; improvvisamente, Masha sembra svegliarsi e si raddrizza, cominciando a spalancare le ali e a cercare appigli su cui aggrapparsi.

Muove il collo e la testa verso l’alto, guardando il cielo, e il movimento è tale che Harry per poco non casca giù a terra.

(Riesce ad evitare la sorte solo aggrappandosi alla vita di Louis, con entrambe le mani.)

(Forse chiude gli occhi e preme la fronte contro la sua schiena, pregando di non morire; è troppo giovane per tirare le cuoia! Che gli dèi lo aiutino.)

(Louis, in ogni caso, si limita a ridere.)

Le enormi ali scure come pece cominciano a fremere, mentre il drago indietreggia scompostamente e scrolla più volte l’affilata testa cornuta; poi, incomincia a correre.

O, almeno, comincia a fare qualcosa che assomiglia vagamente ad una corsa.

Le sue grandi zampe si aggrappano al terreno, il collo serpeggia tra l’erba alta al limitare del bosco e tutto il corpo si muove ondeggiando; la coda fa lo stesso.

Harry sente il cuore salirgli in gola mentre l’animale continua a prendere velocità e a sbuffare sempre più sonoramente.

Improvvisamente, il drago compie un balzo sbilenco ed altissimo; barcolla ancora per un paio di secondi e sembra addirittura che stiano per precipitare e schiantarsi al suolo quando quello spalanca le ali e arresta la caduta bruscamente.

Il sangue di Harry comincia lentamente a tornare a circolare, ma si rifiuta ancora di tenere gli occhi aperti.

Masha comincia lentamente a prendere quota e salire e salire e salire fin quando il sole non sembra improvvisamente più luminoso e l’aria molto più fredda.

Intorno a loro, c’è solo il rumore del vento.

“Ehi, ci sei?” È Louis a parlare, guardandolo con la coda dell’occhio.

Harry deglutisce rumorosamente: “S-sì—Mi serve un attimo, scusa.”

Il cavaliere dagli occhi azzurri scoppia a ridere. “Fa con calma, ma, uh, ti suggerirei di aprire gli occhi, se non vuoi perderti questo meraviglioso spettacolo.”

Oh, facile a dirsi: apri gli occhi, sali su un drago grande quanto una casa, lascia che un tipo squilibrato ti faccia quasi sfracellare al suolo. Semplicissimo.

“Sul serio, apri gli occhi!” Sente Louis ridere, sistemandosi meglio a cavalcioni sul collo del suo destriero alato.

Dopo aver preso un profondo respiro, Harry decide di socchiuderne uno.

Intravede malamente la terra, centinaia e centinaia di metri sotto di loro; lo richiude all’istante e aumenta la presa sulla vita di Louis.

Oh. No. No, no, no. Brutta faccenda” comincia a mormorare, strizzando le palpebre: “Voglio scendere. Ti prego, ti prego, fammi scendere.”

“Non credo che tu lo voglia davvero—non da questa altezza, almeno.”

Colpito e affondato.

Harry squittisce e arriccia il naso, percependo il vuoto assoluto, sotto le piante dei propri piedi.

“Non fare il bambino, apri gli occhi!”

E, va bene, potrebbe effettivamente pensare di aprirli ma non ne è poi così sicuro, nonostante tutto; prova a socchiuderne nuovamente uno, poi l’altro.

“Non ce la posso fare” borbotta, arrendevole.

Louis ridacchia: “Sei proprio un ragazzino.”

Harry ringhia, su tutte le furie: “Smettila di chiamarmi ragazz—”

Si blocca all’istante. Ha aperto gli occhi.

Ha aperto gli occhi.

Per tutti gli dèi del mondo. Gli ha letteralmente spalancati, preso dall’impeto della rabbia.

Si guarda intorno, con la bocca spalancata.

Neve, nuvole, montagne illuminate dal sole; foreste che vibrano sotto il vento, ruscelli che sgorgano e rotolano giù per le rocce sono solo alcune delle poche cose che Harry riesce a vedere, così chiaramente, da quell’altezza.

Il cielo ormai azzurro sta letteralmente spazzando via gli ultimi residui di notte stellata, mentre timidamente le cime brulle delle montagne più basse gettano ombre a valle; le nuvole rosate creano le più incredibili forme e l’aria fredda gli riempie i polmoni.

Il vento gli scosta i capelli, gli entra sotto i vestiti, gli avvolge il corpo e sembra stringerlo in una morsa incredibilmente piacevole.

Harry sbatte più volte le palpebre, guardandosi in basso e osservano le foreste che sembrano infinite, i serpeggianti letti dei fiumi.

“Che ti avevo detto?” esclama Louis.

Harry, semplicemente, non ha idea di cosa rispondere.

Ci sono parole per descrivere tutto il creato degli dèi? Le pianure vaste, le case dei villaggi sotto di loro, il sole che brilla.

C’è un senso d’immensità, in tutto questo.

Essere sulla cima del mondo, poter osservare ciò che non avrebbe mai creduto possibile vedere.

“È incredibile” mormora, forse più a se stesso che all’altro, ma comunque sufficientemente forte da farsi sentire.

“Goditelo finché puoi,” gli risponde Louis, sistemandosi meglio la fodera della spada sul fianco: “Ti aspetta un duro addestramento, quando arriveremo.”

Afferra più saldamente il corno e batte coi talloni sul fianco del collo del drago: “Ora scenderemo un po’” dice: “tieniti stretto.”

Harry non se lo fa ripetere due volte.

 

 

 

 

            Atterrano su una montagna particolarmente alta, dopo ore intere di viaggio; Harry percepisce le proprie gambe essere diventate molli a forza di tenerle nella stessa posizione, ma suppone sia tutta questione di abitudine.

Louis, infatti, è nel pieno delle sue forze, come sempre: ordina a Masha di cadere in picchiata sul fianco della montagna, aggrappandosi con gli artigli ad un altopiano che sembra scavato letteralmente nella roccia ed è a strapiombo sul vuoto.

Appena Harry poggia un piede a terra, una fitta di dolore lo colpisce proprio all’altezza dello stomaco: prima che possa effettivamente rendersene conto, s’è piegato su un cespuglio basso e sta vomitando l’anima.

Louis, poco più in là, non si degna nemmeno di voltarsi.

“Capita, le prime volte” spiega, accarezzando un’ultima volta il muso del drago: “all’inizio è difficile riabituarsi alla terra ferma. Poi migliora, col passare del tempo.”

Mormora qualcosa a Masha che Harry non è in grado si sentire, considerando il fatto che è letteralmente piegato sulle ginocchia a rimettere la cena della sera prima.

Se solo lo avessero lasciato portare le erbe medicinali di Gemma, dannazione, ora si sentirebbe molto meglio: ma no, ovviamente, “un guerriero deve affrontare il tirocinio senza nient’altro se non il suo coraggio.”

Stupido padre e stupida tradizione che costringe i poveri disgraziati come Harry a lasciare casa propria e i propri affetti per seguire uno squilibrato con un drago e una spada.

Dannati tutti. Soprattutto quello stupido drago. E il suo stupido cavaliere.

Un possente battito d’ali proviene da dietro di lui, producendo una ventata d’aria abbastanza forte da scuotergli i capelli: si volta giusto in tempo per osservare Masha diventare un puntino sempre più piccolo, nel cielo della tarda mattinata, fino a scomparire completamente, verso altre montagne.

“Come va, ragazzino?” domanda dopo poco Louis, voltandosi e lanciandogli un’occhiata divertita: “Ti conviene darti una sistemata se non vuoi che comincino a prenderti in giro dal primo giorno, all’accampamento.”

Harry si asciuga con il polso i residui di bava colatagli sul mento: arriccia il naso.

Disgustoso.

“Quale—” deglutisce, mandando giù un ulteriore bolo acido: “—accampamento?”

“Quelle delle Sentinelle dell’Ovest, duh?” Louis si massaggia il collo: “Abbiamo il compito di proteggere questo versante del regno da eventuali attacchi dei Barbari. Siamo circa una ventina—e sarai immediatamente il bersaglio di ognuno di loro, se non ti dài un po’ di tono.” Rimane un attimo in silenzio, riflettendo: “Salvo Liam, forse. Lui non potrebbe prendersi gioco di nessuno.”

Salvo chi?

Harry è decisamente troppo sottosopra per riuscire a mettere ordine nella sua mente; si raggomitola su se stesso, respirano affannosamente.

“Ehi, ehi” vede l’altro avvicinarsi improvvisamente, sedendosi suoi propri talloni per raggiungere la sua altezza: “Vuoi un po’ d’acqua?”

Ti prego.

Annuisce urgentemente.

Quando il ragazzo gli porge una borraccia di pelle che teneva nascosta da qualche parte sotto l’armatura leggera, Harry si ritrova a bere avidamente, sentendo la propria gola bruciare, acida.

“Respira profondamente; prova a metterti in piedi.” Percepisce delle mani forti afferrargli i fianchi, trascinandolo lentamente verso l’alto, aiutandolo a raddrizzarsi.

“Per questo ti ho chiesto se avevi equilibrio” Louis gli scosta un riccio dalla fronte sudata: “Per evitare qualcosa del, uh, genere.”

Harry sbatte più volte le palpebre, annuendo lentamente; non è esattamente sicuro di che cosa il ragazzo gli abbia appena detto ma si limita ad annuire comunque, incapace di fare altro.

Che c’entra l’equilibrio con il vomito, poi? Glielo chiederà quando si sentirà meglio; promemoria.

“Sei bianco come un fantasma.”

“Ho—uhm. Bisogno di un secondo.” Si appoggia su un masso, sedendocisi sopra. Prende la propria testa tra le mani e respira profondamente, lasciando che le fitte allo stomaco si affievoliscano.

Louis rimane al suo fianco per tutto il tempo, il volto piegato in una smorfia indescrivibile.

L’ombra dell’abete sotto il quale si è seduto è sufficiente per rinfrescare il suo volto sudato.

Dopo minuti interi, Harry improvvisamente decide di alzarsi: “Uhm, va bene ci son—”

Non riesce a finire la frase.

Smak.

Un sibilo improvviso e un dolore acuto alla guancia lo fanno raggelare sul posto: che cosa è successo? Il sangue gli si gela nelle vene.

Scosta leggermente gli occhi di lato e, proprio infilzato nella corteccia dell’abete dietro di lui, c’è una lancia.

Una lancia.

Qualcuno gli ha lanciato una lancia mirando alla sua testa; sente il taglio sulla sua guancia pulsare e il sangue colare fino al meno.

L’ha a malapena sfiorato. La punta di metallo finissima è macchiata del suo sangue scuro.

Louis, poco davanti a lui, è altrettanto sconvolto: si volta improvvisamente, brandendo la spada.

Qualcuno si sta nascondendo dietro a degli alberi, dall’altra parte dell’altopiano in cui si sono fermati: non c’è bisogno che il cavaliere si avvicini perché la figuta, un paio di secondi dopo, sbuca improvvisamente dai rami.

“O, dèi, sei tu!”

Una voce squillante riempie l’aria.

Harry fa fatica a sentirla chiaramente, a causa del fatto che le sue orecchie, ora, sono riempite dal suono martellante del suo cuore, che sta pompando a mille.

La voce, comunque, appartiene ad un ragazzo dai capelli chiari come il sole, il viso morbido e la pelle altrettanto pallida.

Ha lo stemma dell’Ovest appiccicato al petto con grosse corde di cuoio e nella mano tiene una nuova lancia uguale a quella che ha quasi ucciso Harry.

“Louis, mi hai fatto prendere un colpo!” esclama, con forte accento dell’Ovest. “Ho visto Masha volare via e ti ho aspettato all’accampamento, ma non ti facevi vivo così sono venuto a controllare di persona.”

Sbuffa, grattandosi una gota rosastra: “Pensavo che fosse un Barbaro.”

Harry vede il volto del cavaliere dagli occhi azzurri aprirsi—dopo un attimo—in un sorriso luminoso: “Niall, dannazione” strepita, indicando con il pollice il ragazzo dagli occhi verdi, ancora raggelato per l’improvvisa scarica d’adrenalina: “Lo hai spaventato a morte!”

“Non, uh, volevo ucciderlo.” Mormora il ragazzo biondo, a mo’ di scusa: “Se così fosse stato, la lancia gli sarebbe finita proprio in mezzo alla fronte” si picchietta con un dito affusolato la propria, di fronte, per poi ridacchiare.

“Io sono Niall, comunque. Piacere di consocerti—?” Si avvicina, tendendogli la mano libera dalla lancia.

Harry è decisamente troppo sconvolto per rispondergli; continua a fissargli la mano tesa, gli occhi spalancati.

Sono mani decisamente troppo piccole per sorreggere una spada, ma perfette per una lancia ben equilibrata; sono macchiate, sporche di terra e con varie piccole cicatrici all’altezza del polso.

Tutto sommato, sono incredibilmente aggraziate; non crede di aver mai visto delle mani così segnate e allo stesso tempo delicate, in tutta la sua vita.

“Harry,” lo precede improvvisamente Louis: “Lui è Harry degli Styles. Sono il suo mentore.”

Il cavaliere biondo—Niall—alza improvvisamente l’arcata sopraccigliare, scoppiando a ridere: “Abbiamo unnobile? Uao. Questo sarà molto divertente.”

“Così lo stai spaventando solo di più.” Louis ridacchia.

“Nah, scommetto che diventeremo grandi amici—Non sono irritante come sembro, tranquillo.” Gli lancia un occhiolino.

Harry sbatte le palpebre più volte, voltandosi lentamente verso Louis; quello si limita a mimargli, con le labbra, un Sì, che lo è.

“Dacci un taglio.” Niall lo ammonisce con la punta della lancia che tiene in mano: “Non lo sono, non fargli venire in mente strane idee. E—uhm” borbotta, passandosi una mano sul retro del collo: “Non volevo scagliarti la lancia, io—scusa. Credevo che—Niente, lascia stare.”

“Non, uh” il ragazzo dagli occhi verdi deglutisce, rendendosi conto che la sua gola è diventata secca: “Non fa niente, tranquillo.” Be’. Più o meno.

Il volto dell’altro si apre in un sorriso sinceramente felice: “Ottimo! Ora Liam e Zayn dovrebbero tornare a momenti dal giro di ricognizione, per quello del pomeriggio ci siamo io e Huton.”

Mentre sta parlando pragmaticamente, il ragazzo biondo s’avvicina all’albero dalla corteccia spessa dietro Harry e, con un gesto secco, stacca la lancia conficcata nel legno.

Col pollice pulisce la punta macchiata di sangue e alza lo sguardo verso Louis: “Ci vediamo ‘sta sera.”

Si avvicina pericolosamente alla parte d’altopiano a strapiombo; i suoi piedi camminano sul filo del burrone, poi, in un balzo preciso, si getta dall’altra parte.

Gli occhi di Harry si spalancano e nella sua gola s’intrappola un grido che non fa in tempo a liberarsi poiché, il secondo dopo, dal vuoto riemerge una figura dorata.

Niall, aggrappato ad essa, lancia un lungo fischio divertito.

“Quello è Huton, nel caso te lo fossi chiesto.” Louis gli si avvicina, ma Harry è ancora in balia dello shock iniziale per riuscire ad aprire bocca.

Il ragazzo indica il drago dorato sul quale il cavaliere biondo è balzato: le sue ali, decisamente più tozze di quelle di Masha, sono sfumate di bianco e oro, il suo corpo è piccolo e le sue forme risultano decisamente pacchiane.

“È un drago ancora molto giovane” spiega Louis, al suo fianco:

“Ma presto crescerà e diventerà meno—meno Huton” ridacchia: “È una tortura averlo in giro per l’accampamento; è talmente goffo che fa cascare sempre tutto con la coda.”

“Dove—dove stanno andando?” domanda Harry, osservando il drago e il suo cavaliere diventare un puntino luminoso sempre più lontano, nel cielo.

“A compiere il giro di ricognizione. Anche se la guerra vera e propria si sta svolgendo dietro la Barriera a Nord, non è detto che qualche orda di Barbari non possa passare di qui.”

Rimangono un attimo in silenzio; Harry ora si sente stranamente tranquillo. Il sangue ha ricominciato a pompare normalmente, dentro le sue vene, e i dolori alla pancia sono spariti del tutto.

Solo la ferita sulla guancia continua a bruciare un po’, ma non è niente di eccessivo.

Louis gli batte una mano sulla spalla, scuotendolo improvvisamente: “Ora diamoci una mossa. Siamo già in ritardo.”

Harry annuisce e lo segue, avviandosi per un sentiero tra gli arbusti e le rocce.

 

È costretto a seguire Louis per un lungo sentiero brullo, in salita; nemmeno a dire che è sicuro di aver consumato tre quarti dei suoi polmoni solo per compiere il primo tratto.

“Con quelle gambe lunghe pensavo che camminassi più velocemente” gli ride in faccia Louis, metri più avanti.

Harry si appoggia ad una roccia per prendere fiato: sente il petto stringersi in contrazioni dolorose.

E pensare che non ha nemmeno iniziato l’allenamento vero e proprio.

Potrebbe scoppiare a piangere da un momento all’altro, ne è sicuro.

“Non—” prende una profonda boccata d’aria: “Non sento più l’aria—nght.. Alla, umpf, testa.”

“Oh, andiamo. Manca davvero poco, credimi.” Il cavaliere indica avanti, oltre una siepe: “Vedi quel fumo? L’accampamento è lì, ci siamo quasi.”

Harry fa segno di no con la testa. “Non ce la posso fare.”

“Sì, che puoi. O—” Louis lancia un’occhiata derisoria: “potrei portarti in braccio, principessa.”

Ottimo, un altro nomignolo: si conoscono solo da poche ore e questo è già il terzo.

Dèi, se non fosse che i suoi polmoni stanno letteralmente bruciando dal dolore, ora si scaglierebbe contro di lui e lo farebbe cadere a terra, picchiandolo a sangue.

(Non è sicuro che ci riuscirebbe, soprattutto considerando il fatto che Louis dei Tomlinson deve avere molta più massa muscolare di lui, ma. Il pensiero, in ogni caso, è consolatorio.)

L’ultima frecciatina è sufficiente per far rinvigorire le membra di Harry, che si raddrizza, respirando pesantemente.

“Non osare mai più chiamarmi così” lo apostrofa, puntandogli un dito contro.

Vede Louis scoppiare a ridere, ricominciando a camminare verso l’accampamento: “Va bene, va bene, mi scusi, Maestà” poi aggiunge, borbottando: “—verginello.”

“Ti ho sentito!” sbraita Harry: “Io sono il figlio del re, dannazione! Dovresti portarmi un po’ di rispetto!”

Ma, ovviamente, le sue parole non scalfiscono nemmeno lontanamente il cavaliere, che si limita a sbuffare.

“Sei un bambino, Harry: ed io non ho paura dei bambini.”

Lui non è un bambino: ha quasi compiuto la soglia della maggiore età e quanti anni potrà mai avere di più, il ragazzo che lo sta guidando attraverso quella selva? Non molti. (È anche più basso di lui, a dirla tutta.)

Quindi potrebbe anche smetterla di trattarlo così.

Vorrebbe potergli rispondere a tono, con impertinenza, perché non può seriamente lasciare che un cittadino qualsiasi del regno si permetta di rivolgersi a lui così, ma s’azzittisce lo stesso istante in una scossa fortissima fa tremare la terra sotto di loro.

"Che cos—?!” esclama, barcollando per non cadere al suolo.

Vede un’ombra scura cadere sul volto di Louis, che gli fa segno di rimanere in silenzio: delle voci, come ordini, sembrano provenire da dove dovrebbe essere l’accampamento.

Il ragazzo dagli occhi azzurri si volta verso di lui. “Andiamo, sbrigati” gli ordina, urgentemente.

Cominciano a salire più velocemente, Harry pare completamente dimenticarsi della fatica.

Osserva Louis farsi spazio tra i rami bassi, lasciando che gli graffino il volto e le braccia; si ferma improvvisamente solo quando il sentiero comincia a farsi meno visibile, più nascosto dalla polvere della terra.

Harry si ferma a pochi passi dietro di lui, spalancando gli occhi dal terrore.

C’è un drago, davanti a lui.

Ma—non è questo il punto; insomma, in tutta la sua vita ne ha solo sentito parlare e in una sola mattinata è già il terzo, che vede.

La cosa che lo lascia raccapricciato è che, questo enorme drago—almeno due volte la taglia di Masha—, èaccasciato letteralmente al suolo.

Sembra esausto, come se fosse caduto in picchiata da un’altezza considerevole per sfracellarsi contro quella montagna: è piegato su un fianco, ansimante, e decine e decine di frecce sono incastrate dentro la sua carne squamosa per quasi metà della loro intera lunghezza.

Sangue nero e denso cola dalle ferite sulle squame blu notte, sul muso decisamente schiacciato, sui denti seghettati, sulle ali intrise di tagli.

Una nuvola di terra si alza tutto intorno a lui: deve essere stato quella la scossa di prima, pensa Harry.

Decine di altri cavalieri stanno accorrendo tutto intorno al corpo del drago: estraggono le frecce, inumidiscono e ferite con unguenti che Harry non riesce a riconoscere; portano tutto lo stemma dell’Ovest, sul petto.

Le spade dondolano ai loro fianchi, mentre corrono da una parte all’altra dell’accampamento tra le brande sistemate tutte intorno a loro, fatte di legno robusto, coperte di pelle di animali conciate.

Gli uomini entrano ed escono da quelle, prendendo bende di lino, acqua, chiodi di ferro riscaldati per ricucire la pelle, urlano ordini a destra e a manca.

“Calum!” È il grido di Louis a risvegliare Harry dallo stato di trance in cui era caduto: vede un ragazzo dalla pelle mulatta—quello che stava urlando un qualche ordine ad un ragazzo dai capelli biondo sporco—voltarsi improvvisamente.

Il cavaliere dagli occhi azzurri non perde un secondo di tempo e, con poche falcate, lo raggiunge; Harry lo segue, frastornato. Che altro potrebbe fare?

“Cosa—” Louis si guarda intorno, lanciando continue occhiate agghiacciate al corpo dell’enorme drago, ansante: “—cosa è successo? Dove sono Zayn e Liam?”

Il ragazzo dalla pelle abbronzata scuote la testa, afferrando una catasta di panni di lino da terra: “Non lo sappiamo, Louis. È tornato solo Urich, in questo stato” guarda il drago: “ma non aveva in sella Liam.”

Harry rimane immobile: c’è qualcosa di atroce nello sguardo che s’è fatto spazio sul volto di Louis, ma. È solo un istante. Un piccolo, veloce istante: il secondo dopo, i suoi occhi hanno riacquistato tutta la compostezza e la lucidità che una Prima Sentinella è tenuta ad avere.

Ci vuole solo un secondo perché Harry capisca cosa il cavaliere dagli occhi azzurri stia facendo e, quando lo realizza, ne viene destabilizzato: Louis sta facendo il suo lavoro.

Sta mettendo da parte il sentimentalismo e cerca di mantenere la mente lucida per impartire gli ordini di cui i suoi compagni necessitano, nient’altro.

Come fa?

Quando aveva otto anni e stava giocando in cortile, Harry ricorda di essersi tagliato parte del palmo con un ferro arrugginito: era scoppiato a piangere talmente forte che l’intera servitù era accorsa, Gemma per prima.

Gli aveva detto di calmarsi, che sarebbe dovuto correre alla fontana e pulirsi il taglio immediatamente, per evitare infezioni, al posto di piagnucolare; lo aveva detto gentilmente, però, con praticità, mentre gli bendava la mano con un panno umido.

Non è mai stato bravo nel prendere decisioni lucide, lui.

Forse è per questo che suo padre ha sempre cercato di spingerlo oltre i limiti, di fare uscire l’uomo che era in lui; forse per questo era così felice di mandarlo a vivere con un guerriero vero e proprio.

Harry non lo sa, e non può fare altro che osservare Louis, con una morsa di gelosia che gli attanaglia lo stomaco perché lui non possiederà mai il sangue freddo di quel ragazzo: non sarà mai quel ragazzo.

Non sarà mai un bravo guerriero.

Non sarà mai un bravo re.

“Okay, okay” la voce del cavaliere lo strappa bruscamente dai suoi pensieri: è incredibilmente pragmatica. “Tu, Michael, Greg a Stan badate a Urich e assicuratevi che il veleno delle frecce venga rimosso” ordina, sbrigativamente.

Vede Louis voltarsi verso il resto dei cavalieri, che improvvisamente hanno fermato i loro rispettivi compiti per ascoltare le parole del loro capo:

“Io, Ashton e Luke andiamo cercare Zayn e Liam—Non c’è tempo di avvisare Niall. E, Harry.” Quello sobbalza, sentendosi chiamato in causa: “Tu devi rimanere qui. Mi saresti solo d’intralcio.”

Il ragazzo annuisce: è quasi sollevato di non dover seguire Louis in qualsiasi posto lui voglia andare perché, a giudicare dalle condizioni del drago, deve essere un posto abbastanza pericoloso.

“Non credo ce ne sarà bisogno!”

Qualcuno, tra i cavalieri, punta un dito in alto: il resto degli altri, compreso Louis, segue con gli occhi il movimento, finché non vedono qualcosa muoversi nel cielo.

Una piccola striscia rosata che si muove ondeggiante tra le nuvole rade.

“È Neevae!” grida il ragazzo dalla carnagione opaca.

Harry è costretto a socchiudere gli occhi per riuscire a mettere a fuoco la forma indistinta nel cielo: è un altro drago, poco ma sicuro, rosa pallido, incredibilmente lungo, flessuoso.

Come se il suo intero corpo non fosse altro che un’enorme coda; ha un muso affilato e gli occhi viola sono distinguibili persino da lì—non ha ali.

Non ha ali? Come fa un drago a volare, senza ali? È forse un—Oh.

Harry spalanca gli occhi; è un drago dell’Est.

Deve avere letto qualche libro a riguardo: animali rari da quelle parti, riescono a mantenersi in aria grazie al movimento ondulatorio costante del loro corpo e—Cos’altro? Non se lo ricorda.

È passato decisamente troppo  tempo dall’ultima volta che ha aperto un libro sulle creature del loro regno.

“Zayn è lì sopra?” “Sta cavalcando Neevae?” Sono solo poche delle domande che Harry riesce a distinguere tra i mormorii, che si azzittiscono di colpo solo quando, con un movimento fluido ed elegante, il drago s’appoggia a terra.

L’istante dopo, una figura salta giù dal collo dell’animale e casca a terra, trascinandosi qualcosa di pesante dietro: Harry percepisce il proprio sangue raggrumarsi dall’orrore.

È un corpo.

Quello che si è trascinato dietro è un corpo; insanguinato e pulsante.

È Louis il primo a farsi strada verso le due figure: “Zayn!” esclama: “Zayn, cosa è success—” si blocca nello stesso istante in cui vede ciò che Harry ha già visto.

“È vivo?” domanda, con una palpabile tensione nella voce.

Il ragazzo appena sceso dal drago annuisce impercettibilmente con la testa e cerca di rimettersi in piedi, barcollando appena: ha una grossa ferita sulla spalla destra.

“I Barbari—” si schiarisce la voce, sputando tra la polvere: “Erano otto. Ci hanno sorpresi nella valle.”

Si piega verso il compagno incosciente, tirando su il suo corpo: “Liam ha perso molto sangue, ma—respira ancora. Urich—”

“Si stanno già occupando di lui.”

“Mi dispiace—Io—avrei dovuto essere più attento, io—” lascia la frase in sospeso.

Louis annuisce, senza aggiungere niente; si volta improvvisamente verso gli altri.

“Cambio di programma,” esclama, non riuscendo ad evitare nemmeno un secondo di staccare lo sguardo dal corpo martoriato del compagno.

“Io, Greg, Luke e Calum andiamo a controllare che non ci siano superstiti tra i Barbari. Voi altri prendetevi cura di Urich e Liam. Harry, prima lezione:—” Louis indica la branda nella quale due ragazzi stanno trasportando il corpo del cavaliere:

“—medicazione. Michael t’insegnerà a ricucire una ferita e sterilizzarla, hai capito? Nella vita di un guerriero è molto più utile di quanto sembri, l’abbiamo sperimentato tutti.”

Il ragazzo annuisce, preso completamente alla sprovvista; Louis pare non notarlo.

“Ottimo,” si volta verso gli altri: “Prendete le spade e chiamate i draghi! Dirigiamoci all’altopiano!”

“Vengo anch’io.” Il cavaliere con la ferita alla spalla cerca lentamente di mettere un piede dietro l’altro ma inevitabilmente barcolla, cadendo al suolo: comincia a tossire.

“Non se ne parla!” gli urla Louis, dall’altra parte dell’accampamento, mentre si dirige verso il sentiero: “Harry, puliscigli la ferita e mettilo a dormire!”

“Ma—”

“Fallo!”  

Harry ha bisogno di un paio di secondi prima di afferrare sotto braccio il cavaliere ferito e cercare di trasportarlo fino alla branda che gli ha indicato prima Louis: un ragazzo dalla carnagione chiara si sta già occupando di Liam.

Deve essere Michael.

Altri si stanno occupando di Urich e—Neevae? È così che si chiama, il drago dell’Est? Estraggono punta di bronzo dalle loro squame e versi disumani escono dalle bocche nere degli animali; un liquido scuro sporca la terra.

Harry continua a trascinarsi dietro il cavaliere: l’odore del sangue gli riempie le narici ed è quasi tentato di piegarsi e vomitare nuovamente.

Caccia via il pensiero, mandando giù un boccone amaro.

Prima lezione:, si ripete nella testa, facendo più stretta la presa intorno al corpo dell’altro.

Sopravvivere.

 

 

 

 

            Harry si asciuga una goccia di sudore che cola giù per la curva del collo.

Rilassati, pensa, prendendo un profondo respiro.

La notte ormai ha spazzato via l’intero pomeriggio, e la luce della candela sopra il tavolo è davvero troppo fioca per poter pretendere che Harry riesca ad infilare il filo dentro il foro dell’ago di ferro.

“Stai andando bene, ma—vuoi che faccia io?” Michael appoggia una sua mano sopra quelle tremanti di Harry, sorridendogli; gli sfila gentilmente dalle mani ago e filo e, con un movimento netto, li incastra perfettamente.

Si libera dell’eccesso di spago con un morso secco. “Ecco, qua” esclama, porgendoglielo nuovamente: “Non è male, come tua prima volta—Harry, giusto?”

Il ragazzo dagli occhi verdi annuisce, scostandosi i capelli dalla fronte sudata.

Oh, ma chi vuole prendere in giro? È una frana nella medicazione; e i lamenti che emette il ragazzo semicosciente sdraiato sul tavolo davanti a lui ne sono la prova.

“Anch’io ci ho messo tanto tempo, per imparare, non vergognartene.” Michael gli batte una mano sulla spalla, con fare incoraggiante.

Harry sospira e lascia che l’ago si riscaldi per un po’ sopra la cima della candela, per assicurarsi che non lasci ulteriori ferite aperte.

“Grazie per—uh, sai. Avermi insegnato” borbotta, scuotendo la testa: si sente un tale idiota.

È un pomeriggio intero che sta cercando di aiutare quel ragazzo a curare il malcapitato ed è quasi scoppiato a piangere due volte—quando è stato costretto a scavare nella pelle del cavaliere ferito per tirare via la punta di una freccia—e ha quasi vomitato tre.

Ha cucito stortamente cinque punti, due dei quali si sono già allentati e probabilmente dovrà ripassarci sopra: Michael è stato gentile a supportarlo e ad indicargli quali fossero gli unguenti adatti, le piante mediche da utilizzare, tirando fuori vasi di vetro soffiato da un mobile in fondo alla branda.

Ma la verità è che è negato, in queste cose: Gemma sarebbe trecento volte migliore, senza dubbio.

“Nessun problema, amico.” Il ragazzo dalla pelle chiara gli lancia un sorriso sbilenco prima di alzarsi dal tavolo di lavoro e stiracchiarsi: le fiamme della candela creano strane ombre, sulle pareti ricoperte di pelli.

“Ora, uh, credo che andrò a vedere come se la passa Zayn—E Urich, e Neevae” continua, lanciando un’occhiata alla notte scura, fuori: “Tu—cuci quelle due ultime ferite e per ‘sta sera hai fatto.”

Harry annuisce e saluta un’ultima volta il ragazzo prima di vederlo sparire oltre l’ingresso ricoperto da una pelliccia conciata; si volta nuovamente verso il ferito, assicurandosi che l’ago sia sufficientemente caldo.

“Questo farà un po’ male—scusa” mormora, infilando la punta bollente dentro un labbro frastagliato di pelle.

Gli occhi del cavaliere straiato sul tavolo si contraggono in una smorfia di dolore: “Dèi—” ringhia, tra i denti.

Harry s’appresta a dare il primo punto: “Lo so, lo so—scusa. Adesso passa. Io—” sospira: “Non ho idea di cosa dire, è la prima volta che mi trovo in una situazione del genere.

L’altro ridacchia appena, tremando per il dolore. “Lo sospettavo.”

“Come, uh, va la testa?”

“Dolorante, faccio fatica a mettere a fuoco le cose—Mi brucia la gola” tossicchia: “Cos’era la roba che mi ha dato Michael? Sapeva di terra.”

Era quella dentro il barattolo lungo e affusolato, vero? Quello che conteneva—Dannazione, non se lo ricorda; finge di concentrarsi particolarmente sull’ago che trapassa la carne.

“Qualcosa per il veleno della freccia, non so esattamente cosa.”

“Capito.”

Il cavaliere stringe le palpebre ad una nuova cucitura da parte di Harry: se non altro, adesso ha aperto gli occhi.

Michael aveva cercato tutto il pomeriggio di svegliarlo per assicurarsi le che il veleno non fosse già circolato al cervello, per un po’ aveva creduto il peggio: poi, lentamente, il ragazzo aveva cominciato a tossire, socchiudendo le palpebre.

La gioia che aveva provato Michael in quel momento aveva sorpreso persino Harry.

Se ci ripensa, non può fare a meno di osservare il ragazzo, di sottecchi: il cavaliere ferito non deve essere molto più vecchio di lui e sicuramente più giovane di Louis. Ha i capelli corti, marrone tenue come gli occhi; la carnagione è chiara e il petto ampio si alza e si abbassa, ricoperto di ferite e macchie violacee.

“Come stanno Urich—e Zayn?” domanda improvvisamente il ragazzo, borbottando.

Harry scuote la testa, sobbalzando: “Oh, sì, be’.” Cerca di fare mente locale: “Il drago non troppo male—da quanto ho capito sono riusciti ad estrargli tutte le frecce e a bloccare il veleno. Zayn, sta dormendo.”

“È ferito?”

“È messo meglio di te, questo è certo.”

L’altro ridacchia, per poi sibilare un verso di dolore quando Harry passa due volte sulla stessa cucitura.

Rimangono in silenzio per un paio di minuti, mentre l’ago continua a scorrere imperito sulla carne arrossata; Harry taglia il filo in eccesso con un coltello trovato su una mensola, e s’appresta a cominciare con la seconda ferita sulla spalla.

“Tu devi essere il ragazzino che il re ha affidato a Louis. Il figlio del re” mormora improvvisamente il ragazzo dagli occhi marroni, pensieroso: “Harry degli Styles, no?”

“Uh uh.” È troppo concentrato a scaldare la punta dell’ago per prestargli attenzione.

“Io sono Liam, comunque. Seconda Sentinella” tossisce, sorridendo appena: “Piacere di conoscerti.”

Harry alza lo sguardo, divertito: “Piacere tutto mio—Uhm, avrei preferito che le presentazioni fossero avvenute in un altro contesto, ma mi accontento.”

Il cavaliere, Liam, scoppia a ridere e poi si trova costretto a mugugnare per il dolore provocatosi: “A chi lo dici.”

“Beneee,” Harry infila la il filo nel foro dell’ago, al primo colpo: “adesso ti farò male di nuovo.”

“Posso resistere.”

“Non ne dubito.” Infila la punta di metallo in una nuova, slabbrata ferita: Liam si limita a stringere forte gli occhi, ma non emette un fiato.

“Come—” domanda, poco dopo, quasi come se stesse cercando di distrarsi dal dolore: “—stanno le ali di Urich? I Barbari gli hanno scagliato addosso tante frecce, ho avuto paura che non fosse mai più in grado di volare.”

“Bene,” ovviamente Harry non ne ha la più pallida idea, ma gli sembra giusto cercare di rassicurarlo: “vi hanno proprio colto di sorpresa, eh?” chiede poi, per sviare l’argomento.

I suoi occhi socchiusi continuano a seguire l’ago: deve cercare di non allentare il filo nemmeno per un secondo, altrimenti la ferita si riallargherebbe e sarebbe costretto a ricominciare tutto daccapo.

“Non ce l’aspettavamo.” Liam sospira, puntando lo sguardo sulle ombre proiettate dalla candela sulla parete opposta: “Eravamo scesi a controllare le grotte sulla fiancata Sud delle montagne. Avevamo lasciato i draghi sugli speroni di roccia ed improvvisamente...”

Non conclude la frase: sembra quasi perso nei suoi ricordi, ricordi che gli gettano un’ombra scura, sul volto.

Harry finge di non accorgersene, continuando a cucire, ma non può fare a meno di chiedersi a che cosa stia pensando quel ragazzo, cosa abbia provato quando i Barbari li hanno attaccati improvvisamente.

Confusione? Paura? No, le Sentinelle non sono addestrate sotto questi principi; forse aveva semplicemente provato la stessa sensazione di Louis quando lo avevano avvisato che due suoi compagni erano spariti: l’esigenza di mettere da parte la sfera emotiva per tenersi lucido e agire.

“È la prima volta che i Barbari vengono nell’Ovest?” domanda allora, poco dopo.

Percepisce Liam emettere un sibilo basso: “No, no. All’inizio della guerra era più comune vederli cercare di oltrepassare il confine del regno passando di qui, ma—erano anni che non ne arrivavano così tanti. Da quando il campo di battaglia vero e proprio s’è spostato alla Barriera a Nord, è molto raro vederne alcuni sugli altri tre versanti.”

Harry annuisce: “Io—” si morde il labbro inferiore, riflettendo su quello che vuole provare a dire: “non ho mai visto un Barbaro.” Tossicchia: “Sono, uh, davvero come raccontano le leggende?”

È una domanda piuttosto frivola, lo sa bene: ma la curiosità lo spinge a non curarsene.

“Be’” Liam alza gli occhi al soffitto della branda: “tu cosa hai sentito dire?”

“Uhm—Dicono che portino maschere nere e le loro armi siano fatte di ferro fuso con ossa. Che la loro pelle sia macchiata d’inchiostro e piena di crepe perché si nutrono di cenere.” Si ferma un attimo: “Che non venerano dèi, ma onorano la guerra come unica sovrana del mondo, che—praticano la magia e bruciano i cadaveri dei loro morti nel sangue bollente.”

I racconti che origliava durante le conversazioni dei cavalieri con suo padre sono molti di più; un giorno aveva addirittura sentito un uomo dire che il capo dei Barbari, Othrod il Nero, aveva fatto bruciare tutte le foreste delle loro terre solo per oscurare il sole con il fumo.

Fa una pausa, scacciando i ricordi: “È vero?”

Improvvisamente, Liam si tira su col busto, trattenendo mugugni di dolore e facendo scivolare l’ago di Harry dalle sue mani: la ferita, in ogni caso, ora è completamente cucita.

“Harry,” comincia, piegando appena la testa di lato: “credo che tutto ciò che tu abbia da chiedere,  dovresti chiederlo a Louis. Io, uhm. Io non sono il tuo mentore, non posso dirti niente.”

Il ragazzo dagli occhi verdi lo ignora: “È così, vero?! Sono creature che vivono sotto terra, non umani.” Sente le proprie spalle cominciare a tremare e la voce incrinarsi dalla paura.

Con un colpo secco stacca il filo in eccesso e getta il coltello lontano, sul pavimento, mentre si prende la testa tra le mani e spalanca gli occhi: il respiro gli viene meno, mentre terribili immagini si aprono nella sua mente.

Corpi squartati, lui fatto prigioniero dai Barbari, assassinato e morto.

“Mi uccideranno” sussurra, tremante: “Mi uccideranno, io non volevo nemmeno diventare un soldato, io non volevo, io non—”

“Ehi, ehi!” Due mani gli afferrano saldamente le spalle, immobilizzandolo.

I suoi occhi vitrei s’incontrano con quelli seri di Liam, che lo guarda con sguardo indecifrabile.

“Respira” gli ordina, cercando di calmarlo: “La guerra fa paura a tutti, cosa credi?”

Harry si costringe a calmarsi, ma non riesce a dire una parola; lentamente stacca le mani dalla testa e le tende, rigide, lungo il busto. Percepisce l’adrenalina della paura lasciare lentamente il suo sangue, tornando a farlo respirare normalmente.

“Mi dispiace” sussurra: “Non volevo, io—Non mi sento ancora pronto per tutto questo.”

Liam decide di rimanere in silenzio per un paio di secondi, osservandolo con sguardo indecifrabile. “È normale.”

Non è normale” sbotta, staccandosi rudemente dal corpo dell’altro: “Io un giorno dovrò governare su di te! Sulla tua famiglia” si passa una mano sul volto, coperto da un sottile strato di sudore: “Non posso riuscirci, non posso. Io non volevo questo.”

Rimangono un attimo in silenzio, il rumore dello sfrigolio della fiamma che riempie l’aria.

“La prima volta che ne ho incontrato uno—” la voce improvvisa dell’altro ragazzo è fredda e forte, come se cercasse di sovrastare gli stessi pensieri di Harry.

“—le mie gambe hanno smesso di muoversi” si ferma, osservandosi una mora violacea sull’avambraccio:

“Un Barbaro stava correndo verso di me, con l’ascia in aria, ed io non riuscivo a muovermi. Mi sembrava che il terreno avesse trasformato in pietra le mie gambe e che io non potessi farci niente.”

“Ti ha ferito?”

“No.” Rialza lo sguardo: “Mi ha salvato Zayn, che a quel tempo era il mio mentore. Gli ha piantato la spada nel collo e tutto il suo sangue mi è schizzato in faccia, accecandomi, quasi.”

Rimane in silenzio e prende un profondo respiro, prima di ricominciare: “Michael, la prima volta che ha dovuto aggiustare un osso rotto, s’è quasi messo a vomitare. Calum e Luke non sono usciti dalla branda per tre giorni interi, dopo aver visto un loro compagno morire. Non ti dico per quante ore di fila Stan ha preso a pugni una quercia, quando il suo drago è stato ucciso o per quando tempo ha tremato Niall, quando ha scoperto che il villaggio in cui abitava la sua famiglia era stato preso dai Barbari.”

Sospira: “La paura è normale. L’abilità di un guerriero sta nel saperla controllare.”

Harry abbassa gli occhi sul pavimento di legno, osservando delle gocce di cera colateci sopra.

“Io non posso controllarla.” Ne sono stato schiavo tutta la vita, vorrebbe aggiungere, perché è la verità; ma decide di rimanere in silenzio.

“Sì, che puoi. Prima o poi imparano tutti.”

Si guardano. Il secondo dopo, la tenda della porta viene aperta improvvisamente e Michael fa il suo ingresso, ansante.

“Louis e gli altri sono tornati” annuncia.

 

 

 

 

            Harry rifiuta l’ennesimo boccale di vino che gli viene offerto.

Lui non può bere vino, perché ha ancora l’anello appeso al collo e un voto che deve essere mantenuto, ma a quanto pare nessuno se ne accorge, in quel rude banchetto che stanno facendo intorno al falò, sotto le stelle.

Louis è seduto a terra, tra i compagni; ride, beve e stacca coi denti gli ultimi pezzi di carne abbrustolita da un osso di qualche animale che Harry non riesce a riconoscere: ha un sapore troppo forte, per lui. È sicuramente carne di selvaggina, cacciata e poi utilizzata come cena.

Essendo abituato ai sapori tenui della cucina del castello, quelli dell’Ovest gli sembrano fuoco, in bocca.

Calum e Luke—si chiama Luke, vero?—stanno intonando, abbastanza brilli, una qualche canzone sulle pietre runiche, di quelle che si cantano per addormentare i bambini nelle loro culle.

Ridono e festeggiano poiché, da quanto ha capito dal breve discorso che ha fatto Louis appena tornato all’accampamento, sono riusciti a stanare un’intera colonia di Barbari nascostasi dentro delle crepe ai piedi delle montagne.

Oltre ovviamente a quelli che avevano attaccato Liam e Zayn.

Harry lancia un’occhiata verso di loro: si sono appartati poco più lontano dal resto del gruppo e la luce del falò li illumina appena; da quanto ne può capire stanno parlando, e il ragazzo dalla carnagione più scura continua a fissare con aria preoccupata le ferite che s’intravedono dalla maglietta di lino dell’altro.

Appena sente intonare una nuova canzone da parte di quei due (al coro ora s’è aggiunto anche un altro ragazzo dai capelli marrone, Stan?—Dèi, non riuscirai mai a distinguerli tutti—) Harry capisce di averne abbastanza.

Si scrolla di dosso il piatto dove giace la sua cena ancora completamente intatta e si alza, in cerca di un posto tranquillo dove compiere le sue preghiere.

S’avvia oltre al sentiero, scendendo giù per la montagna, fin quando non arriva allo spiazzo dell’altopiano a strapiombo.

I canti e le risate sembrano lontane centinaia di metri.

Sospira, utilizzando l’unica luce della luna per trovare un masso abbastanza piatto sul quale sedersi.

Vorrebbe poter essere nel tempio di casa sua, nella reggia, poter pregare a dovere: con le candele, le Scritture e tutto il resto, ma si deve accontentare.

Un brontolio basso proviene alle sue spalle nello stesso istante in cui tira fuori l’anello di ferro sepolto sotto i suoi vestiti, appeso al collo; si gira di scatto.

“Oh, sei tu.”

Vede Huton emettere un nuovo brontolio e gli zampettargli a fianco, con un rumoroso pat pat delle sue grosse, goffe e tozze zampe.

Harry cerca di ignorarlo, congiungendo le mani davanti al volto e socchiudendo gli occhi, ma il drago ha cominciato a strusciare la sua enorme testa contro il suo fianco, facendolo dondolare.

“Che vuoi?” domanda allora, scocciato. L’animale sbuffa di nuovo e batte i piedi a terra, facendo alzare la polvere.

Il ragazzo si concede un istante per osservarlo: è molto meno spaventoso di Masha, questo è poco ma sicuro.

Sembra più che altro uno di quegli enormi cani da compagnia che giocano per le strade della sua città: la bocca perennemente socchiusa, ansante, gli occhi vivi che ruotano a destra e a manca per riuscire a trovare un nuovo oggetto per giocare.

Huton, oltretutto, continua a scrollare la testa e più di una volta i suoi piccoli corni rischiano di ferirgli la faccia; Harry si ritrova a dover appoggiare una mano sul suo viso giallo per allontanarlo di qualche centimetro.

“Ehi, calmati. Non ho voglia di giocare” gli mormora, percependo coi polpastrelli le scaglie lisce: lo accarezza e quello pare immediatamente tranquillizzarsi, chiudendo finalmente il muso e nascondendo i grossi denti appuntiti.

“Non posso credere che un giorno dovrò occuparmi di un coso ingombrante come te” borbotta, osservando il drago accucciarsi a qualche metro di distanza, avvolgendosi nelle sue piccole ali e aggrovigliandosi intorno alla propria coda.

L’animale sbadiglia, spalancando le enormi fauci, poi sbatte più volte le palpebre, prima di chiudere definitivamente i grossi occhi gialli; Harry—senza nemmeno accorgersene—alza gli angoli della bocca verso l’alto.

È proprio un cucciolo di drago: in confronto a Urich o Neevae sembra solo un fagotto.

“Sua Maestà il Principe sta sorridendo?”

Harry si volta verso il sentiero, giusto in tempo per vedere Louis avanzare verso di lui, con dei lunghi rami tra le braccia: lo sente ridacchiare, divertito.

“Pensavo che ci fossi nato, con quel muso lungo. Ed ora ti vedo addirittura sorridere. Potresti uccidermi, ragazzino.”

“La smetterai mai di chiamarmi così?” domanda esasperato, cercando di controllare il suono della voce per non svegliare il drago.

Il cavaliere dagli occhi azzurri getta la catasta di legna lì accanto, sedendosi poi al suo fianco:

Verginello è attualmente il mio preferito. Sua maestà preferisce questo?”

Harry vorrebbe davvero, davvero tanto poter rispondere a tono o se non altro farlo tacere, ma Louis non gli dà tempo nemmeno di replicare che già lo precede: “—Comunque, uh. Ho sentito che hai fatto un buon lavoro con Liam.”

“È stato Michael a fare quasi tutto” mormora, a mo’ di scuse, mentre abbassa lo sguardo sui propri piedi.

“Sicuro. Ma—un buon assistente può fare la differenza, Harry. Non dimenticarlo mai.” Louis rimane un attimo in silenzio, lasciando che il suono ovattato dei canti all’accampamento riempiano l’aria notturna.

Alza un dito, indicando i rami spessi appoggiati sulla terra: “A proposito di assistenti—Portami questi rami all’accampamento, bisogna ravvivare il fuoco per la notte.”

Oh, grandioso. Come no.

“Adesso devo pregare.” Harry incrocia le braccia, in un gesto che può essere facilmente tradotto con non ho intenzione di muovermi da qui.

Vede Louis alzare un sopracciglio: “Pensavo che avessimo messo in chiaro che devi fare tutto ciò che ti dico.”

“Non mi alzerò fin quando non avrò finito—Gli dèi sono irascibili, se non si fanno offerte e preghiere quotidianamente.”

Cerca di mantenere un’espressione seria e neutrale anche quando la risata del cavaliere gli riempie le orecchie: be’, deve ammettere che è piuttosto difficile così, dannazione.

“Che hai tanto da ridere?” domanda, schietto, cercando di nascondere la propria irritazione.

Louis si batte una mano sul petto, come se cercasse di riprendere il respiro: “Tu” esala. “Tu, Harry e i tuoi dèi—Pensi,” improvvisamente il suo volto diventa serio, si piega in una smorfia indecifrabile sotto i raggi tenui della luna: “davvero che ai tuoi dèi interessi qualcosa, di noi?”

“Gli dèi salvano chi li venera.” Non crede sia una risposta propriamente attinente alla domanda, ma più una nozione inculcatagli a forza, per tutta la sua vita; è ciò che gli hanno sempre ripetuto, se non altro.

Louis emette un sibilo basso, tagliente e divertito. “Sei proprio un ragazzino” c’è asprezza nella sua voce: “Impari le cose a memoria senza nemmeno capirle, lasci che due lettere scribacchiate su della pergamena condizionino tanto la tua vita da castigarla—”

Mentre il ragazzo parla, si avvicina a Harry e, prima che quest’ultimo possa anche solo accorgersene, gli ha afferrato la corda dell’anello che tiene al collo e l’ha tirato fuori dalla sua casacca di lino, guardando bieco.

Il ragazzo dagli occhi verdi sussulta, strappandogli via l’oggetto dalle mani e risistemandoselo sotto i vestiti; incrocia gli occhi di Louis che lo scrutano in silenzio, nella notte.

“Scegliere di essere un Vergine non è una castigazione—È. Uhm. Un’offerta.”

“Come ti pare, verginello.”

Louis si alza, facendo tintinnare la fodera della spada contro la sua cintola: si afferra entrambe le mani, stiracchiandosi verso l’alto ed emettendo un lungo mugugno appagato.

La stoffa della sua casacca pare modellarsi sopra i muscoli tonici della schiena, rendendoli visibili in parte: Harry incassa la testa tra le spalle, ma non può fare a meno di seguire i movimenti dell’altro—di soppiatto—chiedendosi ancora una volta dove sia la cicatrice.

Non è riuscito a pensare ad altro, nelle ultime ore: quella ferita perlacea che aveva intravisto sul corpo compatto di Louis, al banchetto, e che serpeggiava sulla sua pelle.

Inconsciamente, si domanda se la cicatrice arrivi fino alla sua schiena, gli avvolga il corpo come un marchio; se gli bruci ancora il ricordo di come se l’è procurata.

Potrebbe chiederglielo, ma è molto probabile che Louis lo cacci via con qualche commento aspro, quindi e meglio non sprecare fiato.

“Sei davvero inquietante quando mi fissi.” La voce divertita del cavaliere lo riporta bruscamente alla realtà; il ragazzo s’è voltato e lo sta squadrando con un sogghigno stampatogli sul volto.

Le guance di Harry si colorano immediatamente di rosso, mentre distoglie lo sguardo: finge di grattarsi la guancia mentre borbotta un: “Non ti stavo fissando.”

Ma deve sempre sembrare così impacciato? Dannazione.

“Oh, oh” Louis afferra la catasta di legna da terra, con uno sbuffo: “Sì, che lo stavi facendo. Come al banchetto; mi fissavi. Era—davvero divertente.”

Harry lo guarda, aggrottando un sopracciglio: “Divertente?” gli fa eco.

Cosa vuol dire divertente? Per lui, tutta questa situazione, è tutt’altro che divertente.

Harry ci prova, ce la sta mettendo tutta, ma proprio non lo capisce: quel ragazzo dagli occhi azzurri è incomprensibile.

Completamente squilibrato, eppure pratico ed affidabile. Con un umorismo discutibile, e allo stesso tempo premuroso e un combattente provetto, considerando che è la Prima Sentinella dell’Ovest.

Sempre vigile, eppure considera divertente qualcuno che lo fissa di soppiatto.

Harry ci rinuncia. Non ha idea di come sia messa la casata Tomlinson, ma se è questo l’erede, pregherà per loro. Senza dubbio.

Louis gli getta, senza troppe cerimonie, la catasta di rami sulle ginocchia, facendolo sobbalzare.

“Questi li porti te, principessa” esclama, per poi si avviarsi verso l’altro lato dell’altopiano con l’intento di raccogliere altra legna.

Le mani di Harry si muovono prima che il cervello abbia processato il tutto: afferra il primo bastone abbastanza lungo ed appuntito che i polpastrelli delle sue dita percepiscono e si alza di scatto, facendo cascare gli altri tra la terra, con un rumore secco.

Con un paio di falcate riesce a raggiungere Louis, piegato su un arbusto rinsecchito mentre cerca di staccarne i rami, e gli infilza la punta del suo bastone contro la schiena, giusto un po’.

Il cavaliere si raddrizza all’istante. Non sembra spaventato o sorpreso, nemmeno lontanamente, anzi; non si prende nemmeno la briga di voltarsi e guardare Harry negli occhi.

“Davvero?” domanda, divertito, mentre continua a smistare i propri rami: “Vuoi sfidarmi a duello?”

La mente di Harry è leggermente annebbiata e percepisce il proprio sangue pulsare sotto le tempie: che cosa sta facendo? Cosa gli è preso?

Ma, per quanto il buonsenso gli ripeta di abbassare quel dannato bastone ed eseguire semplicemente ciò che Louis gli ha ordinato di fare, il suo braccio non riesce proprio a piegarsi: rimane teso, in segno di sfida, e la punta del ramo continua a pizzicare la casacca dell’altro.

“Allora?” la voce di Louis è ancora divertita, ma è distinguibile una punta d’irritazione: “In un vero combattimento saresti morto nel giro di qualche secondo.”

“Sono bravo con la spada.” Harry si raddrizza nelle spalle: “Ho preso lezioni.”

“Non saranno sufficienti, in guerra.”

“Proviamo.”

Louis sbuffa, poi ridacchia: “Perché lo stai facendo?” domanda, cercando di lanciargli un’occhiata da sopra la spalla.

Harry si morde l’interno della guancia, riuscendo a sentire i propri muscoli tremare dalla voglia di combattere: è una sensazione nuova, eccitante e spaventosa. Lui odia combattere. Odia la spada, la guerra, i guerrieri.

Cos’è, allora, questo senso che gli ha intrappolato le spalle e la bocca dello stomaco? Si sente febbrile.

Scuote la testa: deve calmarsi.

“Voglio che cominci a portarmi più rispetto” sibila, rendendo più stretta la presa intorno al ramo.

Questa volta, Louis scoppia davvero a ridere, ma è giusto per un secondo: quello dopo, infatti, s’è già piegato sulle ginocchia e ha afferrato un nuovo bastone della stessa grandezza di quello di Harry.

Si volta, facendolo ruotare da una mano all’altra, e carica contro Harry, che, dopo un attimo di stordimento, riesce a frenare all’ultimo secondo il colpo di Louis, bloccando il bastone con il suo, di traverso.

Si guardano, ora improvvisamente vicini.

“Me la cavo bene” sibila.

Il cavaliere dagli occhi azzurri sbuffa: “Vedremo.”

Fa scorrere tutta la lunghezza del ramo contro quello dell’altro e poi si stacca improvvisamente, cercando di colpirlo un po’ più in basso: Harry, con un abile movimento di gambe, riesce a schivare il colpo ed indietreggia di qualche passo, prima di afferrare la propria arma con l’altra mano e cercare di colpire la parte scoperta di Louis.

Quello emette un gemito sorpreso, ma fa in tempo ad evitare la punta aguzza del pezzo di legno.

Riafferra velocemente l’equilibrio, caricando nuovamente: tende il bastone verso Harry con un affondo netto.

Il sibilo dell’aria precede il movimento, e in un battito di ciglia il ragazzo dagli occhi verde spalanca le palpebre, vedendo la punta del bastone avvicinarsi: piega il busto all’indietro e trattiene il fiato.

Sente il ramo sfiorargli appena il petto, per poi ritirarsi il secondo dopo: lui è più veloce.

Afferra con la mano libera l’estremità del proprio ramo e intrappola il polso di Louis ancora teso sopra di lui tra la morsa del bastone e il proprio petto; gli occhi azzurri dell’altro si spalancano per un attimo, prima che il suo intero corpo venga trascinato da Harry verso il basso.

Ruota il corpo, usando come perno il polso e facendolo cadere di schiena sulla polvere della terra: le palpebre di Louis si strizzano per un secondo, cercando di attutire il dolore per la caduta, ma le sue mani sono già in cerca dell’elsa della propria arma, per ribaltare la situazione.

Harry preme un ginocchio accanto al suo fianco e gli blocca il polso che regge il ramo lontano dal suo volto, con l’altro gomito gli blocca la spalla contro il suolo e con le gambe immobilizza le sue.

Guarda Louis, sotto di lui, ansante: percepisce il suo petto alzarsi e abbassarsi contro il suo, il suo respiro sulla pelle sudata.

“Sono bravo, ammettilo.” Sussurra, cercando di riprendere fiato.

Vede Louis alzare le sopracciglia, poi tutto avviene in un secondo.

Il pugno libero del cavaliere raccoglie una manciata di polvere e terriccio dal suolo, per poi gettarla contro il volto.

Harry sibila, sentendo gli occhi bruciargli improvvisamente. È costretto a chiuderli per il fastidio; Louis approfitta del momento per sgusciare via dalla sua presa e riafferrare il bastone saldamente.

Spinge il ragazzo al suolo con un calcio per assestato, bloccandogli le spalle contro l’erba rada e secca.

Quando gli occhi verdi di Harry si riaprono, ci mettono ancora un paio di secondi per mettere a fuoco il tutto: Louis è in piedi sopra di lui, con le gambe ben piantate ai lati del suo bacino e sorride sornione.

Preme la punta aguzza del ramo all’altezza della sua gola, con sincero entusiasmo. Probabilmente perché sa di aver vinto: l’arma di Harry è stata praticamente calciata via e lui lo sta tenendo sotto torchio con quel dannato bastone.

“Giochi sporco” mormora il ragazzo dagli occhi verdi, cercando di togliersi gli ultimi residui di polvere dagli occhi.

Sente l’altro ridere sommessamente, prima di allontanare l’arma e fare un passo indietro: alza gli occhi blu all’immenso cielo stellato e, portandosi due dita alla bocca, tira un lungo, vibrante fischio al vento.

Lascia che il suo sguardo ricada su Harry: “Preferisco il termine cercare di vincere.”

Harry sbuffa, cercando di rialzarsi, ma un’improvvisa folata di vento lo getta nuovamente con le spalle al suolo: un’enorme sagoma scura s’è appena materializzata sul fianco della montagna e sta sbattendo le sue gigantesche ali contro di loro, facendo addirittura muovere le cime degli alberi.

“Piccola!” sente Louis esclamare, per sovrastare il rumore delle foglie che sfregano tra di loro.

Harry stringe forte gli occhi e si morde l’interno della guancia per trattenere un qualsiasi commento possa fuoriuscire dalla sua bocca perché, davvero? Da quando un drago delle dimensioni di Masha può essere chiamato piccola?

Non importa il fatto che sia un nomignolo affettuoso. Non si può definirla piccola.

Socchiude a malapena una palpebra per riuscire a scorgere il cavaliere dagli occhi azzurri riuscire a montare sull’animale afferrando un corno alla base della nuca scura.

Masha scuote l’enorme testa ed emette un brontolio sommesso prima di continuare il suo volo.

Si alza verticalmente, quasi come se volesse puntare alla luna stessa, e si muove ruotando su se stessa: Harry è costretto ad alzare il naso verso l’alto per vedere la sagoma nera brillare contro la luce delle stelle.

Non crede che ce ne sia effettivo bisogno, poiché l’urlo prolungato ed entusiasta di Louis è udibile persino da lì, a terra.

Nonostante tutto, non può fare a meno di sorridere: Masha, quando arriva all’altezza ideale per essere illuminata dal cielo, esegue una perfetta giravolta e Louis si stringe più contro il corpo squamoso del destriero.

I suoi capelli sono sparati in tutte le direzioni, mentre seguono liberi il vento.

Harry cerca di rialzarsi da terra, scrollandosi la polvere dai pantaloni.

Masha emette un rauco verso, mostrando i denti bianchi: le ali si tendono nell’aria, diventando lucide come cuoio; l’istante dopo si ristringono contro il suo corpo, avvolgendolo.

Louis le urla qualcosa che Harry non riesce a distinguere chiaramente: vede però il drago lasciarsi cadere in aria, con la testa che punta dritto verso terra.

Cade in picchiata proprio verso Harry ad una velocità tale da farlo quasi terrorizzare: che diamine sta facendo? Perché quello stupido drago non vola?

Indietreggia, improvvisamente spaventato, quando vede le narici scure di Masha farsi ogni secondo più vicine: inciampa in una roccia e cade nuovamente a terra, parando una mano verso l’alto e stringendo gli occhi, quasi cercasse di proteggersi.

Piega il volto in una smorfia, trattenendo il respiro, mentre attende l’imminente schianto.

Che, però, non arriva.

Al contrario, Masha spalanca le ali a poche decine di metri dal suolo: Harry riesce a percepire la terra tremare, intorno a sé.

Un’enorme, liscia e squamosa coda gli avvolge il busto prima che possa accorgersene e in un batter d’occhio si ritrova trascinato in aria, dondolante.

Tira un grido fortissimo, ma che viene rimpiazzato l’istante dopo dalla risata di Louis.

“Tranquillo, principessa, Masha sa come prendersi cura dei nuovi arrivati!” lo sente gridare.

La presa intorno al suo corpo si fa un po’ più stretta, tanto che una sensazione di vertigini e vomito comincia a farsi strada all’interno del suo stomaco; osserva il terreno sotto di sé farsi sempre più distante e piccolo, rimpiazzato da nuvole rade.

Il rumore del vento che gli stordisce la mente.

Stanno salendo a velocità inimmaginabile. Sente che sta per vomitare. Sta sicuramente per vomitare.

(Butta giù un boccone amaro, costringesi a serrare gli occhi e ad aumentare la presa con entrambe le braccia intorno alla coda liscia di Masha.)

“Fammi scendere!” grida, col fiato corto.

Louis scoppia a ridere e: “Uh, afferrato!” gli risponde e il secondo dopo sussurra qualcosa al drago.

La coda, come un enorme serpente, prende a muoversi sinuosamente in aria, e il corpo di Harry viene letteralmente lanciato nel vuoto, molto più in alto di quanto non sia effettivamente Masha.

Harry trattiene il respiro, e si morde la guancia fino a farla sanguinare per riuscire a trattenere un altro urlo, costringendolo a rimanere intrappolato nella sua gola: le mani cercano disperatamente qualcosa, su cui potersi aggrappare, ma non incontrano altro se non la fredda aria notturna.

Passano secondi che sembrano ore, prima che riesca ad atterrare di schiena, con un tonfo sordo: il colpo è molto meno doloroso di quanto non si aspettasse.

È morto.

È sicuramente morto; sfracellato al suolo.

Dopo nemmeno un giorno di addestramento: deve aver battuto una qualche sorta di record per essere morto così in fretta.

“Apri gli occhi, principessa!”

Una risata cristallina gli riempie le orecchie: anche Louis è morto?

No, non è possibile.

Harry, molto lentamente, socchiude le palpebre, ritrovandosi accoccolato vicino al grembo del cavaliere dagli occhi azzurri.

Si raddrizza improvvisamente, squittendo.

Louis gli fa un cenno del capo: “Tieniti, adesso voliamo un po’.” E lo invita a stringere le braccia intorno alla sua vita.

La luce delle stelle è fioca, i puntini luminosi che intersecano il cielo si potrebbero unire a formare centinaia di costellazioni diverse: la luna sembra adagiata tra le schiumose nuvole scure, la sua luce è opaca, mentre filtra le nubi.

C’è odore di pino selvatico, nell’aria: Harry inspira a pieni polmoni, un misto d’eccitazione a scaldargli le vene dalla notte.

L’odore della pelle di Louis è a qualche centimetro di distanza dal suo naso, forte e dolce, e i suoi capelli profumano di sapone.

Socchiude gli occhi, cercando di mettere a fuoco il magnifico paesaggio, sotto di loro.

Un lago d’acqua grande come il mare intero riflette la luna come uno specchio, sembra uno spicchio di cielo incastrato tra le rocce: brillante e luminoso.

La superficie s’increspa quando Masha ci passa sopra, ad appena qualche decina di metri di distanza, e migliaia di onde piccole si formano per un istante rincorrendosi fino a scomparire; Harry allunga un poco il collo, giusto per vedere il suo riflesso essere deformato dalle onde.

La sagoma nera di Masha si alza il secondo dopo, sotto l’ordine divertito di Louis.

L’animale sbatte le enormi ali, e l’acqua schizza dappertutto, alzandosi per metri interi: bagna il volto di Harry e il ventre del drago e i capelli scuri del cavaliere.

“Ti stai divertendo?” È l’urlo di Louis, sopra il rumore del vento, che gli giunge alle orecchie.

Harry, in risposta, tira un grido forte misto ad una sincera risata, che va a riecheggiare tra le montagne, il lago e le foreste. Louis ride più forte e lo guarda da sopra la spalla:

“Lo prendo come un sì.”

E, , pensa Harry, dovrebbe prenderlo davvero.

Ma è troppo orgoglioso per ammetterlo.

 

Riatterrano poco dopo, i cavalieri ormai sono già tornati alle proprie brande per la notte: le ceneri del falò sono ancora calde e sparpagliate dappertutto, tra la legna bruciata e rinsecchita.

“Bentornati dalla passeggiata, eh.”

Harry riesce a scorgere, nella penombra, un ragazzo che si sta preoccupando di risistemare le ultime cataste di legno in una piccola fossa del terreno: si piega e si rialza, sollevando almeno venti rami massicci per volta.

Non può fare altro che spalancare gli occhi: è il ragazzo che cavalcava quel drago dell’Est, ne è sicuro. La sua ferita alla spalla sembra completamente guarita o, se non altro, cucita.

Diamine, quel Michael deve essere davvero bravo con ago e filo: la cicatrice si vede appena.

Harry si concede qualche secondo per osservarlo: è alto, molto magro, la pelle è dello stesso colore della terra.

I capelli corvini sono legati in una piccola coda dietro la nuca e i lati della sua testa sono completamente rasati: lasciano perfettamente intravedere sue paia di orecchie piccole, coi lobi solcati da piccoli pezzi di legno lavorato finemente.

È una tradizione dei popoli del Sud, giusto? Quella di bucare le orecchie con un coltello bollente ai bambini appena nati—Harry ne è sicuro. Deve aver letto qualcosa a riguardo, nella biblioteca del castello.

“E Liam?” domanda improvvisamente Louis, avvicinandosi al ragazzo ed aiutandolo a trasportare l’ultima catasta di legna.

“L’ho mandato in tenda e l’ho costretto al riposo forzato; dovrebbe rimettersi in fretta se si decidesse a seguire i consigli di Mich” sbuffa: “Ma ovviamente Liam è un dannato testardo” conclude il ragazzo corvino battendosi le mani per scrollare via la polvere e la terra.

Lui è il figlio del—uhm. Re?” continua, puntando un dito contro Harry.

Si schiarisce la voce: “Sono Harry.”

Zayn. Piacere.” Gli sorride, per poi voltarsi verso Louis: “Cerca di non ammazzarlo, intesi?”

Il cavaliere dagli occhi azzurri ridacchia: “Farò del mio meglio.” Poi si volta verso Harry, scuotendo la testa, divertito.

Gli passa accanto, battendogli una mano sulla spalla, e si preoccupa di sussurrargli un: “Non ho intenzione di farti uccidere fino alla terza settimana, okay?”

Harry socchiudendo le labbra, ma Louis l’ha già superato, ridendo bellamente.

“Andiamo ragazzino!” gli urla, poco più avanti: “È ora di andare a letto! Domani sarà una luuunga giornata!”

“Ed io—” Harry cerca di stargli al passo, mentre quello si dirige verso le brande: “Ed io dove dovrei dormire?”

Louis si volta di scatto, un sorrisetto sardonico stampato sul volto: “Oh, giusto.”

Si picchietta un indice sul mento, guardandosi intorno come alla ricerca di qualcosa mentre cerca di trattenere una smorfia divertita: questa situazione a Harry non piace per niente.

Niente, niente di buono può nascere da un sorrisetto del genere sul volto di Louis Tomlinson.

Oh,” il cavaliere, con un paio di falcate, raggiunge un agglomerato di casse di legno, rami secchi e utensili indistinti, tutti accatastati in un lato dell’accampamento.

Lo vede piagarsi, e tirarne fuori un oggetto che lascia cadere tra le mani di Harry; quello per poco non si ritrova a cadere al suolo, tirato giù dall’enorme peso di ciò che l’altro gli ha porto.

Gli lancia un’occhiata, afferrandone saldamente il manico: “Che ci dovrei fare con un martello?”

Louis emette un basso sibilo divertito. “Uh, non te l’ho detto? È uso che i nuovi arrivati si costruiscano la propria branda da soli.”

La mascella di Harry si spalanca prima che lui possa fare niente per fermarla, strizza più volte gli occhi.

“E,” aggrotta la fronte, furioso: “me lo dici solo ora?!”

L’altro scoppia a ridere: “Il legno lo troverai dall’altra parte dell’altopiano.” Schiocca la lingua, palesemente divertito. “Ci sentiamo quando hai finito, principessa.”

Harry non sa che fare se non mordersi la guancia per reprimere la propria voglia di fracassargli la testa, con quel dannato martello; ci metterà ore se non giorni per creare una stupida branda stabile e quell’idiota di Louis glielo dice solamente adesso?

Avrebbe potuto cominciare ore fa, se solo quello si fosse preso la briga di avvisarlo.

Invece deve lavorare adesso. Di notte. Ed è esausto.

Osserva, furente, la figura dell’altro allontanarsi ridacchiando.

 

 

§

 

 

Ci vogliono quasi due giorni per completare la branda: Harry si taglia con i chiodi di ferro appuntito almeno sedici volte ed è Michael, insieme a Calum, a doverlo disinfettare con un miscuglio di linfa di piante.

Harry non s’è mai sentito più umiliato in tutta la sua vita.

Niente è come vedere Louis passargli accanto—mentre lui sta cercando disperatamente di finire il dannato soffitto ricoprendolo di argilla e paglia—e tirargli lunghi fischi e qualche esclamazione che ha sempre a che vedere con principessa o ragazzino verginello.

Umiliante. Decisamente umiliante.

Lui cerca sistematicamente d’ignorarlo e si asciuga col dorso della mano il sudore che gli cola giù per la tempia, continuando a lavorare; non dà troppo peso alle ferite che gli si aprono come niente, nelle mani.

File e file di piccoli taglietti biancastri e rossi che intersecano ed intrecciano quella che una volta era una pelle liscia e impreziosita da sottili vene blu: tagli causati dai chiodi, dalle schegge, dai fili d’erba secca.

È Liam, quello che gli porta di pasti.

(Ovviamente lui non può lasciare il lavoro finché non è completato. “È così che vuole l’usanza!” gli grida Louis, divertito. Harry vorrebbe davvero picchiarlo a sangue.)

E, dietro a Liam, per la maggior parte del tempo c’è Zayn; il ragazzo non parla molto e si limita a mantenere le braccia incrociate, appoggiarsi a qualche tronco mozzato e assistere alle conversazioni degli altri due.

Brevi conversazioni, considerando il fatto che il corpo di Liam deve ancora riuscire ad espellere tutto il veleno entratogli a causa delle frecce dei Barbari e quindi fa molta più fatica del previsto a mantenersi in piedi o, se non altro, lucido.

 

La mattina del terzo giorno, Harry si sveglia improvvisamente, annaspando.

La luce soffusa del sole lo costringere a strizzare e a chiudere più volte gli occhi, respirando affannosamente;che cosa è successo?

Abbassa lo sguardo, percependo un’improvvisa ondata di brividi sulle braccia: la sua casacca sporca di terra è completamente fradicia, tanto che gli si è completamente appiccicata al petto e ai fianchi.

Altra acqua gli cola giù dalla punta del naso e gli bagna il collo, i capelli, fino a scendere sulla schiena: alza lo sguardo, spaesato.

Ci vogliono un paio di secondi per riuscire a mettere a fuoco le figure che si stagliano in piedi, davanti a lui, contro luce: una delle due tiene un secchio d’acqua vuoto, in mano.

“Scusa, amico.” È la voce di Niall. È decisamente la voce di Niall quella che ha appena parlato, mentre il ragazzo getta lontano il secchio.

“Mi ha costretto Louis a svegliarti così.”

L’altra figura—Harry ruota gli occhi al cielo e sbuffa perché è ovviamente di Louis quella risatina irritante—batte le mani:

“Il sole è già sorto, principessa. Il che vuol dire che avresti già dovuto essere in piedi, scattante” schiocca la lingua: “Invece stai dormendo.”

“Ho dovuto passare tutta la notte a finire la mia dannata brand—!” Non gli dà il tempo nemmeno di protestare che immediatamente il cavaliere dagli occhi azzurri lo azzittisce con un gesto brusco della mano.

“D’ora in poi, ti alzerai all’alba, come tutti. Altrimenti Niall sarà costretto a gettarti altri secchi d’acqua in testa.”

“Ma—”

Eh!” Louis alza un dito in aria: “Niente ma.”

Harry cerca di lanciare un’occhiata a Niall, ma quello si limita a scrollare le spalle e mormorare divertito qualcosa come: “Louis è così.”

Il ragazzo si morde l’interno della guancia, trattenendo un urlo d’esasperazione e cerca di scrollarsi le ultime goccioline d’acqua rimastegli impigliate tra i capelli.

“Dài, su. Alzati.”

Alza lo sguardo e vede Louis tendergli una mano, per aiutarlo a mettersi in piedi; controvoglia, Harry l’afferra e l’altro lo trascina su facilmente, quasi come se non pesasse niente.

“Ti vado a prendere dei panni con cui asciugarti, va bene?”

Harry abbassa lo sguardo e non risponde; deve essere sicuramente arrossito perché il suo orgoglio non gli permetterebbe mai di annuire freneticamente a una domanda così banale, insomma.

Anche se quella mattina tira un po’ di vento e lui sta praticamente gelando.

“Ehi, Harry.” L’indice di Louis gli picchietta sulla fronte aggrottata: “È buona educazione rispondere alle domande.”

Harry prende un profondo respiro. Fino a qualche giorni fa, sembrava impossibile che qualcuno potesse rivolgersi con quel tono al figlio del re; qui, invece, viene trattato esattamente al pari di qualunque altro, se non un gradino inferiore.

Si scosta un riccio bagnato dalla fronte e sente Louis ridacchiare. “Sto aspettando” lo canzona: “Credimi, l’orgoglio serve ben poco in battaglia, dovrai imparare a liberartene.”

Harry si morde il labbro inferiore: “Sì, Louis. Vorrei un panno con cui asciugarmi.”

L’altro lo guarda, alzando le sopracciglia.

Harry sbuffa: “—Per piacere.”

“Bravo ragazzo!” Gli stringe tra le dita la guancia rosea e bagnata, mentre l’altro scuote la testa, affranto, ma non può fare a meno di alzare gli angoli della bocca verso l’alto: “Puoi trovare dei panni asciutti dentro la mia branda.”

La indica con un dito: “Ti aspetto sull’altopiano appena hai finito di asciugarti” lo avvisa poco dopo: “Cerca di metterci meno tempo possibile.”

Harry ruota gli occhi al cielo. Sospira.

Sissignore.”

 

 

 

 

            Salire su Masha sta diventando sempre meno traumatico, o almeno è quello di cui si convince Harry, appena l’enorme drago prende quota e scivola tra i banchi di nebbia e nuvole.

Stringe maggiormente la presa intorno alla vita di Louis, cercando di scorgere l’orizzonte oltre la spalla dell’altro: “Dove stiamo andando?” gli domanda.

Il cavaliere non volta nemmeno la testa, troppo impegnato a mantenere la posizione sul collo dell’animale e lanciare continue occhiate intorno.

“Sulle montagne” risponde, sbrigativamente: “Da oggi comincia il tuo ufficiale addestramento per diventare un soldato.”

“Uh.”

Rimangono in silenzio, aspettando che Masha viri la rotta piegando appena le ali.

“So che non vuoi.” Louis emette un sibilo basso.

Harry alza le sopracciglia: “Cosa?”

“So che non vuoi diventare un soldato. Tu—hai quell’anello al collo e tutto, uh.”

“Devo diventarlo” il ragazzo sospira, osservando uno stormo d’uccelli, poco sotto di loro, volare tranquillamente: “per il mio—nostro popolo.” Fa una pausa: “È un dovere.”

Già. Diventare re e tutte quelle stronzate.”

Harry ride amaramente: “Già.”

“Quando ero piccolo sentivo sempre parlare di quanto tuo padre fosse un grande guerriero, sai?”

“Sì.” Harry distoglie lo sguardo, abbassandolo ed intravedendo le grandi zampe di Masha dondolare nel vuoto: “Lo so—Lui dice che io ho il suo sangue, nelle vene. Che sono un combattente almeno tanto quanto lo è lui.”

“E tu?”

“Io cosa?”

Louis gli lancia un’occhiata da sopra la spalla: “Tu ci credi?”

Oh. Questa è un’ottima domanda.

Harry rimane in silenzio, con le labbra screpolate dal freddo socchiuse, quasi come se si stessero già preparando alla risposta: risposta che lui non ha.

Non crede nemmeno di essersi mai chiesto, in cosa crede; nozioni ripetutegli e ripetutegli da suo padre per tutta la sua vita non gli hanno mai concesso nemmeno un istante per fermasi—lontano dal castello, dai banchetti, da sua sorella, dalla confusione, dalla lapide sbiadita di sua madre—e domandarsi in cosa crede realmente.

Domandarsi se suo padre abbia ragione su di lui.

Se farsi Sacerdote non sia soltanto una scusa per rimanere ossessivamente attaccato a sua sorella, per aggrapparsi al ricordo effimero di sua madre e non vederlo scomparire.

Percepisce l’anello, intorno al collo, diventare piombo contro la pelle. Scuote la testa.

“Non lo so se ci credo—” deglutisce, alzando lo sguardo: “C-come si fa a crederci? Tu come hai fatto a diventare—questo? Come hai fatto a svegliarti una mattina e dirti bene, per il resto dei miei anni voglio mettere a rischio la mia vita e cavalcare un drago nero?”

Louis espira una risata, scuotendo la testa: “Masha. Non è un drago nero qualsiasi, è Masha.”

“Non hai risposto.”

“Non è che—” Il cavaliere abbassa lo sguardo sulla pelle scura del drago, cominciandola ad accarezzare distrattamente: “Non è che ti svegli una mattina e lo sai—”

Harry aggrotta le sopracciglia; la voce dell’altro è diventata improvvisamente dura.

“—Io ho sempre voluto fare questo.” C’è una punta di rabbia, nel suo tono. “Combattere. Combattere per vincere. Per vendicarsi. Per la gloria.”

Il ragazzo dagli occhi verdi emette un sibilo basso, derisorio. “Per morire.”

“La morte non è niente, Harry. Tu credi ai tuoi dèi e alle Scritture e alle rune che non fanno altro che ripetere quanto sarà piena di dolore la vita dopo la morte.”

Rimane in silenzio per qualche secondo, e il battito delle ali di Masha diventa l’unico suono che riempie le loro orecchie.

“—Ma la morte non fa paura. Vivere fa paura.”

“Pensavo che i cavalieri dovessero imparare a controllare la paura.” La voce di Liam gli rimbomba nella testa, insieme alle parole che gli aveva detto la prima volta che si sono incontrati.

Ci ripensa, mentre la sua mente è completamente in balia delle parole di Louis, della sua cadenza dalle sillabe dure, esattamente come l’idioma dell’Ovest.

“Infatti.” Il cavaliere sorride: “È quello che facciamo: la ignoriamo. La schiviamo. Prendiamo la felicità dove possiamo trovarla: da uno sguardo, un boccale di vino. Un corpo caldo, una risata—” batte una mano sulla pelle squamosa di Masha, guardandola assorto: “Anche dalla compagnia di qualcuno che non capisce nemmeno la tua lingua.”

Le enormi narici del naso del drago si dilatano un attimo e il labbro superiore si alza, mostrando una fila di denti affilati come coltelli e delle dimensioni di un avambraccio.

Scherzo, scherzo.” Louis scoppia a ridere, ricominciando ad accarezzare l’animale: “Mash, sto scherzando. Sai benissimo che non potrei vivere senza la mia ragazza preferita, no?”

Il drago pare tranquillizzarsi e comincia una lenta planata verso un bosco nebbioso di cipressi e abeti, su un versante male illuminato di una montagna particolarmente alta.

Nella testa di Harry pensieri su pensieri stanno rotolando tra di loro, come a cercare di raggiungere il podio, per emergere sopra gli altri: non vuole ascoltarli.

Non vuole nemmeno provare a metterli in ordine, a capire a chi a cosa si stanno riferendo; è un lusso che non s’è concesso in una vita intera, e non comincerà di certo ora.

Quando era piccolo, generalmente si rinchiudeva in biblioteca quando doveva azzittire le domande che si porgeva.

Si rinchiudeva quando i compagni d’armi lo prendevano in giro, quando suo padre lo costringeva a tenere una spada in mano: “È parte di te” diceva, “Non lascerai quest’elsa fin quando non la maneggerai come se fosse parte del tuo braccio.”

E la neve cadeva, sul cortile: Harry guardava le mani—paffute e bluastre per il freddo—che stringevano una spada che non riusciva nemmeno a sollevare da terra.

Mentre i fiocchi di neve s’intrappolavano tra le sue ciglia, ricacciava le lacrime indietro e vedeva Gemma, appoggiata ad una colonna del portico, portarsi una mano alla bocca ed osservare la scena, timorosa.

Harry prendeva un profondo respiro, cercando di mettere a fuoco la figura paterna, poco davanti a lui, con un’altra spada tra le mani.

“Tu sei uno Styles. La sete di vittoria scorre nel tuo sangue, si attacca alla vita che hai.”

Alzava la spada, tirava i colpi, cercava di pararli, ma la maggior parte delle volte si limitava a cadere a terra, con le ginocchia sbucciate, sul pavimento lastricato del cortile; il rumore della lama che gli sfuggiva dalle mani e tintinnava lontano infesta ancora i suoi sogni.

“Quand’è che avrò un drago?”

La domanda improvvisa fa sobbalzare un poco Louis, che fino a quel momento era concentrato nella planata di Masha.

“Che intendi?”

Harry si schiarisce la voce: “Uhm—Se io devo diventare un guerriero, si presuppone che abbia un drago, no?”

Sente Louis ridacchiare. “Non sei tu a scegliere il drago—”

Masha sta planando tanto che ormai mancano pochi minuti all’atterraggio; Harry percepisce il vento fischiargli nelle orecchie.

“—È il drago che sceglierà te, al momento giusto. Sarà lui a possedere te, non viceversa.”

 

 

 

 

            “Quando sarai nella Barriera, lontano da tutto e da tutti—”

La voce di Louis continua a rimbombare tra le cortecce degli alberi, mentre Harry s’affretta a seguirlo, girando per il bosco fitto: Masha, poco dietro di loro, cerca di farsi spazio con le enormi zampe, spaccando tronchi interi e schiacciando l’erba alta.

“—Probabilmente penserai che morirai perché ti uccideranno a sangue freddo. Be’. Sbagli.”

Harry alza un sopracciglio, col fiato corto, e aspetta che Louis continui: “È molto più probabile che un guerriero muoia per infezioni o avvelenamento da cibo, piuttosto che da una spada.”

Scalcia via un pezzo di legno muschiato e, con la spada, taglia i rami bassi di un abete; dopo un’ultima serie di colpi di lama ben assestati, Louis si ferma improvvisamente, lasciando che Harry quasi gli caschi addosso.

(Dietro, Masha è troppo impegnata a masticare una qualche sorta di pianta che ha sradicato dal terreno per prestare loro attenzione.)

“E questa,” il cavaliere dagli occhi azzurri si sposta di lato, grattandosi pigramente il lieve accenno di barba sulla mascella: “è la tua prima lezione: imparare a non morire per causa naturale.”

“Sembra promettente” borbotta Harry, facendo qualche passo avanti per superare Louis e raggiungere quella che pare una radura, circondata da cespugli scuri e alberi; ciuffi d’erba di diverso colore e forma spuntano dal terreno morbido e umido.

Tanti tipi di fiori diversi e bacche s’intravedono tra i rami.

Si blocca sul posto, gli occhi spalancati per riuscire a cogliere tutta la bellezza di quel luogo sconosciuto che sembra pulsare di vita.

Louis lo raggiunge alle spalle, dandogli un pizzicotto su un fianco: “Andiamo, verginello. Entro ‘sta sera dovrai avere imparato almeno trenta diversi tipi di bacche ed erbe, chiaro?”

Harry annuisce mogiamente, seguendolo. Sbuffa. “Chiaro, chiaro.” Ha imparato libri interi della biblioteca reale, può farlo anche con un paio di nomi, ne è sicuro; la sfida non lo spaventa.

Può farcela.

Il cavaliere si dirige fino l’altro lato della radura, accanto ad un’enorme pianta dai colori opachi, dai quali rami cadono grossi e gonfi frutti bluastri; Louis ne stacca uno con un repentino movimento della spada, facendolo rotolare fino ai piedi di Harry.

“Che cos’è, questa?” domanda, appoggiandosi con la schiena contro il tronco dell’albero.

Harry raccoglie il frutto, e se lo passa da una mano all’altra, tastandolo: la superficie è screpolata, ricoperta di sottili filamenti viola.

“Una bacca della notte. Le mangiavo, al castello, quando ero piccolo—Ora le coltivazioni sono scomparse.”

Alza lo sguardo: Louis sta annuendo. “Me la passi?” gli domanda.

Harry gliela lancia e l’altro l’afferra al volo: si siede su una roccia ricoperta di muschio e fa segno al ragazzo dagli occhi verdi di avvicinarsi.

Estrae con un movimento secco un piccolo pugnale seghettato dalla cinghia dei pantaloni e comincia a lavorare sul frutto con la lama; passa la punta su una delle screpolature più profonde, poi esercita una leggera pressione e l’involucro ruvido della bacca si spacca a metà.

Harry non può fare a meno che seguire, con gli occhi, i movimenti di quelle mani.

Quelle mani piccole, ricoperte di piccole cicatrici invisibili, baciate dal sole; esperte in grado di manovrare perfettamente una qualsiasi lama, eppure capaci di accarezzare un drago.

Potrebbe essere sicuro che, se Harry le toccasse, sarebbero ruvide. Ruvide ma gentili e attente. Prima che sia troppo tardi si ritrova a pensare che potrebbe fissarle per sempre, incantato da quei movimenti tanto precisi.

Si morde il labbro inferiore l’istante dopo, per cercare di fermare il rossore di vergogna che sicuramente gli ha già tinto le gote; scuote la testa, cercando di pensare ad altro.

Vede Louis afferrare le due parti separate del frutto e imprimerci, su ciascuna di esse, un foro all’estremità: dalla polpa densa e rosso sangue all’interno di esse comincia a fiottare un liquido scuro, che cola sull’erba, sporcandola.

Alza la testa, sorridendo: “Dammi la mano, principessa.”

Titubante, Harry gliela porge e lascia che Louis l’afferri e la rigiri in modo che il palmo sia rivolto verso i rami degli alberi.

Louis afferra il frutto e lascia che alcune gocce cadano sulle piccole ferite ancora aperte che ha sulla mano.

Ah.”

Harry stringe gli occhi, mordendosi il labbro per cercare di trattenere la voglia di allontanare la mano: una sensazione di bruciore seguita da un piacevole brivido di fresco gli s’insinua giù per le ferite, e sembra quasi raggiungergli le ossa.

Guarda Louis, gli occhi spalancati dalla meraviglia: l’altro gli sorride, arcuando le sopracciglia.

Bacche della notte. Ottimi frutti, certo—Ma non tutti sanno che il loro succo ha poteri curativi incredibilmente potenti. Sono molto rari da trovare.”

Afferra le due metà del frutto, porgendone una a Harry: “Assaggia.”

Il ragazzo afferra l’enorme bacca bluastra, avvicinandosela lentamente alla bocca; lancia un’ultima occhiata all’altro prima di affondare i denti nella polpa scura; la sua gola viene immediatamente inondata da nettare zuccherato e succoso.

Si lascia sfuggire un miagolio di piacere quando comincia a masticare il contenuto molle, sembra quasi che il palato stia danzando dalla gioia di quei sapori che sprigionano ricordi su ricordi, della sua infanzia.

Louis si alza, scompigliandogli i ricci con una mano e ride.

(Harry potrebbe arrossire leggermente poiché sì, ha emesso un suono decisamente imbarazzante. E abbastanza equivoco.) (E Louis continua a ridere, dannazione.)

Harry utilizza la manica della propria casacca scura per pulirsi il succo colatogli giù per il mento, distogliendo lo sguardo; quando lo rialza—dopo aver gettato via il frutto ormai spolpato—Louis ha già in mano un’altra piccola pianticella che ha strappato da un punto ombroso sotto un cespuglio.

“E questo?” domanda, sventolandola in aria: “Sai dirmi cos’è questo?”

No, sinceramente Harry non ne ha la più pallida idea.

Strizza gli occhi per cercare di mettere meglio a fuoco il tutto: sembra un ramoscello d’ulivo, se non fosse per il fatto che le foglie tendono all’azzurro chiaro e la forma è decisamente più lineare.

Scuote la testa.

“È una passa selvatica.” Louis fa qualche passo, avvicinandola al volto dell’altro: “Che odore ha?”

“Di—terra bruciata.” Il ragazzo dagli occhi verdi arriccia il naso: “Sa decisamente di terra bruciata.”

Già. E indovina un po’? Mischiata con il succo delle bacche crea un veleno abbastanza forte da stordire un drago delle dimensioni di Masha.”

Harry spalanca gli occhi, passando lo sguardo velocemente dalla pianta a Louis, da Louis alla pianta: “Mi prendi in giro?” esclama: “È minuscola! Come può creare abbastanza veleno per un drago di—uh. Di quelledimensioni?!”

“Può farlo, credimi—non ti consiglierei di metterla alla prova.”

Il ragazzo dagli occhi verdi ruota le iridi al cielo e non ribatte; non oserebbe mai toccare Masha.

Non solo per il fatto che se le succedesse qualcosa Louis probabilmente lo farebbe frustare fino alla morte e poi buttare la sua carcassa giù per la fiancata della montagna, ma principalmente perché quell’animale gli fa davvero, davvero paura.

I denti, soprattutto.

E quell’aria da tu sarai la mia prossima cena che ha sempre stampata sul muso. Davvero intimidatoria, senza dubbi.

“Quindi—” Louis lo sorpassa, lanciando un’occhiata divertita alla sagoma del suo destriero (che s’intravede da sopra le cime degli alberi) mentre quella pare aver trovato un bel cervo con cui trastullarsi.

“—cosa hai imparato, fin ora?”

Harry fa finta di pensarci, picchiettando l’indice sul mento: “Be’—succo delle bacche, uguale buono. Succo delle bacche più passa selvatica, uguale cattivo.”

Louis lo guarda un attimo, ridacchiando. “Okay, okay” sbuffa: “posso dartela per buona, principessa—ora diamoci una mossa, abbiamo tipo. Altre trenta piante da imparare prima di questa sera.”

“Mi chiamerai sempre così?”

Il cavaliere gli lancia un’occhiata interrogativa, apprestandosi a prendere il proprio pugnale per tagliare altre piante: “Così come?”

Harry fa una smorfia irritata, è incredibile che lo costringa addirittura a dire quella dannata parola. “Principessa.”

Louis sibila una risata. “Oh. Quello.” Scuote la testa, divertito: “Mi piace troppo vederti arrossire dalla rabbia quindi credo che andrò avanti ancora per un bel po’ di tempo—”

Le guance di Harry sembrano ardere come fuoco.

“—Esattamente così!” ride il cavaliere.

Il ragazzo dagli occhi verdi si morde l’interno della guancia per frenare la propria voglia di rispondere a tono e si limita a sbuffare sonoramente.

 

Passano l’intera giornata a catalogare, sminuzzare e classificare piante; la testa di Harry sembra addirittura dolergli a causa di tutte le informazioni che sta cercando disperatamente di assimilare senza perdersene alcuna.

Per pranzo Louis gli ha mostrato come accendere un fuoco e far bollire quattro tipi di erbe diverse per formare un miscuglio in grado di curare emorragie interne, e quali piante sono consigliabili da mangiare durante carestie.

Troppe. Decisamente troppe. (E troppi nomi complicati.)

Harry è piegato sullo stesso arbusto da almeno mezz’ora, cercando pateticamente di riuscire a distinguerequel fiore che Louis gli ha dato ordine di raccogliere—dannazione, come si chiamava?

Sbuffa. Non se lo ricorda. Diamine.

Oltretutto, il fatto che il sole stia calando giù oltre le cime innevate delle montagne lontane, non rende il compito per niente più facile; Harry si raddrizza.

“È troppo buio” esclama, massaggiandosi la schiena dolorante a forza di starsene nella stessa posizione: “Non vedo niente.”

Louis—da qualche parte più in là a raccogliere altri frutti e piante—ridacchia. “Smettila di lamentarti per ogni singola cosa.”

Harry sibila, irritato. Lui non si sta lamentando; il fatto che il buio non gli faccia distinguere nemmeno una foglia dall’altra non vuol dire che effettivamente si stia lamentando.

Sta facendo delle constatazioni: è buio, quindi non si vede niente.

Probabilmente potrebbe raccogliere una pianta velenosa al posto di quello stupido fiore e non sarebbe assolutamente colpa sua.

Be’—Più o meno.

“Quand’è che ritorneremo all’accampamento?” domanda allora, godendosi mentalmente il momento in cui si siederà accanto al fuoco e andrà a dormire nella branda che ha appena costruito; ammettendo che quella sia rimasta ancora in piedi.

“Sei già stanco, verginello?” La voce di Louis risuona lontana, anche se attualmente a dividerli ci sono solo pochi alberi e tanti cespugli.

“Dacci un taglio, capito?”

Ode fiocamente l’altro ridere. “Nah. Non credo. Uh—non torneremo finché non sarai riuscito a trovare quel fiore di mandragora.”

Oh, ecco cosa stava cercando. Mandragora. Be’, buon a sapersi.

Harry si alza e passa definitivamente ad un altro cespuglio dai rami fitti e le foglie scure: “A cosa serve, esattamente?”

“Il succo di mandragora è un elisir di lunga vita.”

Davvero?”

Louis scoppia a ridere, dall’altra parte della radura. “No.” sogghigna, divertito: “Ti stavo prendendo in giro, ragazzino—Serve per curare le infezioni nelle ferite.”

“Oh.” Harry ritorna in silenzio, non troppo concentrato a cercare quel fiore che è letteralmente impossibile da trovare, tra tutte quelle piante; non riesce a concentrarsi.

“Louis?” prova allora, mordendosi l’interno della guancia.

“Sì?” Il cavaliere non alza nemmeno lo sguardo, troppo impegnato a perlustrare il terreno sotto di lui: la radura ormai è diventata silenziosa e l’oscurità li avvolge.

Solo il rumore dei grilli e il lento e pigro respiro di Masha—che s’è addormentata e ora riposa rannicchiata all’entrata della radura—riescono a spezzare il silenzio degli alberi; Harry si concede lunghi istanti prima di riaprire la bocca.

“Posso farti una domanda?”

Louis alza improvvisamente gli occhi da terra, arcuando le sopracciglia: “Certo.”

Harry deglutisce non riuscendo a staccare nemmeno un minuto gli occhi da—da ciò che sta fissando così ossessivamente da almeno dieci minuti; alza un dito, indicando il breve tratto di clavicola esposta del cavaliere.

“Come ti sei fatto quella, uh, cicatrice?”

Si sente in perfetto idiota nello stesso istante in cui richiude bocca.

Insomma, lui non è il tipo da mettere naso negli affari degli altri o fare loro domande poco opportune, ma. La curiosità lo sta uccidendo; pensare che la pelle liscia e marmorea di Louis abbia mai incontrato qualcosa in grado di ferirla, lasciandogli un marchio che chissà fin dove arriva, lo disorienta.

E ormai è sicuro che non sia stata Masha, a procurargliela: è troppo ben addestrata.

Abbassa lo sguardo: probabilmente lui non ne vuole nemmeno parlare. Non che abbiano ancora tutta questa confidenza.

Stupido, stupido, stupido. Come gli è saltato in mente di chiedere una cosa del genere?

Louis rimane in silenzio e si limita ad avvicinarsi lentamente—passo dopo passo che frusciano sull’erba—a Harry.

S’è portato una mano all’altezza della clavicola e sta accarezzando la parte visibile della cicatrice con le punte dei polpastrelli, pensieroso.

“Perché lo vuoi sapere?”

“Be’—Io. Non sei costretto a parlarne s—” prende un profondo respiro. Perché diamine si sta agitando così tanto? “—Se non vuoi.”

Louis piega appena la testa di lato, sorridendo gentilmente: “Non è una risposta alla mia domanda.”

Harry rimane in silenzio, mordendosi il labbro inferiore. Percepisce gli occhi blu di Louis su di lui, passareattraverso di lui; come se fosse un corpo cavo, e quegli occhi fossero in grado di guardarci attraverso.

“Curiosità” borbotta infine.

Louis si avvicina di un altro passo. “È per questo che mi fissavi, al banchetto di tuo padre? Solo per—curiosità?”

Il ragazzo dagli occhi verdi annuisce freneticamente, non sapendo che altro fare; il cavaliere si avvicina ancora, prima sedersi a terra, accanto alle gambe dell’altro: gli fa segno di seguirlo.

Harry si accovaccia lì affianco, talmente vicini che le loro spalle si sfiorano, le loro cosce si sfregano; davanti a loro, solo la radura blu scuro, illuminata mogiamente dai raggi di una timida luna.

“Hai diciassette anni, vero?” La voce di Louis spezza improvvisamente il silenzio creatosi.

“Sì.” Cosa c’entra, adesso, l’età?

“Uhm.” Vede il cavaliere passarsi una mano sul retro del collo: “E secondo te io quanti ne ho?”

“Non saprei—Diciannove? Venti? Forse...” Dà un’occhiata all’accenno di barba sul suo mento: “Ventuno?”

Louis ride, ma pacatamente, appoggiando i gomiti sulle sue ginocchia piegate e lasciando ciondolare la testa avanti per qualche secondo, sorridendo; la rialza lentamente, prendendo un profondo respiro.

“Ne ho ventotto.”

Harry lascia andare improvvisamente il filo d’erba con cui giocherellava—stava giocherellando con un filo d’erba?—e la mascella gli si spalanca senza che possa fermarla: sgrana gli occhi mentre osserva l’altro scoppiare a ridere a causa della sua esagerata reazione.

“Stupito, eh?” ridacchia.

Stupito si avvicina solo lontanamente a ciò che è Harry ora: ventotto?! Sul serio? Come può avere già ventotto anni un ragazzo che sembra più giovane di Gemma?

Come—Come è possibile?

Harry si sforza, davvero, sta cercando di mettercela tutta ma proprio non riesce a capire dove quagli anni abbiano lasciato una traccia, sul corpo di Louis.

La pelle è ancora perfettamente liscia, gli occhi vividi e allegri come un bambino, la muscolatura e la stazza fisica praticamente perfetti.

(Siamo sicuri che la mandragora non sia un elisir di lunga vita? Avrebbe funzionato alla grande, sul corpo del cavaliere.)

Vorrebbe poter dire qualcosa, o se non altro chiudere la bocca che sta ancora tenendo spalancata; darsi un minimo di contengo—dannazione—ma l’altro è più veloce e lo precede, sbuffando: la sua faccia è tornata improvvisamente seria.

“Quando avevo dieci anni—tu non eri ancora nato” abbassa lo sguardo sull’erba che gli incornicia le caviglie: “Esistevano dei villaggi, al di là di queste montagne. Uno di questi era il mio.”

Fa una pausa, alzando lo sguardo e proiettandolo in un punto indefinito, davanti a lui, perso nel vuoto:

“Una mattina arrivarono i Barbari. Avevo due sorelle più piccole e—mi ricordo,” sospira: “di quanto urlassero, mi ricordo—mi ricordo di averle sentite implorare, piangere, mentre qualcuno cercava di buttare giù la porta della loro camera. Fuori le case bruciavano e bruciavano, appiccavano loro fuoco, capisci? Non si preoccupavano se dentro era rimasto qualcuno, loro—loro.”

Le sue nocche sono diventate del colore della neve, mentre le dita continuano a stringersi tra di loro, quasi cercando di calmarsi a vicenda.

Harry trattiene il respiro, avvertendo l’esigenza di allungare una mano, passare un dito su quei muscoli tesi finché non si rilassino.

Fare calmare il battito accelerato del suo cuore che riesce quasi a percepire da qui: ma non ci riesce. Rimane immobile, e le sue orecchie sembrano fremere in attesa che la voce di Louis le riempia di nuovo.

La cicatrice sembra brillare, sotto la luce della luna.

Louis inala l’aria fredda lentamente.

“—Mi nascosi sotto un tavolo. Non riuscivo nemmeno a piangere, sai? Non riuscivo a fare altro che rimanere immobile e pensare e adesso? Adesso, come morirò? La paura mi sembrava attanagliare le braccia. La porta si aprì di schianto, come un tuono. Un Barbaro con un’ascia in mano entrò e cominciò a dirigersi verso di me, i suoi occhi rossi continuavano a fissarmi e prima che potessi accorgermene aveva scaraventato via il tavolo che era sopra di me e aveva alzato l’ascia, pronto a colpirmi—Ricordo di aver pensato che fosse la fine, mentre stringevo forte gli occhi e aspettavo la lama.”

Sbatte le palpebre una, due, tre volte, quasi cercasse di mettere a fuoco un’immagine lontana, un ricordo.

“Non arrivò. La lama, intendo, non arrivò; mio padre si contrappose tra me e quell’ascia, scansandola. Mi sfiorò appena, lasciandomi questa cicatrice.” Picchietta con un dito sulla ferita biancastra sulla sua clavicola.

Harry rimane immobile, con le gambe piegate e le ginocchia sotto il mento; aspetta che Louis ricominci a parlare ma, quando vede che non il cavaliere non ha nessuna intenzione di riaprire bocca, si raddrizza nelle spalle.

Non ha idea di cosa dire; aveva immaginato centinaia di storie diverse, dietro quella cicatrice, ma nessuna di esse includeva uno scontro con i Barbari.

Faccia a faccia.

Rabbrividisce solo al pensiero. “Come hai fatto a scappare?” domanda fiocamente, interi minuti dopo.

Louis lo guarda, come se improvvisamente ricordasse di non essere solo.

Oh, be’. Sono scappato dalla finestra e ho visto i guerrieri del nostro regno accorrere in soccorso—Poi. Poi sono montato sul primo cavallo che ho trovato e sono scappato via. Non credo—” sospira: “Non credo riuscirò mai a liberarmi dell’immagine di quel Barbaro mentre si voltava per afferrare mio padre, che mi aveva salvato la vita.”

Harry si morde il labbro inferiore: “È per questo che sei diventato cavaliere? Per proteggere le persone che ami?”

Il ragazzo dagli occhi azzurri si volta, sorridendo amaramente. “Per vendetta. Per uccidere abbastanza Barbari da vendicarmi.”

Harry deglutisce e rimane in silenzio.

“Ti fa paura?” domanda Louis mentre lo fissa, ed è come se i suoi occhi cercassero di tranquillizzarlo e la sua voce si fosse fatta improvvisamente più dolce.

“Cosa?”

“Quello, uh, che ho detto; quello che ti ho raccontato. Ti ha spaventato?”

“Un po’.” Ed è sincero.

Louis gli sorride. “Va bene, tranquillo.”

Rimangono in silenzio per un paio di minuti, ascoltando i grilli frinire; le dita di Harry continuano, quasi ipnotizzate a giocherellare con i lacci di cuoio della sua casacca, mentre il suo sguardo è perso tra gli alberi neri pece che circondano la radura.

Improvvisamente, un piccolo bagliore aranciato bazzica per un istante tra i fili d’erba, per poi scomparire il secondo dopo: Harry lo osserva, ma è talmente immerso nei propri pensieri da non farci troppo caso.

Poi il bagliore si ripresenta, più duraturo e luminoso di prima: la piccola luce si muove freneticamente, alzando e abbassandosi, schivando gli arbusti e le radici sporgenti degli alberi.

Harry spalanca gli occhi; ora sono due, le lucine. Due, tre, quattro.

Nove. E continuano ad aumentare.

Sembrano spuntare improvvisamente da dietro ogni fiore, ogni foglia; illuminano la radura creando giochi di ombre e luci, ad intermittenza.

“Cosa—?” Harry è troppo impegnato a sgranare gli occhi e spalancare la mascella dalla meraviglia per riuscire a concludere la domanda.

Louis, spalla contro la sua, ridacchia, stupito dalla reazione dell’altro: “Sono lucciole.”

Oh.”

Lucciole; da quanto tempo non le vedeva, a palazzo?

Saranno passi inverni interi dall’ultima volta che lui e sua sorella le rincorrevano, di notte, cercando di intrappolarle dentro le ampolle di vetro, per poi liberarle.

Nemmeno nei ricordi quegli insetti luminosi sembrano così belli come in questo momento: emettono una luce calda, che fa rispendere ogni cosa di un arancione soffuso.

Sono centinaia e centinaia e si accendono una dietro alle altre, come candele di cera e miele.

Harry alza il naso al cielo, meravigliato, e ne osserva una posarsi ad un ramo poco lontano da lui: allunga una mano cercando di catturarla, ma quella è più veloce e vola via, seguendone un’altra.

Louis, lì accanto, si sdraia sull’erba, puntellandosi con i gomiti per continuare ad osservare quel meraviglioso spettacolo.

“Non avevi mai visto delle lucciole?”

“Be’—” Harry si morde il labbro inferiore, voltandosi per guardarlo negli occhi; le sue guance sono leggermente arrossate per l’emozione del momento e i suoi occhi—illuminati dalla luce degli insetti—sembrano decisamente più verdi e vitrei.

“—quand’ero piccolo c’erano, nel cortile del mio palazzo. Poi è arrivato un inverno particolarmente rigido e credo siano morte tutte.”

Il cavaliere ridacchia: “Forse sono solo scappate.”

“Le lucciole non scappano.”

“Sì, invece. Se hanno paura scappano.”

“Loro non avevano paura di me.” Harry alza il mento, in tono difensivo: “Ci giocavo. Le acchiappavo e poi le liberavo. Non facevo loro del male.”

Le sopracciglia fini di Louis s’inarcano e la bocca fine si piega in una smorfia divertita: “Acchiappavi le lucciole? Davvero?”

“Uh uh.”

Louis lo osserva un attimo. “Fa’ vedere” esclama, divertito.

Harry gli lancia un’occhiata: “Cosa?”

“Voglio vedere come le prendi.”

“Stai scherzando?”

“No—no. Davvero, sono curioso; voglio che m’insegni a catturarle.”

“E perché mai?”

Il ragazzo dagli occhi azzurri sbatte le palpebre, lasciando che le lunghe ciglia proiettino ombre scure sulle gote.

“Solo curiosità” esclama infine, cercando di imitare la cadenza nella parlata dell’altro; Harry ruota le iridi al cielo scuro, parando le mani in aria. 

“Okay, okay.” Non può fare a meno di ridacchiare, però.

Si alza dall’erba molto lentamente, scrollandosi i pantaloni con i palmi delle mani; ci sono talmente tante lucciole in quella radura che è praticamente impossibile focalizzarsi su una e una soltanto.

Si picchietta un indice sulla guancia, guardandosi intorno, tra i bagliori.

Ce n’è una, in particolare, appoggiata su una foglia di quercia: è immobile e le sue piccole ali fremono. La sua luce è meno regolare rispetto a quella delle sue compagne, ma più vivida.

Fa segno a Louis di avvicinarsi al ramo, posizionandosi accanto a lui.

“Devi mettere le mani a coppa—così.” Harry afferra le mani di Louis, mostrandogli la posizione corretta: la sua pelle è ruvida ma morbida, arrossata e inspessita a forza di manovrare spade, trasportare legna a destra e a manca.

Gli sta tenendo le mani.

Harry si raggela per un secondo: non lo aveva realizzato completamente fin quando non si era trovato talmente attacco al corpo del cavaliere da poter sentire l’odore della sua pelle.

Odore di pino, sapone e terra: un profumo tenue ma abbastanza forte da essere sentito da quella piccola distanza.

Louis, però, sembra essere troppo concentrato a fissare la piccola lucciola per notare l’esitazione di Harry, o il fatto che—pur non sentendosi a proprio agio—non riesce proprio a lasciarle andare, quelle mani.

Alza lo sguardo, osservando il profilo di Louis, illuminato da quella luce calda che li circonda: la curva del suo collo o la linea netta della mascella sembrano essere state disegnate da un miniaturista di corte, tanto sono nette e precise.

Le sue labbra sono socchiuse, c’è una piccola ruga di concentrazione tra le sopracciglia scure e curate: Harry si sente intontito.

“Allora?” il sussurro di Louis lo fa svegliare di sorpassarlo dalla trance in cui era caduto.

Scuote la testa, sentendo il rossore ricoprirgli le guance e bruciargliele: le loro mani si toccano ancora.

“Aspetta—” cerca di schiarirsi la voce, tornando a concentrarsi sulla lucciola: “Adesso devi solo avvicinarti piano e—” le mani si avvicinano al ramo silenziosamente. L’insetto pare essere ignaro di tutto ciò che sta succedendo.

“—ora.”

Le mani di Harry—sopra quelle di Louis—si chiudo a scatto, rinchiudendo il piccolo esserino in una prigione di dita intrecciate.

Il cavaliere sorride, piacevolmente divertito; osserva la luce dell’insetto filtrare tra le fessure della prigione.

“È stato facile.”

Harry non risponde: un formicolio continua a riempiergli le estremità del corpo dalle orecchie, fino al naso, ai piedi.

Louis lo guarda, alzando un sopracciglio; tiene i pugni delicatamente serrati proprio sotto il suo mento: il ronzio del piccolo insetto spaventato è quasi udibile, nella notte.

Sono così vicini. I loro corpi, i loro respiri sembrano fondersi.

Il cavaliere lo guarda, lo osserva immobile; il battito del cuore di Harry duplica, triplica di velocità. Sente il sangue pompagli nelle orecchie.

Cosa sta succedendo?

Louis l’ha già guardato, prima di adesso; i suoi occhi non sono cambiati. Perché allora, in questo istante, sente il proprio stomaco stringersi sotto le sue iridi blu?

C’è un’intensità che Harry non ha mai visto, nel suo sguardo. O forse se lo sta solamente immaginando.

Rimangono in silenzio; Louis sembra in attesa.

Di cosa? Cosa sta succedendo? Niente. Rimangono ancora immobili.

Sono così vicini.

La gola di Harry è talmente secca che, quando deglutisce, riesce a sentirne il suono ovattato; quando si muove, sembra un salto nel vuoto.

Non sa cosa accadrà fino all’ultimo secondo, fin quando il suo cuore continuerà a battere così forte e Louis continuerà a guardarlo in quel modo.

È come buttarsi giù da una cascata, aspettando il tonfo nell’acqua. Non ha idea di cosa stia facendo fin quando non accade.

Le sue labbra incontrano quelle di Louis goffamente, atterrandoci sopra come una lucciola assetata ed inebriata dal polline: le loro bocche si scontrano, morbide. Le labbra del cavaliere sanno di zucchero e dei dolci frutti che hanno mangiato per pranzo.

Percepisce il proprio stomaco rigirarsi, stringesi e allargarsi in una morsa di voglia, desiderio; qualcosa che non ha mai, mai, provato prima.

Ancora—È un grido che gli si propaga sotto la pelle.

Spalanca gli occhi, si ritrae sussultando il secondo dopo: cosa ha fatto?! Cosa gli è saltato in mente?

Louis è davanti a lui, immobile, gli occhi inespressivi e le labbra socchiuse ancora protese nella smorfia di un bacio; il suo sguardo è indecifrabile, quegli occhi inchiodano Harry a terra, facendogli congelare in bocca una qualsiasi possibilità di spiegazione.

Le mani del cavaliere sono lunghe e rigide per i fianchi. La lucciola è scappata.

Harry vorrebbe mettersi a piangere. Dèi, cosa ha fatto?

Ma non ci riesce: le sue guance bruciano ancora e il cuore non ha smesso nemmeno un istante di battere come impazzito. Sta aspettando una qualsiasi, dannazione qualsiasi, reazione da parte del cavaliere.

Anche uno schiaffo, anche un urlo; il suo silenzio lo sta uccidendo.

La mascella di Louis sembra rigida, ma i suoi occhi non esprimono rabbia quando apre bocca: prende un grosso respiro.

“Dobbiamo—” si ferma, posa lo sguardo a terra, poi lo rialza su Harry: “—Tornare all’accampamento; dobbiamo svegliare Masha.”

Il ragazzo più giovane annuisce lentamente, seguendolo quando l’altro comincia ad avviarsi verso il bosco fitto.

Ha ancora il sapore di zucchero, sulle labbra.

 

 

§

 

 

Non ne parlano. Non ne parlano mai.

Durante le settimane—che piano piano si trasformano in mesi—che passano, Louis cerca di fare l’inimmaginabile pur di non dover ritirare fuori l’argomento; c’è una parte di Harry che ne è estremamente grata.

Il loro rapporto è tornato quello di sempre: Louis non sembra cambiato, continua ad addestrarlo compiendo il suo dovere, fingendo che non sia mai accaduto niente.

Gli ordina di trasportare almeno cinque fasci di rami al giorno dai piedi della montagna fino all’accampamento, per poi aiutare gli altri ad accendere un fuoco per la notte.

Se Harry non ci riesce, Louis gli punzecchia un fianco e lo chiama ragazzino, verginello o il suo preferito:principessa. Harry ruota gli occhi al cielo, percependo i muscoli tirare sotto l’epidermide e il sudore colargli giù tra i ricci.

Ma continua, continua sempre finché non riesce in ciò che Louis gli ha ordinato di fare.

Più di una volta ha dovuto passare intere notti dentro la branda dell’infermeria, con Michael o Calum che cercavano di risistemagli un ginocchio slogato o un taglio fatto mentre si esercitava con arco e frecce.

Quando Louis deve compiere i suoi giri di ricognizione con Masha, Harry rimane al campo: Niall gli insegna a ricucire e a conciare le pelli d’animali per creare tende e coperte, mentre Liam passa i pomeriggi a farlo esercitare nel combattimento corpo a corpo.

“La spada” gli dice in un giorno nuvoloso, mentre Louis è andato con Stan e Luke sulle montagne per i loro giri: “è la prima cosa che tenteranno di strapparti via, quando sarai in battaglia.”

Sono entrambi sull’altopiano vicino all’accampamento e si stanno esercitando da almeno un paio d’ore: Harry ha le nocche violastre a forza di colpire il volto è il petto di Liam, mentre del sangue gli cola giù per il naso, fino a impiastricciargli la bocca.

Il cavaliere dai capelli marrone è davanti a lui e si porta un pugno chiuso sul naso per asciugare il sudore, mentre sputa via dell’altro sangue.

Prende un profondo respiro, portandosi i pugni stretti davanti al petto sudato; si avvicina nuovamente all’altro, con passo lento. Il suo respiro è pesante, ma controllato.

“Per questo devi essere in grado di saper lottare a mani nude, capito?” gli sussurra, socchiudendo gli occhi.

Harry non ce la fa, dannazione, riesce a percepire i propri muscoli cedere sotto la fatica: gli occhi—uno dei quali è stato pestato malamente—fanno fatica a mettere a fuoco la figura di Liam; il suo petto nudo sembra scolpito nel legno.

I tendini vibrano quando sta per sganciare un altro pugno; Harry non lo vede arrivare.

E immediatamente cade a terra, per la trecentesima volta, con un nuovo, fortissimo dolore allo zigomo destro.

Cade a carponi, tra la polvere, e tante goccioline di sangue e sudore si mischiano al suolo:

“Non ce la faccio” implora, esausto, osservandosi le mani martoriate.

Liam è davanti a lui. “In piedi, dài. Devi rispondere ai miei colpi.”

“Non ce la faccio.” Le sue nocche sono violacee, blu e marroni per la terra; i capillari si sono allargati e frantumati, lasciando intravedere centinaia di sfumature di rosso sangue.

Sente Liam sbuffare. Una mano gli afferra rudemente la base del collo, spingendolo a far collidere la schiena col suolo in un colpo solo: è un dolore atroce.

Il cavaliere è ad appena qualche centimetro dal suo volto, sopra di lui: gli blocca completamente braccia e gambe con il proprio corpo e la mano è ancora stretta alla sua trachea.

Harry annaspa e boccheggia, in cerca di aria. Cerca di contorcersi, facendo cozzare il proprio petto contro quello dell’altro.

“Andiamo,” gli dice allora Liam, guardandolo negli occhi: “reagisci! Fermami! Fa’ qualcosa, dannazione.”

Harry stringe gli occhi, forte: delle lacrime di dolore e di rabbia gli si accumulano agli angoli degli occhi.

Non ce la faccio—Lo pensa, poiché non ha abbastanza aria per poter parlare.

“Lee?”

Una voce proviene dal sentiero in fondo all’altopiano.

Liam stacca la mano dalla presa e si volta, non curante del fatto che Harry stia tossendo raucamente, voltandosi su un fianco per essere in grado di sputare tutto il sangue che aveva in bocca.

Zayn lo guarda, dall’inizio del sentiero, alzando un sopracciglio; non dice niente.

Non che quel ragazzo parli molto, effettivamente.

Lo vede voltarsi verso Liam. “Mi chiedevo—” lancia un’occhiata impercettibile al corpo dell’altro, nudo, sudato e ricoperto di polvere e sangue: “—dove fossi finito.”

Liam gli sorride, passandosi una mano dietro il collo: “Be’, adesso mi hai trovato.”

Zayn annuisce, non smettendo un attimo di guardarlo.

“Avevi, uh, bisogno di qualcosa?” domanda allora Liam.

L’altro scuote la testa. “No—Volevo sapere dove fossi” si schiarisce appena la voce, come ricordandosi improvvisamente che anche Harry è lì: “E dirti che Urich s’è ripreso completamente. Greg gli ha dato un’occhiata e—sì, le ali sono completamente guarite.”

Liam tira un sospiro, non riuscendo a smettere di sorridergli. “Dèi, grazie.”

Li osserva un attimo: è incredibile come Liam sia praticamente l’unica persona con cui Zayn scambi più di due parole al giorno.

O al quale sorrida.

Harry, pur non facendoci eccessivamente caso—dato che sembra una cosa normalissima per tutte le altre Sentinelle dell’accampamento—, deve ammettere che non può non vedere come si comportino quei due, l’uno nei confronti dell’altro.

Sembra che abbiamo una sorta di linguaggio segreto unicamente tra di loro, con il quale riescono a comunicare semplicemente stando seduti spalla a spalla, durante tutte le cene, ogni sera, un po’ più in disparte rispetto agli altri.

Liam è quello che più partecipa alle conversazioni, mentre Zayn si limita a sorridergli e a stare in silenzio, al suo fianco.

Quando un pomeriggio, insieme a Niall, cerca di cucire una coperta con delle pelli di animali cacciati (la carneovviamente l’hanno data a Huton, che si trastulla divertito lì affianco, affondando i denti nella carcassa d’animale) glielo domanda.

Gli domanda come mai Liam pare sia l’unico con il quale Zayn voglia condividere i suoi pensieri.

Niall ridacchia: “Sinceramente, non ne ho la più pallida idea.”

Lancia un’occhiata al cielo: “Loro sono due delle Sentinelle più vecchie, qui. Quando sono arrivato, loro si comportavano già così—Non lo so. Nessuno ha mai fatto domande.” Rimane un attimo in silenzio, pensando.

“Sì,” dice infine: “Loro hanno sempre dormito nella stessa branda, da quanto mi ricordo.”

Prima che se ne renda conto, Harry riesce a percepire il proprio cuore cominciare a battere dentro al petto.Veloce.

Niall pare non accorgersene; eppure—Eppure ha appena detto che due membri del corpo armato del regno... Dormono insieme.

Due uomini. Nello stesso letto.

Una parte di lui cerca disperatamente di ricacciare indietro, negli abissi della sua mente, la sera in cui ha posato disperatamente le sue labbra su quelle di Louis: non è nemmeno un ricordo nitido.

Non è chiaro.

Riesce solo a ricordarsi il sapore della bocca del cavaliere, il suo corpo che urlava ancora e poi lo sguardo di Louis; i suoi occhi blu che lo fissavano, gelidi. La sua cicatrice che sembrava brillare.

Il suo tocco e le sue mani, i suoi capelli. Il sussurro della sua voce quando erano talmente vicini da sfiorarsi.

Harry abbassa lo sguardo, lo stomaco chiuso in un nodo talmente doloroso da togliergli il fiato.

“Ma—” sussurra, pochi attimi dopo. Niall alza lo sguardo dal proprio ago.

“—Liam e Zayn. Loro—Sono due uomini.

Il cavaliere biondo pare non capire, e lancia un’occhiata a Huton. (Il drago si sta accoccolando all’ombra di una quercia.)

Harry si costringe a non abbassare lo sguardo, anche se le sue guance stanno letteralmente bruciando e il cuore continua a battere veloce: “Non è—sbagliato?”

Niall piega appena la testa di lato, prendendo un profondo respiro e posando via il proprio ago e filo.

“Sai cos’è davvero sbagliato, Harry?” domanda senza aspettarsi una vera e propria risposta; c’è una punta d’insolenza nella sua voce.

“—Che mandino ragazzi giovani come te—come noi, a combattere una guerra che non è nostra solo perché non sanno chi altri sacrificare.”

Si ferma, assottigliando gli occhi: “Come bestie da macello” sibila tra i denti. “Ad aspettare ogni secondo che qualche generale arrivi e ci trasferisca sulla Barriera a Nord, a morire. Pensi—pensi davvero che io possa giudicare Liam per aver scelto un altro uomo con cui passare ciò che rimane della sua vita?”

I suoi occhi azzurri sono spalancati, accusatori; tagliano Harry in due come lame di ghiaccio.

“Liam, Zayn—Io stesso. Potremmo tutti morire da un momento all’altro e l’unica cosa di cui sinceramente ti preoccupi è che sono entrambi uomini? Sul serio?”

Harry deglutisce, e la sua gola è talmente secca che il suono riecheggia nell’aria; Niall continua a fissarlo.

“Io—” Cosa dire? “La nostra religione—” prova allora il ragazzo dagli occhi verdi, perché è l’unica cosa che gli viene in mente; la più stupida, forse.

Niall lo blocca immediatamente. “La religione non ci tocca, non qui sulle montagne.”

“Ma—gli dèi—”

Niall sbuffa ed alza una mano, interrompendolo bruscamente; lo guarda.

Gli dèi ci devono solo delle scuse.”

L’ultima sillaba galleggia nell’aria silenziosa di quel pomeriggio freddo; il cavaliere rimane immobile, per poi afferrare nuovamente la sua pelliccia e ricominciare a conciarla.

Harry lo imita, non riuscendo a fare altro.

“Si prende la felicità dove è possibile trovarla” lo sente sussurrare, concentrato ad inserire il filo nell’ago.

 

 

§

 

 

Harry si rigira dentro le coperte calde della sua branda.

Il cielo è ancora del colore della pece, ma ben presto si tingerà d’arancio, e lui si dovrà alzare; dèi, non ci vuole nemmeno pensare.

I palmi delle mani gli fanno ancora male da ieri, quando s’è ferito con le squame di Urich mentre Louis cercava d’insegnarli a montare su un dannatissimo drago; a guidarlo.

Prova a ributtarsi sul cuscino riempito di lana morbida, mentre si tira su le coperte: ormai l’inverno è alle porte e l’aria si fa ogni mattina più umida e fredda.

Stringe forte gli occhi.

Non perderà un altro minuto di sonno; deve assolutamente addormentarsi prima dell’alba se vuole avere il minimo ed indispensabile di facoltà mentali e fisiche per affrontare un nuovo giorno d’addestramento.

Sbuffa. Sa perché s’è svegliato.

E no, non c’entra la lettera che, appena due giorni fa, una sentinella gli ha dato, salendo su fin sopra la montagna: Harry lancia un’occhiata al tavolino di legno appoggiato contro la parete.

Sopra, accanto alla casacca, i pantaloni, la giacca di cuoio, una candela, varie erbe e la borraccia di pelle, c’è il piccolo foglio di pergamena ripiegato in quattro; è da parte di Gemma.

Non c’è bisogno nemmeno di alzarsi per ricontrollarla, Harry ha sempre letto tutte le lettere che lei gli ha inviato almeno quattro volte, potrebbe ripeterle a memoria, se qualcuno glielo chiedesse.

Quest’ultima, in particolare, crede di averla letta almeno il doppio: problemi ai confini.

O almeno è quello che sua sorella dice di aver origliando dalle conversazioni di suo padre e altri generali del fronte.

 

I Barbari hanno preso il posto di blocco oltre la Barriera,

 

Recita la lettera:

 

Non hanno lasciato superstiti; si parla circa di cento o duecento uomini.

Tutti morti, ora. I loro corpi ricoperti dalla neve e il sangue che si mischia sulla terra.

Nostro padre insiste per tornare sul campo di battaglia; ho cercato di farlo ragionare, dicendogli che è decisamente troppo vecchio per tornare a guidare un esercito.

Potrebbe venire ucciso immediatamente.

Lui non mi ha voluto ascoltare.

È determinato a tornare in campo e credo che niente riuscirà a fermarlo.

Vorrei che fossi qui per aiutarmi a farlo ragionare.

Aspetto con ansia una tua lettera.

 

Sempre tua devota,

 

Gemma

 

Harry non s’è concesso tempo sufficiente per pensare, non vuole pensare.

L’unica persona mai stata in grado di fare ragionare il re è morta anni fa e, dopo di quello, niente è più stato lo stesso nella casata Styles.

Harry non fermerà suo padre, se quello è il suo volere: morire in guerra è l’unico motivo per cui un guerriero viene addestrato.

Per l’onore. La gloria. La vendetta.

Scuote la testa, sono tutte stronzate; non ha intenzione di soffermarsi troppo a preoccuparsi di suo padre e non perderà di certo il sonno per questo.

Infatti non è questo il motivo per cui non riesce a riprendere sonno, lo sa bene; afferra il proprio anello che dondola ancora inerme sul suo petto.

Mentre è puntellato su un gomito, se lo rigira tra le dita, osservandolo nel buio della stanza.

Lui è un Vergine, lui deve diventare Sacerdote, o—almeno è quello che ha sempre creduto; ora—Scuote la testa.

Ora ci sono delle complicazioni.

Complicazioni che hanno occhi blu ghiaccio e pelle che odora di sale e terra.

Ora Harry non riesce a smettere di avere dubbi.

Dubbi sulla propria fede, su di sé.

Dopo quella chiacchierata con Niall—giorni prima—Harry non ha potuto fare a meno di osservare più attentamente Zayn e Liam, accorgendosi di piccoli gesti che prima erano sembrati del tutto privi d’importanza.

Come siano sempre insieme, dovunque vadano, come Zayn sembri iperprotettivo nei confronti dell’altro e raramente lascia che vada in ricognizione da solo; come si guardano, lanciandosi brevi, sinceri sorrisi.

Per tutto il tempo.

Durante le cene, passano la maggior parte del tempo appartati, parlando e ridendo sommessamente, o rimanendo in totale silenzio, guardandosi di tanto in tanto.

Harry cerca, prova, a non interessarsene, ma. Non ci riesce.

Quando guarda loro, gli sembra di sporgersi su un nuovo mondo che gli avevano proibito fino a quel momento: uno scorcio, una fessura che gli è sufficiente. Non chiede altro.

Si ricorda, quando ancora aveva tredici anni appena, delle conversazioni che aveva con i figli della servitù e altri principi di altri regni o delle contee: si radunavano la sera dietro le cucine, provando a bere il vino avanzato dai banchetti.

Harry odiava con tutta l’anima quel sapore acre, ma non si permetteva di lasciarlo trasparire per non passare per un rammollito; li sentiva parlare, entusiasti, delle serve e delle cameriere.

O, più generalmente, delle donne.

Delle esperienze che avevano avuto con loro.

Sono morbide come la panna” diceva uno, tutto rosso in viso al solo ricordo: “E, be’—sanno di panna.”

Quando—stringono le cosce intorno a te, ti dimentichi persino il colore del sole.” Un altro.

I loro capelli lunghi si sparpagliano dappertutto, se non stai attento.”

E, quando era il turno di Harry di parlare, un silenzio imbarazzato si diffondeva per l’aria: quei discorsi non lo stuzzicavano, non lo intrigavano o eccitavano.

Lo mettevano solo in un lungo, penetrante stato di disagio ed imbarazzo: non provava nemmeno la voglia di concedere lunghe occhiate alle cameriere della servitù, non ci pensava nemmeno.

Forse era perché lui era destinato a diventare Sacerdote—era quello che si ripeteva sempre; era sensato, dopotutto.

Gli dèi non gli permettevano di interessarsi alle donne perché doveva preservarsi e diventare Sacerdote: aveva completamente senso.

Da quel momento aveva cominciato a portare l’anello. Da quel momento, ogni volta che toccava a lui parlare, se ne usciva con un semplice “Io diventerò Sacerdote” e gli altri tacevano.

Era così semplice; era semplice fingere di non interessarsi agli atti carnali.

Ora, però, quando guarda Zayn e Liam mentre si allenano a duello con le spade, non può fare a meno di sentire le domande venire a galla nella sua mente.

Domande inopportune ad ogni secondo, persino ieri, quando stava aiutando il resto delle Sentinelle a pulire la coda sporca di Neevae.

Bagna un panno nel secchio d’acqua gelida, poi alza lo sguardo su i due cavalieri—impegnati a lavare il muso mentre l’animale sbuffa—e deglutisce.

Come si stringono, due uomini? Come dormono insieme?

Passa lo strofinaccio sulle scaglie rosate del drago.

Com’è toccare un petto liscio, accarezzare una schiena intrisa di cicatrici?

Cerca di non pensarci, continuando a pulire e non facendo troppo caso all’acqua che cola giù per i suoi gomiti: sente Niall ridere con qualcuno, dall’altro lato di Neevae.

Stringere le cosce intorno ad un bacino asciutto e muscoloso. Infilare le mani tra i capelli corti che ti pizzicano i polpastrelli.

Harry alza lo sguardo e Louis è accanto a lui che gli sorride, dandogli una mano nel lavoro: il suo petto è nudo, abbronzato e la cicatrice è ben visibile sotto la luce opaca del sole.

Le sue braccia sollevano secchi pieni d’acqua, i suoi muscoli si tendono e si gonfiano, la sua mascella si stringe: Harry non riesce a distogliere lo sguardo quando vede il cavaliere voltargli le spalle e lasciare che la sua schiena venga esposta completamente al sole.

Non può non guardare il solco della spina dorsale tra le scapole, la linea netta del suo collo. La sua cicatrice rosata.

Com’è baciare una pelle che sa di sale, piuttosto che di panna?  


to be continued.




  
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