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“Dicono
che esistesse un tempo in cui i
mendicanti siano diventati eroi e il deserto sia cresciuto in
torreggianti
città di vetro. Si dice che allora le persone potessero
chiamare i draghi dalle
montagne ai confini del mondo, e maneggiare il cielo stesso come
arma.”
Harry
osserva le labbra fini di Gemma pronunciare le parole delle Scritture,
seguendo
con il dito la pergamena macchiata d’inchiostro rosso come
sangue; i fumi
d’incenso che arrivano dagli angoli delle pareti di pietra
gli rendono
difficile respirare, ma ormai ne è abituato.
“—Dicono
che c’è stato un tempo in cui
l’umanità
ha portato gli dèi in ginocchio.” La
ragazza si scosta appena il velo dal volto, facendo tintinnare le
conchiglie
perlacee ricamateci sopra: Harry non può fare a meno che
lanciare, con la coda
dell’occhio, un’occhiata a suo padre.
È
seduto accanto al leggio, vicino alla statua di osso del dio Fato. Lo
osserva,
assorto: la scultura del dio è intenta a tenere un bilico
tra due dita un
coltello dalla lama affilata e ai suoi piedi due mortali, nella loro
sofferenza, si combattono a vicenda, cercando di spingersi sotto la
punta del
coltello.
Chi
colpirà, l’arma? Chi
finirà per primo sotto la lama?
Nessuno
può saperlo.
Ritorna
con lo sguardo sulla ragazza.
Harry
si chiede se suo padre abbia fatto una buona scelta a far indossare a
Gemma il
velo che una volta apparteneva a sua madre: un velo che aveva ricamato
lei
stessa, con piccoli ninnoli e pietre preziose e conchiglie provenienti
da
Est.
Indossarlo
significa entrare a far parte delle Sacerdotesse del tempio, un ruolo
ambito da
tante e raggiunto da poche.
Gemma
deve esserne fiera come poche volte lo è stata nella sua
vita.
Harry
la osserva seguire con il dito l’ultima riga della pergamena,
tentennando un
attimo prima di pronunciarla.
“—Ma
questo era prima; e molto tempo fa.” Alza
lo
sguardo verso il padre,
recitando a memoria l’ultima parte:“Ora la
guerra logora la terra e i nostri
popoli, ora gli dèi sognano per noi un esercito che crei
soldati dal suo stesso
sangue versato.”
Fa
una pausa, prendendo una grossa boccata d’aria sporca
d’incenso: “È così, che
le recitano le Scritture.”
Lancia
un’occhiata a Harry, agitata: quello gli sorride rassicurante
e annuisce.
“Molto
bene,” l’uomo, dall’altra parte della
sala di pietra, si volta improvvisamente
verso sua figlia, battendo le grosse e callose mani: “Molto
bene,
Gemma—dovresti leggere a voce più forte, in modo
che anche gli anziani possano
sentirti, questa sera.”
Harry
sbuffa, sistemandosi meglio sullo sgabello intagliato finemente:
“Penso che
siano abbastanza anziani da averle imparate a memoria, le
Scritture.”
Gemma
tramuta una risata in un colpo di tosse appena scorge lo sguardo
ammonitore del
padre, fulminarla: “Non prendetevi gioco di loro. I vecchi
saggi mi aiutano a
governare e senza di loro—”
“—il
nostro regno non esisterebbe. Sì, padre,
lo sappiamo.” Gemma fa un
gesto allusivo con la mano, prima di afferrare i bordi frastagliati del
suo
abito e scendere dal leggio d’alabastro.
“Allora—”
comincia, togliendosi dal capo il velo e sistemandolo con grande cura
dentro un
cofanetto di legno ambrato: “—posso congedarmi per
prepararmi alla cerimonia di
‘sta sera?”
Afferra
da una piega della veste un cordoncino rosso scuro, al quale
è appeso un anello
di ferro lucido, e se lo risistema al collo, mettendolo ben in vista.
Il
padre la osserva compiere il gesto, con le mani strette dietro la
schiena e la
fodera della spada che gli ricade morbidamente lungo il fianco.
“Certo,
vai pure.” Le sorride: “Oggi sarà un
grande giorno, con una grande festa”
esclama, ridacchiando: “Oggi una novizia si unirà
alle Sacerdotesse del
tempio.”
“Uh.”
Gemma si osserva l’anello appeso al collo, rigirandoselo tra
le dita: “Se non
altro potrò smettere di portare il simbolo delle Vergini al
collo.”
Harry
si alza, strascinando le gambe dello sgabello contro il pavimento
ruvido. “Io
penso che ti doni” la prende in giro, pizzicandole il gomito.
Quella
emette un sibilo basso con la bocca: “Mai quanto a
te, fratellino.”
Afferra
l’anello sul collo dell’altro, ma il ragazzo
è più svelto e le caccia via la
mano.
Gemma
gli lancia una smorfia accompagnata da un verso di scherno prima di
voltarsi e
dirigersi verso il portone di bronzo massiccio del tempio.
Harry
e il padre osservano la sua figura ricoperta dalla veste smeraldo
finché non
scompare al di là del corridoio malamente illuminato dalle
torce decorate col
simbolo della casata Styles: un drago rampante con il muso schiacciato.
“Sta
crescendo così in fretta.” Sente suo padre
sospirare, dirigendosi a grandi
passi verso la vetrata della parete, che mostra un cielo plumbeo e
opaco.
“Mi
sembra che fosse ieri quando la cullavo e—questa sera
diventerà una
Sacerdotessa” mormora, perso con lo sguardo e con la mente.
Harry
annuisce tra sé e sé. “Spero di poterla
raggiungere anch’io, altrettanto
presto.”
L’uomo,
a pochi metri di distanza da lui, si volta di scatto, facendo
tintinnare la
spada contro la sua cintura.
“Ne
abbiamo già parlato, Harry” dice, con il tipico
tono di voce di chi non ammette
repliche: “Tu non diventerai Sacerdote. Non
m’importa se ti ostini a tenere la
collana delle Vergini al collo.”
Indica
il ciondolo, con una smorfia contrariata sul volto: “Tu sarai
un guerriero.
Come ero io, e mio padre prima di me e mio nonno prima di mio
padre.”
Harry
si morde l’interno della guancia, auto-imponendosi di
controllarsi per non
scoppiare in una delle innumerevoli liti che hanno già
dovuto affrontare negli
ultimi due anni: “Ma, padre—Io non voglio diventare
un soldat—”
“Non
importa cosa vuoi o non vuoi!”
Il
ragazzo s’azzittisce all’istante, osservando il
padre alzare i palmi delle mani
al soffitto alto e scuro, furioso: “È
così che andrà! Importi non servirà a
niente. Hai diciassette anni e, com’è sempre stato
nella nostra famiglia,
sceglierò uno dei guerrieri più anziani che ti
farà da mentore e ti troverà un
drago. Tu obbedirai a lui e a me.”
Lo
guarda, gli occhi ridotti in due fessure scure: “E che tu lo
voglia o no,
dovrai combattere e dovranno insegnarti a farlo, se vuoi sopravvivere
alla
guerra.”
“Gli
dèi penseranno alla guerra!” sbotta Harry,
esasperato, facendo un passo avanti:
“Loro sistemeranno tutto, ci salveranno. Non
c’è bisogno che io vada in aiuto,
sulla Barriera!”
L’uomo,
davanti a lui, abbassa lo sguardo sul pavimento: afferra con la mano
libera
l’elsa della spada e la stringe, senza fare altro.
Dopo
un paio di secondi, alza lo sguardo, incrociando gli occhi verdi del
figlio.
“Tu
hai sangue di guerriero, nelle vene. Non importa per quanto tempo
rinnegherai
il tuo destino; tu sei nato per combattere, uccidere e
vincere.”
Prende
un profondo, rauco sospiro: non c’è rabbia nella
sua voce, solo una sorta di
amaro rancore.
“Diventerai
un soldato, Harry. E questa è la mia ultima
parola.”
Harry
ha sempre odiato i banchetti; troppo rumore, troppo vino, troppo caldo.
Non
importa se stanno festeggiando il voto di Gemma come Sacerdotessa, non
importa
se ci sono decine e decine di persone sedute nell’enorme
tavolata della sala
principale, Harry non vorrebbe essere semplicemente lì.
Lancia
un’occhiata di soppiatto alla sorella, seduta nel tavolo
degli altri Sacerdoti,
Sacerdotesse e Vergini: si sta portando una mano alla bocca, ridendo
per
qualche battuta che una compagna le ha sussurrato
all’orecchio.
Ovviamente
lui non può sentire di cosa si tratta. Dannazione. Il
frastuono delle risate ubriache e dei canti e delle voci troppo potenti
di
tutti gli uomini, rendono quasi impossibile ascoltare anche i propri
pensieri.
C’è
da diventarne matti.
Abbassa
lo sguardo, mogiamente, sul proprio piatto ricolmo di cibo intatto. E
sul suo
calice di vino rosso ancora perfettamente pieno; sospira.
Vorrebbe
scappare in camera sua, mettere via i vestiti scuri di cuoio pesante
con gli
stemmi che è costretto ad indossare per
l’occasione e—non lo sa.
È
abbastanza sicuro che qualsiasi cosa sarebbe migliore che starsene
lì.
Invece
deve rimanere fermo, immobile, al tavolo principale mentre osserva suo
padre
ridere sguaiatamente e battere ripetutamente la grossa mano sulla
spalla di uno
dei guerrieri che ha invitato per la festa.
E
che, ovviamente, ha scelto di far
sedere proprio accanto a
lui. Che idiozia.
Harry,
stringendosi nelle spalle, li osserva: l’uomo—il
ragazzo? Quanti anni potrebbe
avere?—con cui suo padre sembra andare particolarmente
d’accordo è ancora
giovane.
Porta
una cotta di maglia con fili d’argento intrecciati, lo stemma
dell’Ovest appeso
ben in vista sul petto; ha i polsi stretti da nastri di cuoio ricamati
finemente, le mani piccole che stringono senza troppo entusiasmo il
calice di
ferro e bronzo ricolmo di vino.
Sorride,
lanciando continue occhiate agli altri suoi tre compagni
d’armi, sedutigli
rispettivamente a fianco.
La
sua bocca è tremendamente fine, pensa Harry, osservandolo
ridere: la curva
della mascella ricoperta radamente di un sottile strato di barba scura
sembra
non finire mai.
Esistono
poche persone con tratti così aggraziati, nel loro regno.
Una
di queste è Harry—tanto per dirne una—ed
è sempre stato preso in giro per le
sue forme poco virili, fin da quando era costretto a partecipare alle
lezioni
di spada, quand’era piccolo.
“La
bocca troppo piena, gli occhi troppo verdi, la pelle troppo diafana, le
gambe
troppo lunghe. Nemmeno un accenno di barba; capelli troppo
morbidi.”
Era
una tortura sentire gli scherni degli altri bambini, del suo maestro
d’armi, di
suo padre.
Invece,
nel soldato che sta osservando di nascosto dall’altra parte
del tavolo, quei
tratti delicati non stonano: gli zigomi alti e lisci nascondono due
occhi
azzurri ghiaccio, blu scuro e denso come le pietre che i mendicanti
portano da
Sud.
La
fronte ampia è nascosta da ciuffi scomposti di capelli del
colore della
corteccia degli alberi più antichi, le sue orecchie sono
fini, piccole.
Ma—Harry
non è sicuro di saperlo spiegare, c’è
qualcosa nella sua postura.
Le
spalle muscolose e dritte che si stringono tra loro, i gomiti
appoggiati al
tavolo, lo sguardo che pare scrutare e fare attenzione ad ogni
più piccolo
movimento all’interno della sala, quasi
sull’allerta.
Fa
scorrere lo sguardo sul suo volto e—Harry si morde il labbro
inferiore,
deglutendo.
Un’enorme
cicatrice spessa gli solca la parte visibile di clavicola che fuoriesce
dalla
cotta: come un verme lucido e perlaceo che striscia fuori dalla pelle.
È
davvero questo ciò che suo padre vuole?
Sente
la rabbia rimontare dentro di sé come fuoco; osserva ancora
la cicatrice
frastagliata, ricoperta in piccola parte da bruciature nere e rossastre.
Deve
essere stato il suo drago.
Il
suo drago deve averlo ferito, sicuramente; non c’è
altra spiegazione. Sono
creature potenti e malvagie, quelle: per quanto si possa tentare di
educarle,
risulterà sempre impossibile addomesticarle.
Che
l’abbia ferito in battaglia? In combattimento? Mentre lo
stava cavalcando? O—
Quando
Harry alza appena lo sguardo, per seguire daccapo tutta la superficie
chiara
della ferita rimarginata, i suoi pensieri s’azzittiscono
all’istante.
Il
cavaliere lo sta fissando, con un sopracciglio alzato. Suo padre sta
continuando a parlare con gli altri tre, ma lui sembra essersi di
proposito
estraniato dalla conversazione per girarsi e—fissarlo di
rimando?
Oh. Da
quanto tempo sapeva che Harry
lo stava a sua volta guardando? Dèi, deve
sembrare un perfetto
idiota. Grandioso.
Le
sue guance si colorano immediatamente, per la vergogna di essere stato
colto
sul fatto: appena riacquista un minimo di lucidità mentale,
distoglie
immediatamente gli occhi da quelli taglienti dell’altro e
comincia a fissare
insistentemente il proprio piatto.
Al
suo fianco, due membri Saggi stanno discutendo vivamente (dopo aver
bevuto decisamente
troppo vino) sul prossimo acquedotto da costruire nella piazza
principale.
Harry,
ora, vorrebbe più che mai nascondersi nella sua camera.
(Spera con tutto il
cuore che le torce appese alle pareti di pietra coprano il suo rossore,
diamine.)
Dèi,
dèi. Non sa
nemmeno chi diamine sia quel dannato cavaliere e già lo odia
a morte; perché
rappresenta tutto ciò che Harry odia a
morte.
Perché
suo padre preferirebbe mille e mille volte ancora avere lui come
figlio,
piuttosto di quello che gli dèi gli hanno dato.
Stringe
i pugni, sotto il tavolo; sente l’anello del voto di
castità pesare
incredibilmente contro il suo petto, nascosto appena dai vestiti
pesanti.
Alza
appena gli occhi, giusto il tanto che basta per dare
un’ultima occhiata a quel
dannato guerriero, con i suoi compagni e suo padre, che ridacchia,
felice come
non è mai stato nella sua vita.
Il
ragazzo dagli occhi azzurri lo sta ancora guardando da dietro il calice
che s’è
portato alle labbra; Harry sussulta.
Perché
lo guarda? Cosa c’è?
Il
suo sguardo sembra addirittura divertito; scommette
che quel
tipo se la starà spassando un mondo a metterlo a disagio.
In
casa sua, oltretutto. Ma come si permette?
Questo
è decisamente troppo.
Preso
da un impeto d’irritazione, Harry si alza improvvisamente dal
tavolo, lasciando
che le gambe della sedia raschino contro il pavimento: uno stridio si
diffonde,
per un attimo, nella sala.
Nessuno
sembra farci troppo caso, considerando il fatto che tutti i presenti
sono o
troppo ubriachi o troppo intenti a ridere e a parlare di guerre e di
draghi.
Harry
storce il naso, dirigendosi a gran passi verso il portone
d’ottone che dà sul
corridoio di palazzo; solo sua sorella gli lancia un’occhiata
perplessa, alla
quale il ragazzo dagli occhi verdi s’affretta a rispondere
con un cenno del
capo.
Me
ne vado. Sono stanco.
Gemma
annuisce.
Cammina
nel corridoio fin quando il rumore del banchetto non
s’affievolisce del tutto:
delle torce illuminano fiocamente le pareti leggermente ricurve,
creando
tremolanti ombre sulla pietra.
Raggiunta
la rampa di scale che porta al primo piano, si ferma di scatto;
l’improvviso
silenzio pare quasi stordirlo.
Che—che
diamine sta facendo? È—scappato?
Scappato
da una festa dedicata alla sua stessa sorella?
Si
batte un palmo sulla fronte: non potrà mai essere un re,
lui. Troppo immaturo,
incapace di imporsi e con una soglia dell’attenzione decisamente troppo
bassa. (E quella dell’irritazione troppo alta, uh.)
Sarà
un pessimo re, un giorno. E il popolo lo odierà a
morte. Incoraggiante. Ottimi
pensieri per concludere la meravigliosa giornata appena svolta, come no.
Prende
un profondo respiro, facendo scivolare fuori dal colletto della casacca
l’anello di ferro, se lo rigira tra le dita, sospirando e
dandosi ripetutamente
dell’idiota: potrebbe recarsi al tempio fuori
città per pregare un po’. Giusto
per consolarsi.
No, no.
Decisamente
no.
Scuote
la testa, fissando la rampa di gradini scuri di fronte a lui; ecco cosa
farà,
ora: ritornerà in quella sala e festeggerà con
Gemma uno dei giorni più
importanti della sua vita. All’inferno gli sguardi che quel
tipo gli ha lanciato.
Prende
un profondo respiro e si volta, facendo perno sui talloni: oh
sì, pensa, tornerà
in sala e—
“Ouch!”
Cade. Cade?
Forse
sarebbe più corretto dire che è inciampato.
Non
è sicuro esattamente su cosa, o perché stia
cadendo ma il
punto è: sta perdendo l’equilibrio mentre continua
ad annaspare con le mani in
aria e cercare un qualsiasi appiglio che non gli faccia sbattere il
naso contro
il pavimento.
Quando,
però, la caduta si arresta improvvisamente, Harry decide di
non aprire ancora
gli occhi che aveva deciso di chiudere.
Bene. Ci
sono
due possibilità: o
qualcosa lo ha bloccato in aria, o è già caduto e
il pavimento è decisamente
più caldo e morbido di quanto si sarebbe mai aspettato.
“Attento
a dove metti i piedi.”
Il
pavimento parla?
Harry
spalanca improvvisamente gli occhi, e la prima cosa che vede
è un intreccio
infinito di fili argentati che risplendono sotto la luce del fuoco
delle torce;
alza appena lo sguardo.
Il
cavaliere dagli occhi blu lo sta fissando, divertito.
Oh. Oh.
Harry
c’è caduto sopra, e ora si trova ancora spalmato
sopra di lui, tenendo stretta
tra le dita la cotta di maglia con lo stemma. Dèi, potrebbe
sembrare più goffo
e stupido di così?
Si
stacca improvvisamente, quasi scottato, dall’altro ed
indietreggia di qualche
passo fingendo di grattarsi una guancia per nascondere il rossore
propagatosi
sulle sue gote: il ragazzo di fonte a lui ridacchia, arcuando le fini
sopracciglia.
“Dovresti
fare più attenzione a dove cammini.”
Oh,
grazie tante per il consiglio.
Se
non fosse per il fatto che Harry si sta letteralmente mordendo
l’interno della
guancia per la vergogna, ora potrebbe uscirne con un incredibile
sguardo
sarcastico.
“Sei
tu che—” si schiarisce la voce, cercando di darsi
un tono: “—sei tu che mi
stavi seguendo” scandisce, con un tono accusatorio nella voce.
Il
cavaliere si scosta un ciuffo di capelli dalla fronte, per poi
sistemarsi più
strettamente i nastri di cuoio intorno ai polsi: senza volerlo, Harry
si
ritrova a seguirne il movimento.
“Non
ti stavo seguendo” sbuffa quello: “Rilassati,
ragazzino.”
L’espressione
perplessa ed offesa di Harry bastano per farlo scoppiare a ridere
rumorosamente.
Ragazzino? Sul
serio? Ma chi diamine si
crede di essere?
“Hai
la minima idea di con chi tu stia parlando?” sbotta allora,
raddrizzandosi
nelle spalle e cercando di mantenere uno sguardo alto e sicuro; lui
è il figlio
del re, diamine. Dovrà pur contare qualcosa, no?
Le
persone gli devono un po’ di rispetto. E
dannazione.
Nonostante
tutto, però, la reazione del ragazzo dagli occhi azzurri
è tutto fuorché
intimorita o spaventata. Anzi: tira su un sogghigno divertito, mentre
corruga
la fronte e si picchietta l’indice sul mento, fingendo di
pensarci su.
“Il
figlio del re, no?”
Oh,
quindi lo sa e
non gliene importa
niente. Grandioso.
“Be’—”
si avvicina fin quando non si trovano a distanza sufficiente
perché Harry possa
distinguere una ad una le pagliuzze dorate nei suoi occhi. Il cavaliere
so
squadra dalla testa ai piedi.
Pare
trovare qualcosa di estremamente interessante, all’altezza
del suo petto poiché
allunga una mano, stringendo le labbra in una linea sottile:
“Sei—un Vergine?”
Harry,
per un attimo rimasto stordito, riafferra velocemente la propria
lucidità:
abbassa lo sguardo e vede il cavaliere stringere tra le dita
l’anello di ferro,
i suoi occhi azzurri, però, sono puntati contro quelli di
Harry.
“Sei davvero un Vergine?”
domanda ancora, senza scherno o derisione.
Solo—con
stupore? È sempre piuttosto raro trovare un aspirante
Sacerdote uomo,
soprattutto di questi tempi.
Il
ragazzo dagli occhi verdi s’affretta a scacciare la mano
dell’altro dal suo
ciondolo, prima di riporlo sbrigativamente dentro la casacca.
“Non
sono affari tuoi” borbotta piccato.
II
cavaliere davanti a lui rimane in silenzio ad osservarlo per secondi
interi;
nemmeno a dire che tutto ciò metta incredibilmente a disagio
Harry. Grandioso.
Eccolo
di nuovo: un perfetto estraneo lo sta mettendo a disagio dentro casa
sua.
E
lui non può fare niente se non fingere che la cosa non lo
disturbi.
Ribadendo:
sarà davvero un pessimo re,
un giorno. (Un giorno molto,
molto, molto lontano; si spera.)
“Louis?”
Una
voce proviene da fondo al corridoio, una voce un po’
strascicata e brilla, ma
comunque chiara e tonante: Harry—grazie agli dèi
è arrivato qualcuno a tirarlo
fuori da quella situazione. Lo sguardo penetrante e blu
dell’altro stava
davvero diventando impossibile da sopportare—e il cavaliere
si voltano quasi
contemporaneamente.
“Louis!
Mi stavo chiedendo dove diamine fossi—” La voce si
blocca nuovamente, mentre
l’uomo emerge sotto la luce scoppiettante di una torcia:
“Harry? H—che
ci fai qui? Non, uhm, eri dentro alla sala?”
Harry
ruota gli occhi all’ampio soffitto, stringendosi nelle
spalle. “No, padre. Sono
uscito prima per prendere un po’ d’aria.”
L’uomo
rimane in silenzio, passandosi una mano sulla barba che ricopre gran
parte del
suo volto: la fodera della sua spada dondola sul suo fianco, seguendo
ancora il
ritmo dei suoi passi affrettati di poco prima.
Rimane
un paio di secondi immobile strabuzzando e strizzando gli occhi, come
se
cercasse di mettere a fuoco una qualche figura lontana: poi si scuote
improvvisamente.
“Be’—!”
esclama, battendo una forte mano sulla spalla del cavaliere dagli occhi
blu:
Harry lo vede sussultare appena a quell’improvvisa botta, ma
nemmeno per un
secondo perde la sua compostezza.
“—vedo
che hai conosciuto la Prima Sentinella delle montagne ad Ovest:
Louis, dei
Tomlinson.”
Louis?
Dèi,
che nome strano. Harry trattiene una smorfia mordendosi il labbro
inferiore:
non ha mai sentito un nome così delicato appiccicato addosso
a qualcuno che non
fosse una damigella di corte.
Louis. Louis
Tomlinson.
Non suona male,
nell’insieme.
“Grande
ragazzo, grande ragazzo, bravo ragazzo—” continua a
sussurrare suo padre, nel
frattempo, in una cantilena interrotta soltanto dai singhiozzi
improvvisi
dovuti al bere.
Harry
non lo sta più ascoltando: il cavaliere, Louis,
ha puntato
nuovamente lo sguardo su di lui e ha un sorriso divertito stampato in
faccia.
Che
diamine ha da ridere?
Apparentemente,
solo il fatto che il re lo stia facendo dondolare da una parte
all’altra, a
forza di trascinarselo dietro nel suo molleggiamento.
Va
bene, forse
la
scena è piuttosto comica: poche volte ha visto suo padre
così rilassato e ubriaco,
ma. Non dovrebbe assolutamente mettersi a ridere, se non altro per non
dare
soddisfazioni a Louis Tomlinson.
“Vostra
Altezza,” mormora improvvisamente quello, sgusciando via
dalla presa dell’uomo:
“vi ringrazio ancora infinitamente per avermi invitato a
questa festa in onore
della vostra bellissima figlia. E, uh, anche per avermi incaricato di
un
compito così sacro e importante.”
Bla,
bla, bla. Che
melenso; Harry gli lancia un’occhiataccia.
È
davvero così che le persone si rivolgono ai più
potenti per ottenere grazie e
favori? Dovrà farci più caso, le prossime volte
che qualcuno gli parlerà.
Ma
il re suo padre, ovviamente, sembra più che contento delle
moine del cavaliere;
gli sorride apertamente, facendo passare lo sguardo da lui a suo
figlio, da suo
figlio a lui.
“Sarai
perfetto, me lo sento” biascica, infine.
Perfetto?
“Perfetto
per cosa?” domanda allora Harry, improvvisamente perplesso.
Non sa esattamente
il motivo, ma ha una brutta sensazione dentro lo stomaco: dettata
principalmente dal fatto che quei due continuino a lanciarsi strane
occhiate.
“Perfetto
per cosa, padre?”
domanda ancora, dopo poco, un po’ più forte.
Louis
si volta verso si lui sorridendo lascivamente, ma aspetta che sia il
re, a
parlare.
“Harry—”
comincia quello, avvicinandosi: “—Tra due giorni
partirai per il confine ad
Ovest. Ho—scelto Louis come tuo mentore guerriero.”
Il
ragazzo dagli occhi verdi spalanca lo sguardo.
E
no, no, no.
§
Harry
stropiccia più volte gli occhi; l’alba non
è ancora sorta e il freddo della
notte è decisamente troppo poco allettante per tentare di
uscire dalle coperte
calde.
Si
stringe le braccia al petto, imponendosi di tenere le palpebre serrate:
finge
di non sentire i continui colpi alla porta di legno. (Che ha
saggiamente
sigillato col chiavistello, la sera prima.)
“Harry!”
Dannata
Gemma. Che vuole, adesso?
Non
dovrebbe essere al tempio a pregare? Ora che è diventata
una Sacerdotessa ha
dei compiti da svolgere. Harry pensa che lui sarebbe trecento volte
meglio,
come Sacerdote.
Se
solo ne avesse la possibilità; se solo il padre gli
lasciasse un minimo di
margine di scelta.
“Harry
hai intenzione di alzarti o no?”
La
voce della ragazza lo strappa via dai suoi pensieri: risulta un
po’ ovattata da
dietro lo spesso strato di legno massiccio, ma non sufficientemente da
renderla
meno fastidiosa.
No. Non
voglio, grazie
tante per la domanda.
“No”
grugnisce il secondo dopo, sperando di averlo detto troppo piano
perché qualcun
altro possa averlo sentito.
“Ti
ho sentito!”
Ecco,
appunto. Non gliene va mai una giusta, eh? Sbuffa, tirandosi le coperte
fin
sopra la testa e raggomitolandosi tra le lenzuola di lana ruvida e
morbida.
“Nostro
padre è furibondo! Ti stanno già aspettando fuori
in cortile; se non esci
immediatamente verranno a buttare giù la porta a
spallate—Ti frusteranno,
Harry!” Sente la
sorella sospirare affranta, battendo un altro colpo: “Ti
prego, apri
questa dannata porta. Qual è il problema?”
Oh, vuole
la lista? Potrebbe volerci
di più di una mattinata, allora.
Harry
ruotagli occhi all’ampio soffitto di pietra e, con
grandissimo sforzo, si
scosta le spesse coperte di dosso; immediatamente il freddo della notte
lo
attanaglia in una morsa dolorosa.
Per
puro miracolo arriva a trascinarsi fino alla porta ed a sbloccare il
cardine:
sa già che Gemma gli salterà praticamente addosso
e che il velo di cordini
intrecciati che ora è costretta a portare intorno al capo
gli finirà in bocca,
ma. Quando percepisce le sue esili braccia stringersi intorno al suo
collo in
un abbraccio gentile, Harry non può fare altro che
ricambiare.
Insomma,
se tutto va come suo padre ha programmato, non tornerà a
casa per un bel po’ di
tempo; è normale che Gemma stia nascondendo il volto
nell’incavo del suo collo,
no?
“Ehi, ehi” Harry
le batte gentilmente una mano sulla schiena: “stai
piangendo?”
La
ragazza tira su col naso e ridacchia: “Mi mancherai
tantissimo—La vita qui sarà
una noia tremenda, senza d te.”
“È
solo per un paio di mesi.”
“O
un anno.” Gemma si stacca per riuscire a guardarlo negli
occhi: “O forse anche
di più.”
Harry
abbassa lo sguardo puntandolo sulle dita fredde delle sue mani, ora
congiunte davanti
a sé; dèi, non ci
vuole nemmeno pensare. Un anno, un dannato anno.
Un
anno del ciclo del Sole che dovrà passare in compagnia di
quel cavaliere dalla
cicatrice bianca.
“Tu
non ci vuoi nemmeno andare.”
È Gemma a parlare improvvisamente, in
quasi un sussurro, mentre gli afferra le mani e le stringe
delicatamente tra le
sue: “Tu non ci vuoi nemmeno andare—Rimani qui. Con
me. Potremmo, uh, potremmo
diventare entrambi servi degli Dèi,” alza lo
sguardo, guardando il fratello con
aria speranzosa.
“—per
piacere. Non andare a combattere; non andare in guerra. Non morire. Ti
prego,
ti prego, ti prego.”
Senza
che Harry possa farci niente, gli occhi di Gemma sono diventati di
nuovo
lucidi; lo guarda come se aspettasse una risposta.
Come
se l’ultima parola toccasse a lui. Come no.
Le
scosta un ciuffo di capelli dietro l’orecchio e la guarda,
alzando appena gli
angoli della bocca: “Gem, ascolta. Io—Non puoi
capire quanto vorrei non
dover andare. Ma,” prende un profondo respiro: “io
sarò re, un giorno. Per
quanto non voglia, dovrò imparare a proteggere il mio
popolo. Glielo devo,
capisci?”
Cerca
di sorriderle: “—Forse nostro padre ha ragione.
Forse—sono solo destinato a
combattere. Anche se è la cosa che più odio al
mondo.”
“Uhm.
Hai ragione,” la ragazza distoglie lo sguardo,
improvvisamente mogia: “hai
ragione, scusa. Non avrei nemmeno dovuto chiederti una cosa del
genere—Che
stupida. È il tuo dovere. Io non posso—”
“Ehi” la
interrompe
Harry, dandole un
buffetto sulla guancia: “È tutto a posto,
tranquilla. È bello vedere che mi
tratti finalmente come un fratell—ouch!”
Arriccia
il naso, massaggiandosi il bicipite appena colpito:
“Perché diamine l’hai
fatto?!”
“Non
è questo il momento di fare lo spiritoso!” Lo
ammonisce la sorella, non riuscendo
però a trattenere un sorriso: “Rovini ogni momento
serio!”
Harry
sorride, piegando la testa di lato: le sembra di vederla di nuovo
crescere,
sotto i suoi occhi. Da quand’era una bambina alla donna che
è diventata, tutto
in un attimo.
“Mi
mancherai anche tu, Gem.”
Fuori
dal castello, un’alba perlacea inonda le cime degli abeti
scuri e delle
montagne di pietra e terra: Harry respira profondamente, lasciando che
una
piccola nuvola di condensa fuoriesca dalle sue labbra.
Mentre
cammina per il cortile, verso il portone d’ingresso, alza gli
occhi al cielo
imbrunito nel quale riesce ancora a distinguere le ultime stelle, prima
che
vengano spazzate via dalla luce del sole.
Vorrebbe
fermarsi al tempio per un’ultima preghiera prima della
partenza per le montagne
ad Ovest.
Vorrebbe
pregare un’ultima volta: ci sarà almeno un altare,
dove sta andando? Dove potrà
compiere i suoi sacrifici?
Gli
dèi sono potenti e iracondi, non accetteranno che il figlio
del re non compia i
rituali a loro dedicati; sono esseri malvagi, più soggetti
alle emozioni umane
di quanto non lo siano gli umani stessi.
Sono
anche benevoli, però. Caritatevoli; servizievoli. Le
preghiere salvano le anime
prima dell’oblio, le preghiere sbagliate possono portare alla
morte.
«Il
sangue innocente che verrà versato sarà ripagato
con città intere trasformate
in sale e polvere.»
O,
almeno, è così che recitano le Scritture che
Harry ha memorizzato già da molto,
molto tempo: quando sua madre gliele leggeva prima di addormentarsi,
quando le
studiava da solo, la notte, cercando di nascondersi da suo padre.
Una
guardia, appena accanto al portone d’ottone, gli fa un cenno
di saluto:
ricambia, stringendosi le spalle dentro il suo soprabito di stoffa
pesante e
scura, ricamata in cuoio.
Il
prato fuori dal castello è ancora coperto di rugiada fresca
e sente i fili
d’erba solleticargli le caviglie, mentre si dirige a grandi
passi verso le due
figure che si stagliano contro il cielo porpora, a qualche decina di
metri.
Il
cavaliere con la cicatrice è accanto a suo padre, in piedi,
appoggiato
comodamente sull’elsa della sua spada che ha piantato al
suolo, tra la terra
morbida; dèi, i suoi
occhi blu sono distinguibili chiaramente
persino da lì.
Lo
vede annuire, ascoltando ciò che il re gli sta dicendo, ha
le braccia conserte,
dondolando sui talloni.
Harry
deglutisce, avvicinandosi.
“Guarda
un po’ chi ci ha degnato della sua presenza.”
È la prima cosa che gli dice il
re, ruotando gli occhi scuri al cielo.
“Scusa,
padre. Gemma mi ha trattenuto per i saluti.”
“Dovresti
scusarti anche con Louis—” l’uomo indica
il cavaliere, che si limita a
ridacchiare lanciando a Harry un’occhiata eloquente.
“—è
qui ad aspettarti da prima dell’alba.”
Be’,
di certo non è stato lui a chiederglielo; grazie tante.
Nessuno l’ha costretto
a presentarsi al castello, quella mattina: dovrebbe persino chiedergli
scusa?
No, non crede proprio.
Si
fissano, in completo silenzio; Harry non ha nessuna intenzione di
abbassare lo
sguardo e cedere, così si limita a contrarre la fronte e le
labbra in una linea
rigida.
Percepisce
suo padre, accanto a lui, cominciare ad alterarsi.
“Allora?”
domanda, con una punta d’asprezza nella voce:
“Scusati con Tomlinson, Harry. Ti
ho educato meglio di così.”
Oh, come
no. Non importa se, così facendo, Harry stesso sta
dimostrando
l’infantilità e l’immaturità
di cui suo padre l’ha sempre accusato: lui non chiederà
scusa a quel ragazzo.
Non
ha nessun motivo per farlo e non lo farà. Non importa se
quello lo sta
fissando, divertito, in attesa delle sue scuse, se sta inarcando le
sopracciglia o sollevando gli angoli delle labbra sottili.
Non.
Lo. Farà.
Il
re si sta irritando; dopo un altro paio di secondi passati nel completo
silenzio, batte improvvisamente un piede a terra e fa per ordinare
nuovamente a
suo figlio di scusarsi con il cavaliere.
Ma,
qualcosa lo interrompe.
“Il
principe non ha bisogno di scusarsi, vostra altezza.” Il
ragazzo dagli occhi
azzurri si raddrizza nella schiena e afferra l’elsa della
spada, facendone
uscire la punta dalla terra morbida.
Con
un gesto veloce e pulito della mano le fa compiere una perfetta
circonduzione e
la riafferra, in aria, per poi sistemarla dentro la fodera di metallo
lavorato
appesa al suo fianco con un movimento secco del polso; Harry,
nonostante tutto,
non può fare altro che fissare incantato la scena.
(Cerca
di nascondere la sua ammirazione.)
Certo,
lui è bravo con la spada, molto bravo, grazie a tutte le
lezioni che ha preso
da ragazzo; ma non crede di essere in grado di compiere un movimento
del
genere.
“State
pur certi che entro la fine del nostro percorso, il ragazzo
avrà imparato la
disciplina che gli manca” conclude, lanciandogli
un’occhiata.
Harry
viene preso alla sprovvista, mentre sente il padre ridacchiare con voce
gutturale; quel tipo gli ha dato nuovamente del ragazzino,
vero?
L’ha
fatto nascondendolo sotto un mucchio di ciance, ma l’ha
fatto, no? Gli ha
appena dato dell’immaturo.
“Bene,
ora direi che potete andare,” il re si volta verso il figlio:
“cerca di
imparare il più possibile: per l’oggi e per il
domani, quando diventerai il
sovrano di queste terre e dovrai riuscire a controllare la guerra
contro i
Barbari, al di là della Barriera.”
Gli
batte una mano sulla spalla, stringendogliela: “Ti
scriverò.”
Non
è vero, non lo farà. Harry lo sa bene; ma forse
ha qualche possibilità di
ricevere dei telegrammi da Gemma, se le staffette non moriranno durante
il
viaggio per cercare di raggiungere le montagne ad Ovest.
Harry
annuisce ed osserva il padre lanciare un’ultima occhiata a
Louis, prima di
voltargli le spalle e dirigersi verso le mura del castello. Quando si
trova a
una sufficiente distanza, il cavaliere—senza dire una
parola—comincia a
camminare in direzione opposta, verso il bosco di pini scuri, poco
più in là.
È
costretto a correre, per raggiungerlo.
“Dove
stai andando?” gli domanda, seccamente, col fiatone a causa
della piccola corsa
che è stato costretto a fare per riuscire a stargli dietro.
Sente l’anello al
collo dondolargli ad ogni passo.
“All’accampamento
delle Sentinelle, sulle montagne dell’Ovest. Mi pare
ovvio.”
“E
vuoi andarci a piedi?!”
Suo
padre ha scelto per lui il mentore più squilibrato della
storia; vuole che
raggiungano le montagne camminando? Sarebbero giorni di percorsi brulli
tra le
rocce, dovrebbero attraversare pianure e steppe immense, per non
parlare dei
boschi.
Quel
Louis deve essere completamente impazzito.
“Sei
completamente impazzito” dice allora.
Il
cavaliere si ferma d’improvviso, appena al limitare del
bosco. (Harry va quasi
a sbatterci sopra, ma riesce a trattenersi dall’inciampare
all’ultimo minuto.)
Lo
osserva voltarsi verso di lui, puntandogli gli occhi azzurri addosso,
insistentemente: “Stai attento a come ti rivolgi a me,
ragazzino. Non importa
se sei il figlio del re; per i prossimi mesi sei sotto il mio comando e
se non
vuoi che ti faccia trasportare massi dalla mattina alla sera o non vuoi
essere
frustrato, sarà meglio che cominci a tenere a freno la
lingua, ci siamo
intesi?”
Il
volto di Louis si piega in una smorfia strana, il secondo prima che
scoppi a
ridere.
Sicuramente Harry
deve essersi perso qualche
passaggio: l’attimo prima l’aveva fatto raggelare
sul posto, minacciandolo, ed
ora lo sta confondendo ridendogli in faccia.
“La
parte della persona seria non mi riesce bene, scusa” lo sente
ansimare,
prendendo una grossa boccata d’aria gelida per placare le
risate: “Comunque,
uh, sul fatto dei massi e delle frustrate non scherzavo. Quindi
attento.”
Harry
annuisce, incapace di fare altro.
L’alba,
all’orizzonte, si fa ogni secondo più rosea e
brillante, rischiarendo un po’ il
mondo dalle tenebre della notte.
Louis
è ancora immobile, piantato sui suoi piedi, mentre osserva
concentrato la cima
degli alberi appena illuminati; che cosa sta aspettando?
È
quasi tentato di domandarlo, Harry, ma non vorrebbe che
l’altro riesplodesse
in—be’, quello che è successo poco fa;
è costretto a massaggiarsi coi palmi
delle mani le braccia intorpidite dal freddo mattutino.
Aspettano,
aspettano e aspettano.
Passano
minuti interi prima che un lievissimo fruscio si faccia strada tra
l’aria
immobile del mattino; diventa sempre più forte, ogni secondo
che passa.
Harry
guarda Louis con le sopracciglia aggrottate in una taciturna domanda,
ma quello
si limita a sorridere sornione e fissare il cielo perlaceo.
“Che
mi dici dell’equilibrio?” domanda improvvisamente
il cavaliere dagli occhi
azzurri, quasi urlando a causa del fruscio che è diventato
un vero e proprio
rombo.
“Cosa?” grida
in risposta l’altro, mentre un vento
improvviso—probabilmente causato dal
rumore del rombo—gli scuote i capelli e fa piegare i rami
degli alberi.
“L’equilibrio!”
Louis scoppia a ridere, scostandosi un ciuffo di capelli dal volto:
“Con quelle
gambe lunghe penso che tu non ne abbia molto!”
Harry
fa davvero, davvero fatica a capire di che diamine stia parlando il
ragazzo,
soprattutto considerando il fatto che il vento è diventato
almeno dieci volte
più forte e un rumore fortissimo ed ovattato gli riempie i
timpani.
Che
diamine sta succedendo? Una tempesta? Un terremoto?
Un’ombra
improvvisa oscura il sole.
Harry
non fa in tempo ad alzare lo sguardo che già
l’enorme figura scura come la pece
è passata oltre, vorticando e scendendo in picchiata contro
di loro; l’aria che
l’ombra muove è sufficiente per far scaraventare
Harry a terra, ma non
abbastanza da fare lo stesso con Louis.
Il
vento raschia l’erba soffice del prato; Harry riesce a
malapena ad udire il
cavaliere urlare qualcosa alla figura, euforico.
Poi,
l’ombra compie un ultimo balzo e, placidamente, si accuccia a
qualche metro di
distanza da Louis, coprendolo interamente con la sua ombra.
Quando
Harry riesce finalmente ad aprire gli occhi, è costretto a
spalancarli.
Un
drago.
C’è
un drago ad appena qualche decina
di metri di distanza da lui:
ha il muso lungo, affusolato, le ali scure ripiegate mollemente sul suo
corpo,
lisce come pece fusa, unghiate da enormi artigli neri.
Una
fila di corna di bronzo piccole e tozze si fa strada dalla fronte della
bestia—proprio tra gli occhi gialli—fino al retro
della nuca.
Tiene
le zampe piegate scompostamente, avvolte dalla sua enorme coda nera
spinata,
come il resto del corpo: due canini affilati e grandi quanto coltelli
fuoriescono dal labbro inferiore e paiono brillare, sotto la luce
tiepida del
sole.
Harry
percepisce il proprio sangue, dentro le vene, raggrumarsi e sciogliersi
più
volte: ha un drago davanti.
Non
ne aveva mai visto uno dal vivo. Le sue enormi narici si allargano e si
restringono e dalla sua gola pare provenire un riverbero profondo come
una
grotta.
Louis
si avvicina alla bestia, accarezzandone le squame nere e lucide della
gamba:
continua a mormorargli qualcosa, sorridente.
Improvvisamente
si volta verso Harry: “Questa è Masha,”
ridacchia: “la mia dolce metà.”
Quella
è—cosa? Harry
è troppo confuso per pensare. Ed è ancora a
terra.
Dannazione.
Cerca
di rialzarsi, ma si rende conto che le sue gambe stanno tremando. Un
drago. C’è
un drago davanti a lui. Dèi,
sta per
impazzire.
Louis
pare non notarlo: “È una coccolona, non farti
spaventare dagli artigli. Ma—uh.
Non farla arrabbiare; e non graffiarle le ali.” Scuote la
testa: “Puoi farlo
solo una volta nella vita, prima che ti calci via di dosso, mentre
siamo in
volo.”
Mentre—Cosa?!
“Oh,
no.” Harry ora ha riacquistato abbastanza lucidità
da rispondere, affannato:
“No, no, no, no. No. Non saliremo sopra quel coso.”
Il
drago—Masha—emette un improvviso
sbuffo dalle narici che fa rizzare i
capelli di Harry.
Louis
sbuffa: “È l’unico modo per raggiungere
le montagne.”
“Possiamo—andare
a piedi.”
“Come
se io avessi tutto quel tempo da sprecare. Ho un compito da svolgere
come Prima
Sentinella, ragazzino.”
Il
ragazzo dagli occhi verdi cerca diplomaticamente d’ignorare
l’ultima
frecciatina: “Non salirò su, uh, quel
drag—”
“Masha.”
“Non
salirò su Masha.”
“Cosa
ti dicevo prima, sull’obbedirmi?”
Il
drago piega improvvisamente il lungo collo verso il basso, fin quando i
grandi
occhi gialli non si trovano alla stessa altezza del volto di Louis; il
ragazzo
le accarezza il muso affilato.
“No,
non parlavo con te, tranquilla” le sussurra e la bestia
scrolla la testa,
emettendo un forte sospiro dalle narici.
Harry
sobbalza. “Non salirò lì
sopra.”
Osserva
l’altro invitare il drago ad allungare il collo; con un gesto
fluido ci salta
sopra, posizionandocisi.
L’animale
emette un basso gemito, apparentemente soddisfatto di riavere il
proprio
padrone in sella.
“Parte
fondamentale di essere un Guerriero sul Drago,”
gli urla Louis,
mentre il drago sotto lui comincia a stiracchiarsi le enormi ali per
prendere
il volo: “è saper cavalcare un drago.”
Harry
stringe i pugni, cercando di non prestare troppa attenzione alle enormi
zampe
di quella bestia; la sua enorme coda sbatte a destra e a manca,
sollevando
ciuffi d’erba e pezzi di terriccio scuro.
“Io
non voglio nemmeno diventare un guerriero!” sputa, costretto
ad urlare per
sovrastare il rumore dei pesante passi del drago.
Louis,
da lì sopra, scoppia a ridere: “Giusto, giusto, tu
vuoi diventare un Sacerdote, verginello.”
Cosa?
“Come
mi hai chiamato?!”
Il
ragazzo dagli occhi azzurri gli lancia un’occhiata melliflua,
piegando le
labbra in una smorfia divertita; l’armatura di ferro leggero
che indossa
risplende per un attimo sotto la luce del sole.
“È
quello che sei, no?” gli grida in risposta, afferrando
saldamente con entrambe
le mani un corno bronzeo del suo destriero: “Hai
l’anello: sei un verginello.”
Un
verginell—? Ma
come si permette?! E sarebbe Harry, quello che deve imparare un
po’ di
disciplina?
“Un Vergine”
ringhia tra i denti, cercando di dare una controllata al tono della
voce: “Sono
un Vergine di mia scelta!”
Louis
scoppia a ridere: “Certo, come no. Ora—monta su
prima che il sole sorga
completamente.”
Harry
è quasi sicuro che possa uscirgli fumo dalle orecchie da un
momento all’altro:
come fa a parlarne così tranquillamente, quel tipo dagli
occhi azzurri? Essere
Vergini è una parte fondamentale dell’essere
Sacerdoti: bisogna conservarsi
agli dèi, è così che recitano le
Scritture Sacre.
È
una delle cose più nobili che un uomo o una donna possano
fare per dimostrare
l’amore che provano per i loro dèi e quel
cavaliere si permette di riderne? Sul
serio?
“Cosa
intendi con certo, come no?”
sbotta, con voce decisamente più
stridula del dovuto: “Io un giorno diventerò
Sacerdote e re, ed è per questo
che indosso l’anello.”
“Non
ti sto accusando di niente,” Louis cerca di nascondere
un’ulteriore risata in
un colpo di tosse, mentre borbotta un: “—verginello.”
Le
mani di Harry pizzicano dalla voglia di afferrare una spada qualsiasi
(che
ovviamente non ha) e buttare
giù quel dannato cavaliere
sbruffone da quel coso nero; gli toglierebbe il risolino irritante
dalla faccia
a forza di schiaffi.
“Hai
intenzione di montare su o no? Non ho tutto il giorno” gli
grida
improvvisamente Louis, passandosi una mano sopra la barba rada.
Masha,
il drago, emette uno sbuffo spazientito ed è forse questo
che fa decidere a
Harry di darsi una mossa e raggiungere pacatamente l’altezza
di Louis; quello
sorride, soddisfatto, e gli tende una mano per aiutarlo a salire
sull’enorme
collo della bestia.
Gli
occhi gialli del drago lo squadrano e Harry si sente incredibilmente a
disagio.
“Tranquillo,
è solo perché non ti ha mai visto prima. Non ti
torcerà un capello.” Louis gli
tende ancora la mano e il ragazzo dagli occhi verdi, nonostante tutto,
si vede
costretto a stringergliela. (Quando lo fa, distoglie lo sguardo.)
Louis
dei Tomlinson deve avere decisamente molta più forza nelle
braccia di quanto
non sembri perché con un movimento fluido tira letteralmente
su il corpo di
Harry—che pigola, sorpreso—a sedere appena dietro
di lui.
“Stringiti
forte, Harry.”
Da
quando si conoscono, questa è la prima volta che lo chiama
per nome; il ragazzo
dagli occhi verdi non può fare a meno di esserne sorpreso:
sorpreso dal fatto
che l’abbia pronunciato così semplicemente.
Arrotondando
le erre finali,
com’è d’uso nell’idioma
dell’Ovest; suona
piacevolmente bene, il suo nome, nella bocca dell’altro.
Oltre
a Gemma e a suo padre, Louis deve essere il primo a non rivolgersi a
lui con altezza o principe.
Ma
la cosa non lo infastidisce. Sorprendentemente, nemmeno un
po’.
Viene
brutalmente strappato via dai suoi pensieri quando il cavaliere
dà una piccola
pacca sulle squame lisce del drago e tira un grido; improvvisamente,
Masha
sembra svegliarsi e si raddrizza, cominciando a spalancare le ali e a
cercare
appigli su cui aggrapparsi.
Muove
il collo e la testa verso l’alto, guardando il cielo, e il
movimento è tale che
Harry per poco non casca giù a terra.
(Riesce
ad evitare la sorte solo aggrappandosi alla vita di Louis, con entrambe
le
mani.)
(Forse
chiude gli occhi e preme la fronte contro la sua schiena, pregando di
non morire; è troppo giovane per tirare le cuoia! Che gli
dèi lo aiutino.)
(Louis,
in ogni caso, si limita a ridere.)
Le
enormi ali scure come pece cominciano a fremere, mentre il drago
indietreggia
scompostamente e scrolla più volte l’affilata
testa cornuta; poi, incomincia a
correre.
O,
almeno, comincia a fare qualcosa che assomiglia vagamente ad
una corsa.
Le
sue grandi zampe si aggrappano al terreno, il collo serpeggia tra
l’erba alta
al limitare del bosco e tutto il corpo si muove ondeggiando; la coda fa
lo
stesso.
Harry
sente il cuore salirgli in gola mentre l’animale continua a
prendere velocità e
a sbuffare sempre più sonoramente.
Improvvisamente,
il drago compie un balzo sbilenco ed altissimo; barcolla ancora per un
paio di
secondi e sembra addirittura che stiano per precipitare e schiantarsi
al suolo
quando quello spalanca le ali e arresta la caduta bruscamente.
Il
sangue di Harry comincia lentamente a tornare a circolare, ma si
rifiuta ancora
di tenere gli occhi aperti.
Masha
comincia lentamente a prendere quota e salire e salire e salire fin
quando il
sole non sembra improvvisamente più luminoso e
l’aria molto più fredda.
Intorno
a loro, c’è solo il rumore del vento.
“Ehi,
ci sei?” È Louis a parlare, guardandolo con la
coda dell’occhio.
Harry
deglutisce rumorosamente: “S-sì—Mi serve
un attimo, scusa.”
Il
cavaliere dagli occhi azzurri scoppia a ridere. “Fa con
calma, ma, uh, ti
suggerirei di aprire gli occhi, se non vuoi perderti questo
meraviglioso
spettacolo.”
Oh,
facile a dirsi: apri gli occhi, sali su un drago
grande quanto una
casa, lascia che un tipo squilibrato ti faccia quasi sfracellare al
suolo.
Semplicissimo.
“Sul
serio, apri gli occhi!” Sente Louis ridere, sistemandosi
meglio a cavalcioni
sul collo del suo destriero alato.
Dopo
aver preso un profondo respiro, Harry decide di socchiuderne uno.
Intravede
malamente la terra, centinaia e centinaia di metri sotto di loro; lo
richiude
all’istante e aumenta la presa sulla vita di Louis.
“Oh.
No. No, no, no. Brutta faccenda” comincia
a mormorare, strizzando le
palpebre: “Voglio scendere. Ti prego, ti prego, fammi
scendere.”
“Non
credo che tu lo voglia davvero—non da questa altezza,
almeno.”
Colpito
e affondato.
Harry
squittisce e arriccia il naso, percependo il vuoto assoluto, sotto le
piante
dei propri piedi.
“Non
fare il bambino, apri gli occhi!”
E,
va bene, potrebbe effettivamente pensare di aprirli ma non ne
è poi così
sicuro, nonostante tutto; prova a socchiuderne nuovamente uno, poi
l’altro.
“Non
ce la posso fare” borbotta, arrendevole.
Louis
ridacchia: “Sei proprio un ragazzino.”
Harry
ringhia, su tutte le furie: “Smettila di chiamarmi ragazz—”
Si
blocca all’istante. Ha aperto gli occhi.
Ha
aperto gli occhi.
Per
tutti gli dèi del mondo. Gli ha letteralmente spalancati,
preso dall’impeto
della rabbia.
Si
guarda intorno, con la bocca spalancata.
Neve,
nuvole, montagne illuminate dal sole; foreste che vibrano sotto il
vento,
ruscelli che sgorgano e rotolano giù per le rocce sono solo
alcune delle poche
cose che Harry riesce a vedere, così chiaramente, da
quell’altezza.
Il
cielo ormai azzurro sta letteralmente spazzando via gli ultimi residui
di notte
stellata, mentre timidamente le cime brulle delle montagne
più basse gettano
ombre a valle; le nuvole rosate creano le più incredibili
forme e l’aria fredda
gli riempie i polmoni.
Il
vento gli scosta i capelli, gli entra sotto i vestiti, gli avvolge il
corpo e
sembra stringerlo in una morsa incredibilmente piacevole.
Harry
sbatte più volte le palpebre, guardandosi in basso e
osservano le foreste che
sembrano infinite, i serpeggianti letti dei fiumi.
“Che
ti avevo detto?” esclama Louis.
Harry,
semplicemente, non ha idea di cosa rispondere.
Ci
sono parole per descrivere tutto il creato degli dèi? Le
pianure vaste, le case
dei villaggi sotto di loro, il sole che brilla.
C’è
un senso d’immensità, in tutto questo.
Essere
sulla cima del mondo, poter osservare ciò che non avrebbe
mai creduto possibile
vedere.
“È
incredibile” mormora, forse più a se stesso che
all’altro, ma comunque
sufficientemente forte da farsi sentire.
“Goditelo
finché puoi,” gli risponde Louis, sistemandosi
meglio la fodera della spada sul
fianco: “Ti aspetta un duro addestramento, quando
arriveremo.”
Afferra
più saldamente il corno e batte coi talloni sul fianco del
collo del drago:
“Ora scenderemo un po’” dice:
“tieniti stretto.”
Harry
non se lo fa ripetere due volte.
Atterrano
su una montagna particolarmente alta, dopo ore intere di viaggio; Harry
percepisce le proprie gambe essere diventate molli a forza di tenerle
nella
stessa posizione, ma suppone sia tutta questione di abitudine.
Louis,
infatti, è nel pieno delle sue forze, come sempre: ordina a
Masha di cadere in
picchiata sul fianco della montagna, aggrappandosi con gli artigli ad
un
altopiano che sembra scavato letteralmente nella roccia ed è
a strapiombo sul
vuoto.
Appena
Harry poggia un piede a terra, una fitta di dolore lo colpisce proprio
all’altezza dello stomaco: prima che possa effettivamente
rendersene conto, s’è
piegato su un cespuglio basso e sta vomitando l’anima.
Louis,
poco più in là, non si degna nemmeno di voltarsi.
“Capita,
le prime volte” spiega, accarezzando un’ultima
volta il muso del drago:
“all’inizio è difficile riabituarsi alla
terra ferma. Poi migliora, col passare
del tempo.”
Mormora
qualcosa a Masha che Harry non è in grado si sentire,
considerando il fatto che
è letteralmente piegato sulle ginocchia a rimettere la cena
della sera prima.
Se
solo lo avessero lasciato portare le erbe medicinali di Gemma,
dannazione, ora
si sentirebbe molto meglio: ma no, ovviamente, “un
guerriero deve affrontare
il tirocinio senza nient’altro se non il suo
coraggio.”
Stupido padre
e stupida tradizione
che costringe i poveri disgraziati come Harry a lasciare casa propria e
i
propri affetti per seguire uno squilibrato con un drago e una spada.
Dannati
tutti. Soprattutto
quello stupido drago. E il suo stupido cavaliere.
Un
possente battito d’ali proviene da dietro di lui, producendo
una ventata d’aria
abbastanza forte da scuotergli i capelli: si volta giusto in tempo per
osservare Masha diventare un puntino sempre più piccolo, nel
cielo della tarda
mattinata, fino a scomparire completamente, verso altre montagne.
“Come
va, ragazzino?” domanda dopo poco Louis, voltandosi e
lanciandogli un’occhiata
divertita: “Ti conviene darti una sistemata se non vuoi che
comincino a
prenderti in giro dal primo giorno,
all’accampamento.”
Harry
si asciuga con il polso i residui di bava colatagli sul mento: arriccia
il
naso.
Disgustoso.
“Quale—”
deglutisce, mandando giù un ulteriore bolo acido:
“—accampamento?”
“Quelle
delle Sentinelle dell’Ovest, duh?” Louis si
massaggia il collo: “Abbiamo il
compito di proteggere questo versante del regno da eventuali attacchi
dei
Barbari. Siamo circa una ventina—e sarai immediatamente il
bersaglio di ognuno
di loro, se non ti dài un po’ di tono.”
Rimane un attimo in silenzio,
riflettendo: “Salvo Liam, forse. Lui non potrebbe prendersi
gioco di nessuno.”
Salvo chi?
Harry
è decisamente troppo sottosopra per riuscire a mettere
ordine nella sua mente;
si raggomitola su se stesso, respirano affannosamente.
“Ehi, ehi” vede
l’altro avvicinarsi improvvisamente, sedendosi suoi propri
talloni per
raggiungere la sua altezza: “Vuoi un po’
d’acqua?”
Ti
prego.
Annuisce
urgentemente.
Quando
il ragazzo gli porge una borraccia di pelle che teneva nascosta da
qualche
parte sotto l’armatura leggera, Harry si ritrova a bere
avidamente, sentendo la
propria gola bruciare, acida.
“Respira
profondamente; prova a metterti in piedi.” Percepisce delle
mani forti
afferrargli i fianchi, trascinandolo lentamente verso l’alto,
aiutandolo a
raddrizzarsi.
“Per
questo ti ho chiesto se avevi equilibrio” Louis gli scosta un
riccio dalla
fronte sudata: “Per evitare qualcosa del, uh,
genere.”
Harry
sbatte più volte le palpebre, annuendo lentamente; non
è esattamente sicuro di
che cosa il ragazzo gli abbia appena detto ma si limita ad annuire
comunque,
incapace di fare altro.
Che
c’entra l’equilibrio con il vomito, poi? Glielo
chiederà quando si sentirà
meglio; promemoria.
“Sei
bianco come un fantasma.”
“Ho—uhm.
Bisogno di un secondo.” Si appoggia su un masso, sedendocisi
sopra. Prende la
propria testa tra le mani e respira profondamente, lasciando che le
fitte allo
stomaco si affievoliscano.
Louis
rimane al suo fianco per tutto il tempo, il volto piegato in una
smorfia
indescrivibile.
L’ombra
dell’abete sotto il quale si è seduto è
sufficiente per rinfrescare il suo
volto sudato.
Dopo
minuti interi, Harry improvvisamente decide di alzarsi: “Uhm,
va bene ci
son—”
Non
riesce a finire la frase.
Smak.
Un
sibilo improvviso e un dolore acuto alla guancia lo fanno raggelare sul
posto:
che cosa è successo? Il sangue gli si gela nelle vene.
Scosta
leggermente gli occhi di lato e, proprio infilzato nella corteccia
dell’abete
dietro di lui, c’è una lancia.
Una lancia.
Qualcuno
gli ha lanciato una lancia mirando alla sua testa; sente il taglio
sulla sua
guancia pulsare e il sangue colare fino al meno.
L’ha
a malapena sfiorato. La punta di metallo finissima è
macchiata del suo sangue
scuro.
Louis,
poco davanti a lui, è altrettanto sconvolto: si volta
improvvisamente,
brandendo la spada.
Qualcuno
si sta nascondendo dietro a degli alberi, dall’altra parte
dell’altopiano in
cui si sono fermati: non c’è bisogno che il
cavaliere si avvicini perché la
figuta, un paio di secondi dopo, sbuca improvvisamente dai rami.
“O,
dèi, sei tu!”
Una
voce squillante riempie l’aria.
Harry
fa fatica a sentirla chiaramente, a causa del fatto che le sue
orecchie, ora,
sono riempite dal suono martellante del suo cuore, che sta pompando a
mille.
La
voce, comunque, appartiene ad un ragazzo dai capelli chiari come il
sole, il
viso morbido e la pelle altrettanto pallida.
Ha
lo stemma dell’Ovest appiccicato al petto con grosse corde di
cuoio e nella
mano tiene una nuova lancia uguale a quella che ha quasi ucciso Harry.
“Louis,
mi hai fatto prendere un colpo!” esclama, con forte accento
dell’Ovest. “Ho
visto Masha volare via e ti ho aspettato all’accampamento, ma
non ti facevi
vivo così sono venuto a controllare di persona.”
Sbuffa,
grattandosi una gota rosastra: “Pensavo che fosse un
Barbaro.”
Harry
vede il volto del cavaliere dagli occhi azzurri aprirsi—dopo
un attimo—in un
sorriso luminoso: “Niall, dannazione” strepita,
indicando con il pollice il
ragazzo dagli occhi verdi, ancora raggelato per l’improvvisa
scarica
d’adrenalina: “Lo hai spaventato a morte!”
“Non,
uh, volevo ucciderlo.” Mormora il ragazzo biondo, a
mo’ di scusa: “Se così
fosse stato, la lancia gli sarebbe finita proprio in mezzo alla
fronte” si
picchietta con un dito affusolato la propria, di fronte, per poi
ridacchiare.
“Io
sono Niall, comunque. Piacere di consocerti—?” Si
avvicina, tendendogli la mano
libera dalla lancia.
Harry
è decisamente troppo sconvolto per rispondergli; continua a
fissargli la mano
tesa, gli occhi spalancati.
Sono
mani decisamente troppo piccole per sorreggere una spada, ma perfette
per una
lancia ben equilibrata; sono macchiate, sporche di terra e con varie
piccole
cicatrici all’altezza del polso.
Tutto
sommato, sono incredibilmente aggraziate; non
crede di aver
mai visto delle mani così segnate e allo stesso tempo
delicate, in tutta la sua
vita.
“Harry,” lo
precede improvvisamente
Louis: “Lui è Harry degli Styles. Sono il suo
mentore.”
Il
cavaliere biondo—Niall—alza
improvvisamente l’arcata sopraccigliare,
scoppiando a ridere: “Abbiamo unnobile?
Uao. Questo sarà molto
divertente.”
“Così
lo stai spaventando solo di più.” Louis ridacchia.
“Nah,
scommetto che diventeremo grandi amici—Non sono irritante
come sembro,
tranquillo.” Gli lancia un occhiolino.
Harry
sbatte le palpebre più volte, voltandosi lentamente verso
Louis; quello si limita
a mimargli, con le labbra, un Sì, che lo
è.
“Dacci
un taglio.” Niall lo ammonisce con la punta della lancia che
tiene in mano:
“Non lo sono, non fargli venire in mente strane idee.
E—uhm” borbotta,
passandosi una mano sul retro del collo: “Non volevo
scagliarti la lancia,
io—scusa. Credevo che—Niente, lascia
stare.”
“Non,
uh” il ragazzo dagli occhi verdi deglutisce, rendendosi conto
che la sua gola è
diventata secca: “Non fa niente,
tranquillo.” Be’. Più
o meno.
Il
volto dell’altro si apre in un sorriso sinceramente felice:
“Ottimo! Ora Liam e
Zayn dovrebbero tornare a momenti dal giro di ricognizione, per quello
del
pomeriggio ci siamo io e Huton.”
Mentre
sta parlando pragmaticamente, il ragazzo biondo s’avvicina
all’albero dalla
corteccia spessa dietro Harry e, con un gesto secco, stacca la lancia
conficcata nel legno.
Col
pollice pulisce la punta macchiata di sangue e alza lo sguardo verso
Louis: “Ci
vediamo ‘sta sera.”
Si
avvicina pericolosamente alla parte d’altopiano a strapiombo;
i suoi piedi camminano
sul filo del burrone, poi, in un balzo preciso, si getta
dall’altra parte.
Gli
occhi di Harry si spalancano e nella sua gola s’intrappola un
grido che non fa
in tempo a liberarsi poiché, il secondo dopo, dal vuoto
riemerge una figura
dorata.
Niall,
aggrappato ad essa, lancia un lungo fischio divertito.
“Quello
è Huton, nel caso te lo fossi chiesto.” Louis gli
si avvicina, ma Harry è
ancora in balia dello shock iniziale per riuscire ad aprire bocca.
Il
ragazzo indica il drago dorato sul quale il cavaliere biondo
è balzato: le sue
ali, decisamente più tozze di quelle di Masha, sono sfumate
di bianco e oro, il
suo corpo è piccolo e le sue forme risultano decisamente
pacchiane.
“È
un drago ancora molto giovane” spiega Louis, al suo fianco:
“Ma
presto crescerà e diventerà
meno—meno Huton” ridacchia:
“È una
tortura averlo in giro per l’accampamento; è
talmente goffo che fa cascare
sempre tutto con la coda.”
“Dove—dove
stanno andando?” domanda Harry, osservando il drago e il suo
cavaliere
diventare un puntino luminoso sempre più lontano, nel cielo.
“A
compiere il giro di ricognizione. Anche se la guerra vera e propria si
sta
svolgendo dietro la Barriera a Nord, non è detto che qualche
orda di Barbari
non possa passare di qui.”
Rimangono
un attimo in silenzio; Harry ora si sente stranamente tranquillo. Il
sangue ha
ricominciato a pompare normalmente, dentro le sue vene, e i dolori alla
pancia
sono spariti del tutto.
Solo
la ferita sulla guancia continua a bruciare un po’, ma non
è niente di
eccessivo.
Louis
gli batte una mano sulla spalla, scuotendolo improvvisamente:
“Ora diamoci una
mossa. Siamo già in ritardo.”
Harry
annuisce e lo segue, avviandosi per un sentiero tra gli arbusti e le
rocce.
È
costretto a seguire Louis per un lungo sentiero brullo, in salita;
nemmeno a
dire che è sicuro di aver consumato tre quarti dei suoi
polmoni solo per
compiere il primo tratto.
“Con
quelle gambe lunghe pensavo che camminassi più
velocemente” gli ride in faccia
Louis, metri più avanti.
Harry
si appoggia ad una roccia per prendere fiato: sente il petto stringersi
in
contrazioni dolorose.
E
pensare che non ha nemmeno iniziato l’allenamento vero e
proprio.
Potrebbe
scoppiare a piangere da un momento all’altro, ne è
sicuro.
“Non—”
prende una profonda boccata d’aria: “Non sento
più l’aria—nght..
Alla,
umpf, testa.”
“Oh, andiamo. Manca
davvero poco, credimi.” Il cavaliere indica avanti, oltre una
siepe: “Vedi quel
fumo? L’accampamento è lì, ci siamo
quasi.”
Harry
fa segno di no con la testa.
“Non ce la posso fare.”
“Sì,
che puoi. O—” Louis lancia un’occhiata
derisoria: “potrei portarti in braccio, principessa.”
Ottimo, un
altro nomignolo: si conoscono
solo da poche ore e questo è già il terzo.
Dèi, se
non
fosse che i suoi polmoni
stanno letteralmente bruciando dal dolore, ora si scaglierebbe contro
di lui e
lo farebbe cadere a terra, picchiandolo a sangue.
(Non
è sicuro che ci riuscirebbe, soprattutto considerando il
fatto che Louis dei
Tomlinson deve avere molta più massa muscolare di lui, ma.
Il pensiero, in ogni
caso, è consolatorio.)
L’ultima
frecciatina è sufficiente per far rinvigorire le membra di
Harry, che si
raddrizza, respirando pesantemente.
“Non
osare mai più chiamarmi così” lo
apostrofa, puntandogli un dito contro.
Vede
Louis scoppiare a ridere, ricominciando a camminare verso
l’accampamento: “Va
bene, va bene, mi scusi, Maestà” poi aggiunge,
borbottando: “—verginello.”
“Ti
ho sentito!” sbraita Harry: “Io sono il figlio del
re, dannazione! Dovresti
portarmi un po’ di rispetto!”
Ma,
ovviamente, le sue parole non scalfiscono nemmeno lontanamente il
cavaliere,
che si limita a sbuffare.
“Sei
un bambino, Harry: ed io non ho paura dei bambini.”
Lui non
è un bambino: ha quasi compiuto la soglia
della maggiore età e quanti
anni potrà mai avere di più, il ragazzo che lo
sta guidando attraverso quella
selva? Non molti. (È anche più basso di lui, a
dirla tutta.)
Quindi
potrebbe anche smetterla di trattarlo così.
Vorrebbe
potergli rispondere a tono, con impertinenza, perché non
può seriamente
lasciare che un cittadino qualsiasi del regno si permetta di rivolgersi
a lui
così, ma s’azzittisce lo stesso istante in una
scossa fortissima fa tremare la
terra sotto di loro.
"Che
cos—?!” esclama, barcollando per non cadere al
suolo.
Vede
un’ombra scura cadere sul volto di Louis, che gli fa segno di
rimanere in
silenzio: delle voci, come ordini, sembrano provenire da dove dovrebbe
essere
l’accampamento.
Il
ragazzo dagli occhi azzurri si volta verso di lui. “Andiamo,
sbrigati” gli
ordina, urgentemente.
Cominciano
a salire più velocemente, Harry pare completamente
dimenticarsi della fatica.
Osserva
Louis farsi spazio tra i rami bassi, lasciando che gli graffino il
volto e le braccia;
si ferma improvvisamente solo quando il sentiero comincia a farsi meno
visibile, più nascosto dalla polvere della terra.
Harry
si ferma a pochi passi dietro di lui, spalancando gli occhi dal terrore.
C’è
un drago, davanti a lui.
Ma—non
è questo il punto; insomma, in tutta la sua vita
ne ha solo sentito parlare
e in una sola mattinata è già il terzo, che vede.
La
cosa che lo lascia raccapricciato è che, questo enorme
drago—almeno due volte
la taglia di Masha—, èaccasciato letteralmente
al suolo.
Sembra
esausto, come se fosse caduto in picchiata da un’altezza
considerevole per
sfracellarsi contro quella montagna: è piegato su un fianco,
ansimante, e
decine e decine di frecce sono incastrate dentro la sua carne squamosa
per
quasi metà della loro intera lunghezza.
Sangue
nero e denso cola dalle ferite sulle squame blu notte, sul muso
decisamente
schiacciato, sui denti seghettati, sulle ali intrise di tagli.
Una
nuvola di terra si alza tutto intorno a lui: deve essere stato quella
la scossa
di prima, pensa Harry.
Decine
di altri cavalieri stanno accorrendo tutto intorno al corpo del drago:
estraggono le frecce, inumidiscono e ferite con unguenti che Harry non
riesce a
riconoscere; portano tutto lo stemma dell’Ovest, sul petto.
Le
spade dondolano ai loro fianchi, mentre corrono da una parte
all’altra
dell’accampamento tra le brande sistemate tutte intorno a
loro, fatte di legno
robusto, coperte di pelle di animali conciate.
Gli
uomini entrano ed escono da quelle, prendendo bende di lino, acqua,
chiodi di
ferro riscaldati per ricucire la pelle, urlano ordini a destra e a
manca.
“Calum!” È
il grido di Louis a
risvegliare Harry dallo stato di trance in cui era caduto: vede un
ragazzo
dalla pelle mulatta—quello che stava urlando un qualche
ordine ad un ragazzo dai
capelli biondo sporco—voltarsi improvvisamente.
Il
cavaliere dagli occhi azzurri non perde un secondo di tempo e, con
poche
falcate, lo raggiunge; Harry lo segue, frastornato. Che altro potrebbe
fare?
“Cosa—”
Louis si guarda intorno, lanciando continue occhiate agghiacciate al
corpo
dell’enorme drago, ansante: “—cosa
è successo? Dove sono Zayn e Liam?”
Il
ragazzo dalla pelle abbronzata scuote la testa, afferrando una catasta
di panni
di lino da terra: “Non lo sappiamo, Louis. È
tornato solo Urich, in questo
stato” guarda il drago: “ma non aveva in sella
Liam.”
Harry
rimane immobile: c’è qualcosa di atroce nello
sguardo che s’è fatto spazio sul
volto di Louis, ma. È solo un istante. Un piccolo, veloce
istante: il secondo
dopo, i suoi occhi hanno riacquistato tutta la compostezza e la
lucidità che
una Prima Sentinella è tenuta ad avere.
Ci
vuole solo un secondo perché Harry capisca cosa il cavaliere
dagli occhi
azzurri stia facendo e, quando lo realizza, ne viene destabilizzato:
Louis sta
facendo il suo lavoro.
Sta
mettendo da parte il sentimentalismo e cerca di mantenere la mente
lucida per
impartire gli ordini di cui i suoi compagni necessitano,
nient’altro.
Come
fa?
Quando
aveva otto anni e stava giocando in cortile, Harry ricorda di essersi
tagliato
parte del palmo con un ferro arrugginito: era scoppiato a piangere
talmente
forte che l’intera servitù era accorsa, Gemma per
prima.
Gli
aveva detto di calmarsi, che sarebbe dovuto correre alla fontana e
pulirsi il
taglio immediatamente, per evitare infezioni, al posto di piagnucolare;
lo
aveva detto gentilmente, però, con praticità,
mentre gli bendava la mano con un
panno umido.
Non
è mai stato bravo nel prendere decisioni lucide, lui.
Forse
è per questo che suo padre ha sempre cercato di spingerlo
oltre i limiti, di
fare uscire l’uomo che era in lui; forse per questo era
così felice di mandarlo
a vivere con un guerriero vero e proprio.
Harry
non lo sa, e non può fare altro che osservare Louis, con una
morsa di gelosia
che gli attanaglia lo stomaco perché lui non
possiederà mai il
sangue freddo di quel ragazzo: non sarà mai quel ragazzo.
Non
sarà mai un bravo guerriero.
Non
sarà mai un bravo re.
“Okay, okay” la
voce del cavaliere lo strappa bruscamente dai suoi pensieri:
è incredibilmente
pragmatica. “Tu, Michael, Greg a Stan badate a Urich e
assicuratevi che il
veleno delle frecce venga rimosso” ordina, sbrigativamente.
Vede
Louis voltarsi verso il resto dei cavalieri, che improvvisamente hanno
fermato
i loro rispettivi compiti per ascoltare le parole del loro capo:
“Io,
Ashton e Luke andiamo cercare Zayn e Liam—Non
c’è tempo di avvisare Niall. E,
Harry.” Quello sobbalza, sentendosi chiamato in causa:
“Tu devi rimanere qui. Mi
saresti solo d’intralcio.”
Il
ragazzo annuisce: è quasi sollevato di non dover seguire
Louis in qualsiasi
posto lui voglia andare perché, a giudicare dalle condizioni
del drago, deve
essere un posto abbastanza pericoloso.
“Non
credo ce ne sarà bisogno!”
Qualcuno,
tra i cavalieri, punta un dito in alto: il resto degli altri, compreso
Louis,
segue con gli occhi il movimento, finché non vedono qualcosa
muoversi nel
cielo.
Una
piccola striscia rosata che si muove ondeggiante tra le nuvole rade.
“È
Neevae!” grida
il ragazzo dalla carnagione opaca.
Harry
è costretto a socchiudere gli occhi per riuscire a mettere a
fuoco la forma
indistinta nel cielo: è un altro drago, poco ma sicuro, rosa
pallido,
incredibilmente lungo, flessuoso.
Come
se il suo intero corpo non fosse altro che un’enorme coda; ha
un muso affilato
e gli occhi viola sono distinguibili persino da lì—non
ha ali.
Non
ha ali? Come fa
un drago a volare, senza ali? È forse un—Oh.
Harry
spalanca gli occhi; è un drago dell’Est.
Deve
avere letto qualche libro a riguardo: animali rari da quelle parti,
riescono a
mantenersi in aria grazie al movimento ondulatorio costante del loro
corpo e—Cos’altro? Non
se lo ricorda.
È
passato decisamente troppo tempo
dall’ultima volta che ha aperto un
libro sulle creature del loro regno.
“Zayn
è lì sopra?” “Sta cavalcando
Neevae?” Sono solo poche
delle domande che Harry riesce a
distinguere tra i mormorii, che si azzittiscono di colpo solo quando,
con un
movimento fluido ed elegante, il drago s’appoggia a terra.
L’istante
dopo, una figura salta giù dal collo dell’animale
e casca a terra,
trascinandosi qualcosa di pesante dietro: Harry percepisce il proprio
sangue
raggrumarsi dall’orrore.
È
un corpo.
Quello
che si è trascinato dietro è un corpo; insanguinato
e
pulsante.
È
Louis il primo a farsi strada verso le due figure:
“Zayn!” esclama: “Zayn, cosa
è success—” si blocca nello stesso
istante in cui vede ciò che Harry ha già
visto.
“È
vivo?” domanda, con una palpabile tensione nella voce.
Il
ragazzo appena sceso dal drago annuisce impercettibilmente con la testa
e cerca
di rimettersi in piedi, barcollando appena: ha una grossa ferita sulla
spalla
destra.
“I
Barbari—” si schiarisce la voce, sputando tra la
polvere: “Erano otto. Ci hanno
sorpresi nella valle.”
Si
piega verso il compagno incosciente, tirando su il suo corpo:
“Liam ha perso
molto sangue, ma—respira ancora. Urich—”
“Si
stanno già occupando di lui.”
“Mi
dispiace—Io—avrei dovuto essere più
attento, io—” lascia la frase in sospeso.
Louis
annuisce, senza aggiungere niente; si volta improvvisamente verso gli
altri.
“Cambio
di programma,” esclama, non riuscendo ad evitare nemmeno un
secondo di staccare
lo sguardo dal corpo martoriato del compagno.
“Io,
Greg, Luke e Calum andiamo a controllare che non ci siano superstiti
tra i
Barbari. Voi altri prendetevi cura di Urich e Liam. Harry, prima
lezione:—”
Louis indica la branda nella quale due ragazzi stanno trasportando il
corpo del
cavaliere:
“—medicazione. Michael
t’insegnerà a ricucire una ferita e sterilizzarla,
hai capito? Nella vita di un
guerriero è molto più utile di quanto sembri,
l’abbiamo sperimentato tutti.”
Il
ragazzo annuisce, preso completamente alla sprovvista; Louis pare non
notarlo.
“Ottimo,”
si volta verso gli altri: “Prendete le
spade e chiamate i draghi!
Dirigiamoci all’altopiano!”
“Vengo
anch’io.” Il cavaliere con la ferita alla spalla
cerca lentamente di mettere un
piede dietro l’altro ma inevitabilmente barcolla, cadendo al
suolo: comincia a
tossire.
“Non
se ne parla!” gli urla Louis, dall’altra parte
dell’accampamento, mentre si
dirige verso il sentiero: “Harry, puliscigli la ferita e
mettilo a dormire!”
“Ma—”
“Fallo!”
Harry
ha bisogno di un paio di secondi prima di afferrare sotto braccio il
cavaliere
ferito e cercare di trasportarlo fino alla branda che gli ha indicato
prima
Louis: un ragazzo dalla carnagione chiara si sta già
occupando di Liam.
Deve
essere Michael.
Altri
si stanno occupando di Urich e—Neevae? È
così che si chiama, il
drago dell’Est? Estraggono punta di bronzo dalle loro squame
e versi disumani
escono dalle bocche nere degli animali; un liquido scuro sporca la
terra.
Harry
continua a trascinarsi dietro il cavaliere: l’odore del
sangue gli riempie le
narici ed è quasi tentato di piegarsi e vomitare nuovamente.
Caccia
via il pensiero, mandando giù un boccone amaro.
Prima
lezione:, si
ripete nella testa, facendo più stretta la presa intorno al
corpo dell’altro.
Sopravvivere.
Harry
si asciuga una goccia di sudore che cola giù per la curva
del collo.
Rilassati, pensa,
prendendo
un profondo respiro.
La
notte ormai ha spazzato via l’intero pomeriggio, e la luce
della candela sopra
il tavolo è davvero troppo fioca per poter pretendere che
Harry riesca ad
infilare il filo dentro il foro dell’ago di ferro.
“Stai
andando bene, ma—vuoi che faccia io?” Michael
appoggia una sua mano sopra
quelle tremanti di Harry, sorridendogli; gli sfila gentilmente dalle
mani ago e
filo e, con un movimento netto, li incastra perfettamente.
Si
libera dell’eccesso di spago con un morso secco.
“Ecco, qua” esclama,
porgendoglielo nuovamente: “Non è male, come tua
prima volta—Harry, giusto?”
Il
ragazzo dagli occhi verdi annuisce, scostandosi i capelli dalla fronte
sudata.
Oh,
ma chi vuole
prendere in giro? È una
frana nella medicazione; e i lamenti che emette il ragazzo
semicosciente
sdraiato sul tavolo davanti a lui ne sono la prova.
“Anch’io
ci ho messo tanto tempo, per imparare, non vergognartene.”
Michael gli batte
una mano sulla spalla, con fare incoraggiante.
Harry
sospira e lascia che l’ago si riscaldi per un po’
sopra la cima della candela,
per assicurarsi che non lasci ulteriori ferite aperte.
“Grazie
per—uh, sai. Avermi insegnato” borbotta, scuotendo
la testa: si sente un tale
idiota.
È
un pomeriggio intero che sta cercando di aiutare quel ragazzo a curare
il
malcapitato ed è quasi scoppiato a piangere due
volte—quando è stato costretto
a scavare nella pelle del cavaliere ferito per tirare via la punta di
una
freccia—e ha quasi vomitato tre.
Ha
cucito stortamente cinque punti, due dei quali si sono già
allentati e
probabilmente dovrà ripassarci sopra: Michael è
stato gentile a supportarlo e
ad indicargli quali fossero gli unguenti adatti, le piante mediche da
utilizzare, tirando fuori vasi di vetro soffiato da un mobile in fondo
alla
branda.
Ma
la verità è che è negato, in queste
cose: Gemma sarebbe trecento volte
migliore, senza dubbio.
“Nessun
problema, amico.” Il ragazzo dalla pelle chiara gli lancia un
sorriso sbilenco
prima di alzarsi dal tavolo di lavoro e stiracchiarsi: le fiamme della
candela
creano strane ombre, sulle pareti ricoperte di pelli.
“Ora,
uh, credo che andrò a vedere come se la passa
Zayn—E Urich, e Neevae” continua,
lanciando un’occhiata alla notte scura, fuori:
“Tu—cuci quelle due ultime
ferite e per ‘sta sera hai fatto.”
Harry
annuisce e saluta un’ultima volta il ragazzo prima di vederlo
sparire oltre
l’ingresso ricoperto da una pelliccia conciata; si volta
nuovamente verso il
ferito, assicurandosi che l’ago sia sufficientemente caldo.
“Questo
farà un po’ male—scusa”
mormora, infilando la punta bollente dentro un labbro
frastagliato di pelle.
Gli
occhi del cavaliere straiato sul tavolo si contraggono in una smorfia
di
dolore: “Dèi—” ringhia,
tra i denti.
Harry
s’appresta a dare il primo punto: “Lo so, lo
so—scusa. Adesso passa. Io—”
sospira: “Non ho idea di cosa dire, è la prima
volta che mi trovo in una
situazione del genere.
L’altro
ridacchia appena, tremando per il dolore. “Lo
sospettavo.”
“Come,
uh, va la testa?”
“Dolorante,
faccio fatica a mettere a fuoco le cose—Mi brucia la
gola” tossicchia: “Cos’era
la roba che mi ha dato Michael? Sapeva di terra.”
Era
quella dentro il barattolo lungo e affusolato, vero? Quello che
conteneva—Dannazione, non
se lo ricorda; finge di concentrarsi particolarmente sull’ago
che trapassa la
carne.
“Qualcosa
per il veleno della freccia, non so esattamente cosa.”
“Capito.”
Il
cavaliere stringe le palpebre ad una nuova cucitura da parte di Harry:
se non altro,
adesso ha aperto gli occhi.
Michael
aveva cercato tutto il pomeriggio di svegliarlo per assicurarsi le che
il
veleno non fosse già circolato al cervello, per un
po’ aveva creduto il peggio:
poi, lentamente, il ragazzo aveva cominciato a tossire, socchiudendo le
palpebre.
La
gioia che aveva provato Michael in quel momento aveva sorpreso persino
Harry.
Se
ci ripensa, non può fare a meno di osservare il ragazzo, di
sottecchi: il
cavaliere ferito non deve essere molto più vecchio di lui e
sicuramente più
giovane di Louis. Ha i capelli corti, marrone tenue come gli occhi; la
carnagione è chiara e il petto ampio si alza e si abbassa,
ricoperto di ferite
e macchie violacee.
“Come
stanno Urich—e Zayn?” domanda improvvisamente il
ragazzo, borbottando.
Harry
scuote la testa, sobbalzando: “Oh, sì,
be’.” Cerca di fare mente locale: “Il
drago non troppo male—da quanto ho capito sono riusciti ad
estrargli tutte le
frecce e a bloccare il veleno. Zayn, sta dormendo.”
“È
ferito?”
“È
messo meglio di te, questo è certo.”
L’altro
ridacchia, per poi sibilare un verso di dolore quando Harry passa due
volte
sulla stessa cucitura.
Rimangono
in silenzio per un paio di minuti, mentre l’ago continua a
scorrere imperito
sulla carne arrossata; Harry taglia il filo in eccesso con un coltello
trovato
su una mensola, e s’appresta a cominciare con la seconda
ferita sulla spalla.
“Tu
devi essere il ragazzino che il re ha affidato a Louis. Il figlio del
re” mormora improvvisamente il ragazzo dagli occhi marroni,
pensieroso: “Harry degli
Styles, no?”
“Uh
uh.” È troppo concentrato a scaldare la punta
dell’ago per prestargli
attenzione.
“Io
sono Liam, comunque. Seconda Sentinella” tossisce, sorridendo
appena: “Piacere
di conoscerti.”
Harry
alza lo sguardo, divertito: “Piacere tutto mio—Uhm,
avrei preferito che le
presentazioni fossero avvenute in un altro contesto, ma mi
accontento.”
Il
cavaliere, Liam, scoppia a ridere e poi si trova costretto a mugugnare
per il
dolore provocatosi: “A chi lo dici.”
“Beneee,” Harry
infila la il filo nel foro
dell’ago, al primo colpo: “adesso ti
farò male di nuovo.”
“Posso
resistere.”
“Non
ne dubito.” Infila la punta di metallo in una nuova,
slabbrata ferita: Liam si
limita a stringere forte gli occhi, ma non emette un fiato.
“Come—”
domanda, poco dopo, quasi come se stesse cercando di distrarsi dal
dolore:
“—stanno le ali di Urich? I Barbari gli hanno
scagliato addosso tante frecce,
ho avuto paura che non fosse mai più in grado di
volare.”
“Bene,”
ovviamente Harry non ne ha la più pallida idea, ma gli
sembra giusto cercare di
rassicurarlo: “vi hanno proprio colto di sorpresa,
eh?” chiede poi, per sviare
l’argomento.
I
suoi occhi socchiusi continuano a seguire l’ago: deve cercare
di non allentare
il filo nemmeno per un secondo, altrimenti la ferita si riallargherebbe
e
sarebbe costretto a ricominciare tutto daccapo.
“Non
ce l’aspettavamo.” Liam sospira, puntando lo
sguardo sulle ombre proiettate
dalla candela sulla parete opposta: “Eravamo scesi a
controllare le grotte
sulla fiancata Sud delle montagne. Avevamo lasciato i draghi sugli
speroni di
roccia ed improvvisamente...”
Non
conclude la frase: sembra quasi perso nei suoi ricordi, ricordi che gli
gettano
un’ombra scura, sul volto.
Harry
finge di non accorgersene, continuando a cucire, ma non può
fare a meno di
chiedersi a che cosa stia pensando quel ragazzo, cosa abbia provato
quando i
Barbari li hanno attaccati improvvisamente.
Confusione?
Paura? No, le Sentinelle non sono addestrate sotto questi principi;
forse aveva
semplicemente provato la stessa sensazione di Louis quando lo avevano
avvisato
che due suoi compagni erano spariti: l’esigenza di mettere da
parte la sfera
emotiva per tenersi lucido e agire.
“È
la prima volta che i Barbari vengono nell’Ovest?”
domanda allora, poco dopo.
Percepisce
Liam emettere un sibilo basso: “No, no. All’inizio
della guerra era più comune
vederli cercare di oltrepassare il confine del regno passando di qui,
ma—erano
anni che non ne arrivavano così tanti. Da quando il campo di
battaglia vero e
proprio s’è spostato alla Barriera a Nord,
è molto raro vederne alcuni sugli
altri tre versanti.”
Harry
annuisce: “Io—” si morde il labbro
inferiore, riflettendo su quello che vuole
provare a dire: “non ho mai visto un Barbaro.”
Tossicchia: “Sono, uh, davvero
come raccontano le leggende?”
È
una domanda piuttosto frivola, lo sa bene: ma la curiosità
lo spinge a non
curarsene.
“Be’”
Liam alza gli occhi al soffitto della branda: “tu cosa hai
sentito dire?”
“Uhm—Dicono
che portino maschere nere e le loro armi siano fatte di ferro fuso con
ossa.
Che la loro pelle sia macchiata d’inchiostro e piena di crepe
perché si nutrono
di cenere.” Si ferma un attimo: “Che non venerano
dèi, ma onorano la guerra
come unica sovrana del mondo, che—praticano la magia e
bruciano i cadaveri dei
loro morti nel sangue bollente.”
I
racconti che origliava durante le conversazioni dei cavalieri con suo
padre
sono molti di più; un giorno aveva addirittura sentito un
uomo dire che il capo
dei Barbari, Othrod il Nero, aveva fatto bruciare tutte le foreste
delle loro
terre solo per oscurare il sole con il fumo.
Fa
una pausa, scacciando i ricordi: “È
vero?”
Improvvisamente,
Liam si tira su col busto, trattenendo mugugni di dolore e facendo
scivolare
l’ago di Harry dalle sue mani: la ferita, in ogni caso, ora
è completamente
cucita.
“Harry,”
comincia, piegando appena la testa di lato: “credo che tutto
ciò che tu abbia
da chiedere, dovresti chiederlo a Louis. Io, uhm. Io
non sono il tuo
mentore, non posso dirti niente.”
Il
ragazzo dagli occhi verdi lo ignora: “È
così, vero?! Sono
creature che vivono sotto terra, non umani.” Sente le proprie
spalle cominciare
a tremare e la voce incrinarsi dalla paura.
Con
un colpo secco stacca il filo in eccesso e getta il coltello lontano,
sul
pavimento, mentre si prende la testa tra le mani e spalanca gli occhi:
il
respiro gli viene meno, mentre terribili immagini si aprono nella sua
mente.
Corpi
squartati, lui fatto prigioniero dai Barbari, assassinato e morto.
“Mi
uccideranno” sussurra, tremante: “Mi uccideranno,
io non volevo nemmeno
diventare un soldato, io non volevo, io non—”
“Ehi, ehi!” Due
mani gli afferrano saldamente le spalle, immobilizzandolo.
I
suoi occhi vitrei s’incontrano con quelli seri di Liam, che
lo guarda con
sguardo indecifrabile.
“Respira”
gli ordina, cercando di calmarlo: “La guerra fa paura a
tutti, cosa credi?”
Harry
si costringe a calmarsi, ma non riesce a dire una parola; lentamente
stacca le
mani dalla testa e le tende, rigide, lungo il busto. Percepisce
l’adrenalina
della paura lasciare lentamente il suo sangue, tornando a farlo
respirare
normalmente.
“Mi
dispiace” sussurra: “Non volevo, io—Non
mi sento ancora pronto per tutto
questo.”
Liam
decide di rimanere in silenzio per un paio di secondi, osservandolo con
sguardo
indecifrabile. “È normale.”
“Non è
normale” sbotta, staccandosi rudemente dal corpo
dell’altro: “Io un giorno
dovrò governare su di te! Sulla tua famiglia” si
passa una mano sul volto,
coperto da un sottile strato di sudore: “Non posso riuscirci,
non posso. Io non
volevo questo.”
Rimangono
un attimo in silenzio, il rumore dello sfrigolio della fiamma che
riempie
l’aria.
“La
prima volta che ne ho incontrato uno—” la voce
improvvisa dell’altro ragazzo è
fredda e forte, come se cercasse di sovrastare gli stessi pensieri di
Harry.
“—le
mie gambe hanno smesso di muoversi” si ferma, osservandosi
una mora violacea
sull’avambraccio:
“Un
Barbaro stava correndo verso di me, con l’ascia in aria, ed
io non riuscivo a
muovermi. Mi sembrava che il terreno avesse trasformato in pietra le
mie gambe
e che io non potessi farci niente.”
“Ti
ha ferito?”
“No.”
Rialza lo sguardo: “Mi ha salvato Zayn, che a quel tempo era
il mio mentore.
Gli ha piantato la spada nel collo e tutto il suo sangue mi
è schizzato in
faccia, accecandomi, quasi.”
Rimane
in silenzio e prende un profondo respiro, prima di ricominciare:
“Michael, la
prima volta che ha dovuto aggiustare un osso rotto,
s’è quasi messo a vomitare.
Calum e Luke non sono usciti dalla branda per tre giorni interi, dopo
aver
visto un loro compagno morire. Non ti dico per quante ore di fila Stan
ha preso
a pugni una quercia, quando il suo drago è stato ucciso o
per quando tempo ha
tremato Niall, quando ha scoperto che il villaggio in cui abitava la
sua
famiglia era stato preso dai Barbari.”
Sospira:
“La paura è normale. L’abilità
di un guerriero sta nel saperla
controllare.”
Harry
abbassa gli occhi sul pavimento di legno, osservando delle gocce di
cera
colateci sopra.
“Io
non posso controllarla.” Ne sono stato
schiavo tutta la vita, vorrebbe
aggiungere, perché è la verità; ma
decide di rimanere in silenzio.
“Sì,
che puoi. Prima o poi imparano tutti.”
Si
guardano. Il secondo dopo, la tenda della porta viene aperta
improvvisamente e
Michael fa il suo ingresso, ansante.
“Louis
e gli altri sono tornati” annuncia.
Harry
rifiuta l’ennesimo boccale di vino che gli viene offerto.
Lui
non può bere vino, perché
ha ancora l’anello appeso al collo e
un voto che deve essere mantenuto, ma a quanto pare nessuno se ne
accorge, in
quel rude banchetto che stanno facendo intorno al falò,
sotto le stelle.
Louis
è seduto a terra, tra i compagni; ride, beve e stacca coi
denti gli ultimi
pezzi di carne abbrustolita da un osso di qualche animale che Harry non
riesce
a riconoscere: ha un sapore troppo forte, per lui. È
sicuramente carne di
selvaggina, cacciata e poi utilizzata come cena.
Essendo
abituato ai sapori tenui della cucina del castello, quelli
dell’Ovest gli
sembrano fuoco, in bocca.
Calum
e Luke—si chiama Luke, vero?—stanno
intonando, abbastanza brilli, una
qualche canzone sulle pietre runiche, di quelle che si cantano per
addormentare
i bambini nelle loro culle.
Ridono
e festeggiano poiché, da quanto ha capito dal breve discorso
che ha fatto Louis
appena tornato all’accampamento, sono riusciti a stanare
un’intera colonia di
Barbari nascostasi dentro delle crepe ai piedi delle montagne.
Oltre
ovviamente a quelli che avevano attaccato Liam e Zayn.
Harry
lancia un’occhiata verso di loro: si sono appartati poco
più lontano dal resto
del gruppo e la luce del falò li illumina appena; da quanto
ne può capire
stanno parlando, e il ragazzo dalla carnagione più scura
continua a fissare con
aria preoccupata le ferite che s’intravedono dalla maglietta
di lino
dell’altro.
Appena
sente intonare una nuova canzone da parte di quei due (al coro ora
s’è aggiunto
anche un altro ragazzo dai capelli marrone, Stan?—Dèi,
non riuscirai mai a
distinguerli tutti—) Harry capisce di averne
abbastanza.
Si
scrolla di dosso il piatto dove giace la sua cena ancora completamente
intatta
e si alza, in cerca di un posto tranquillo dove compiere le sue
preghiere.
S’avvia
oltre al sentiero, scendendo giù per la montagna, fin quando
non arriva allo
spiazzo dell’altopiano a strapiombo.
I
canti e le risate sembrano lontane centinaia di metri.
Sospira,
utilizzando l’unica luce della luna per trovare un masso
abbastanza piatto sul
quale sedersi.
Vorrebbe
poter essere nel tempio di casa sua, nella reggia, poter pregare a
dovere: con
le candele, le Scritture e tutto il resto, ma si deve accontentare.
Un
brontolio basso proviene alle sue spalle nello stesso istante in cui
tira fuori
l’anello di ferro sepolto sotto i suoi vestiti, appeso al
collo; si gira di
scatto.
“Oh,
sei tu.”
Vede
Huton emettere un nuovo brontolio e gli zampettargli a fianco, con un
rumoroso pat
pat delle sue grosse, goffe e tozze zampe.
Harry
cerca di ignorarlo, congiungendo le mani davanti al volto e
socchiudendo gli
occhi, ma il drago ha cominciato a strusciare la sua enorme testa
contro il suo
fianco, facendolo dondolare.
“Che
vuoi?” domanda allora, scocciato. L’animale sbuffa
di nuovo e batte i piedi a
terra, facendo alzare la polvere.
Il
ragazzo si concede un istante per osservarlo: è molto meno
spaventoso di Masha,
questo è poco ma sicuro.
Sembra
più che altro uno di quegli enormi cani da compagnia che
giocano per le strade
della sua città: la bocca perennemente socchiusa, ansante,
gli occhi vivi che
ruotano a destra e a manca per riuscire a trovare un nuovo oggetto per
giocare.
Huton,
oltretutto, continua a scrollare la testa e più di una volta
i suoi piccoli
corni rischiano di ferirgli la faccia; Harry si ritrova a dover
appoggiare una
mano sul suo viso giallo per allontanarlo di qualche centimetro.
“Ehi,
calmati. Non ho voglia di giocare” gli mormora, percependo
coi polpastrelli le
scaglie lisce: lo accarezza e quello pare immediatamente
tranquillizzarsi,
chiudendo finalmente il muso e nascondendo i grossi denti appuntiti.
“Non
posso credere che un giorno dovrò occuparmi di un coso ingombrante
come te” borbotta, osservando il drago accucciarsi a qualche
metro di distanza,
avvolgendosi nelle sue piccole ali e aggrovigliandosi intorno alla
propria
coda.
L’animale
sbadiglia, spalancando le enormi fauci, poi sbatte più volte
le palpebre, prima
di chiudere definitivamente i grossi occhi gialli;
Harry—senza nemmeno
accorgersene—alza gli angoli della bocca verso
l’alto.
È
proprio un cucciolo di drago: in confronto a Urich o Neevae sembra solo
un
fagotto.
“Sua
Maestà il Principe sta sorridendo?”
Harry
si volta verso il sentiero, giusto in tempo per vedere Louis avanzare
verso di
lui, con dei lunghi rami tra le braccia: lo sente ridacchiare,
divertito.
“Pensavo
che ci fossi nato, con quel muso lungo. Ed ora ti vedo
addirittura sorridere. Potresti
uccidermi, ragazzino.”
“La
smetterai mai di chiamarmi così?” domanda
esasperato, cercando di controllare
il suono della voce per non svegliare il drago.
Il
cavaliere dagli occhi azzurri getta la catasta di legna lì
accanto, sedendosi
poi al suo fianco:
“Verginello è
attualmente il mio preferito. Sua maestà preferisce
questo?”
Harry
vorrebbe davvero, davvero tanto poter rispondere a tono o se non altro
farlo
tacere, ma Louis non gli dà tempo nemmeno di replicare che
già lo precede:
“—Comunque, uh. Ho sentito che hai fatto un buon
lavoro con Liam.”
“È
stato Michael a fare quasi tutto” mormora, a mo’ di
scuse, mentre abbassa lo
sguardo sui propri piedi.
“Sicuro.
Ma—un buon assistente può fare la differenza,
Harry. Non dimenticarlo mai.”
Louis rimane un attimo in silenzio, lasciando che il suono ovattato dei
canti
all’accampamento riempiano l’aria notturna.
Alza
un dito, indicando i rami spessi appoggiati sulla terra: “A
proposito di
assistenti—Portami questi rami all’accampamento,
bisogna ravvivare il fuoco per
la notte.”
Oh,
grandioso. Come no.
“Adesso
devo pregare.” Harry incrocia le braccia, in un gesto che
può essere facilmente
tradotto con non ho intenzione di muovermi da qui.
Vede
Louis alzare un sopracciglio: “Pensavo che avessimo messo in
chiaro che devi
fare tutto ciò che ti dico.”
“Non
mi alzerò fin quando non avrò
finito—Gli dèi sono irascibili, se non si fanno
offerte e preghiere quotidianamente.”
Cerca
di mantenere un’espressione seria e neutrale anche quando la
risata del
cavaliere gli riempie le orecchie: be’, deve ammettere che
è piuttosto
difficile così, dannazione.
“Che
hai tanto da ridere?” domanda, schietto, cercando di
nascondere la propria
irritazione.
Louis
si batte una mano sul petto, come se cercasse di riprendere il respiro:
“Tu”
esala. “Tu, Harry e i tuoi dèi—Pensi,”
improvvisamente il suo volto
diventa serio, si piega in una smorfia indecifrabile sotto i raggi
tenui della
luna: “davvero che ai tuoi dèi interessi qualcosa,
di noi?”
“Gli
dèi salvano chi li venera.” Non crede sia una
risposta propriamente attinente
alla domanda, ma più una nozione inculcatagli a forza, per
tutta la sua vita; è
ciò che gli hanno sempre ripetuto, se non altro.
Louis
emette un sibilo basso, tagliente e divertito. “Sei proprio
un ragazzino” c’è
asprezza nella sua voce: “Impari le cose a memoria senza
nemmeno capirle, lasci
che due lettere scribacchiate su della pergamena condizionino tanto la
tua vita
da castigarla—”
Mentre
il ragazzo parla, si avvicina a Harry e, prima che
quest’ultimo possa anche
solo accorgersene, gli ha afferrato la corda dell’anello che
tiene al collo e
l’ha tirato fuori dalla sua casacca di lino, guardando bieco.
Il
ragazzo dagli occhi verdi sussulta, strappandogli via
l’oggetto dalle mani e
risistemandoselo sotto i vestiti; incrocia gli occhi di Louis che lo
scrutano
in silenzio, nella notte.
“Scegliere
di essere un Vergine non è una
castigazione—È. Uhm.
Un’offerta.”
“Come
ti pare, verginello.”
Louis
si alza, facendo tintinnare la fodera della spada contro la sua
cintola: si
afferra entrambe le mani, stiracchiandosi verso l’alto ed
emettendo un lungo
mugugno appagato.
La
stoffa della sua casacca pare modellarsi sopra i muscoli tonici della
schiena,
rendendoli visibili in parte: Harry incassa la testa tra le spalle, ma
non può
fare a meno di seguire i movimenti dell’altro—di
soppiatto—chiedendosi ancora
una volta dove sia la cicatrice.
Non
è riuscito a pensare ad altro, nelle ultime ore: quella
ferita perlacea che
aveva intravisto sul corpo compatto di Louis, al banchetto, e che
serpeggiava
sulla sua pelle.
Inconsciamente,
si domanda se la cicatrice arrivi fino alla sua schiena, gli avvolga il
corpo
come un marchio; se gli bruci ancora il ricordo di come se
l’è procurata.
Potrebbe
chiederglielo, ma è molto probabile che Louis lo cacci via
con qualche commento
aspro, quindi e meglio non sprecare fiato.
“Sei
davvero inquietante quando mi fissi.” La voce divertita del
cavaliere lo
riporta bruscamente alla realtà; il ragazzo
s’è voltato e lo sta squadrando con
un sogghigno stampatogli sul volto.
Le
guance di Harry si colorano immediatamente di rosso, mentre distoglie
lo
sguardo: finge di grattarsi la guancia mentre borbotta un: “Non
ti stavo
fissando.”
Ma
deve sempre sembrare così impacciato? Dannazione.
“Oh,
oh” Louis afferra la catasta di legna da terra, con uno
sbuffo: “Sì, che lo
stavi facendo. Come al banchetto; mi fissavi. Era—davvero
divertente.”
Harry
lo guarda, aggrottando un sopracciglio: “Divertente?” gli
fa
eco.
Cosa
vuol dire divertente? Per lui,
tutta questa situazione, è
tutt’altro che divertente.
Harry
ci prova, ce la sta mettendo tutta, ma proprio non lo capisce: quel
ragazzo
dagli occhi azzurri è incomprensibile.
Completamente
squilibrato, eppure pratico ed affidabile. Con un umorismo discutibile,
e allo
stesso tempo premuroso e un combattente provetto, considerando che
è la Prima
Sentinella dell’Ovest.
Sempre
vigile, eppure considera divertente qualcuno
che lo fissa di
soppiatto.
Harry
ci rinuncia. Non ha idea di come sia messa la casata Tomlinson, ma se
è questo
l’erede, pregherà per loro. Senza dubbio.
Louis
gli getta, senza troppe cerimonie, la catasta di rami sulle ginocchia,
facendolo sobbalzare.
“Questi
li porti te, principessa” esclama, per poi si avviarsi verso
l’altro lato
dell’altopiano con l’intento di raccogliere altra
legna.
Le
mani di Harry si muovono prima che il cervello abbia processato il
tutto:
afferra il primo bastone abbastanza lungo ed appuntito che i
polpastrelli delle
sue dita percepiscono e si alza di scatto, facendo cascare gli altri
tra la
terra, con un rumore secco.
Con
un paio di falcate riesce a raggiungere Louis, piegato su un arbusto
rinsecchito mentre cerca di staccarne i rami, e gli infilza la punta
del suo
bastone contro la schiena, giusto un po’.
Il
cavaliere si raddrizza all’istante. Non sembra spaventato o
sorpreso, nemmeno
lontanamente, anzi; non si prende nemmeno la briga di voltarsi e
guardare Harry
negli occhi.
“Davvero?”
domanda, divertito, mentre continua a smistare i propri rami:
“Vuoi sfidarmi a
duello?”
La
mente di Harry è leggermente annebbiata e percepisce il
proprio sangue pulsare
sotto le tempie: che cosa sta facendo? Cosa
gli è preso?
Ma,
per quanto il buonsenso gli ripeta di abbassare quel dannato bastone ed
eseguire semplicemente ciò che Louis gli ha ordinato di
fare, il suo braccio
non riesce proprio a piegarsi: rimane teso, in segno di sfida, e la
punta del
ramo continua a pizzicare la casacca dell’altro.
“Allora?”
la voce di Louis è ancora divertita, ma è
distinguibile una punta
d’irritazione: “In un vero combattimento saresti
morto nel giro di qualche
secondo.”
“Sono
bravo con la spada.” Harry si raddrizza nelle spalle:
“Ho preso lezioni.”
“Non
saranno sufficienti, in guerra.”
“Proviamo.”
Louis
sbuffa, poi ridacchia: “Perché lo stai
facendo?” domanda, cercando di
lanciargli un’occhiata da sopra la spalla.
Harry
si morde l’interno della guancia, riuscendo a sentire i
propri muscoli tremare
dalla voglia di combattere: è una sensazione nuova,
eccitante e spaventosa. Lui odia combattere.
Odia la spada, la guerra, i guerrieri.
Cos’è,
allora, questo senso che gli ha intrappolato le spalle e la bocca dello
stomaco? Si sente febbrile.
Scuote
la testa: deve calmarsi.
“Voglio
che cominci a portarmi più rispetto” sibila,
rendendo più stretta la presa
intorno al ramo.
Questa
volta, Louis scoppia davvero a ridere, ma è giusto per un
secondo: quello dopo,
infatti, s’è già piegato sulle
ginocchia e ha afferrato un nuovo bastone della
stessa grandezza di quello di Harry.
Si
volta, facendolo ruotare da una mano all’altra, e carica
contro Harry, che,
dopo un attimo di stordimento, riesce a frenare all’ultimo
secondo il colpo di
Louis, bloccando il bastone con il suo, di traverso.
Si
guardano, ora improvvisamente vicini.
“Me
la cavo bene” sibila.
Il
cavaliere dagli occhi azzurri sbuffa: “Vedremo.”
Fa
scorrere tutta la lunghezza del ramo contro quello dell’altro
e poi si stacca
improvvisamente, cercando di colpirlo un po’ più
in basso: Harry, con un abile
movimento di gambe, riesce a schivare il colpo ed indietreggia di
qualche
passo, prima di afferrare la propria arma con l’altra mano e
cercare di colpire
la parte scoperta di Louis.
Quello
emette un gemito sorpreso, ma fa in tempo ad evitare la punta aguzza
del pezzo
di legno.
Riafferra
velocemente l’equilibrio, caricando nuovamente: tende il
bastone verso Harry
con un affondo netto.
Il
sibilo dell’aria precede il movimento, e in un battito di
ciglia il ragazzo
dagli occhi verde spalanca le palpebre, vedendo la punta del bastone
avvicinarsi: piega il busto all’indietro e trattiene il fiato.
Sente
il ramo sfiorargli appena il petto, per poi ritirarsi il secondo dopo:
lui è
più veloce.
Afferra
con la mano libera l’estremità del proprio ramo e
intrappola il polso di Louis
ancora teso sopra di lui tra la morsa del bastone e il proprio petto;
gli occhi
azzurri dell’altro si spalancano per un attimo, prima che il
suo intero corpo
venga trascinato da Harry verso il basso.
Ruota
il corpo, usando come perno il polso e facendolo cadere di schiena
sulla
polvere della terra: le palpebre di Louis si strizzano per un secondo,
cercando
di attutire il dolore per la caduta, ma le sue mani sono già
in cerca dell’elsa
della propria arma, per ribaltare la situazione.
Harry
preme un ginocchio accanto al suo fianco e gli blocca il polso che
regge il
ramo lontano dal suo volto, con l’altro gomito gli blocca la
spalla contro il
suolo e con le gambe immobilizza le sue.
Guarda
Louis, sotto di lui, ansante: percepisce il suo petto alzarsi e
abbassarsi
contro il suo, il suo respiro sulla pelle sudata.
“Sono
bravo, ammettilo.” Sussurra, cercando di riprendere fiato.
Vede
Louis alzare le sopracciglia, poi tutto avviene in un secondo.
Il
pugno libero del cavaliere raccoglie una manciata di polvere e
terriccio dal
suolo, per poi gettarla contro il volto.
Harry
sibila, sentendo gli occhi bruciargli improvvisamente. È
costretto a chiuderli
per il fastidio; Louis approfitta del momento per sgusciare via dalla
sua presa
e riafferrare il bastone saldamente.
Spinge
il ragazzo al suolo con un calcio per assestato, bloccandogli le spalle
contro
l’erba rada e secca.
Quando
gli occhi verdi di Harry si riaprono, ci mettono ancora un paio di
secondi per
mettere a fuoco il tutto: Louis è in piedi sopra di lui, con
le gambe ben
piantate ai lati del suo bacino e sorride sornione.
Preme
la punta aguzza del ramo all’altezza della sua gola, con
sincero entusiasmo.
Probabilmente perché sa di aver vinto: l’arma di
Harry è stata praticamente
calciata via e lui lo sta tenendo sotto torchio con quel dannato
bastone.
“Giochi
sporco” mormora il ragazzo dagli occhi verdi, cercando di
togliersi gli ultimi
residui di polvere dagli occhi.
Sente
l’altro ridere sommessamente, prima di allontanare
l’arma e fare un passo
indietro: alza gli occhi blu all’immenso cielo stellato e,
portandosi due dita
alla bocca, tira un lungo, vibrante fischio al vento.
Lascia
che il suo sguardo ricada su Harry: “Preferisco il
termine cercare di
vincere.”
Harry
sbuffa, cercando di rialzarsi, ma un’improvvisa folata di
vento lo getta
nuovamente con le spalle al suolo: un’enorme sagoma scura
s’è appena
materializzata sul fianco della montagna e sta sbattendo le sue
gigantesche ali
contro di loro, facendo addirittura muovere le cime degli alberi.
“Piccola!” sente
Louis esclamare, per
sovrastare il rumore delle foglie che sfregano tra di loro.
Harry
stringe forte gli occhi e si morde l’interno della guancia
per trattenere un
qualsiasi commento possa fuoriuscire dalla sua bocca
perché, davvero? Da
quando un drago delle dimensioni di Masha può essere
chiamato piccola?
Non
importa il fatto che sia un nomignolo affettuoso. Non si
può
definirla piccola.
Socchiude
a malapena una palpebra per riuscire a scorgere il cavaliere dagli
occhi
azzurri riuscire a montare sull’animale afferrando un corno
alla base della
nuca scura.
Masha
scuote l’enorme testa ed emette un brontolio sommesso prima
di continuare il
suo volo.
Si
alza verticalmente, quasi come se volesse puntare alla luna stessa, e
si muove
ruotando su se stessa: Harry è costretto ad alzare il naso
verso l’alto per
vedere la sagoma nera brillare contro la luce delle stelle.
Non
crede che ce ne sia effettivo bisogno, poiché
l’urlo prolungato ed entusiasta
di Louis è udibile persino da lì, a terra.
Nonostante
tutto, non può fare a meno di sorridere: Masha, quando
arriva all’altezza ideale
per essere illuminata dal cielo, esegue una perfetta giravolta e Louis
si
stringe più contro il corpo squamoso del destriero.
I
suoi capelli sono sparati in tutte le direzioni, mentre seguono liberi
il
vento.
Harry
cerca di rialzarsi da terra, scrollandosi la polvere dai pantaloni.
Masha
emette un rauco verso, mostrando i denti bianchi: le ali si tendono
nell’aria,
diventando lucide come cuoio; l’istante dopo si ristringono
contro il suo
corpo, avvolgendolo.
Louis
le urla qualcosa che Harry non riesce a distinguere chiaramente: vede
però il
drago lasciarsi cadere in aria, con la testa che punta dritto verso
terra.
Cade
in picchiata proprio verso Harry ad una velocità tale da
farlo quasi
terrorizzare: che diamine sta facendo? Perché quello stupido
drago non vola?
Indietreggia,
improvvisamente spaventato, quando vede le narici scure di Masha farsi
ogni
secondo più vicine: inciampa in una roccia e cade nuovamente
a terra, parando
una mano verso l’alto e stringendo gli occhi, quasi cercasse
di proteggersi.
Piega
il volto in una smorfia, trattenendo il respiro, mentre attende
l’imminente
schianto.
Che,
però, non arriva.
Al
contrario, Masha spalanca le ali a poche decine di metri dal suolo:
Harry
riesce a percepire la terra tremare, intorno a sé.
Un’enorme,
liscia e squamosa coda gli avvolge il busto prima che possa
accorgersene e in
un batter d’occhio si ritrova trascinato in aria, dondolante.
Tira
un grido fortissimo, ma che viene rimpiazzato l’istante dopo
dalla risata di
Louis.
“Tranquillo,
principessa, Masha sa come prendersi cura dei nuovi
arrivati!” lo sente
gridare.
La
presa intorno al suo corpo si fa un po’ più
stretta, tanto che una sensazione
di vertigini e vomito comincia a farsi strada all’interno del
suo stomaco;
osserva il terreno sotto di sé farsi sempre più
distante e piccolo, rimpiazzato
da nuvole rade.
Il
rumore del vento che gli stordisce la mente.
Stanno
salendo a velocità inimmaginabile. Sente che sta per
vomitare. Sta sicuramente per
vomitare.
(Butta
giù un boccone amaro, costringesi a serrare gli occhi e ad
aumentare la presa
con entrambe le braccia intorno alla coda liscia di Masha.)
“Fammi
scendere!” grida, col fiato corto.
Louis
scoppia a ridere e: “Uh, afferrato!” gli risponde e
il secondo dopo sussurra
qualcosa al drago.
La
coda, come un enorme serpente, prende a muoversi sinuosamente in aria,
e il
corpo di Harry viene letteralmente lanciato nel vuoto, molto
più in alto di
quanto non sia effettivamente Masha.
Harry
trattiene il respiro, e si morde la guancia fino a farla sanguinare per
riuscire a trattenere un altro urlo, costringendolo a rimanere
intrappolato
nella sua gola: le mani cercano disperatamente qualcosa, su cui potersi
aggrappare, ma non incontrano altro se non la fredda aria notturna.
Passano
secondi che sembrano ore, prima che riesca ad atterrare di schiena, con
un
tonfo sordo: il colpo è molto meno doloroso di quanto non si
aspettasse.
È
morto.
È sicuramente morto;
sfracellato al suolo.
Dopo
nemmeno un giorno di addestramento: deve aver battuto una qualche sorta
di
record per essere morto così in fretta.
“Apri
gli occhi, principessa!”
Una
risata cristallina gli riempie le orecchie: anche
Louis è morto?
No,
non
è possibile.
Harry,
molto lentamente, socchiude le palpebre, ritrovandosi accoccolato
vicino al
grembo del cavaliere dagli occhi azzurri.
Si
raddrizza improvvisamente, squittendo.
Louis
gli fa un cenno del capo: “Tieniti, adesso voliamo un
po’.” E lo invita a
stringere le braccia intorno alla sua vita.
La
luce delle stelle è fioca, i puntini luminosi che
intersecano il cielo si
potrebbero unire a formare centinaia di costellazioni diverse: la luna
sembra
adagiata tra le schiumose nuvole scure, la sua luce è opaca,
mentre filtra le
nubi.
C’è
odore di pino selvatico, nell’aria: Harry inspira a pieni
polmoni, un misto
d’eccitazione a scaldargli le vene dalla notte.
L’odore
della pelle di Louis è a qualche centimetro di distanza dal
suo naso, forte e
dolce, e i suoi capelli profumano di sapone.
Socchiude
gli occhi, cercando di mettere a fuoco il magnifico paesaggio, sotto di
loro.
Un
lago d’acqua grande come il mare intero riflette la luna come
uno specchio,
sembra uno spicchio di cielo incastrato tra le rocce: brillante e
luminoso.
La
superficie s’increspa quando Masha ci passa sopra, ad appena
qualche decina di
metri di distanza, e migliaia di onde piccole si formano per un istante
rincorrendosi fino a scomparire; Harry allunga un poco il collo, giusto
per
vedere il suo riflesso essere deformato dalle onde.
La
sagoma nera di Masha si alza il secondo dopo, sotto l’ordine
divertito di
Louis.
L’animale
sbatte le enormi ali, e l’acqua schizza dappertutto,
alzandosi per metri
interi: bagna il volto di Harry e il ventre del drago e i capelli scuri
del
cavaliere.
“Ti
stai divertendo?” È l’urlo di Louis,
sopra il rumore del vento, che gli giunge
alle orecchie.
Harry,
in risposta, tira un grido forte misto ad una sincera risata, che va a
riecheggiare tra le montagne, il lago e le foreste. Louis ride
più forte e lo
guarda da sopra la spalla:
“Lo
prendo come un sì.”
E, sì,
pensa Harry, dovrebbe prenderlo davvero.
Ma
è troppo orgoglioso per ammetterlo.
Riatterrano
poco dopo, i cavalieri ormai sono già tornati alle proprie
brande per la notte:
le ceneri del falò sono ancora calde e sparpagliate
dappertutto, tra la legna
bruciata e rinsecchita.
“Bentornati
dalla passeggiata, eh.”
Harry
riesce a scorgere, nella penombra, un ragazzo che si sta preoccupando
di
risistemare le ultime cataste di legno in una piccola fossa del
terreno: si
piega e si rialza, sollevando almeno venti rami massicci per volta.
Non
può fare altro che spalancare gli occhi: è il
ragazzo che cavalcava quel drago
dell’Est, ne è sicuro. La sua ferita alla spalla
sembra completamente guarita
o, se non altro, cucita.
Diamine,
quel Michael deve essere davvero bravo con ago e filo: la cicatrice si
vede
appena.
Harry
si concede qualche secondo per osservarlo: è alto, molto
magro, la pelle è
dello stesso colore della terra.
I
capelli corvini sono legati in una piccola coda dietro la nuca e i lati
della
sua testa sono completamente rasati: lasciano perfettamente intravedere
sue
paia di orecchie piccole, coi lobi solcati da piccoli pezzi di legno
lavorato
finemente.
È
una tradizione dei popoli del Sud, giusto? Quella di bucare le orecchie
con un
coltello bollente ai bambini appena nati—Harry ne
è sicuro. Deve aver letto
qualcosa a riguardo, nella biblioteca del castello.
“E
Liam?” domanda improvvisamente Louis, avvicinandosi al
ragazzo ed aiutandolo a
trasportare l’ultima catasta di legna.
“L’ho
mandato in tenda e l’ho costretto al riposo forzato; dovrebbe
rimettersi in
fretta se si decidesse a seguire i consigli di Mich” sbuffa:
“Ma ovviamente Liam
è un dannato testardo” conclude il ragazzo corvino
battendosi le mani per
scrollare via la polvere e la terra.
“Lui è
il figlio del—uhm. Re?” continua, puntando un dito
contro Harry.
Si
schiarisce la voce: “Sono Harry.”
“Zayn. Piacere.”
Gli sorride, per poi voltarsi verso Louis: “Cerca di non
ammazzarlo, intesi?”
Il
cavaliere dagli occhi azzurri ridacchia: “Farò del
mio meglio.” Poi si volta
verso Harry, scuotendo la testa, divertito.
Gli
passa accanto, battendogli una mano sulla spalla, e si preoccupa di
sussurrargli un: “Non ho intenzione di farti uccidere fino
alla terza
settimana, okay?”
Harry
socchiudendo le labbra, ma Louis l’ha già
superato, ridendo bellamente.
“Andiamo
ragazzino!” gli urla, poco più avanti:
“È ora di andare a letto! Domani sarà
una luuunga giornata!”
“Ed
io—” Harry cerca di stargli al passo, mentre quello
si dirige verso le brande:
“Ed io dove dovrei dormire?”
Louis
si volta di scatto, un sorrisetto sardonico stampato sul volto:
“Oh, giusto.”
Si
picchietta un indice sul mento, guardandosi intorno come alla ricerca
di
qualcosa mentre cerca di trattenere una smorfia divertita: questa
situazione a
Harry non piace per niente.
Niente,
niente di buono
può nascere da un
sorrisetto del genere sul volto di Louis Tomlinson.
“Oh,” il
cavaliere, con un paio di falcate, raggiunge un agglomerato di casse di
legno,
rami secchi e utensili indistinti, tutti accatastati in un lato
dell’accampamento.
Lo
vede piagarsi, e tirarne fuori un oggetto che lascia cadere tra le mani
di
Harry; quello per poco non si ritrova a cadere al suolo, tirato
giù dall’enorme
peso di ciò che l’altro gli ha porto.
Gli
lancia un’occhiata, afferrandone saldamente il manico:
“Che ci dovrei fare con
un martello?”
Louis
emette un basso sibilo divertito. “Uh, non te l’ho
detto? È uso che i nuovi
arrivati si costruiscano la propria branda da soli.”
La
mascella di Harry si spalanca prima che lui possa fare niente per
fermarla,
strizza più volte gli occhi.
“E,”
aggrotta la fronte, furioso: “me lo dici solo ora?!”
L’altro
scoppia a ridere: “Il legno lo troverai dall’altra
parte dell’altopiano.”
Schiocca la lingua, palesemente divertito. “Ci sentiamo
quando hai finito,
principessa.”
Harry
non sa che fare se non mordersi la guancia per reprimere la propria
voglia di
fracassargli la testa, con quel dannato martello; ci
metterà ore se
non giorni per creare una stupida
branda stabile e
quell’idiota di Louis glielo dice solamente adesso?
Avrebbe
potuto cominciare ore fa, se solo quello si fosse preso la briga di
avvisarlo.
Invece
deve lavorare adesso. Di notte. Ed è esausto.
Osserva,
furente, la figura dell’altro allontanarsi ridacchiando.
§
Ci
vogliono quasi due giorni per completare la branda: Harry si taglia con
i chiodi
di ferro appuntito almeno sedici volte ed è Michael, insieme
a Calum, a doverlo
disinfettare con un miscuglio di linfa di piante.
Harry
non s’è mai sentito più umiliato in
tutta la sua vita.
Niente
è come vedere Louis passargli accanto—mentre lui
sta cercando disperatamente di
finire il dannato soffitto ricoprendolo di argilla e paglia—e
tirargli lunghi
fischi e qualche esclamazione che ha sempre a che vedere con principessa o ragazzino o verginello.
Umiliante. Decisamente umiliante.
Lui
cerca sistematicamente d’ignorarlo e si asciuga col dorso
della mano il sudore
che gli cola giù per la tempia, continuando a lavorare; non
dà troppo peso alle
ferite che gli si aprono come niente, nelle mani.
File
e file di piccoli taglietti biancastri e rossi che intersecano ed
intrecciano
quella che una volta era una pelle liscia e impreziosita da sottili
vene blu:
tagli causati dai chiodi, dalle schegge, dai fili d’erba
secca.
È
Liam, quello che gli porta di pasti.
(Ovviamente lui
non può lasciare il lavoro finché non
è completato. “È
così che vuole
l’usanza!” gli grida Louis,
divertito. Harry vorrebbe davvero picchiarlo
a sangue.)
E,
dietro a Liam, per la maggior parte del tempo c’è
Zayn; il ragazzo non parla
molto e si limita a mantenere le braccia incrociate, appoggiarsi a
qualche
tronco mozzato e assistere alle conversazioni degli altri due.
Brevi
conversazioni, considerando il fatto che il corpo di Liam deve ancora
riuscire
ad espellere tutto il veleno entratogli a causa delle frecce dei
Barbari e
quindi fa molta più fatica del previsto a mantenersi in
piedi o, se non altro,
lucido.
La
mattina del terzo giorno, Harry si sveglia improvvisamente, annaspando.
La
luce soffusa del sole lo costringere a strizzare e a chiudere
più volte gli
occhi, respirando affannosamente;che cosa è
successo?
Abbassa
lo sguardo, percependo un’improvvisa ondata di brividi sulle
braccia: la sua
casacca sporca di terra è completamente fradicia, tanto che
gli si è
completamente appiccicata al petto e ai fianchi.
Altra
acqua gli cola giù dalla punta del naso e gli bagna il
collo, i capelli, fino a
scendere sulla schiena: alza lo sguardo, spaesato.
Ci
vogliono un paio di secondi per riuscire a mettere a fuoco le figure
che si
stagliano in piedi, davanti a lui, contro luce: una delle due tiene un
secchio
d’acqua vuoto, in mano.
“Scusa,
amico.” È la voce di Niall. È
decisamente la voce di Niall quella che ha appena
parlato, mentre il ragazzo getta lontano il secchio.
“Mi
ha costretto Louis a svegliarti così.”
L’altra
figura—Harry ruota gli occhi al cielo e sbuffa
perché è ovviamente di
Louis quella risatina irritante—batte le mani:
“Il
sole è già sorto, principessa. Il che vuol dire
che avresti già dovuto essere
in piedi, scattante” schiocca la lingua: “Invece
stai dormendo.”
“Ho
dovuto passare tutta la notte a finire la mia dannata
brand—!” Non gli dà il
tempo nemmeno di protestare che immediatamente il cavaliere dagli occhi
azzurri
lo azzittisce con un gesto brusco della mano.
“D’ora
in poi, ti alzerai all’alba, come tutti. Altrimenti Niall
sarà costretto a
gettarti altri secchi d’acqua in testa.”
“Ma—”
“Eh!” Louis
alza un dito in aria: “Niente ma.”
Harry
cerca di lanciare un’occhiata a Niall, ma quello si limita a
scrollare le
spalle e mormorare divertito qualcosa come: “Louis
è così.”
Il
ragazzo si morde l’interno della guancia, trattenendo un urlo
d’esasperazione e
cerca di scrollarsi le ultime goccioline d’acqua rimastegli
impigliate tra i
capelli.
“Dài,
su. Alzati.”
Alza
lo sguardo e vede Louis tendergli una mano, per aiutarlo a mettersi in
piedi;
controvoglia, Harry l’afferra e l’altro lo trascina
su facilmente, quasi come
se non pesasse niente.
“Ti
vado a prendere dei panni con cui asciugarti, va bene?”
Harry
abbassa lo sguardo e non risponde; deve essere sicuramente arrossito
perché il
suo orgoglio non gli permetterebbe mai di annuire freneticamente a una
domanda
così banale, insomma.
Anche
se quella mattina tira un po’ di vento e lui sta praticamente
gelando.
“Ehi,
Harry.” L’indice di Louis gli picchietta sulla
fronte aggrottata: “È buona
educazione rispondere alle domande.”
Harry
prende un profondo respiro. Fino a qualche giorni fa, sembrava
impossibile che
qualcuno potesse rivolgersi con quel tono al figlio del re; qui,
invece, viene
trattato esattamente al pari di qualunque altro, se non un gradino
inferiore.
Si
scosta un riccio bagnato dalla fronte e sente Louis ridacchiare.
“Sto
aspettando” lo canzona: “Credimi,
l’orgoglio serve ben poco in battaglia,
dovrai imparare a liberartene.”
Harry
si morde il labbro inferiore: “Sì, Louis.
Vorrei un panno con cui
asciugarmi.”
L’altro
lo guarda, alzando le sopracciglia.
Harry
sbuffa: “—Per piacere.”
“Bravo
ragazzo!” Gli stringe tra le dita la guancia rosea e bagnata,
mentre l’altro
scuote la testa, affranto, ma non può fare a meno di alzare
gli angoli della
bocca verso l’alto: “Puoi trovare dei panni
asciutti dentro la mia branda.”
La
indica con un dito: “Ti aspetto sull’altopiano
appena hai finito di asciugarti”
lo avvisa poco dopo: “Cerca di metterci meno tempo
possibile.”
Harry
ruota gli occhi al cielo. Sospira.
“Sissignore.”
Salire
su Masha
sta diventando sempre
meno traumatico, o almeno è quello di cui si convince Harry,
appena l’enorme
drago prende quota e scivola tra i banchi di nebbia e nuvole.
Stringe
maggiormente la presa intorno alla vita di Louis, cercando di scorgere
l’orizzonte oltre la spalla dell’altro:
“Dove stiamo andando?” gli domanda.
Il
cavaliere non volta nemmeno la testa, troppo impegnato a mantenere la
posizione
sul collo dell’animale e lanciare continue occhiate intorno.
“Sulle
montagne” risponde, sbrigativamente: “Da oggi
comincia il tuo ufficiale
addestramento per diventare un soldato.”
“Uh.”
Rimangono
in silenzio, aspettando che Masha viri la rotta piegando appena le ali.
“So
che non vuoi.” Louis emette un sibilo basso.
Harry
alza le sopracciglia: “Cosa?”
“So
che non vuoi diventare un soldato. Tu—hai
quell’anello al collo e tutto, uh.”
“Devo
diventarlo” il ragazzo sospira, osservando uno stormo
d’uccelli, poco sotto di
loro, volare tranquillamente: “per il mio—nostro popolo.”
Fa una
pausa: “È un dovere.”
“Già. Diventare
re e tutte quelle stronzate.”
Harry
ride amaramente: “Già.”
“Quando
ero piccolo sentivo sempre parlare di quanto tuo padre fosse un grande
guerriero, sai?”
“Sì.”
Harry distoglie lo sguardo, abbassandolo ed intravedendo le grandi
zampe di
Masha dondolare nel vuoto: “Lo so—Lui
dice che io ho il suo sangue,
nelle vene. Che sono un combattente almeno tanto quanto lo è
lui.”
“E
tu?”
“Io
cosa?”
Louis
gli lancia un’occhiata da sopra la spalla: “Tu ci
credi?”
Oh. Questa
è un’ottima domanda.
Harry
rimane in silenzio, con le labbra screpolate dal freddo socchiuse,
quasi come
se si stessero già preparando alla risposta: risposta che
lui non ha.
Non
crede nemmeno di essersi mai chiesto, in cosa crede; nozioni
ripetutegli e
ripetutegli da suo padre per tutta la sua vita non gli hanno mai
concesso
nemmeno un istante per fermasi—lontano dal castello, dai
banchetti, da sua
sorella, dalla confusione, dalla lapide sbiadita di sua
madre—e domandarsi in
cosa crede realmente.
Domandarsi
se suo padre abbia ragione su di lui.
Se
farsi Sacerdote non sia soltanto una scusa per rimanere ossessivamente
attaccato a sua sorella, per aggrapparsi al ricordo effimero di sua
madre e non
vederlo scomparire.
Percepisce
l’anello, intorno al collo, diventare piombo contro la pelle.
Scuote la testa.
“Non
lo so se ci credo—” deglutisce, alzando lo sguardo:
“C-come si fa a crederci? Tu
come hai fatto a diventare—questo? Come
hai fatto a svegliarti una
mattina e dirti bene, per il resto dei miei anni
voglio mettere a
rischio la mia vita e cavalcare un drago nero?”
Louis
espira una risata, scuotendo la testa: “Masha.
Non è un drago
nero qualsiasi, è Masha.”
“Non
hai risposto.”
“Non
è che—” Il cavaliere abbassa lo sguardo
sulla pelle scura del drago,
cominciandola ad accarezzare distrattamente: “Non
è che ti svegli una mattina e
lo sai—”
Harry
aggrotta le sopracciglia; la voce dell’altro è
diventata improvvisamente dura.
“—Io
ho sempre voluto fare questo.” C’è una
punta di rabbia, nel suo tono.
“Combattere. Combattere per vincere. Per vendicarsi. Per la
gloria.”
Il
ragazzo dagli occhi verdi emette un sibilo basso, derisorio.
“Per morire.”
“La
morte non è niente, Harry. Tu credi ai tuoi dèi e
alle Scritture e alle rune
che non fanno altro che ripetere quanto sarà piena di dolore
la vita dopo la
morte.”
Rimane
in silenzio per qualche secondo, e il battito delle ali di Masha
diventa
l’unico suono che riempie le loro orecchie.
“—Ma
la morte non fa paura. Vivere fa paura.”
“Pensavo
che i cavalieri dovessero imparare a controllare la paura.”
La voce di Liam gli
rimbomba nella testa, insieme alle parole che gli aveva detto la prima
volta
che si sono incontrati.
Ci
ripensa, mentre la sua mente è completamente in balia delle
parole di Louis,
della sua cadenza dalle sillabe dure, esattamente come
l’idioma dell’Ovest.
“Infatti.”
Il cavaliere sorride: “È quello che facciamo: la
ignoriamo. La schiviamo.
Prendiamo la felicità dove possiamo trovarla: da uno
sguardo, un boccale di
vino. Un corpo caldo, una risata—” batte una mano
sulla pelle squamosa di
Masha, guardandola assorto: “Anche dalla compagnia di
qualcuno che non capisce
nemmeno la tua lingua.”
Le
enormi narici del naso del drago si dilatano un attimo e il labbro
superiore si
alza, mostrando una fila di denti affilati come coltelli e delle
dimensioni di
un avambraccio.
“Scherzo,
scherzo.” Louis scoppia a ridere,
ricominciando ad accarezzare
l’animale: “Mash, sto scherzando. Sai benissimo che
non potrei vivere senza la
mia ragazza preferita, no?”
Il
drago pare tranquillizzarsi e comincia una lenta planata verso un bosco
nebbioso di cipressi e abeti, su un versante male illuminato di una
montagna
particolarmente alta.
Nella
testa di Harry pensieri su pensieri stanno rotolando tra di loro, come
a
cercare di raggiungere il podio, per emergere sopra gli altri: non
vuole
ascoltarli.
Non
vuole nemmeno provare a metterli in ordine, a capire a
chi o a
cosa si stanno riferendo; è un lusso che
non s’è concesso in una vita
intera, e non comincerà di certo ora.
Quando
era piccolo, generalmente si rinchiudeva in biblioteca quando doveva
azzittire
le domande che si porgeva.
Si
rinchiudeva quando i compagni d’armi lo prendevano in giro,
quando suo padre lo
costringeva a tenere una spada in mano: “È
parte di te” diceva, “Non
lascerai quest’elsa fin quando non la maneggerai come se
fosse parte del tuo
braccio.”
E
la neve cadeva, sul cortile: Harry guardava le mani—paffute e
bluastre per il
freddo—che stringevano una spada che non riusciva nemmeno a
sollevare da terra.
Mentre
i fiocchi di neve s’intrappolavano tra le sue ciglia,
ricacciava le lacrime
indietro e vedeva Gemma, appoggiata ad una colonna del portico,
portarsi una
mano alla bocca ed osservare la scena, timorosa.
Harry
prendeva un profondo respiro, cercando di mettere a fuoco la figura
paterna,
poco davanti a lui, con un’altra spada tra le mani.
“Tu
sei uno Styles. La sete di vittoria scorre nel tuo sangue, si attacca
alla vita
che hai.”
Alzava
la spada, tirava i colpi, cercava di pararli, ma la maggior parte delle
volte
si limitava a cadere a terra, con le ginocchia sbucciate, sul pavimento
lastricato del cortile; il rumore della lama che gli sfuggiva dalle
mani e
tintinnava lontano infesta ancora i suoi sogni.
“Quand’è
che avrò un drago?”
La
domanda improvvisa fa sobbalzare un poco Louis, che fino a quel momento
era
concentrato nella planata di Masha.
“Che
intendi?”
Harry
si schiarisce la voce: “Uhm—Se io devo diventare un
guerriero, si presuppone
che abbia un drago, no?”
Sente
Louis ridacchiare. “Non sei tu a scegliere il
drago—”
Masha
sta planando tanto che ormai mancano pochi minuti
all’atterraggio; Harry
percepisce il vento fischiargli nelle orecchie.
“—È
il drago che sceglierà te, al momento giusto.
Sarà lui a possedere te, non
viceversa.”
“Quando
sarai nella Barriera, lontano da tutto e da tutti—”
La
voce di Louis continua a rimbombare tra le cortecce degli alberi,
mentre Harry
s’affretta a seguirlo, girando per il bosco fitto: Masha,
poco dietro di loro,
cerca di farsi spazio con le enormi zampe, spaccando tronchi interi e
schiacciando l’erba alta.
“—Probabilmente
penserai che morirai perché ti uccideranno a sangue freddo.
Be’. Sbagli.”
Harry
alza un sopracciglio, col fiato corto, e aspetta che Louis continui:
“È molto
più probabile che un guerriero muoia per infezioni o
avvelenamento da cibo,
piuttosto che da una spada.”
Scalcia
via un pezzo di legno muschiato e, con la spada, taglia i rami bassi di
un
abete; dopo un’ultima serie di colpi di lama ben assestati,
Louis si ferma
improvvisamente, lasciando che Harry quasi gli caschi addosso.
(Dietro,
Masha è troppo impegnata a masticare una qualche sorta di
pianta che ha
sradicato dal terreno per prestare loro attenzione.)
“E
questa,” il cavaliere dagli occhi azzurri si sposta di lato,
grattandosi
pigramente il lieve accenno di barba sulla mascella:
“è la tua prima lezione:
imparare a non morire per causa naturale.”
“Sembra
promettente” borbotta Harry, facendo qualche passo avanti per
superare Louis e
raggiungere quella che pare una radura, circondata da cespugli scuri e
alberi;
ciuffi d’erba di diverso colore e forma spuntano dal terreno
morbido e umido.
Tanti
tipi di fiori diversi e bacche s’intravedono tra i rami.
Si
blocca sul posto, gli occhi spalancati per riuscire a cogliere tutta la
bellezza di quel luogo sconosciuto che sembra pulsare di vita.
Louis
lo raggiunge alle spalle, dandogli un pizzicotto su un fianco:
“Andiamo,
verginello. Entro ‘sta sera dovrai avere imparato almeno
trenta diversi tipi di
bacche ed erbe, chiaro?”
Harry
annuisce mogiamente, seguendolo. Sbuffa. “Chiaro, chiaro.”
Ha
imparato libri interi della biblioteca reale, può farlo
anche con un paio di
nomi, ne è sicuro; la sfida non lo spaventa.
Può
farcela.
Il
cavaliere si dirige fino l’altro lato della radura, accanto
ad un’enorme pianta
dai colori opachi, dai quali rami cadono grossi e gonfi frutti
bluastri; Louis
ne stacca uno con un repentino movimento della spada, facendolo
rotolare fino
ai piedi di Harry.
“Che
cos’è, questa?” domanda, appoggiandosi
con la schiena contro il tronco
dell’albero.
Harry
raccoglie il frutto, e se lo passa da una mano all’altra,
tastandolo: la superficie
è screpolata, ricoperta di sottili filamenti viola.
“Una bacca
della notte. Le mangiavo, al castello, quando ero
piccolo—Ora le
coltivazioni sono scomparse.”
Alza
lo sguardo: Louis sta annuendo. “Me la passi?” gli
domanda.
Harry
gliela lancia e l’altro l’afferra al volo: si siede
su una roccia ricoperta di
muschio e fa segno al ragazzo dagli occhi verdi di avvicinarsi.
Estrae
con un movimento secco un piccolo pugnale seghettato dalla cinghia dei
pantaloni e comincia a lavorare sul frutto con la lama; passa la punta
su una
delle screpolature più profonde, poi esercita una leggera
pressione e
l’involucro ruvido della bacca si spacca a metà.
Harry
non può fare a meno che seguire, con gli occhi, i movimenti
di quelle mani.
Quelle
mani piccole, ricoperte di piccole cicatrici invisibili, baciate dal
sole;
esperte in grado di manovrare perfettamente una qualsiasi lama, eppure
capaci
di accarezzare un drago.
Potrebbe
essere sicuro che, se Harry le toccasse, sarebbero ruvide. Ruvide ma
gentili e
attente. Prima che sia troppo tardi si ritrova a pensare che potrebbe
fissarle
per sempre, incantato da quei movimenti tanto precisi.
Si
morde il labbro inferiore l’istante dopo, per cercare di
fermare il rossore di
vergogna che sicuramente gli ha già tinto le gote; scuote la
testa, cercando di
pensare ad altro.
Vede
Louis afferrare le due parti separate del frutto e imprimerci, su
ciascuna di
esse, un foro all’estremità: dalla polpa densa e
rosso sangue all’interno di
esse comincia a fiottare un liquido scuro, che cola
sull’erba, sporcandola.
Alza
la testa, sorridendo: “Dammi la mano, principessa.”
Titubante,
Harry gliela porge e lascia che Louis l’afferri e la rigiri
in modo che il
palmo sia rivolto verso i rami degli alberi.
Louis
afferra il frutto e lascia che alcune gocce cadano sulle piccole ferite
ancora
aperte che ha sulla mano.
“Ah.”
Harry
stringe gli occhi, mordendosi il labbro per cercare di trattenere la
voglia di
allontanare la mano: una sensazione di bruciore seguita da un piacevole
brivido
di fresco gli s’insinua giù per le ferite, e
sembra quasi raggiungergli le
ossa.
Guarda
Louis, gli occhi spalancati dalla meraviglia: l’altro gli
sorride, arcuando le
sopracciglia.
“Bacche
della notte. Ottimi frutti, certo—Ma non
tutti sanno che il loro succo
ha poteri curativi incredibilmente potenti. Sono molto rari da
trovare.”
Afferra
le due metà del frutto, porgendone una a Harry:
“Assaggia.”
Il
ragazzo afferra l’enorme bacca bluastra, avvicinandosela
lentamente alla bocca;
lancia un’ultima occhiata all’altro prima di
affondare i denti nella polpa
scura; la sua gola viene immediatamente inondata da nettare zuccherato
e
succoso.
Si
lascia sfuggire un miagolio di piacere quando comincia a masticare il
contenuto
molle, sembra quasi che il palato stia danzando dalla gioia di quei
sapori che
sprigionano ricordi su ricordi, della sua infanzia.
Louis
si alza, scompigliandogli i ricci con una mano e ride.
(Harry potrebbe arrossire
leggermente poiché sì, ha emesso un suono
decisamente imbarazzante. E abbastanza
equivoco.) (E Louis continua a ridere, dannazione.)
Harry
utilizza la manica della propria casacca scura per pulirsi il succo
colatogli
giù per il mento, distogliendo lo sguardo; quando lo
rialza—dopo aver gettato
via il frutto ormai spolpato—Louis ha già in mano
un’altra piccola pianticella
che ha strappato da un punto ombroso sotto un cespuglio.
“E
questo?” domanda, sventolandola in aria: “Sai dirmi
cos’è questo?”
No, sinceramente
Harry non ne ha la
più pallida idea.
Strizza
gli occhi per cercare di mettere meglio a fuoco il tutto: sembra un
ramoscello
d’ulivo, se non fosse per il fatto che le foglie tendono
all’azzurro chiaro e
la forma è decisamente più lineare.
Scuote
la testa.
“È
una passa selvatica.” Louis fa
qualche passo, avvicinandola al volto
dell’altro: “Che odore ha?”
“Di—terra
bruciata.” Il ragazzo dagli occhi verdi arriccia il naso:
“Sa decisamente di
terra bruciata.”
“Già. E
indovina un po’? Mischiata con il succo delle bacche crea un
veleno abbastanza
forte da stordire un drago delle dimensioni di Masha.”
Harry
spalanca gli occhi, passando lo sguardo velocemente dalla pianta a
Louis, da
Louis alla pianta: “Mi prendi in
giro?” esclama: “È
minuscola!
Come può creare abbastanza veleno per un drago
di—uh. Di quelledimensioni?!”
“Può
farlo, credimi—non ti consiglierei di metterla alla
prova.”
Il
ragazzo dagli occhi verdi ruota le iridi al cielo e non ribatte; non
oserebbe mai toccare
Masha.
Non
solo per il fatto che se le succedesse qualcosa Louis probabilmente lo
farebbe
frustare fino alla morte e poi buttare la sua carcassa giù
per la fiancata
della montagna, ma principalmente perché
quell’animale gli fa davvero, davvero paura.
I
denti, soprattutto.
E
quell’aria da tu sarai la mia prossima cena che
ha sempre
stampata sul muso. Davvero intimidatoria, senza dubbi.
“Quindi—”
Louis lo sorpassa, lanciando un’occhiata divertita alla
sagoma del suo
destriero (che s’intravede da sopra le cime degli alberi)
mentre quella pare
aver trovato un bel cervo con cui trastullarsi.
“—cosa
hai imparato, fin ora?”
Harry
fa finta di pensarci, picchiettando l’indice sul mento:
“Be’—succo delle
bacche, uguale buono. Succo delle bacche
più passa selvatica,
uguale cattivo.”
Louis
lo guarda un attimo, ridacchiando. “Okay, okay” sbuffa:
“posso
dartela per buona, principessa—ora diamoci una mossa, abbiamo
tipo. Altre
trenta piante da imparare prima di questa sera.”
“Mi
chiamerai sempre così?”
Il
cavaliere gli lancia un’occhiata interrogativa, apprestandosi
a prendere il
proprio pugnale per tagliare altre piante: “Così come?”
Harry
fa una smorfia irritata, è incredibile che lo costringa
addirittura a dire
quella dannata parola. “Principessa.”
Louis
sibila una risata. “Oh. Quello.” Scuote
la testa, divertito:
“Mi piace troppo vederti arrossire dalla rabbia quindi credo
che andrò avanti
ancora per un bel po’ di tempo—”
Le
guance di Harry sembrano ardere come fuoco.
“—Esattamente
così!” ride il cavaliere.
Il
ragazzo dagli occhi verdi si morde l’interno della guancia
per frenare la
propria voglia di rispondere a tono e si limita a sbuffare sonoramente.
Passano
l’intera giornata a catalogare, sminuzzare e classificare
piante; la testa di
Harry sembra addirittura dolergli a causa di tutte le informazioni che
sta
cercando disperatamente di assimilare senza perdersene alcuna.
Per
pranzo Louis gli ha mostrato come accendere un fuoco e far bollire
quattro tipi
di erbe diverse per formare un miscuglio in grado di curare emorragie
interne,
e quali piante sono consigliabili da mangiare durante carestie.
Troppe. Decisamente
troppe. (E troppi
nomi complicati.)
Harry
è piegato sullo stesso arbusto da almeno mezz’ora,
cercando pateticamente di
riuscire a distinguerequel fiore che Louis
gli ha dato ordine di
raccogliere—dannazione, come si chiamava?
Sbuffa. Non
se lo ricorda. Diamine.
Oltretutto,
il fatto che il sole stia calando giù oltre le cime innevate
delle montagne
lontane, non rende il compito per niente più facile; Harry
si raddrizza.
“È
troppo buio” esclama, massaggiandosi la schiena dolorante a
forza di starsene
nella stessa posizione: “Non vedo niente.”
Louis—da
qualche parte più in là a raccogliere altri
frutti e piante—ridacchia.
“Smettila di lamentarti per ogni singola cosa.”
Harry
sibila, irritato. Lui non si sta lamentando; il
fatto che il
buio non gli faccia distinguere nemmeno una foglia dall’altra
non vuol dire che
effettivamente si stia lamentando.
Sta
facendo delle constatazioni: è buio, quindi non
si vede
niente.
Probabilmente
potrebbe raccogliere una pianta velenosa al posto di quello stupido
fiore e non
sarebbe assolutamente colpa sua.
Be’—Più
o meno.
“Quand’è
che ritorneremo all’accampamento?” domanda allora,
godendosi mentalmente il
momento in cui si siederà accanto al fuoco e
andrà a dormire nella branda che
ha appena costruito; ammettendo che quella sia rimasta ancora in piedi.
“Sei
già stanco, verginello?” La voce di Louis risuona
lontana, anche se attualmente
a dividerli ci sono solo pochi alberi e tanti cespugli.
“Dacci
un taglio, capito?”
Ode
fiocamente l’altro ridere. “Nah. Non credo.
Uh—non torneremo finché non sarai
riuscito a trovare quel fiore di mandragora.”
Oh, ecco
cosa stava
cercando. Mandragora.
Be’, buon a sapersi.
Harry
si alza e passa definitivamente ad un altro cespuglio dai rami fitti e
le
foglie scure: “A cosa serve, esattamente?”
“Il
succo di mandragora è un elisir di lunga vita.”
“Davvero?”
Louis
scoppia a ridere, dall’altra parte della radura. “No.” sogghigna,
divertito: “Ti stavo prendendo in giro,
ragazzino—Serve per curare le infezioni
nelle ferite.”
“Oh.”
Harry ritorna in silenzio, non troppo concentrato a cercare quel fiore
che è
letteralmente impossibile da trovare, tra tutte quelle piante; non
riesce a
concentrarsi.
“Louis?”
prova allora, mordendosi l’interno della guancia.
“Sì?”
Il cavaliere non alza nemmeno lo sguardo, troppo impegnato a
perlustrare il
terreno sotto di lui: la radura ormai è diventata silenziosa
e l’oscurità li
avvolge.
Solo
il rumore dei grilli e il lento e pigro respiro di Masha—che
s’è addormentata e
ora riposa rannicchiata all’entrata della
radura—riescono a spezzare il
silenzio degli alberi; Harry si concede lunghi istanti prima di
riaprire la
bocca.
“Posso
farti una domanda?”
Louis
alza improvvisamente gli occhi da terra, arcuando le sopracciglia:
“Certo.”
Harry
deglutisce non riuscendo a staccare nemmeno un minuto gli occhi
da—da ciò che
sta fissando così ossessivamente da almeno dieci minuti;
alza un dito,
indicando il breve tratto di clavicola esposta del cavaliere.
“Come
ti sei fatto quella, uh, cicatrice?”
Si
sente in perfetto idiota nello stesso istante in cui richiude bocca.
Insomma,
lui non è il tipo da mettere naso negli affari degli altri o
fare loro domande
poco opportune, ma. La curiosità lo sta uccidendo; pensare
che la pelle liscia
e marmorea di Louis abbia mai incontrato qualcosa in grado di ferirla,
lasciandogli un marchio che chissà fin
dove arriva, lo disorienta.
E
ormai è sicuro che non sia stata Masha, a procurargliela:
è troppo ben
addestrata.
Abbassa
lo sguardo: probabilmente lui non ne vuole nemmeno parlare. Non che
abbiano
ancora tutta questa confidenza.
Stupido,
stupido, stupido. Come gli è saltato in mente di chiedere
una cosa del genere?
Louis
rimane in silenzio e si limita ad avvicinarsi
lentamente—passo dopo passo che
frusciano sull’erba—a Harry.
S’è
portato una mano all’altezza della clavicola e sta
accarezzando la parte
visibile della cicatrice con le punte dei polpastrelli, pensieroso.
“Perché
lo vuoi sapere?”
“Be’—Io.
Non sei costretto a parlarne s—” prende un profondo
respiro. Perché
diamine si sta agitando così tanto? “—Se
non vuoi.”
Louis
piega appena la testa di lato, sorridendo gentilmente: “Non
è una risposta alla
mia domanda.”
Harry
rimane in silenzio, mordendosi il labbro inferiore. Percepisce gli
occhi blu di
Louis su di lui, passareattraverso di lui;
come se fosse un corpo
cavo, e quegli occhi fossero in grado di guardarci attraverso.
“Curiosità”
borbotta infine.
Louis
si avvicina di un altro passo. “È per questo che
mi fissavi, al banchetto di
tuo padre? Solo per—curiosità?”
Il
ragazzo dagli occhi verdi annuisce freneticamente, non sapendo che
altro fare;
il cavaliere si avvicina ancora, prima sedersi a terra, accanto alle
gambe
dell’altro: gli fa segno di seguirlo.
Harry
si accovaccia lì affianco, talmente vicini che le loro
spalle si sfiorano, le
loro cosce si sfregano; davanti a loro, solo la radura blu scuro,
illuminata
mogiamente dai raggi di una timida luna.
“Hai
diciassette anni, vero?” La voce di Louis spezza
improvvisamente il silenzio
creatosi.
“Sì.” Cosa
c’entra, adesso, l’età?
“Uhm.”
Vede il cavaliere passarsi una mano sul retro del collo: “E
secondo te io
quanti ne ho?”
“Non
saprei—Diciannove? Venti? Forse...” Dà
un’occhiata all’accenno di barba sul suo
mento: “Ventuno?”
Louis
ride, ma pacatamente, appoggiando i gomiti sulle sue ginocchia piegate
e
lasciando ciondolare la testa avanti per qualche secondo, sorridendo;
la rialza
lentamente, prendendo un profondo respiro.
“Ne
ho ventotto.”
Harry
lascia andare improvvisamente il filo d’erba con cui
giocherellava—stava
giocherellando con un filo d’erba?—e la
mascella gli si spalanca senza che
possa fermarla: sgrana gli occhi mentre osserva l’altro
scoppiare a ridere a
causa della sua esagerata reazione.
“Stupito,
eh?” ridacchia.
Stupito si
avvicina solo lontanamente a
ciò che è Harry ora: ventotto?! Sul
serio? Come può avere già
ventotto anni un ragazzo che sembra più giovane di Gemma?
Come—Come
è possibile?
Harry
si sforza, davvero, sta cercando di mettercela tutta ma proprio non
riesce a
capire dove quagli anni abbiano lasciato una traccia, sul corpo di
Louis.
La
pelle è ancora perfettamente liscia, gli occhi vividi e
allegri come un
bambino, la muscolatura e la stazza fisica praticamente perfetti.
(Siamo
sicuri che la mandragora non sia un elisir di lunga vita? Avrebbe
funzionato
alla grande, sul corpo del cavaliere.)
Vorrebbe
poter dire qualcosa, o se non altro chiudere la bocca che sta ancora
tenendo
spalancata; darsi un minimo di contengo—dannazione—ma
l’altro è più
veloce e lo precede, sbuffando: la sua faccia è tornata
improvvisamente seria.
“Quando
avevo dieci anni—tu non eri ancora nato” abbassa lo
sguardo sull’erba che gli
incornicia le caviglie: “Esistevano dei villaggi, al di
là di queste montagne.
Uno di questi era il mio.”
Fa
una pausa, alzando lo sguardo e proiettandolo in un punto indefinito,
davanti a
lui, perso nel vuoto:
“Una
mattina arrivarono i Barbari. Avevo due sorelle più piccole
e—mi ricordo,”
sospira: “di quanto urlassero, mi ricordo—mi
ricordo di averle sentite
implorare, piangere, mentre qualcuno cercava di buttare giù
la porta della loro
camera. Fuori le case bruciavano e bruciavano, appiccavano loro fuoco,
capisci?
Non si preoccupavano se dentro era rimasto qualcuno, loro—loro.”
Le
sue nocche sono diventate del colore della neve, mentre le dita
continuano a
stringersi tra di loro, quasi cercando di calmarsi a vicenda.
Harry
trattiene il respiro, avvertendo l’esigenza di allungare una
mano, passare un
dito su quei muscoli tesi finché non si rilassino.
Fare
calmare il battito accelerato del suo cuore che riesce quasi a
percepire da
qui: ma non ci riesce. Rimane immobile, e le sue orecchie sembrano
fremere in
attesa che la voce di Louis le riempia di nuovo.
La
cicatrice sembra brillare, sotto la luce della luna.
Louis
inala l’aria fredda lentamente.
“—Mi
nascosi sotto un tavolo. Non riuscivo nemmeno a piangere, sai? Non
riuscivo a
fare altro che rimanere immobile e pensare e adesso?
Adesso, come
morirò? La paura mi sembrava attanagliare
le braccia. La porta si aprì
di schianto, come un tuono. Un Barbaro con un’ascia in mano
entrò e cominciò a
dirigersi verso di me, i suoi occhi rossi continuavano a fissarmi e
prima che
potessi accorgermene aveva scaraventato via il tavolo che era sopra di
me e
aveva alzato l’ascia, pronto a colpirmi—Ricordo di
aver pensato che fosse la
fine, mentre stringevo forte gli occhi e aspettavo la lama.”
Sbatte
le palpebre una, due, tre volte, quasi cercasse di mettere a fuoco
un’immagine
lontana, un ricordo.
“Non
arrivò. La lama, intendo, non arrivò; mio padre
si contrappose tra me e
quell’ascia, scansandola. Mi sfiorò appena,
lasciandomi questa cicatrice.”
Picchietta con un dito sulla ferita biancastra sulla sua clavicola.
Harry
rimane immobile, con le gambe piegate e le ginocchia sotto il mento;
aspetta
che Louis ricominci a parlare ma, quando vede che non il cavaliere non
ha
nessuna intenzione di riaprire bocca, si raddrizza nelle spalle.
Non
ha idea di cosa dire; aveva immaginato centinaia di storie diverse,
dietro
quella cicatrice, ma nessuna di esse includeva uno scontro con i
Barbari.
Faccia
a faccia.
Rabbrividisce
solo al pensiero. “Come hai fatto a scappare?”
domanda fiocamente, interi
minuti dopo.
Louis
lo guarda, come se improvvisamente ricordasse di non essere solo.
“Oh, be’.
Sono scappato dalla finestra e ho visto i guerrieri del nostro regno
accorrere
in soccorso—Poi. Poi sono montato sul primo cavallo che ho
trovato e sono
scappato via. Non credo—” sospira: “Non
credo riuscirò mai a liberarmi
dell’immagine di quel Barbaro mentre si voltava per afferrare
mio padre, che mi
aveva salvato la vita.”
Harry
si morde il labbro inferiore: “È per questo che
sei diventato cavaliere? Per
proteggere le persone che ami?”
Il
ragazzo dagli occhi azzurri si volta, sorridendo amaramente. “Per
vendetta.
Per uccidere abbastanza Barbari da vendicarmi.”
Harry
deglutisce e rimane in silenzio.
“Ti
fa paura?” domanda Louis mentre lo fissa, ed è
come se i suoi occhi cercassero
di tranquillizzarlo e la sua voce si fosse fatta improvvisamente
più dolce.
“Cosa?”
“Quello,
uh, che ho detto; quello che ti ho raccontato. Ti ha
spaventato?”
“Un
po’.” Ed è sincero.
Louis
gli sorride. “Va bene, tranquillo.”
Rimangono
in silenzio per un paio di minuti, ascoltando i grilli frinire; le dita
di
Harry continuano, quasi ipnotizzate a giocherellare con i lacci di
cuoio della
sua casacca, mentre il suo sguardo è perso tra gli alberi
neri pece che
circondano la radura.
Improvvisamente,
un piccolo bagliore aranciato bazzica per un istante tra i fili
d’erba, per poi
scomparire il secondo dopo: Harry lo osserva, ma è talmente
immerso nei propri
pensieri da non farci troppo caso.
Poi
il bagliore si ripresenta, più duraturo e luminoso di prima:
la piccola luce si
muove freneticamente, alzando e abbassandosi, schivando gli arbusti e
le radici
sporgenti degli alberi.
Harry
spalanca gli occhi; ora sono due, le lucine. Due, tre, quattro.
Nove. E
continuano ad
aumentare.
Sembrano
spuntare improvvisamente da dietro ogni fiore, ogni foglia; illuminano
la
radura creando giochi di ombre e luci, ad intermittenza.
“Cosa—?”
Harry è troppo impegnato a sgranare gli occhi e spalancare
la mascella dalla
meraviglia per riuscire a concludere la domanda.
Louis,
spalla contro la sua, ridacchia, stupito dalla reazione
dell’altro: “Sono
lucciole.”
“Oh.”
Lucciole;
da quanto tempo non le vedeva, a palazzo?
Saranno
passi inverni interi dall’ultima volta che lui e sua sorella
le rincorrevano,
di notte, cercando di intrappolarle dentro le ampolle di vetro, per poi
liberarle.
Nemmeno
nei ricordi quegli insetti luminosi sembrano così belli come
in questo momento:
emettono una luce calda, che fa rispendere ogni cosa di un arancione
soffuso.
Sono
centinaia e centinaia e si accendono una dietro alle altre, come
candele di
cera e miele.
Harry
alza il naso al cielo, meravigliato, e ne osserva una posarsi ad un
ramo poco
lontano da lui: allunga una mano cercando di catturarla, ma quella
è più veloce
e vola via, seguendone un’altra.
Louis,
lì accanto, si sdraia sull’erba, puntellandosi con
i gomiti per continuare ad
osservare quel meraviglioso spettacolo.
“Non
avevi mai visto delle lucciole?”
“Be’—”
Harry si morde il labbro inferiore, voltandosi per guardarlo negli
occhi; le sue
guance sono leggermente arrossate per l’emozione del momento
e i suoi
occhi—illuminati dalla luce degli insetti—sembrano
decisamente più verdi e
vitrei.
“—quand’ero
piccolo c’erano, nel cortile del mio palazzo. Poi
è arrivato un inverno
particolarmente rigido e credo siano morte tutte.”
Il
cavaliere ridacchia: “Forse sono solo scappate.”
“Le
lucciole non scappano.”
“Sì,
invece. Se hanno paura scappano.”
“Loro
non avevano paura di me.” Harry alza il mento, in tono
difensivo: “Ci giocavo.
Le acchiappavo e poi le liberavo. Non facevo loro del male.”
Le
sopracciglia fini di Louis s’inarcano e la bocca fine si
piega in una smorfia
divertita: “Acchiappavi le lucciole? Davvero?”
“Uh
uh.”
Louis
lo osserva un attimo. “Fa’ vedere”
esclama, divertito.
Harry
gli lancia un’occhiata: “Cosa?”
“Voglio
vedere come le prendi.”
“Stai
scherzando?”
“No—no.
Davvero, sono curioso; voglio che m’insegni a
catturarle.”
“E
perché mai?”
Il
ragazzo dagli occhi azzurri sbatte le palpebre, lasciando che le lunghe
ciglia
proiettino ombre scure sulle gote.
“Solo curiosità” esclama
infine, cercando di imitare la cadenza nella parlata
dell’altro; Harry ruota le
iridi al cielo scuro, parando le mani in aria.
“Okay, okay.” Non
può fare a meno di ridacchiare, però.
Si
alza dall’erba molto lentamente, scrollandosi i pantaloni con
i palmi delle
mani; ci sono talmente tante lucciole in quella radura che è
praticamente
impossibile focalizzarsi su una e una soltanto.
Si
picchietta un indice sulla guancia, guardandosi intorno, tra i bagliori.
Ce
n’è una, in particolare, appoggiata su una foglia
di quercia: è immobile e le
sue piccole ali fremono. La sua luce è meno regolare
rispetto a quella delle
sue compagne, ma più vivida.
Fa
segno a Louis di avvicinarsi al ramo, posizionandosi accanto a lui.
“Devi
mettere le mani a coppa—così.” Harry
afferra le mani di Louis,
mostrandogli la posizione corretta: la sua pelle è ruvida ma
morbida, arrossata
e inspessita a forza di manovrare spade, trasportare legna a destra e a
manca.
Gli
sta tenendo le mani.
Harry
si raggela per un secondo: non lo aveva realizzato completamente fin
quando non
si era trovato talmente attacco al corpo del cavaliere da poter sentire
l’odore
della sua pelle.
Odore
di pino, sapone e terra: un profumo tenue ma abbastanza forte da essere
sentito
da quella piccola distanza.
Louis,
però, sembra essere troppo concentrato a fissare la piccola
lucciola per notare
l’esitazione di Harry, o il fatto che—pur non
sentendosi a proprio agio—non
riesce proprio a lasciarle andare, quelle mani.
Alza
lo sguardo, osservando il profilo di Louis, illuminato da quella luce
calda che
li circonda: la curva del suo collo o la linea netta della mascella
sembrano
essere state disegnate da un miniaturista di corte, tanto sono nette e
precise.
Le
sue labbra sono socchiuse, c’è una piccola ruga di
concentrazione tra le
sopracciglia scure e curate: Harry si sente intontito.
“Allora?”
il sussurro di Louis lo fa svegliare di sorpassarlo dalla trance in cui
era
caduto.
Scuote
la testa, sentendo il rossore ricoprirgli le guance e bruciargliele: le
loro
mani si toccano ancora.
“Aspetta—”
cerca di schiarirsi la voce, tornando a concentrarsi sulla lucciola:
“Adesso
devi solo avvicinarti piano e—” le mani si
avvicinano al ramo silenziosamente.
L’insetto pare essere ignaro di tutto ciò che sta
succedendo.
“—ora.”
Le
mani di Harry—sopra quelle di Louis—si chiudo a
scatto, rinchiudendo il piccolo
esserino in una prigione di dita intrecciate.
Il
cavaliere sorride, piacevolmente divertito; osserva la luce
dell’insetto
filtrare tra le fessure della prigione.
“È
stato facile.”
Harry
non risponde: un formicolio continua a riempiergli le
estremità del corpo dalle
orecchie, fino al naso, ai piedi.
Louis
lo guarda, alzando un sopracciglio; tiene i pugni delicatamente serrati
proprio
sotto il suo mento: il ronzio del piccolo insetto spaventato
è quasi udibile,
nella notte.
Sono
così vicini. I loro corpi, i
loro respiri sembrano fondersi.
Il
cavaliere lo guarda, lo osserva immobile; il battito del cuore di Harry
duplica, triplica di velocità. Sente il sangue pompagli
nelle orecchie.
Cosa
sta succedendo?
Louis
l’ha già guardato, prima di adesso; i suoi occhi
non sono cambiati. Perché
allora, in questo istante, sente il proprio stomaco stringersi sotto le
sue
iridi blu?
C’è
un’intensità che Harry non ha mai visto, nel suo
sguardo. O forse se lo sta
solamente immaginando.
Rimangono
in silenzio; Louis sembra in attesa.
Di
cosa? Cosa sta succedendo? Niente.
Rimangono ancora immobili.
Sono così vicini.
La
gola di Harry è talmente secca che, quando deglutisce,
riesce a sentirne il
suono ovattato; quando si muove, sembra un salto nel vuoto.
Non
sa cosa accadrà fino all’ultimo secondo, fin
quando il suo cuore continuerà a
battere così forte e Louis continuerà a guardarlo
in quel modo.
È
come buttarsi giù da una cascata, aspettando il tonfo
nell’acqua. Non ha idea
di cosa stia facendo fin quando non accade.
Le
sue labbra incontrano quelle di Louis goffamente, atterrandoci sopra
come una
lucciola assetata ed inebriata dal polline: le loro bocche si
scontrano,
morbide. Le labbra del cavaliere sanno di zucchero e dei dolci frutti
che hanno
mangiato per pranzo.
Percepisce
il proprio stomaco rigirarsi, stringesi e allargarsi in una morsa di
voglia,
desiderio; qualcosa che non ha mai, mai, provato
prima.
Ancora—È
un
grido che gli si propaga sotto la
pelle.
Spalanca
gli occhi, si ritrae sussultando il secondo dopo: cosa
ha fatto?! Cosa
gli è saltato in mente?
Louis
è davanti a lui, immobile, gli occhi inespressivi e le
labbra socchiuse ancora
protese nella smorfia di un bacio; il suo sguardo è
indecifrabile, quegli occhi
inchiodano Harry a terra, facendogli congelare in bocca una qualsiasi
possibilità di spiegazione.
Le
mani del cavaliere sono lunghe e rigide per i fianchi. La lucciola
è scappata.
Harry
vorrebbe mettersi a piangere. Dèi, cosa ha
fatto?
Ma
non ci riesce: le sue guance bruciano ancora e il cuore non ha smesso
nemmeno
un istante di battere come impazzito. Sta aspettando una qualsiasi,
dannazione qualsiasi, reazione
da parte del cavaliere.
Anche
uno schiaffo, anche un urlo; il suo silenzio lo sta uccidendo.
La
mascella di Louis sembra rigida, ma i suoi occhi non esprimono rabbia
quando
apre bocca: prende un grosso respiro.
“Dobbiamo—”
si ferma, posa lo sguardo a terra, poi lo rialza su Harry:
“—Tornare
all’accampamento; dobbiamo svegliare Masha.”
Il
ragazzo più giovane annuisce lentamente, seguendolo quando
l’altro comincia ad
avviarsi verso il bosco fitto.
Ha
ancora il sapore di zucchero, sulle labbra.
§
Non
ne parlano. Non ne parlano mai.
Durante
le settimane—che piano piano si trasformano in
mesi—che passano, Louis cerca di
fare l’inimmaginabile pur di non dover ritirare fuori
l’argomento; c’è una
parte di Harry che ne è estremamente grata.
Il
loro rapporto è tornato quello di sempre: Louis non sembra
cambiato, continua
ad addestrarlo compiendo il suo dovere, fingendo che non sia mai
accaduto
niente.
Gli
ordina di trasportare almeno cinque fasci di rami al giorno dai piedi
della
montagna fino all’accampamento, per poi aiutare gli altri ad
accendere un fuoco
per la notte.
Se
Harry non ci riesce, Louis gli punzecchia un fianco e lo
chiama ragazzino,
verginello o il suo preferito:principessa. Harry
ruota gli
occhi al cielo, percependo i muscoli tirare sotto
l’epidermide e il sudore
colargli giù tra i ricci.
Ma
continua, continua sempre finché non riesce in
ciò che Louis gli ha ordinato di
fare.
Più
di una volta ha dovuto passare intere notti dentro la branda
dell’infermeria,
con Michael o Calum che cercavano di risistemagli un ginocchio slogato
o un
taglio fatto mentre si esercitava con arco e frecce.
Quando
Louis deve compiere i suoi giri di ricognizione con Masha, Harry rimane
al
campo: Niall gli insegna a ricucire e a conciare le pelli
d’animali per creare
tende e coperte, mentre Liam passa i pomeriggi a farlo esercitare nel
combattimento corpo a corpo.
“La
spada” gli dice
in un giorno nuvoloso, mentre Louis è andato con Stan e Luke
sulle montagne per
i loro giri: “è la prima cosa
che tenteranno di strapparti via, quando
sarai in battaglia.”
Sono
entrambi sull’altopiano vicino all’accampamento e
si stanno esercitando da
almeno un paio d’ore: Harry ha le nocche violastre a forza di
colpire il volto
è il petto di Liam, mentre del sangue gli cola
giù per il naso, fino a
impiastricciargli la bocca.
Il
cavaliere dai capelli marrone è davanti a lui e si porta un
pugno chiuso sul
naso per asciugare il sudore, mentre sputa via dell’altro
sangue.
Prende
un profondo respiro, portandosi i pugni stretti davanti al petto
sudato; si
avvicina nuovamente all’altro, con passo lento. Il suo
respiro è pesante, ma
controllato.
“Per
questo devi essere in grado di saper lottare a mani nude,
capito?” gli
sussurra, socchiudendo gli occhi.
Harry
non ce la fa, dannazione, riesce a percepire i propri muscoli cedere
sotto la
fatica: gli occhi—uno dei quali è stato pestato
malamente—fanno fatica a
mettere a fuoco la figura di Liam; il suo petto nudo sembra scolpito
nel legno.
I
tendini vibrano quando sta per sganciare un altro pugno; Harry non lo
vede
arrivare.
E
immediatamente cade a terra, per la trecentesima volta, con un nuovo,
fortissimo
dolore allo zigomo destro.
Cade
a carponi, tra la polvere, e tante goccioline di sangue e sudore si
mischiano
al suolo:
“Non
ce la faccio” implora, esausto, osservandosi le mani
martoriate.
Liam
è davanti a lui. “In piedi, dài. Devi
rispondere ai miei colpi.”
“Non
ce la faccio.” Le
sue nocche sono violacee, blu e marroni per la terra; i capillari si
sono
allargati e frantumati, lasciando intravedere centinaia di sfumature di
rosso
sangue.
Sente
Liam sbuffare. Una mano gli afferra rudemente la base del collo,
spingendolo a
far collidere la schiena col suolo in un colpo solo: è un
dolore atroce.
Il
cavaliere è ad appena qualche centimetro dal suo volto,
sopra di lui: gli
blocca completamente braccia e gambe con il proprio corpo e la mano
è ancora
stretta alla sua trachea.
Harry
annaspa e boccheggia, in cerca di aria. Cerca di contorcersi, facendo
cozzare
il proprio petto contro quello dell’altro.
“Andiamo,”
gli dice allora Liam, guardandolo negli occhi: “reagisci!
Fermami! Fa’
qualcosa, dannazione.”
Harry
stringe gli occhi, forte: delle lacrime di dolore e di rabbia gli si
accumulano
agli angoli degli occhi.
Non
ce la faccio—Lo
pensa, poiché non ha abbastanza aria per poter parlare.
“Lee?”
Una
voce proviene dal sentiero in fondo all’altopiano.
Liam
stacca la mano dalla presa e si volta, non curante del fatto che Harry
stia
tossendo raucamente, voltandosi su un fianco per essere in grado di
sputare
tutto il sangue che aveva in bocca.
Zayn
lo guarda, dall’inizio del sentiero, alzando un sopracciglio;
non dice niente.
Non
che quel ragazzo parli molto, effettivamente.
Lo
vede voltarsi verso Liam. “Mi chiedevo—”
lancia un’occhiata impercettibile al
corpo dell’altro, nudo, sudato e ricoperto di polvere e
sangue: “—dove fossi
finito.”
Liam
gli sorride, passandosi una mano dietro il collo:
“Be’, adesso mi hai trovato.”
Zayn
annuisce, non smettendo un attimo di guardarlo.
“Avevi,
uh, bisogno di qualcosa?” domanda allora Liam.
L’altro
scuote la testa. “No—Volevo sapere dove
fossi” si schiarisce appena la voce,
come ricordandosi improvvisamente che anche Harry è
lì: “E dirti che Urich s’è
ripreso completamente. Greg gli ha dato un’occhiata
e—sì, le ali sono
completamente guarite.”
Liam
tira un sospiro, non riuscendo a smettere di sorridergli.
“Dèi, grazie.”
Li
osserva un attimo: è incredibile come Liam sia praticamente
l’unica persona con
cui Zayn scambi più di due parole al giorno.
O
al quale sorrida.
Harry,
pur non facendoci eccessivamente caso—dato che sembra una
cosa normalissima per
tutte le altre Sentinelle dell’accampamento—, deve
ammettere che non può non
vedere come si comportino quei due, l’uno nei confronti
dell’altro.
Sembra
che abbiamo una sorta di linguaggio segreto unicamente tra di loro, con
il
quale riescono a comunicare semplicemente stando seduti spalla a
spalla,
durante tutte le cene, ogni sera, un po’ più in
disparte rispetto agli altri.
Liam
è quello che più partecipa alle conversazioni,
mentre Zayn si limita a
sorridergli e a stare in silenzio, al suo fianco.
Quando
un pomeriggio, insieme a Niall, cerca di cucire una coperta con delle
pelli di
animali cacciati (la carneovviamente l’hanno
data a Huton, che si
trastulla divertito lì affianco, affondando i denti nella
carcassa d’animale)
glielo domanda.
Gli
domanda come mai Liam pare sia l’unico con il quale Zayn
voglia condividere i
suoi pensieri.
Niall
ridacchia: “Sinceramente, non ne ho la più pallida
idea.”
Lancia
un’occhiata al cielo: “Loro sono due delle
Sentinelle più vecchie, qui. Quando
sono arrivato, loro si comportavano già
così—Non lo so. Nessuno ha mai fatto
domande.” Rimane un attimo in
silenzio, pensando.
“Sì,”
dice infine: “Loro hanno sempre dormito nella stessa branda,
da quanto mi
ricordo.”
Prima
che se ne renda conto, Harry riesce a percepire il proprio cuore
cominciare a
battere dentro al petto.Veloce.
Niall
pare non accorgersene; eppure—Eppure
ha appena detto che due membri
del corpo armato del regno... Dormono insieme.
Due
uomini. Nello stesso letto.
Una
parte di lui cerca disperatamente di ricacciare indietro, negli abissi
della
sua mente, la sera in cui ha posato disperatamente le sue labbra su
quelle di
Louis: non è nemmeno un ricordo nitido.
Non
è chiaro.
Riesce
solo a ricordarsi il sapore della bocca del cavaliere, il suo corpo che
urlava ancora e
poi lo sguardo di Louis; i suoi occhi blu che lo fissavano, gelidi. La
sua
cicatrice che sembrava brillare.
Il
suo tocco e le sue mani, i suoi capelli. Il sussurro della sua voce
quando
erano talmente vicini da sfiorarsi.
Harry
abbassa lo sguardo, lo stomaco chiuso in un nodo talmente doloroso da
togliergli il fiato.
“Ma—”
sussurra, pochi attimi dopo. Niall alza lo sguardo dal proprio ago.
“—Liam
e Zayn. Loro—Sono due uomini.”
Il
cavaliere biondo pare non capire, e lancia un’occhiata a
Huton. (Il drago si
sta accoccolando all’ombra di una quercia.)
Harry
si costringe a non abbassare lo sguardo, anche se le sue guance stanno
letteralmente bruciando e il cuore continua a battere veloce:
“Non è—sbagliato?”
Niall
piega appena la testa di lato, prendendo un profondo respiro e posando
via il
proprio ago e filo.
“Sai
cos’è davvero sbagliato, Harry?” domanda
senza aspettarsi una vera e propria
risposta; c’è una punta d’insolenza
nella sua voce.
“—Che
mandino ragazzi giovani come te—come noi, a
combattere una
guerra che non è nostra solo perché non sanno chi
altri sacrificare.”
Si
ferma, assottigliando gli occhi: “Come bestie da
macello” sibila tra i denti.
“Ad aspettare ogni secondo che qualche generale arrivi e ci
trasferisca sulla
Barriera a Nord, a morire. Pensi—pensi davvero che io possa
giudicare Liam per
aver scelto un altro uomo con cui
passare ciò che rimane della
sua vita?”
I
suoi occhi azzurri sono spalancati, accusatori; tagliano Harry in due
come lame
di ghiaccio.
“Liam,
Zayn—Io stesso. Potremmo tutti morire da un momento
all’altro e l’unica cosa di
cui sinceramente ti preoccupi è che sono entrambi uomini? Sul
serio?”
Harry
deglutisce, e la sua gola è talmente secca che il suono
riecheggia nell’aria;
Niall continua a fissarlo.
“Io—” Cosa
dire? “La nostra
religione—” prova allora il ragazzo dagli occhi
verdi, perché è l’unica cosa che gli
viene in mente; la più stupida, forse.
Niall
lo blocca immediatamente. “La religione non ci tocca, non qui
sulle montagne.”
“Ma—gli
dèi—”
Niall
sbuffa ed alza una mano, interrompendolo bruscamente; lo guarda.
“Gli
dèi ci devono solo delle scuse.”
L’ultima
sillaba galleggia nell’aria silenziosa di quel pomeriggio
freddo; il cavaliere
rimane immobile, per poi afferrare nuovamente la sua pelliccia e
ricominciare a
conciarla.
Harry
lo imita, non riuscendo a fare altro.
“Si
prende la felicità dove è possibile
trovarla” lo sente sussurrare, concentrato
ad inserire il filo nell’ago.
§
Harry
si rigira dentro le coperte calde della sua branda.
Il
cielo è ancora del colore della pece, ma ben presto si
tingerà d’arancio, e lui
si dovrà alzare; dèi, non ci vuole nemmeno
pensare.
I
palmi delle mani gli fanno ancora male da ieri, quando
s’è ferito con le squame
di Urich mentre Louis cercava d’insegnarli a montare su un
dannatissimo drago;
a guidarlo.
Prova
a ributtarsi sul cuscino riempito di lana morbida, mentre si tira su le
coperte: ormai l’inverno è alle porte e
l’aria si fa ogni mattina più umida e
fredda.
Stringe
forte gli occhi.
Non
perderà un altro minuto di sonno; deve assolutamente
addormentarsi prima
dell’alba se vuole avere il minimo ed indispensabile di
facoltà mentali e
fisiche per affrontare un nuovo giorno d’addestramento.
Sbuffa. Sa perché
s’è svegliato.
E no, non
c’entra la lettera che, appena due giorni fa, una sentinella
gli ha dato,
salendo su fin sopra la montagna: Harry lancia un’occhiata al
tavolino di legno
appoggiato contro la parete.
Sopra,
accanto alla casacca, i pantaloni, la giacca di cuoio, una candela,
varie erbe
e la borraccia di pelle, c’è il piccolo foglio di
pergamena ripiegato in
quattro; è da parte di Gemma.
Non
c’è bisogno nemmeno di alzarsi per ricontrollarla,
Harry ha sempre letto tutte
le lettere che lei gli ha inviato almeno quattro volte, potrebbe
ripeterle a
memoria, se qualcuno glielo chiedesse.
Quest’ultima,
in particolare, crede di averla letta almeno il doppio: problemi
ai
confini.
O
almeno è quello che sua sorella dice di aver origliando
dalle conversazioni di
suo padre e altri generali del fronte.
I Barbari
hanno preso il posto di blocco oltre la Barriera,
Recita
la lettera:
Non
hanno
lasciato superstiti; si parla circa di cento o duecento uomini.
Tutti
morti,
ora. I loro corpi ricoperti dalla neve e il sangue che si mischia sulla
terra.
Nostro
padre
insiste per tornare sul campo di battaglia; ho cercato di farlo
ragionare,
dicendogli che è decisamente troppo vecchio per tornare a
guidare un esercito.
Potrebbe
venire ucciso immediatamente.
Lui
non mi ha
voluto ascoltare.
È
determinato
a tornare in campo e credo che niente riuscirà a fermarlo.
Vorrei
che
fossi qui per aiutarmi a farlo ragionare.
Aspetto
con
ansia una tua lettera.
Sempre
tua
devota,
Gemma
Harry
non s’è concesso tempo sufficiente per
pensare, non vuole pensare.
L’unica
persona mai stata in grado di fare ragionare il re è morta
anni fa e, dopo di
quello, niente è più stato lo stesso nella casata
Styles.
Harry
non fermerà suo padre, se quello è il suo volere:
morire in guerra è l’unico
motivo per cui un guerriero viene addestrato.
Per
l’onore. La gloria. La vendetta.
Scuote
la testa, sono tutte stronzate; non ha intenzione di soffermarsi troppo
a
preoccuparsi di suo padre e non perderà di certo il sonno
per questo.
Infatti
non è questo il motivo per cui non riesce a riprendere
sonno, lo sa bene;
afferra il proprio anello che dondola ancora inerme sul suo petto.
Mentre
è puntellato su un gomito, se lo rigira tra le dita,
osservandolo nel buio
della stanza.
Lui
è un Vergine, lui deve
diventare Sacerdote, o—almeno è quello
che ha sempre creduto; ora—Scuote la testa.
Ora
ci sono delle complicazioni.
Complicazioni
che hanno occhi blu ghiaccio e pelle che odora di sale e terra.
Ora
Harry non riesce a smettere di avere dubbi.
Dubbi
sulla propria fede, su di sé.
Dopo
quella chiacchierata con Niall—giorni prima—Harry
non ha potuto fare a meno di
osservare più attentamente Zayn e Liam, accorgendosi di
piccoli gesti che prima
erano sembrati del tutto privi d’importanza.
Come
siano sempre insieme, dovunque vadano, come Zayn sembri iperprotettivo
nei
confronti dell’altro e raramente lascia che vada in
ricognizione da solo; come
si guardano, lanciandosi brevi, sinceri sorrisi.
Per
tutto il tempo.
Durante
le cene, passano la maggior parte del tempo appartati, parlando e
ridendo
sommessamente, o rimanendo in totale silenzio, guardandosi di tanto in
tanto.
Harry
cerca, prova, a non interessarsene, ma. Non
ci riesce.
Quando
guarda loro, gli sembra di sporgersi su un nuovo mondo che gli avevano
proibito
fino a quel momento: uno scorcio, una fessura che gli è
sufficiente. Non chiede
altro.
Si
ricorda, quando ancora aveva tredici anni appena, delle conversazioni
che aveva
con i figli della servitù e altri principi di altri regni o
delle contee: si
radunavano la sera dietro le cucine, provando a bere il vino avanzato
dai
banchetti.
Harry
odiava con tutta l’anima quel sapore acre, ma non si
permetteva di lasciarlo
trasparire per non passare per un rammollito; li sentiva parlare,
entusiasti,
delle serve e delle cameriere.
O,
più generalmente, delle donne.
Delle
esperienze che avevano avuto con loro.
“Sono
morbide come la panna” diceva uno, tutto
rosso in viso al solo
ricordo: “E, be’—sanno di
panna.”
“Quando—stringono
le cosce intorno a te, ti dimentichi persino il colore del
sole.” Un
altro.
“I
loro capelli lunghi si sparpagliano dappertutto, se non stai
attento.”
E,
quando era il turno di Harry di parlare, un silenzio imbarazzato si
diffondeva
per l’aria: quei discorsi non lo stuzzicavano, non lo
intrigavano o eccitavano.
Lo
mettevano solo in un lungo, penetrante stato di disagio ed imbarazzo:
non
provava nemmeno la voglia di concedere lunghe occhiate alle cameriere
della
servitù, non ci pensava nemmeno.
Forse
era perché lui era destinato a
diventare Sacerdote—era quello
che si ripeteva sempre; era sensato, dopotutto.
Gli
dèi non gli permettevano di interessarsi alle donne
perché doveva preservarsi e
diventare Sacerdote: aveva completamente senso.
Da
quel momento aveva cominciato a portare l’anello. Da quel
momento, ogni volta
che toccava a lui parlare, se ne usciva con un semplice “Io
diventerò
Sacerdote” e gli altri tacevano.
Era
così semplice; era semplice fingere di non interessarsi agli
atti carnali.
Ora,
però, quando guarda Zayn e Liam mentre si allenano a duello
con le spade, non
può fare a meno di sentire le domande venire a galla nella
sua mente.
Domande
inopportune ad ogni secondo, persino ieri, quando stava aiutando il
resto delle
Sentinelle a pulire la coda sporca di Neevae.
Bagna
un panno nel secchio d’acqua gelida, poi alza lo sguardo su i
due
cavalieri—impegnati a lavare il muso mentre
l’animale sbuffa—e deglutisce.
Come
si stringono, due uomini? Come dormono insieme?
Passa
lo strofinaccio sulle scaglie rosate del drago.
Com’è
toccare un petto liscio, accarezzare una schiena intrisa di cicatrici?
Cerca
di non pensarci, continuando a pulire e non facendo troppo caso
all’acqua che
cola giù per i suoi gomiti: sente Niall ridere con qualcuno,
dall’altro lato di
Neevae.
Stringere
le cosce intorno ad un bacino asciutto e muscoloso. Infilare le mani
tra i
capelli corti che ti pizzicano i polpastrelli.
Harry
alza lo sguardo e Louis è accanto a lui che gli sorride,
dandogli una mano nel
lavoro: il suo petto è nudo, abbronzato e la cicatrice
è ben visibile sotto la
luce opaca del sole.
Le
sue braccia sollevano secchi pieni d’acqua, i suoi muscoli si
tendono e si gonfiano,
la sua mascella si stringe: Harry non riesce a distogliere lo sguardo
quando
vede il cavaliere voltargli le spalle e lasciare che la sua schiena
venga
esposta completamente al sole.
Non
può non guardare il solco della spina dorsale tra le
scapole, la linea netta
del suo collo. La sua cicatrice rosata.
Com’è
baciare una pelle che sa di sale, piuttosto che di panna?
to be continued.