Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: Korin no Ronin    19/07/2015    4 recensioni
Non c'è nulla da fare: quando Rajura si annoia, o ha l'umore nero, non cambia mai la sua abitudine di andare a dare il tormento ad una persona in particolare. L'esperienza non basta a ricordargli che la compagnia di Shuten può essere molto pericolosa per le sue certezze.
***
“E allora?”
“Ho bisogno di bere. Come te.”
L’altro generale rise, in modo un po’ sguaiato.
“Cominci a crescere, eh ragazzino.” commentò.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Anubis, Dais
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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 Titolo: Le insidie di un ginepraio
Serie: Yoroiden Samurai Troopers
Capitoli: One shot
Rating: Giallo
Disclaimers: i personaggi non sono di mia proprietà e non ci sono fini di lucro
 
*****
 
Il silenzio aveva sempre un che di prodigioso: nei momenti in cui il vento smetteva di soffiare, ogni cosa sembrava acquisire una consistenza diversa, come se d’improvviso gli atomi che componevano la materia si aggregassero gli uni agli altri con più forza.
Rajura si trovava a pensare tutto questo da che Naaza, reso incredibilmente loquace dal sakè e da un inspiegabile buonumore, lo aveva quasi stordito parlandogli del modo in cui era facile prevedere le reazioni della materia.  Non aveva capito un granché, ma era rimasto affascinato dall’idea che ci fosse qualcosa in perenne movimento e che accomunava tutto, oggetti o viventi che fossero.
Era bizzarro che questo implicasse il fatto che, di conseguenza, ci fosse un legame anche tra lo Youjakai e il mondo degli umani; era un’idea che non gli piaceva per nulla, non voleva aver niente a che fare con esseri tanto fragili e mediocri.
Sbuffò, contrariato. Era meglio non perdersi in considerazioni inutili, non gli sarebbero di certo state di aiuto in un combattimento.
Si allontanò dalla finestra e riprese a camminare lungo il corridoio.
La verità era che si stava annoiando, tutta quell’immobilità lo metteva davvero di malumore. Gli lasciava troppo tempo per pensare, e tutto quello che gli aveva detto Shuten, in momenti del genere si ripresentava con troppa insistenza.
Sogghignò. Chissà se tutta quella tranquillità aveva lo stesso effetto anche sull’altro generale. D’un tratto pensò che sarebbe stato divertente stuzzicarlo un po’, anche se entro confini ben definiti: rischiare di rimetterci in prima persona era l’ultima cosa che volesse.
Non si era mai avvicinato alle stanze del suo compagno d’armi in un momento di tranquillità come quello; sogghignò ancora, immaginando l’acredine delle parole che avrebbe sentito, e a cui avrebbe risposto altrettanto a tono. Non vedeva l’ora di attizzare un po’ il fuoco dell’ira di Shutendoji, era certo che ci sarebbe cascato in pieno. In fondo era solo un ragazzino, era facile trovare qualche nervo scoperto da stuzzicare.
Aprì gli shoji con un gesto un po’ teatrale, pregustando le reazioni dell’altro, e invece non accadde nulla. Testarossa non era al suo solito posto.
Rajura piegò le labbra in una smorfia di disappunto. Il fatto che non fosse intento a leggere le sue insulsaggini era insolito, e avrebbe potuto non essere un segnale positivo.
Avanzò con cautela e gettò un’occhiata nella stanza attigua. Era la prima volta che si avventurava oltre il primo locale; del resto non aveva mai avuto motivo per farlo.
Sbatté le palpebre per abituarsi alla semi oscurità. C’era una sola lucerna, dalla fiamma insolitamente rossastra. Intravide l’altro, steso sui tatami. Gli parve strano che non lo avesse nemmeno degnato di un’occhiata: sorprenderlo nel sonno era praticamente impossibile. Sollevò appena un angolo della bocca. Sarebbe stato oltremodo stupido non approfittare di un’occasione simile.
-Hai davvero intenzione di far finta che non ci sia?- chiese, in tono provocatorio, mentre si inginocchiava sul tatami per sovrastarlo. -Chi vuoi prendere in giro?-
Il generale era già preparato a contrastare la sua reazione, ma di nuovo non accadde nulla di quello che aveva previsto. Shuten aprì gli occhi, solo qualche istante, poi li richiuse e lo attirò sulle sue labbra.
Rajura accolse quella novità con un certo interesse: gli piacevano le occasioni in cui l’altro gli lasciava condurre il gioco; tuttavia la sua soddisfazione fu di breve durata.
Shuten non gli concedeva mai pieno potere sulle decisioni che lo riguardavano così da vicino, c’era sempre una tensione, unica di quei momenti, che gli attraversava i muscoli e che rendeva le dita ben in grado di dare ordini anche quando la bocca taceva. Non gli lasciava mai pieno potere su di lui, nemmeno quando si lasciava possedere. Le sue mani però ora erano prove di forza, appena strette sulla stoffa dello yukata; sembrava non esserci nulla con cui accendere il fuoco che sapeva consumarli così piacevolmente.
Si staccò dalle sue labbra, irritato. Se avesse voluto qualcuno così docile non avrebbe faticato a trovarlo nel quartiere dei piaceri della città.
-Ti comporti da prostituta.- sibilò con disprezzo.
Shuten sbatté le palpebre, come se faticasse a mettere a fuoco le immagini; e, cosa forse peggiore, non prestò la minima attenzione all’insulto che gli era stato rivolto.
-Perchè? Non lo siamo tutti noi, agli occhi del padrone?- chiese, invece, in tono spento.
Il Demone delle Illusioni si dimenticò di respirare per qualche istante. Era impossibile che avesse udito una cosa simile.
-Ma che dici?- mormorò, sconcertato.
L’altro gli gettò appena un’occhiata.
-Il padrone non si cura di nessuno dei suoi soldati, nemmeno noi lo facciamo. Siamo tutti sacrificabili, in questa corte non abbiamo il minimo valore.-
In un’altra occasione Rajura avrebbe reagito semplicemente sfidandolo, per lavare l’onta di un simile affronto fatto al loro signore; non era accettabile una tale mancanza di fiducia e obbedienza, era un tradimento a tutti gli effetti. Ed era inammissibile che proprio da lui venissero parole del genere. Quello che lo trattenne fu la strana inflessione che udì nella voce dell’altro. Aveva imparato a riconoscere ogni sfumatura del tono dei suoi compagni, lo avevano appreso tutti in verità, per non trovarsi in una situazione di svantaggio, e in quello che aveva appena udito non c’era nulla che potesse riconoscere. Gli sembrò di avere di fronte a sé qualcuno di cui non sapeva assolutamente nulla.
Per un istante gli parve di intravedere qualcosa brillare sulla sua fronte. Con un gesto non troppo brusco gli scostò i capelli dal viso ma non vide nulla, se non il riflesso quasi invisibile della luce sulla sua pelle sudata. Non lo aveva mai visto tanto pallido, nemmeno dopo aver subito l’ira del padrone, e le considerazioni con cui lo aveva frastornato nella veranda cominciarono a non sembrargli poi così lontane dalla realtà.
-Naaza non ha intenzione di farti pagare qualcosa?-
Shutendoji gli lanciò un’occhiata incredula e poi proruppe in una risatina stridula, scoprendo la gola in modo deliberato. Eppure quello sfogo sembrò riportarlo a un contegno più normale.
-Se fosse così, adesso starei impazzendo davvero per il dolore.-  
L’altro non trovò nulla da obiettare: nessuno di loro avrebbe voluto sperimentare i frutti della sua inventiva, ma tutti avevano un’idea chiara di cosa avrebbe potuto implicare una simile esperienza.
-E allora che ti prende? Ti rendi conto di quello che stai dicendo?-
Il ragazzo sollevò appena le spalle.
-E’ comunque la verità.-
-No. Il padrone ha fatto di noi i suoi generali, non siamo come il resto degli abitanti della città.-
-Siamo comunque meno importanti di altri.-
Il demone dai capelli chiari aggrottò le sopracciglia.
-E’ la gerarchia della corte, non vedo perché ti debba turbare così all’improvviso.-
-Ogni cosa ha sostegni su cui reggersi. Quando il nostro padrone troverà pilastri più robusti, lascerà noi da parte.-
Rajura rise, più rilassato.
-Ho perso il conto di quanti altri demoni abbiano cercato di scalzarci. Siamo generali perché siamo i più forti, comunque. Le yoroi non ci ubbidirebbero nemmeno, altrimenti.-
Shuten respirò appena un po’ più a fondo, senza dire nulla.
-Tu pensi troppo, te l’ho sempre detto.-
Il Demone delle Illusioni lo prese per le spalle e lo tirò a sedere.
- A noi bastano le armi,la gloria e la stima del nostro signore. I nostri pensieri devono riguardare solo la guerra.-
Il tono di Rajura era mortalmente serio, lo sguardo fisso negli occhi nell’altro.
-E ciò che più conta è la nostra fedeltà nei suoi confronti, e a riguardo, non dovrei essere di certo io ad arrivare a certe conclusioni.-
Il Generale degli Orchi ridacchiò, a testa china, imbarazzato.
D’un tratto strinse gli occhi e si portò una mano sulla fronte.
L’altro generale rimase in silenzio. Il suo compagno d’armi riusciva a lamentarsi solo lo stretto indispensabile anche quando Arago sfogava su di lui la propria ira, e tutti loro sapevano quanto la rabbia del loro signore potesse essere dolorosa; l’orgoglio era il solo motivo che impediva loro di piegarsi sulle ginocchia e invocare pietà.
Beninteso ciò non impediva a nessuno di loro di provare una certa soddisfazione quando quel trattamento toccava a qualcun altro.
Il ragazzo tenne le dita premute sulla fronte solo qualche istante.
-La tua compagnia è migliore quando bevi. La saggezza proprio non ti si addice. - mormorò, alla fine.
L’atmosfera era improvvisamente cambiata e l’altro generale si permise di rilassarsi un poco.
-E a te non si addice tutta la condiscendenza di prima.- commentò, con cattiveria.
Shuten sogghignò, in modo deliziosamente pericoloso. Forse la sua intelligenza insistente aveva deciso di ritirarsi da qualche parte, finalmente.
-Mi pare che la cosa non ti abbia mai messo di malumore, prima d’ora.-
Nella sua voce mancava la strafottenza con cui lo provocava di solito, ma Rajura fece finta di non accorgersene. Era molto più facile avere a che fare con qualcosa che poteva riconoscere, piuttosto che con affermazioni pericolose e incontrollabili di cui non comprendeva né l’origine né la natura.
Per contro emise un sibilo stizzito, con la precisa intenzione di provocarlo.
-Allora non pretendere di usarmi per levarti dalla testa i tuoi pensieri insensati.-
Il demone dai capelli rossi lo afferrò per il bordo dello yukata e lo tirò verso di sé, senza strattoni. L’altro evitò di chiedersi se fosse voluto, o se, semplicemente, gli mancassero le forze.
-Non azzardarti mai più a darmi della puttana.- sibilò.
Rajura gli afferrò il polso, senza stringerlo eccessivamente. Le cose, alla fine, stavano prendendo una piega più simile a quello a cui era abituato.
-Allora non comportarti come se lo fossi.- ringhiò - Sta pur certo che non ti piacerà, se lo farai di nuovo.-
-Potrebbe non piacere a te, invece.-
Il Demone delle Illusioni rise, in modo provocatorio, poi si sporse in avanti, quasi a sfiorargli la punta del naso con la propria.
-Non sopravvalutarti, testarossa.- mormorò, con fare ammiccante.
Shuten arrossì leggermente e poi, contrariamente ad ogni aspettativa, ridacchiò e si tirò indietro, senza però far nulla per liberarsi. Da che aveva memoria, loro due si erano sempre usati a vicenda per scacciare le proprie angosce, ma il suo compagno d’armi preferiva non affrontare quell’aspetto della questione. Era abbastanza intelligente da capire quanto fosse pericoloso porsi delle domande e preferiva far finta che bastasse affogarle nel sakè, o tra sue braccia. Sollevò lo sguardo.
-Basta giocare, adesso.-
Rajura scrollò le spalle, con finta indifferenza. Nemmeno lui era più dell’umore adatto per continuare quelle schermaglie; tutto quello che aveva detto e udito cominciava a fare presa su di lui e non voleva cacciarsi da solo in un simile ginepraio.
-E allora?-
-Ho bisogno di bere. Come te.-
L’altro generale rise, in modo un po’ sguaiato.
-Cominci a crescere, eh ragazzino.- commentò.
Si alzò in piedi e si sistemò lo yukata.
-Non mi farò vedere in giro con te.-
-Cosa ti fa pensare che la cosa non sia reciproca?-
Rajura ridacchiò e si voltò per abbandonare la stanza.
Non avrebbero camminato fianco a fianco, né avrebbero chiesto da bere nello stesso momento: Shuten era troppo rigido su certe cose per andarsi a servire da sé.
Si stiracchiò appena le spalle non appena imboccò il corridoio. Non era quello che si era aspettato accadesse, ma godersi un po’ di tranquillità e di sakè nella veranda sul lago forse gli avrebbe risollevato l’umore. Piegò le labbra in un sorrisetto malizioso. A ben vedere orami non avrebbero avuto un granché di cui parlare. Rise piano. Decisamente, era molto più di quello ch aveva sperato di ottenere.
 
 
 
  
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