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Autore: AlfiaH    19/07/2015    7 recensioni
[Destiel/Sabriel/ lievissimi accenni alla DeanXLisa, alla Megstiel e alla SamXRuby - Castiel ispirato alla sua End!Verse - AU]
Dean e Castiel si sono lasciati un anno fa e non si parlano da allora, ma Gabriel ha bisogno d'aiuto e Sam è piuttosto disperato.
Dal testo:
“Vuoi dirmi perché sei qui – perché siamo qui, o devo aspettare che Dio mi conferisca il potere della chiaroveggenza?” sbotta Castiel. È nervoso, nasconde la mano destra in una tasca, spera che smetta di tremare.
“Lo sapresti se ti fossi degnato di rispondere a quel cazzo di telefono!”
[...]
“Ho lasciato anche medicina. Ho mollato tutto quando- Cristo, non sono abbastanza fatto per affrontare questa conversazione”. Castiel preme i palmi sulle tempie, la testa gli sta per scoppiare.
Genere: Angst, Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Quello che succede a Las Vegas rimane a Las Vegas

Note: NON ODIATEMI. *schiva tomati* Aggiorno, in ritardo, ma aggiorno. Questo capitolo è più lungo dei precedenti e ci ho infilato del fluff per farmi perdonare, vedete. Volevo solo dire che vi amo tanto perché, malgrado io sia una lentona del cazzo, trovo sempre qualche commento dolcissimo e confortante a questa fanfiction e non smetterò mai di ringraziarvi per questo. Ho preso l'abitudine di mettere questo genere di note all'inizio così che siate cosicché siate costretti a leggere supponendo che siano avvertimenti importanti <3 Sono una strega, lo so, ma merito di essere amata (?)
Scusate eventuali errori, il caldo mi fotte il cervello quindi potrebbe essermi sfuggito qualsiasi cosa.
Okay, vi lascio alla lettura :D *rotola via*

 



“Sono stanco di rattopparti”, si lamentò per l’ennesima volta, tamponandogli il taglio sotto l’occhio.
“Meglio me che John. Quello stronzo era messo molto peggio, fidati”.
“Lo so, Dean, c’ero anch’io quando vi siete picchiati”.
“Quando l’ho picchiato”, corresse l’altro facendogli roteare gli occhi al cielo.
“Si, certo. Quando la pianterai di attaccare briga col primo che passa? Non hai più quindici anni, pensavo che ad un certo punto fossi cresciuto”.
“Nah, certe cose non cambiano con l’età. Tu sarai sempre troppo buono, il mondo troppo stronzo ed io sarò sempre pronto a prenderlo a calci in culo. Tra ottant’anni sarà ancora così, mettiti l’anima in pace. Insomma, se non ti difendo io, chi dovrebbe farlo?” Castiel arrossì e allentò la pressione sul suo volto.
“Non ne valeva la pena”, mormorò con un sorriso timido. Dean gli prese il polso prima che potesse interrompere il loro contatto e cercò il suo sguardo.
“Hey, per te vale sempre la pena, okay? Cas, guardami”.
“Io ho finito”, disse velocemente. Sembrava volesse scappare. “Ti lascio una pomata per il livido”. Dean lo percepì scivolargli via dalle dita e si aggrappò a lui con maggior forza, determinato a non lasciarlo andare. Non poteva. Non ora che, finalmente, erano vicini abbastanza per potersi toccare; ultimamente Castiel lo evitava come la peste (Dean non aveva davvero bisogno di chiedersi perché ma la sua tendenza ad autogiustificare le sue cazzate gli imponeva di farlo). Si sporse in avanti il minimo ed indispensabile per unire le loro labbra, in un egoistico e disperato tentativo di tenerlo con sé, e l’altro, come paralizzato sul posto, nemmeno si mosse; se Dean avesse potuto sentire i battiti furiosi del suo cuore, se solo avesse visto la voragine che scavavano nel suo petto attimo dopo attimo, non lo avrebbe baciato in quel modo, accarezzandogli il volto, divorando la sua bocca senza pudore, plasmandolo sotto il suo tocco.
“Dean-” lo supplicò, ma l’altro gli morse il labbro inferiore, tirando piano, e Castiel non poté fare a meno di seguirlo (come aveva sempre fatto). “Ti avevo chiesto per favore di non farlo più”.
“Ti stavo solo ringraziando per lo splendido lavoro, non mi sembra ti sia dispiaciuto”, sorrise spietato, circondandogli il collo con le mani.
“No, io- dovrei essere io a ringraziarti per avermi difeso, anche se con metodi che non approvo, quindi non c’è bisogno che tu, ehm…”
“Giusto, sei in debito con me”. Castiel dovette impiegare tutte le sue forze per fare un passo indietro ed allontanarsi dalle sue mani, dalla sua bocca, la stessa che aveva desiderato per anni e che ora lo pregava di rimanere. Non poteva fare questo a Dean, ad Alfie. A se stesso. Era tutto così sbagliato. Doveva andare via, prima che quella cosa – qualunque cosa fosse – li ferisse entrambi più di quanto avesse già fatto.
“Dean, per favore. Per favore”.
“Hai ragione, mi dispiace”, acconsentì, stranamente ragionevole. Forse, dopotutto, non era così brillo. Sospirò platealmente. “Il fatto è che mi manchi, Cas, non riesco a non pensare a te. Questa cosa mi sta fottendo il cervello, non posso andare avanti così. Dopotutto non è questo che hai sempre voluto anche tu? Una possibilità con me” cercò conferme nel suo sguardo, ma vi trovò solo sgomento. La cosa lo divertì e gli fece vibrare il petto, tanto che dovette poggiare la fronte nell’incavo del suo collo ed aggrapparsi alle sue spalle.
“Non sai quello che dici”, la sua voce suonò come un basso ringhio colmo di risentimento che scosse le membra di entrambi, ma Dean non vi badò; era determinato ad andare fino infondo, non importava quanto male avrebbe fatto. Doveva ricominciare a vivere e cedere alla sua tentazione era l’unico modo per liberarsene. “Solo per questa notte, promesso. Io avrò te e tu avrai me e staremo bene entrambi. Finalmente andrò avanti. Via il dente, via il dolore”.
Castiel lo ascoltò in silenzio mentre straparlava, il sangue che gli si gelava nelle vene parola dopo parola, finché la voglia di prenderlo a pugni non rischiò di prendere il controllo sul suo corpo – e Castiel odiava la violenza e non avrebbe mai fatto del male a Dean, anche se lo voleva con ogni fibra del suo corpo. Magari sbattendogli la testa contro il muro avrebbe preso coscienza di sé e si sarebbe reso conto di tutte le stronzate che stava tirando fuori. Magari avrebbe smesso di ragionare come un infante ritardato, ma Castiel non poteva basarsi su mere supposizioni (per di più con un’alta probabilità di essere errate), quindi lasciò perdere e si limitò a staccarselo di dosso con tutto l’odio ed il rancore di cui era capace.
“Smettila di fare lo stronzo, una buona volta”. Dean sussultò perché Castiel aveva appena detto una parolaccia e che cavolo stava succedendo? “Ma ti ascolti quando parli? Come puoi anche solo pensare che io voglia questo? Io non-”, gli occhi gli pizzicarono pericolosamente, la sua voce ridotta ad un sussurro, “non voglio venire a letto con te, Cristo”. Si passò le mani sul viso ridendo amaramente, alcuni ciuffi neri rimasero incastrati tra le dita; Dean li fissò a bocca aperta, in un misto di stupore e confusione.
“Non per qualcosa, ma l’ultima che mi ha guardato come mi guardi tu di solito non se l’è nemmeno fatto chiedere”.
“Oh, ma chiudi la bocca”.
“Solo se tu smetti di negare l’evidenza”. Balzò giù dal tavolo, su cui si era seduto per farsi medicare, ed allontanò le mani dal suo viso con una gentilezza che Castiel non gli aveva mai visto usare prima. Esposto e privo di difese, non riuscì ad evitare il suo sguardo. “Mi vuoi, Cas. Mi hai sempre voluto”.
“Non-”
“Va tutto bene”. Lo tirò a sé senza incontrare alcuna resistenza, gli circondò il corpo con le braccia, chiudendolo in un abbraccio da cui Castiel non sarebbe potuto scappare nemmeno volendo – non che lo volesse. “Ti voglio anch’io”, sussurrò tra i suoi capelli. Castiel non riuscì a reprimere un singhiozzo.
“Non voglio che tu mi voglia”, le sue parole vennero soffocate sulla stoffa; Dean non le ascoltò né ne comprese il significato. Dopotutto aveva ragione: certe cose non cambiano mai.
 
*****
 
“Qualcuno mi spiega per lei deve stare davanti?”
Dean rotea gli occhi al cielo, prima di riportarli sulla strada: hanno già affrontato quel discorso e non intende farlo di nuovo.
“Beh, tesoro, senza di me sareste spacciati. Sono io a guidarvi dal grande Boss”, risponde la bionda accanto a lui sistemandosi gli occhiali da sole sul viso. Meg non gli piace per niente (e non c’entra niente il fatto che Castiel l’abbia abbracciata per dieci secondi abbondanti) e non mancherà di farglielo notare non appena saranno arrivati dove devono arrivare. Sempre che abbia detto la verità su Crowley.
“Ma io sono il malato, questa potrebbe essere la mia ultima gita!” ribatte Gabriel dal sedile posteriore. Dean non è ancora convinto che farlo uscire dall’ospedale sia stata una buona idea, ma lui è un uomo adulto e sa badare a se stesso – in più si fida di Kevin e del buonsenso di Sam.
“Non siamo in gita, Gabe”, lo rimprovera Sam cingendogli le spalle con un braccio, protettivo.
“Certo che non lo siamo, non siete ancora entrati nello spirito giusto. E io che speravo di divertirmi un po’con voi, come ai vecchi tempi – arpia a parte”.
 E Dean dovrebbe guardare la strada, invece di notare come gli occhi di Castiel siano ostentatamente piantati fuori dal finestrino: non ha ancora spiccicato parola se non per salutare Meg e la cosa gli da un po’ sui nervi.
“Perdonami se faccio il, ehm- quinto incomodo, caro, ma sto cercando di pararti il culo, se non ti dispiace. Gira a sinistra alla prossima”.
“Lo so”, alla prossima, Dean gira a sinistra.
“Perché non ci dici dove dobbiamo andare e basta?”
“Così potete abbandonarmi in autostrada come un cucciolo?”
Certe volte suo fratello fa delle domande così stupide senza nemmeno provare a combatterle (almeno Dean si sforza di trattenersi dal chiederle perché non se ne va a fanculo e non è per niente facile).
“Dean non lo farebbe mai”. Non si era reso conto di aspettare la voce di Castiel finché non la sente, atona ed incolore, e farebbe anche qualche battuta a riguardo se non fosse troppo preso dal blu che per un attimo ha incrociato nello specchietto retrovisore (e dalla assoluta e malriposta fiducia che Castiel ha in lui).
“Certo, ci pianterebbe entrambi” e Meg non ha tutti i torti – forse lo conosce meglio di chiunque altro o sa semplicemente leggere nel pensiero (forse anche Gabriel ne è capace perché non la smette di sogghignare).
“Al massimo poi si sentirebbe in colpa e tornerebbe indietro a prendere il suo, di cucciolo. Vero, Deanuccio?”
“Oh, ma chiudi la bocca”.
“Non lo sta negando”, squittisce la bionda girandosi sul sedile per guardare Castiel, gli occhiali abbassati e le sopracciglia all’attaccatura dei capelli, ma l’altro ha già ricominciato a fissare lo scorrere degli alberi.
“Ha superato quella fase da un po’”, spiega Sam guadagnandosi il consenso di Gabriel, che annuisce gravemente, “e non è stata nemmeno la peggiore”.
“Nemmeno la più breve!”
“E nemmeno quella che si è ripetuta meno volte: un incubo”.
“I froci repressi sono i peggiori”, dichiara Meg con la stessa serietà di un capo di stato – stanno tenendo una conferenza nella sua auto e lui non è stato invitato.
Insomma, non è che non sia vero: Dean ha impiegato anni ad accettare l’idea di essere attratto dagli uomini (e da uno in particolare) e, a mo’ di elaborazione del lutto, la fase peggiore che gli viene in mente è senz’altro quella della negoziazione, dei perché e dei per come, quando era davvero convinto che la cosa potesse passargli in qualche modo. E si, si è comportato da stronzo ma, Cristo, potrebbero anche evitare di parlarne come se non ci fosse.
“Avete finito?”
“Potremmo andare avanti all’infinito, ma non sei un argomento così interessante”, replica Gabriel. “Piuttosto, dovremmo fermarci a Las Vegas!”
“A Las Vegas?”
“È sulla strada”, spiega Meg allo sguardo stralunato di suo fratello. L’occhiata complice che lancia a Gabriel non gli piace per niente. “Possiamo fermarci da quelle parti per la notte e ripartire il giorno dopo per San Francisco. Abbiamo portato i vestiti”.
“Abbiamo? Quali vestiti? Gabriel?”
I vestiti, zuccherino. Non vorrai mica girare per i casinò conciato in quel modo!” di nuovo quell’occhiata d’intesa: Dean non ci vede chiaro, indagherà.
“È per questo che hai insistito per venire con noi? Per farti un giro per i casinò?” il tono di Sam è un misto tra incredulità e delusione – aveva sperato in una presa di coscienza, probabilmente, ma il suo fidanzato, come Dean, sembra essere un campione nel deludere aspettative.
Gabriel fa spallucce: “potrebbe essere la mia unica occasione”.
“Smettila di ripeterlo”.
“Bella scusa!” esclama Dean per sdrammatizzare. Infondo non è che abbia qualcosa in contrario, Las Vegas gli piace. Una notte da leoni. In effetti, non ha ancora incontrato nessuno che si sia lamentato di Las Vegas. “Guarda che ho occhi ed orecchie ovunque, Gabe. Verrò a sapere se fai qualche stronzata”.
“Sarò un angioletto”.
Il tenue sorriso che si dipinge sulle labbra di Castiel basta a convincerlo definitivamente.
 
*****

Alla fine non hanno preso una suite come in “Una Notte da Leoni” (Dean ha provato ad insistere con la speranza di immedesimarsi abbastanza da perdersi Meg il giorno dopo, ma la stoica ragionevolezza di Sam è sempre difficile da combattere, soprattutto senza alleati, soprattutto quando perdi a sasso-carta-forbici tre volte di fila – ma come diavolo fa?) ma la sua stanza ha comunque un aspetto dignitoso: letto, finestra, tv, frigobar. Tutto quello che gli serve. C’è un letto in più per Castiel perché ha degli amici stronzi e ad un certo punto  ha dovuto scegliere se tenerlo in camera con sé o farlo stare con Meg (la risposta gli è uscita talmente ovvia da farlo piangere dentro). Comunque conta di rimanere al motel soltanto il tempo necessario per chiarire un paio di cose; la prima con Gabriel, la seconda con Castiel (deve ancora lavorare su questa, ma lo farà nel frattempo), e sarebbe tutto molto più semplice se Sam si schiodasse un secondo dal culo del suo ragazzo. Letteralmente. Può capirlo, davvero, al suo posto farebbe la stessa cosa se l’amore della sua vita faticasse a tenere in mano un bicchiere, ma non è questo il punto: ultimamente Gabriel sembra sempre sul punto di scoppiare, Sam lo soffoca.
In effetti, dovrebbe parlare anche con Sam.
Lo farà non appena saranno usciti dalla doccia.
“Non è una buona idea”. Impiega qualche secondo per realizzare che Meg è ancora nella stanza, destinata a Sam e Gabriel. “Quei due avranno da fare per un po’”, spiega con una lunga occhiata significativa verso la porta del bagno. Dean non vuole immaginarlo né vuole sapere come quell’arpia sia riuscita ad entrare nella sua testa.
“E tu non hai qualcosa da fare? Che so, in camera tua, quella che pago con i miei soldi?” non è bravo a fingere che una persona gli piaccia, non lo è per niente. Lei alza le spalle e gli rivolge un sorriso insinuante.
“Potrei dire la stessa cosa di te. Forse la tua camera non è abbastanza confortevole?”
“Devo parlare con mio fratello”. Non è che senta il bisogno di giustificarsi; non è che abbia paura di rimanere nella stessa camera con Castiel, è solo che… che… “e comunque non sono affari tuoi”.
“Antipatico”, sbuffa lei. “Mi chiedo come abbia fatto Clarence a sopportarti per tutti quegli anni”.
“Te ne ha parlato?” non riesce a nascondere lo stupore nella propria voce. Ora è davvero curioso di sentire, anche se dubita che avrà bisogno di chiedere.
“Oh, non parlava d’altro! Dean di qua, Dean di là”, fa un rapido gesto con la mano come a voler cancellare quel nome, una smorfia sul volto. “Ti ha dipinto come una specie d’eroe, sai. Non ti dico che mi aspettavo il cavallo bianco, ma… Cristo, sei piuttosto deludente”.
“Beh, spiacente di aver deluso le tue aspettative, tesoro. Lo aggiungerò tra il matrimonio di George Clooney e l’uscita del nuovo film della Disney, sulla lista di cose di cui non mi interessa un cazzo”.
“Beh, almeno siamo d’accordo sui film della Disney”.
“Roba per ragazzine”, concorda. Rimangono in silenzio per qualche istante, abbastanza per sentire un verso non-così-equivoco provenire dal bagno. Dean si alza come scottato e si fionda nel corridoio, Meg lo segue senza reprimere una risata.
“Clarence li adora!”
“Ho ancora la sua dannata collezione nel mio salotto”. Stavolta nemmeno lui può trattenere il sorriso che gli arriccia le labbra. Una delle tante cose che non è riuscita a buttare, pensa. Chiudere con il passato non è il suo forte.
Ha pianto quando la mamma di Bambi è morta. Ti giuro che non riusciva a smettere”.
“Cas ha pianto per le tartarughe quando Julie Andrews ci ha camminato sopra per attraversare il fiume. Quella è stata l’ultima volta che gli ho lasciato scegliere il film”.
“A me l’ha raccontato il modo diverso”, ammicca lei facendolo arrossire leggermente. Non è che lui e Castiel prestassero molta attenzione allo schermo, di solito – c’era Dean che si ostinava a scegliere film d’azione o prepotentemente antichi, Dean, preistorici e Cas che scivolava in mezzo alle sue gambe senza che potesse nemmeno fare nulla per impedirlo (non che ci abbia mai provato sul serio, ma si sente abbastanza a posto con la coscienza per aver pensato di farlo). Ovviamente questo è stato dopo.
E questo prima o dopo essere diventato una troia strafatta?”
“Pensavi che saresti rimasto il centro del suo mondo per tutta la vita?” Meg inarca un sopracciglio, fermandosi davanti alla porta della propria camera. Dean non sa perché sta parlando con lei, non sa perché sta parlando di Castiel con lei. Non la conosce nemmeno. Non che gli interessi cosa abbia fatto il suo ex in quell’ultimo anno da cambiarlo così tanto. Proprio no. Per niente.
“Non è questo il punto”, sbuffa.
“E qual è il punto?”
Non sa davvero cosa rispondere. Come poter dire la verità senza doverla ammettere a se stesso? Alza le spalle, ostentando indifferenza. “E’ strano vederlo così, tutto qui. Suppongo che tu abbia aiutato”.
Stavolta è lei a fare spallucce, poggiandosi alla porta chiusa. “Io e Clarence siamo molto simili. Abbiamo bisogno di un piccolo aiuto per andare avanti e superare le delusioni – caderci è così semplice e indolore per quelli come noi. È stata solo questione di tempo”.
Cas non ha niente da spartire con te, vorrebbe dire, ma Meg si accorge del suo sguardo duro e lo precede. “Alla fin fine non ho aiutato più di quanto l’abbia fatto tu. È più colpa tua che mia”.
“Oh, non ci provare, non mi farai sentire in colpa, non per questo”, ride una risata prima di gioia, puntandole un dito contro. “Ho passato mesi a sentirmi come l’inferno per averlo deluso, come deludo tutte le persone che amo. Non ho bisogno di sentirmi in colpa anche per le scelte di merda che ha fatto”.
Lei incrocia le braccia al petto, alzando gli occhi oltre la sua spalla. “Clarence”, lo avverte con un cenno del capo.
Castiel se ne sta a qualche metro da loro, la testa china mentre si guarda i piedi – cerca di non origliare, ma è abbastanza complicato vista la tonalità di voce di Dean. Beh, che senta. Dean non ha niente da nascondere su questo.
“Parlaci”. Cazzone: Dean riesce a sentirlo attraverso ogni singola lettera. Infila le mani in tasca, vacilla: l’ultima cosa che vuole è parlare con Castiel. Meg rotea gli occhi al cielo e apre la porta dietro di sé con la chiara intenzione di sbattergliela sul muso e lasciarlo lì come un idiota, insieme al suo incubo peggiore. Puttana. “Aspetta!” sibila. Deve almeno concludere qualcosa.
“Che vuoi?”
“Come conosci Gabriel?”
“Non lo conosco”. Un sorriso malizioso le si dipinge sulle labbra.
“Davvero? Perché sembrate compagni-di-complotti o qualcosa del genere”.
“Certe persone sono semplicemente fatte l’uno per l’altra, tesoro”, sospira lanciando un’occhiata verso Castiel.
“Beh, ti conviene stargli lontano. Forse Sammy è tollerante riguardo queste cose perché si fida di Gabriel, ma sappi che io lo tengo d’occhio. Sempre”.
“Presti troppo attenzione al Novak sbagliato”.
“Dico sul serio, Meg. Meg!”
“Non preoccuparti!” urla lei, già dall’altra parte della porta.
 
*****
 
C’è qualcosa di terribilmente sbagliato nell’accoppiata Meg-Dean, qualcosa che basta a ghiacciarlo sul posto appena li scorge insieme perché, andiamo, non può uscire nulla di buono da tutto quello. Meg è proprio il tipo che potrebbe far incazzare Dean o trascinarlo in camera da letto in due secondi e, sinceramente, Cas è molto più preoccupato per la prima ipotesi.
Ha fatto del suo meglio per non ascoltare quello che stavano dicendo, ma non è servito a molto. Niente di nuovo, comunque. Dean ce l’ha con lui, non gli passerà tanto facilmente. In ogni caso è chiaro che le cose non torneranno come prima, tra loro, e nemmeno ci spera: lui è cambiato. Chissà se Dean ha fatto lo stesso.
“Hey”, lo saluta Dean, avvicinandosi. Castiel riesce a stirare soltanto un sorriso nervoso.
“Hey”. Per un attimo pensa che voglia fermarsi – si fermerà e mi parlerà – ma il ragazzo si limita a superarlo, dandogli una leggera pacca sulla spalla, la stessa che gli regalava anni prima, quando erano al liceo e non gli era concesso altro. Castiel dovrebbe lasciar perdere e fare quello che è venuto a fare (bussare alla porta di Meg e piangere sulla sua spalla in modo molto, molto virile), ma il suo corpo si muove senza che possa realmente controllarlo. Segue Dean. La fottuta storia della sua miserabile vita.
“Dean”. L’altro non si volta nemmeno, continua a camminare verso la loro camera.
“Hai bisogno di qualcosa?”
Castiel si ferma, non sa esattamente cosa dire. Sospira: “no”.
“Bene”.
“Capisco che sei arrabbiato con me -” tira fuori tutto d’un fiato. Dean finalmente si gira, fiammeggiante, l’apparente calma di pochi secondi prima scomparsa del tutto.
“Arrabbiato? Sono sono furioso, Cas!”
“ - ciononostante possiamo giungere ad un compromesso”.
“Cosa?”
“Siamo qui per Gabriel, dovremmo tenere fuori i nostri problemi personali da questa storia. Potremmo comportarci come due amici o due conoscenti”.
“Ti sta sfuggendo qualcosa”, dice inarcando le sopracciglia, sarcastico. Castiel non riesce a capire. “Sto cercando di ignorarti, Cas. Ci sto davvero provando”.
“Comprendimi se faccio fatica a crederti”, stavolta è il suo turno di fare dell’ironia, “sarà che mi hai picchiato e poi hai cercato di fottermi nel giro di due ore, ieri. E oh. Mi hai anche detto che volevi sposarmi”.
Dean rimane in silenzio solo per qualche secondo. “Vederti mi suscita emozioni contrastanti”, ammette infine, il sorriso artificioso che cerca di alleggerire le sue parole – l’ho detto, ma non voglio che tu lo prenda sul serio.
“Ho notato”, ghigna, accorcia la distanza che c’è tra i loro corpi. L’unica emozione che ha provato lui, a dirla tutta, è l’irrefrenabile voglia di abbracciarlo – gli sembra di averlo abbracciato così poco in tutti quegli anni fatti di pacche sulle spalle e strette di mano. “Quale emozione ti suscito adesso?” gli basta poco, davvero poco per sollevarsi sulle punte dei piedi e baciarlo. Potrebbe. Basterebbe.
Dean apre la bocca, sbuffa dal naso. Castiel riesce a sentire gli ingranaggi girare ed impallarsi, le strida di spade di una lotta interiore, nella sua bella testolina bionda. Pensa di poter decidere per lui prima che la battaglia finisca, ma quando poggia una mano sul suo viso e gli sfiora l’angolo delle labbra è tutto già perso: gli occhi di Dean sono ridotti a due fessure, le sue mani lo stanno allontanando, salde sulle sue spalle.
“Possiamo essere amici”, tenta allora. L’altro scuote la testa, riprende a camminare, lo lascia indietro. “Per favore”.
“Ci penserò”, concede infine strappandogli il sorriso più sincero.
 
*****
 
Dean lo fissa per venti secondi buoni prima di scostarsi dalla porta e lasciarlo entrare. Un paio d’ore prima Castiel si era vestito e si era unito al resto del gruppo per lasciarsi travolgere dalla magia della città – così ha detto, tutto denti e gengive, allacciandosi la cravatta blu al collo (Dean ha lottato contro se stesso con tutte le sue forze per resistere alla tentazione di alzarsi e sistemargliela, ostinandosi a tenere gli occhi sulla play list del cellulare) per poi trotterellare allegramente verso l’uscita. Appena un paio d’ore fa, nota guardando la sveglia sul comodino. Non è nemmeno mezzanotte.
Castiel poggia la confezione di birra sopra uno dei letti ed inclina la testa di lato, un sorriso lieve e gli occhi lucidi. Gli sta porgendo qualcosa, ma Dean non riesce a distogliere lo sguardo dal rivolo di sangue che gli cola da un taglio sullo zigomo e dalla macchia di sangue sul colletto della camicia. Alla luce dell’abatjour on riesce più a distinguere i lividi che gli ha fatto lui il giorno prima e quelli che ha adesso. Le sue labbra tremano appena. “E’ ai mirtilli”, dice. Solo allora Dean si accorge che gli sta porgendo una fetta di crostata. “Ti ho preso anche del uh – porno. Speravo di farmi perdonare”.
“Che diavolo ti è successo?” non riesce a nascondere la nota isterica nella voce. Castiel mette giù il piatto, storce le labbra in una linea infelice.
“Non mi crederesti”.
“… Hai ucciso qualcuno?”
I suoi occhi blu si spalancano (Dean si sente stupido ad accorgersi che la cravatta blu non è più al suo posto perché si intonava con i suoi occhi). “Mi aiuteresti ad occultare un cadavere?”
“Cas!”
“Non ho ucciso nessuno, tranquillo. Però saresti un ottimo occultatore di cadaveri”.
“Cos’è successo?” ripete allora, il tono addolcito. Gli toglie la crostata dalle mani, l’altro crolla sul letto con un lungo sospiro, si guarda le mani, il labbro tra i denti.
Un altro sospiro: “ho colpito un tizio”.
Per un breve istante crede di essersi sbagliato. “Come?”
“Con un pugno, Dean!” urla, esasperato dalla stupidità dell’altro. Dean non dovrebbe trovarlo così divertente, davvero non dovrebbe, perché Castiel ha un’espressione sconvolta e sembra sul punto di piangere, ma andiamo.
“Uh, certo. Ovvio”, dice schiarendosi la voce. “E gli hai fatto male?”
“Penso di si, io – oddio, devo avergli fatto parecchio male”.
Un singhiozzo gli scuote le spalle. Dean sta davvero considerando l’idea di abbracciarlo, quando Castiel  getta indietro la testa, scoppiando in una risata fragorosa. Rimane a fissarlo solo per un momento prima di lasciarsi contagiare, così si ritrovano a ridere insieme, una risata liberatoria che spazza via tutta la tensione degli ultimi giorni, la distanza dell’ultimo anno. Smettono soltanto quando ormai la sua milza minaccia di scoppiare e Castiel sta seriamente piangendo
“Così non sei più vergine, eh?”
“Il mio primo pugno”, risponde con aria sognante, ancora il sorriso nella voce, “non pensavo sarebbe mai successo”.
“Sono gli ormoni, campione. Stai diventando un uomo, sono fiero di te”.
“Coglione”, ride dandogli un pizzicotto sul fianco. È bellissimo. “Ti sei incantato?”
“Dovrei disinfettarti quel taglio”, gracchia a corto di fiato. Il sorriso di Castiel diventa dolce.
“Si, dovresti”.
Fortunatamente Sam ha questo piccolo difetto di essere molto più responsabile di suo fratello maggiore e porta sempre con sé un kit per le emergenze – questa volta, in particolare, non poteva mancare visti i compagni di viaggio.
Peccato che, in generale, Dean abbia la delicatezza di un elefante in una stanza di cristalli ed è probabile che stia soltanto aggravando la situazione, armeggiando con la faccia di Cas. Se solo riuscisse a concentrarsi sul suo compito senza lasciarsi incantare da quelle labbra screpolate e piene che non stanno ferme un attimo – perché, appunto, Dean fa schifo con le medicazioni e Castiel deve assolutamente farglielo notare.
“Ti stai vendicando, dì la verità”, borbotta. Una smorfia di dolore gli contrae il viso.
“Speravi davvero di comprarmi con una birra e del porno?” sogghigna, passandogli una lattina ghiacciata presa dal frigobar. Castiel gli lancia un’occhiataccia e la preme sul livido.
“Contavo più sulla crostata”.
“Quella è stata una bella mossa, te lo concedo”.
“Allora sono perdonato?” solleva gli occhi blu, struscia la guancia sulla sua mano e Dean deglutisce a vuoto perché come potrebbe negargli qualsiasi cosa se lo guarda in quel modo?
“Si”, soffia piano. Castiel sorride contro il suo palmo e glielo bacia, mandandogli il cervello in tilt.
“Vieni qui”. Ha così tanto potere, quell’uomo, su di lui. “Mi sei mancato così tanto”.
Dean soffoca un singhiozzo sul fondo della gola, si lascia stringere in quell’abbraccio goffo e disordinato – ed è così caldo e giusto e si è sforzato così tanto per dimenticare quanto sia bello essere a casa.
Non dice nulla; scivola in ginocchio sul pavimento freddo per essere alla sua altezza e preme le labbra sulla sua spalla. Mormora qualcosa sulla stoffa bianca; Castiel non ha nemmeno bisogno di sentirlo per comprenderne a pieno il significato.
  
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