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Autore: Lost In Donbass    20/07/2015    2 recensioni
Tom è un agente dell'Anticrimine, squattrinato, con poca fortuna nelle relazioni, trasognato e tropo romantico. Bill è un mercenario, tossico, ficcanaso, malizioso e dannatamente sexy.
In una Berlino troppo calda, in mezzo a serial Killer psicotici, poliziotti indolenti, trafficanti poco raccomandabili e coinquilini fuori di testa, sarà mai amore tra i due ragazzi? O finiranno anche loro vittime del giro di sangue che ha avvolto Berlino nella sua morsa?
Genere: Angst, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest
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CAPITOLO PRIMO: ANGELI CHE FANNO L’AUTOSTOP

Tom si passò una mano tra i dreadlocks con aria affranta. Di nuovo. Un altro fottuto omicidio aveva scosso Berlino, con conseguenti notti in bianco per l’Anticrimine, occhiaie e troppi caffè per rimanere svegli ore e ore senza chiudere occhio. Sospirò rumorosamente, prendendo il referto medico che il piccolo agente Muller gli aveva portato e sfogliandolo svogliatamente. Era quasi un mese che passava le sue notti sveglio, chino sul computer, impegnato a ricostruire, inviare, ragionare, catturare. Sembrava quasi che tutti i criminali della città si fossero messi d’accordo per farne passare di cotte e di crude all’Anticrimine e, in particolare, all’agente Kaulitz, che puntualmente veniva chiamato in causa in quanto “migliore agente di tutta Berlino. Un fiuto come quello di Kaulitz non ce l’ha nessuno”, citando il capo incontrastato della Polizia, la vecchia acida e sfruttatrice Angela Strauss. Solitamente Tom era fiero di essere, nonostante la giovane età, considerato così bene dai superiori, ma in quel momento ne avrebbe fatto volentieri a meno. Bevette un sorso di caffè e si concentrò sul referto. Le immagini era alquanto raccapriccianti, raffiguravano una ragazza piuttosto giovane legata come un salame a una brandina abbandonata in un vecchio ospedale psichiatrico, con due profonde incisioni ai lati del collo causate, diceva il referto, da un kris malese particolarmente affilato, alcuni tagli sulle braccia fatti post mortem e una croce di sangue sul cuore. Il rapporto diceva chiaramente “La vittima è stata prima legata, grazie all’ausilio di una dose di morfina, poi uccisa con un colpo di pistola calibro 12 dritto nel cuore quando era cosciente, dunque, una volta morta, sono stati incisi i vari tagli sulle braccia e sul collo utilizzando probabilmente un coltello di manifattura malese, comunemente detto kris, in quanto i tagli sono evidentemente stati inflitti da un lama ondulata. Successivamente, il sangue è stato prelevato e spalmato sul petto della vittima creando una croce cristiana di grandi dimensioni attraverso l’uso di un pennello.”
Tom osservò ancora un attimo le foto, e rilesse l’e-mail che gli era arrivata poco prima “La defunta si chiamava Ann-Katrin Wolf, di anni 22, la scomparsa è stata denunciata da un’amica che la stava aspettando nella discoteca della Frankfurt Strasse. Ann-Katrin era uscita a fumarsi una sigaretta, ma siccome ci stava mettendo troppo, l’amica è andata a vedere e lei non c’era più. Ha provato a chiamarla sul cellulare e l’ha sentito squillare a pochi passi da lei, abbandonato per terra. Era circa mezzanotte e mezza. Abbiamo interrogato sia la famiglia che gli amici più stretti, e sembra che la ragazza non avesse nemici e fosse piuttosto beneamata da tutti. 0Dobbiamo ancora controllare le telecamere e interrogare la gente relativa al locale.”
E-mail semplice ed essenziale, per una volta Georg non si era perso a fare i soliti commenti idioti su ogni cosa. Tom sbuffò rumorosamente, a metà tra il frustrato e il triste per la morte di quella ragazza così giovane. Diamine, aveva solo un anno meno di lui e ora, invece che essere da qualche parte a spassarsela, era sepolta nel freddo gelido della camera mortuaria due piani sotto. Certo che la vita era proprio ingiusta. Pensare che dopo tanto era riuscito a prendersi un giorno di tregua (era più che sicuro che senza una microscopica pausa sarebbe morto lui), subito gli era arrivato il messaggio di Georg “Tom, mi dispiace disturbarti anche in vacanza, ma il giorno di ferie è revocato. Torna in città, omicidio alquanto macabro e bisogno del tuo fiuto”.
Era tornato, dopo aver bestemmiato contro il corpo di polizia, contro i criminali e contro la macchina che non partiva, ma era arrivato troppo tardi. Che cavolo, da Magdeburgo a Berlino non era proprio uno sputo, e ovviamente lui aveva beccato l’unico giorno di traffico nel nodo tra le due città.  E così, in quel momento, alle undici di sera di una calda serata di maggio, era ancora in centrale a rimettersi in pari sul nuovo caso che gli si era presentato, in compagnia di una tazza di caffè rancido e il sordo ronzio dell’aria condizionata irrimediabilmente rotta. L’Anticrimine di Berlino non aveva mai avuto un soldo, non li aveva in quel momento e non li avrebbe mai avuti. Anche lo stipendio di Tom, il più valente degli agenti, era talmente misero che lo obbligava a dover dividere l’appartamento con due ragazze rigorosamente fidanzate tra loro (troppa grazia Sant’Antonio, pensava sempre Tom. Che poi, manco lui era etero, ma si divertiva a dirlo ai suoi amici per farli impazzire di rabbia) e con un ragazzo svedese fissato con il gotico. Non che non si divertisse, a vivere con quei tre fenomeni da baraccone che ora erano parte della sua famiglia, ma a volte era piuttosto imbarazzante rivelare di essere un poliziotto dell’Anticrimine ed essere costretto a vivere con un tatuatore, una cameriera e una hacker. Ascoltò le dichiarazioni dei conoscenti della povera ragazza morta. Ormai Tom aveva fatto l’abitudine, ai cadaveri, alle morti ingiuste, ai criminali che uccidevano a sangue freddo, ma ogni volta non poteva reprimere un brivido al pensiero di quanto poteva essere crudele l’Uomo in sé, più sanguinario di qualsiasi belva e più spaventoso di qualunque malattia. Quando il suo cellulare squillò, rischiò l’infarto secco sul posto. Tastò le tasche dei pantaloni sformati (ok, non era in divisa. Errore piuttosto grosso, se l’avessero beccato sarebbero stati guai, ma Tom di quelle regole se ne faceva un baffo) e tirò fuori il telefono, sperando in una telefonata miracolosa di Georg o di Gustav che gli dicevano che era tutto finito, che l’assassino era stato beccato e che lui poteva tornarsene in pace a Magdeburgo. Ovviamente, no. Era semplicemente Raghnild, la sua coinquilina hacker. Rispose controvoglia
-Raghnild, senti, sto lavorando, quante volte ti ho detto che …
-No, Tom, non riattaccare ti prego, è una questione di vita o di morte!- la vocina squillante e agitata dell’amica fece desistere il ragazzo dal riappendere. E se fosse stato veramente importante?
-Che succede?
-Oddio, Tom, devi venire subito a casa, è successo un emerito disastro!
-Ragh, non posso venire a casa, lo sai, spiegati!
-Oh, mamma mia, la caffettiera!
-La caffettiera?
-Si! Kalle ha deciso per non so quale motivo di far bollire nel caffè tre pezzetti di banana, ma poi ce la siamo dimenticata sul fuoco, e così … aaah!
-Raghnild, Dio Santo, cosa succede?!- urlò Tom, sentendo uno strillo dall’altro capo del filo e in sottofondo varie urla e imprecazioni.
-Sta esplodendo!!!! Tom fai qualcosa!
-Oh, porca ciabatta ma non vi si può lasciare soli un giorno che distruggete tutta la casa?!- ruggì il rasta.
-Lo sappiamo, scusaci, siamo tre splendidi disastri …
-Evita le citazioni da fan fiction, grazie.
-Allora non vieni?- il vocino di Raghnild si era fatto piccino.
-No, non vengo per una demenza simile! Cercate di spegnere il fuoco, piuttosto.
-Ma si è spento, solo che il caffè continua a esplodere insieme alle banane e alle fragole …
-Che c’entrano le fragole?
-Va beh, ho capito, ripuliamo tutto e quando arrivi sarà tutto lindo.
-Sarà meglio … a dopo.
-A dopo.
Prima di chiudere la chiamata sentì altre urla scomposte in sottofondo e poi il silenzio della centrale, interrotto solo dal ronzio dell’aria condizionata. Avrebbe preferito essere a casa a ripulire caffè e banane dalla cucina invece di morire di caldo sul posto di lavoro, con un referto raccapricciante in mano e il peso sul cuore della morte della ragazza. L’avrebbe vendicata, sicuramente. Avrebbero trovato il suo assassino e l’avrebbero sbattuto in cella senza pensarci su un secondo. Appoggiò la testa sul ripiano della scrivania e sospirò. Ci mancavano solo quei tre paciughi dei suoi coinquilini, con il loro caffè alla banana. Erano semplicemente disastrosi, ma Tom voleva loro un gran bene; perlomeno, lo facevano sorridere quando ne aveva bisogno e lo aiutavano quando proprio non ce la faceva più. E lui faceva lo stesso con loro, come una vera famiglia.
Sbadigliò e si alzò stiracchiandosi. Se ne sarebbe andato a casa, decise. Era l’ultimo idiota rimasto in quel posto bollente d’estate e gelido d’inverno. Tanto, aveva capito di cosa si trattava e il giorno dopo avrebbe potuto tranquillamente lavorare come se anche lui fosse stato lì, sulla scena del delitto. Afferrò la giacca e il berretto da skater e uscì dalla centrale spegnendo le luci mal funzionanti. Più che Anticrimine quella sembrava una Discarica Per Relitti In Divisa, come la chiamava Gustav ogni volta che la macchinetta delle merendine si bloccava. E tutti conoscevano la furia del pacioccone agente Schafer quando la macchinetta non funzionava.
La strada era malamente illuminata da qualche lampione polveroso e qualche falena volteggiava pesantemente attorno alla luce; chiuse la porta e rabbrividì nonostante la calura per il sordo rumore che la porta produsse nella via vuota. Si diresse velocemente verso il vecchio ma pur sempre funzionante maggiolino verde scuro che si divideva con i suoi coinquilini (anche se alla fine lo usava solo lui). Appena entrò sentì l’odore tipico di caffè stantio, di tabacco, di inchiostro e di cioccolato che pervadeva qualunque cosa appartenesse ai quattro. Lui era il caffè, Raghnild il tabacco, Kalle l’inchiostro e Claudia il cioccolato. Una miscela eccezionale che ognuno di loro chiamava casa.
Stava per mettere in moto quando sentì una voce soffocata dietro di lui urlare
-No, un attimo, fermo per piacere!
Si irrigidì meccanicamente. Da buon poliziotto era piuttosto sospettoso, ma abbassò comunque il finestrino scassato abbastanza per vedere un viso nascosto dall’oscurità abbassarsi e dirgli, ansimando evidentemente per una corsa appena fatta.
-Senti, scusa se ti ho fermato ma … avrei bisogno di un passaggio!
Tom aggrottò la fronte impercettibilmente. Voce giovane, affannata ma melodiosa. Nessuna cadenza straniera, anzi, tipico accento berlinese.
-Stai scappando da qualcuno?- chiese Tom, trasformando abilmente la deformazione professionale in una battutina di spirito.
-Potrei dirti che sto scappando da me stesso, ma in questo momento non sarebbe vero.- rispose la voce, sfoderando a sua volta un tono ironico.
-E chi mi assicura che una volta in macchina non mi assalirai e mi deruberai dei tre euro che ho in tasca?
-Nessuno. Solo la tua buona fede negli sconosciuti.
Tom si trovò a sorridere nel buio. Moriva dalla voglia di vedere quel tizio, anche se la sua testa da Anticrimine gli sconsigliava vivamente di far entrare uno sconosciuto in macchina di notte fonda. Ma poi, che avrebbe potuto fargli? Dai, aveva la pistola di servizio li attaccata e poi mica era uno sprovveduto (“non sarai sprovveduto Tom, ma sei terribilmente avventato; dovresti smetterla di giocare col rischio” gli diceva sempre Gustav).
-Dove devi andare?
-Dove devi andare tu, piuttosto. Così so dirti dove lasciarmi.
Lo sconosciuto fece il giro della macchina, aprì la portiera (Tom ringraziò mentalmente il cielo che si era premurato di aprirla con delicatezza. A Gustav era rimasta in mano, una volta) e si lasciò cadere pesantemente sul sedile vicino al suo sbuffando.
-Davvero, grazie che mi hai tirato su, non avrei saputo come fare.
Tom fece un grugnito che valeva come un “figurati”, e accese la torcia che Claudia aveva appeso al soffitto della macchina per illuminare l’abitacolo e vedere in viso l’autostoppista. E ne rimase piacevolmente sconvolto. Cioè, nessuno gli aveva detto che gli angeli facevano l’autostop. E nessuno lo aveva avvertito che gli angeli avevano senso dell’umorismo. Davanti a lui, un ragazzo che avrà avuto suppergiù la sua età, pallido, dotato di un sorriso accecante, lineamenti perfetti, occhi neri come mai Tom ne aveva visti, talmente profondi che ci si sarebbe potuti perdere dentro circondati da un pesantissimo strato di trucco che non faceva che accrescerne il magnetismo. I capelli corvini gli ricadevano ben sotto le spalle, tenuti da un lato, a ricadergli morbidamente su una spalla. Il viso da bambola si intonava alla perfezione con le collane e i bracciali borchiati che gli decoravano il collo da cigno e i polsi, così come i vestiti neri gli fasciavano alla perfezione le curve, che Tom dovette convenire, non erano niente male, anzi.
-Vogliamo andare?- la voce del ragazzo lo riscosse dalla crisi mistica che lo aveva colpito quando aveva acceso la pila. Forse faceva meglio a starsene al buio. Guidare con una bellezza così tossica al fianco poteva essere pericoloso. 
-Si, certo, allora … - boccheggiò Tom, partendo troppo velocemente e facendo lamentare il maggiolino.
-Dove sei diretto?
Dio, era intossicante anche la voce. Una serie di pensieri pervertiti bussarono alla stressata mente del rasta, ricordandogli i piaceri della carne a cui da tanto lui non si concedeva e una vocina perversa gli fece presente che non sarebbe stato male rompere la monotonia quotidiana e farsi il ragazzo. Si zittì da solo e rispose, tentando di sembrare disinteressato. Ok, che attore scadente che era. Valeva solo come detective.
-Sulla Brandenburg Strasse- evitò di dire che ci abitava.
-Dalla tua ragazza?- miagolò il suo vicino di macchina, con un sorrisino malizioso.
-Eh?!- Tom per poco non sbandò. Lui, una ragazza?! Ma manco nel peggior film romantico! E poi, cosa gli veniva in mente? Mica si conoscevano!
-Non è la tua ragazza?- il ragazzo sembrava un po’ risentito – Eppure qua c’è un biglietto con scritto “Buon Anniversario, amore mio. Ogni giorno è come il primo per me. Siamo indistruttibili, come la Millennium Falco”.
-Ah, ma no, quello è il biglietto dell’anniversario di due mie amiche.- Tom sospirò di sollievo. Come al solito Claudia lasciava in giro i biglietti degli anniversari tra lei e Raghnild e poi si lamentava che non li trovava. Ma … un attimo! Dove l’aveva beccato? – Ehi, dove l’hai trovato?!
-Beh, era posato qua davanti.
-Farsi gli affari propri è troppo difficile, vero?- sbuffò sarcastico Tom.
-Per il sottoscritto, si. Comunque, io devo andare piuttosto lontano, quindi quando tu scendi, scendo anche io. Poi andrò a piedi, cosa ti devo dire?- il tipo sbuffò una risata che a Tom fece fare una capriola al cuore.
-Come ti chiami?- disse il poliziotto.
-Bill.
-Bill?!- Tom dovette ammettere che si aspettava un nome un po’ più epico dall’angelo lì vicino. Ah, ma forse i nomi angelici erano troppo difficili da pronunciare per un umano, quindi per il suo bene ne aveva scelto uno comune. Ok, stava letteralmente impazzendo. Il caffè e il lavoro gli facevano molto male. – Ma è un nome da cane!
-E perché tu come ti chiami? Astolfo?- sbottò Bill.
-No, mi chiamo Tom.
-Nome da gatto.
-Non è vero!
-Miaoo- Bill miagolò in modo alquanto “piccante” facendo finta di graffiargli il braccio con le unghie piuttosto lunghe e acuminate.
-Sto guidando, ti ricordo!
-Ti eccito, Tooom?- strascicò il suo nome apposta, come se fosse un gatto.
-No, maniaco!- ok, quella era una bugia bella e buona, ma pace.
Bill fece un risolino divertito ma tacque. Tom sospirò rumorosamente. Avrebbe dovuto scrivere qualcosa su quella straordinaria giornata che sembrava non finire mai e sembrava destinata a riservargli una serie di sorprese gradite e non. A partire dalla mattina, quando era tornato da sua madre e da suo padre nella casa natale, al pranzo consistente in pollo alle prugne che Tom odiava ma che si ostinava a dire a sua mamma che fosse il suo piatto preferito, alla chiamata di Georg, all’intoppo sulla statale, alle ore passate nel forno centrale a documentarsi, alla mancata cena, alla chiamata di Raghnild, e infine all’incontro con  un angelo maniaco. Beh, niente male come giornata. Complimenti Tom, se volevi uscire dalla monotonia ce l’hai appena fatta.
-Ti ho visto uscire dalla centrale di polizia. Che ci facevi lì a quest’ora?- chiese Bill, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Il rasta gli lanciò un’occhiata di sfuggita e lo beccò che si specchiava in un microscopico specchietto da borsa.
-Ci lavoro, magari? Agente Tom Kaulitz al tuo completo servizio.
-Come?!
Tom inchiodò giusto in tempo per evitare il semaforo fattosi rosso all’improvviso, quasi per permettergli di fissare interrogativamente Bill e scorgere sul viso perfetto un’espressione strana. Tom era sempre stato una persona particolarmente empatica, e non gli sfuggirono le moltitudini di espressioni che vorticarono negli occhi inchiostro dell’altro, come un ventaglio che gira vorticosamente. Dubbio, ansia, paura, animale braccato. Strane emozioni. Tom vide le mani del ragazzo stringersi convulsamente attorno allo specchietto, le spalle incurvarsi, il viso farsi tutt’un tratto guardingo, come se fosse finito in un campo probabilmente minato.
-Sono un agente dell’Anticrimini- continuò Tom, guardandolo sempre di sottecchi. Bill sembrò rilassarsi impercettibilmente e annuì
-Capito. Un piedipiatti, quindi?- c’era una nota sarcasticamente amara nella sua voce, Tom la percepì chiara.
-Preferirei essere chiamato agente investigativo, comunque si, in sostanza, un piedipiatti. Problemi, cagnolino Bill?
-Assolutamente no, gattino Tom.
E quel sorriso malizioso, bastardo e scaltro si impresse a fuoco nelle retine del rasta, che ripartì una volta scattato il verde. Il maggiolino faceva sempre più fatica ad arrancare per la salita della Kartoffeln Strasse, e ansimava come se stesse per tirare le cuoia da un momento all’altro.
-Non vi pagano bene, all’Anticrimini.
-Come fai a saperlo?
-Beh, per avere una macchina così scassata … vuol dire che non hai denaro sufficiente per comprartene una decente e così sei costretto a usare sto catorcio.
-Che ne sai? Potrei anche essere appassionato di macchine vecchie, o potrebbe essere un caro ricordo della mia famiglia!
-Non ci credo nemmeno per un secondo, Tom. Non mi sembri il tipo che per legami affettivi si tiene sto coso macilento e ci va in giro per Berlino. Mi dai l’idea che tu sia uno di quelli che se potesse andrebbe in giro con una Porsche Cayenne o una Volkswagen sportiva.
Tom rimase segretamente sorpreso dalla lucida deduzione di Bill sul maggiolino. Sicuramente, era stato piuttosto intelligente e, doveva ammetterlo, aveva anche subito inquadrato il suo tipo di macchina ideale se avesse avuto i mezzi economici.
-Ottima deduzione, Watson.- ghignò Tom
-Preferirei che mi chiamassi Moriarty. Ho sempre preferito la parte cattiva di Sherlock Holmes, invece che quella buona.
-Permettimi di dissentire. Sherlock è meglio di Moriarty.
-Questo lo dici tu.
Tom si stava convincendo sempre di più che forse, invece che un angelo, aveva caricato in macchina un diavoletto in vena di scherzi. Beh, creatura divina per creatura divina, era un piacere avercelo a bordo.
-Che lavoro fai, Bill?
-Uhm, un po’ di tutto. Non ho un lavoro fisso. Comunque per ora lavoro nel negozio di un mio caro amico orientale. Anzi, ti lascio qua il biglietto da visita, se ti va di farci un passo.
Bill cavò di tasca un bigliettino rosso e lo posò sul cruscotto con un gesto languido e studiato per essere affascinante. Beh, anche senza gesti studiati, rimaneva particolarmente seducente.
-Una cosa che mi sono sempre chiesto, ma ai poliziotti è permesso portare i dread?
-Evidentemente si. Ti piacciono?- Tom andava fiero dei suoi capelli, e anche se ai primi tempi gli avevano fatto storie, ora erano diventati la mascotte della stazione del decimo distretto. “Una tiratina ai tubi di Tom, e il caso ci andrà di culo” diceva sempre Georg, ogni volta che si presentava qualcosa di nuovo.
-Diciamo che su di te sono straordinariamente sexy.
Bill si leccò le labbra in modo terribilmente seducente. Tom tentò di non far capire al ragazzo che lo stava eccitando da impazzire. La sua lucidità se ne stava andando a farsi un bel viaggetto nel Paese delle Meraviglie, così come il suo cervello fuso. Ma no, che stava blaterando? Lui era un poliziotto, una persona più o meno seria, e doveva riposarsi per bene per essere pronto a indagare a fondo sulla morte di Ann-Katrin Wolf. Non si poteva far distrarre da un tizio raccolto per strada che non faceva che ficcanasare e fare allusioni sconce. Non poteva, insomma, si trattava del suo buon nome. Eppure avrebbe dato pure il maggiolino per avercelo nel letto quella notte.
-Senti, Bill, posso chiederti che ci facevi tu lì a quell’ora?
-Sospettoso, agente?- di nuovo il tono finto innocentino che mandava nel pallone  sia il cervello che le parti basse  di Tom.
-No, curioso. Deformazione professionale.
-Beh, mi ero perso.
-Non ci credo nemmeno se me lo giuri sulla Bibbia.
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata a metà tra il divertito e il provocatorio.
-Troppo lungo da spiegare, Tom. E comunque, se non te ne fossi accorto, siamo sulla Brandenburg e mi avevi detto che ti saresti fermato qui.
Acc … si era lasciato abbassare le difese da quel angelo con le corna! Dannazione, doveva avere proprio il cervello in pappa quella sera. Inchiodò di botto (anche perché se no il maggiolino non si sarebbe mai fermato) e sospirò
-Bene, allora il nostro viaggetto finisce qui.
-Peccato, mi stavo divertendo- sussurrò Bill, imbronciato. E lo era veramente, mostrando una smorfia talmente tenera che Tom fece fatica a non sbavare – Comunque ti ho lasciato il biglietto del negozio. Ti prego, facci un salto uno di questi giorni. Così ci facciamo un’altra bella chiacchierata.
-Ci sto. Verrò allora- Tom prese il biglietto e se lo infilò in tasca, ripromettendosi di leggerlo una volta a casa e andarci, un giorno. Per rivedere l’angelo cornuto.
-Beh, grazie ancora e buonanotte, Tom. - Bill sgusciò fuori dalla macchina e solo allora Tom poté constatarne l’altezza considerevole e le gambe che avrebbero fatto invidia a una modella. Per non parlare del posteriore. Tom cercò di soffocare un sospiro pervertito alla vista. Bill si chinò ancora e dal vetro rifece di nuovo l’unghiata piccante da gatto sillabando silenziosamente ma molto seducentemente “Miao, agente”.
-Buonanotte Bill.
Non gli uscì altro se non quella frase scontata e un sorriso ebete. Proprio quello che l’altro desiderava, oltretutto.
Lo vide dissolversi di corsa nella nebbiolina che di sera invadeva le strade di Berlino, ingranò la marcia e si diresse verso il fondo, dove c’era il suo appartamento. Aveva la testa completamente fuori uso. Bill, oddio. Un nome, un volto, una voce. Erotismo allo stato puro, pensò il rasta posteggiando il maggiolino e chiudendolo a chiave, anche se era una precauzione piuttosto inutile.
Sospirò e notò, con una nota di disappunto ma allo stesso tempo di sollievo, che le luci di casa erano accese e intravide la sagoma di Kalle dietro alla finestra che leggeva un libro. A volte i suoi amici lo aspettavano alzati, per non fargli trovare la casa al buio dopo “un’orrorifica giornata nel cinema horror più spaventoso che ci sia” come Raghnild definiva spesso il suo posto di lavoro. E forse la hacker non aveva tutti i torti, in fondo. Era veramente un cinema horror di ottima qualità.

***
nota dell'autore psicotico (muahahahahah)
ciao a tutte,
questo è il mio primo vero thriller dopo un'indigestione di Criminl Mind e di dischi dei nostri amati TH. Questo tossico connubio ha dato vita a ciò che avete appena letto (oh, eroiche lettrici!)
Gli aggiornamenti saranno settimanali, salvo imprevisti tipo serial killer infuriati che mi vogliono eliminare.
Grazie a tutte,
a presto
Charlie 
xxxx
  
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