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Autore: pinky_neko    20/07/2015    4 recensioni
Giappone, 1945, Seconda guerra Mondiale.
Due ragazzi che cercano di vivere sopravvivendo ogni giorno agli orrori di una guerra che lascia ferite profonde nel cuore di ogni persona. Le speranze si possono infrangere, ma se due mani si stringono e restano vicine allora si può raggiungere il futuro in cui sono riposti i loro sogni.
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[Storia partecipante al contest Just let me cry indetto da Starhunter sul forum di EFP]
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Masato Hijirikawa, Ren Jinguuji
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Premessa: ho scritto questa storia senza nessuna intenzione di documentare i fatti precisamente, mi sono concentrata sulle sensazioni ed emozioni che potevano scaturire certe situazioni. Per questo motivo non bisogna fare troppa fede a ciò che ho scritto, perché, per quanto comunque verosimile, potrebbe non essere totalmente vero. Spero la cosa non sia di troppo fastidio.
Grazie e buona lettura! :)


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Stammi vicino

 
Se ne stava rannicchiato contro la parete, il corpo scosso da brividi incontrollabili e gli occhi rossi e gonfi per un pianto che ancora non voleva smettere. I suoi denti continuavano a battere e non ne sapeva bene neanche il motivo, se per il freddo del luogo o la paura.
 
Accucciato in quella posizione, non si rendeva quasi più conto di nulla. Faceva vagare gli occhi, cercando di abituarli meglio al buio, scrutando tra quella moltitudine di gente per un volto amico, il suo volto. Ma non ve n'era traccia.
 
In quel momento riusciva a pensare solo a due cose: la prima, che non sarebbe riuscito a vivere senza di lui; la seconda, che non sarebbe stato male venire risucchiati dal terreno e sparire per sempre, magari raggiungere un luogo migliore, senza tutto quell'odio e quella brama di potere.
 
Ma questa era solo un'utopia e, anche se aveva solo sedici anni, si era già rassegnato a quello schifo di situazione che stava vivendo.
 
Ma la paura era troppa, non voleva andarsene: si era radicata nel suo animo, affondando le radici nel suo cuore e ramificandosi per tutto il corpo. La paura di non farcela, la paura di non rivederlo, la paura di morire... che altro avrebbe potuto fare in quel momento se non avere paura? La speranza, di cui tanto gli parlava Ren, lui non riusciva proprio a trovarla, non in quel luogo, non con quel cielo denso di nubi e fumo sopra le loro teste che si poteva scorgere da un angolo del rifugio.
 
Aveva paura e aveva freddo, di uno di quei freddi che ti senti dentro, non sono reali, ma permangono nella tua pelle, raggiungono le ossa e ti destabilizzano lentamente dall'interno. Si strinse più forte le gambe a sé, circondandole con le braccia e portandole al petto in un gesto quasi istintivo. Ma quel freddo non se ne sarebbe andato così facilmente, lo sapeva, ma continuava invano a tentare.
 
Incrociò lo sguardo di un bambino, rannicchiato nella sua stessa posizione dal lato opposto del rifugio. Lo riconobbe subito come il figlio dei suoi vicini di casa: i capelli castani che gli ricadevano sulla fronte, gli occhi sbarrati in un muto grido, tanto terrorizzato che non riusciva nemmeno ad aprire bocca.
 
Solitamente il suo sguardo lo rasserenava: aveva sempre pensato che quel bambino avesse le iridi dello stesso colore azzurro degli occhi di Ren, così lucente e intenso. Era bello fermarsi a guardarlo, gli ricordava vagamente lui. Ma in quel momento faceva solo male.
 
Vederlo con quegli occhi così spaventati gli procurava solo un profondo dolore, facendogli pensare al peggio.
 
Avrebbe voluto avvicinarglisi, magari abbracciarlo, stringerlo a sé per dirgli che tutto sarebbe andato bene, che presto sarebbe finita. Ma neanche lui ci credeva, anche lui aveva paura e non aveva forze per alzarsi da dov'era e andare da lui. Non senza Ren.
 
E poi la sentì. Un'esplosione, forte, potente, terribile, poco lontano da dove si trovavano loro. Rabbrividì mentre altre si susseguivano, una dietro l'altra, accompagnate dalle grida disperate delle persone attorno a lui, dai pianti, dalle preghiere.
 
Serrò gli occhi, spaventato da quei fischi che anticipavano boati spaventosi, intimorito da ciò che là fuori stava accadendo, da come città costruite con anni e anni di lavoro e sacrificio venissero rase al suolo in meno di un minuto.
 
Tremava e si guardava intorno di tanto in tanto, la speranza di vederlo arrivare che lentamente scemava in lui ogni secondo che passava, mentre lacrime salate prendevano a scorrergli lungo le guance, giusto per rendersi conto che Ren ancora non era arrivato, giusto per notare che il bambino di prima non era più al suo posto.
 
E allora si alzò.
 
 
 
~·~
 
 
 
Il giorno prima
 
 
C'era qualcosa di marcio in quel mondo, qualcosa alla radice di ogni persona. Di conseguenza, anche noi cresciamo marci dentro e ci facciamo guerra l'un l'altro e ci scontriamo e combattiamo. Quando invece sarebbe molto più semplice intrecciare le nostre dita insieme, annusare l'odore delle pelli a contatto, saggiare il sapore delle carni, e colmarsi, e scoprirsi. E amarsi.
 
"Gli americani non hanno ritirato il loro attacco, invitiamo tutti i cittadini a mantenersi il più al sicuro possibile, di non uscire di casa se non necessario e di restare nelle vicinanze dei rifugi disposti dal gover-"
 
Masato spense la radio sul comò di legno. Le dita attraversate per un momento da un fremito quasi impercettibile, la rabbia repressa che cercava di farsi largo in lui, inutilmente.
 
Si sentì cingere i fianchi da dietro, mentre due forti braccia lo avvolgevano in un caldo abbraccio. Lunghi capelli biondi entrarono nella sua visuale non appena girò un poco il volto, mentre sentiva il peso della testa di Ren poggiarsi sulla sua spalla.
 
«Stai bene?», si sentì chiedere.
 
Si prese qualche momento prima di rispondere, non sapendo veramente come si sentisse. Era stata una brutta giornata, come quella precedente e quella precedente ancora. Non avrebbe saputo dire se stesse bene o meno.
 
«Non lo so», un tono totalmente apatico gli uscì dalle labbra, tale che quasi non riconobbe come il suo.
 
Ren gli baciò la spalla, un leggero tocco che fece perdere un colpo a Masato. La sua vicinanza lo divideva sempre tra agitazione e gioia. Quando era con Ren si sentiva come se potesse toccare il cielo con un dito, ma non era ancora abituato a tutto ciò.
 
Si frequentavano da un paio di mesi, di nascosto da tutti. Erano sempre stati amici d'infanzia, condividendo insieme le ore di gioco e della merenda quando erano piccoli. Ma col tempo, crescendo, si era iniziato a formare tra loro un altro tipo di rapporto. Una nuova consapevolezza era sbocciata nelle loro menti e nei loro cuori ed entrambi avevano compreso che la loro non era semplice amicizia.
 
«Dovresti riposare un po', oggi è stata una giornata stancante.»
 
«Dici così solo perché non credi che io sappia reggere certe notizie, vero?»
 
«No, è perché tengo a te.»
 
Masato prese un respiro profondo, trattenendo il fiato qualche secondo per poi rilasciare uno sbuffo malinconico.
 
«Sono triste, Jinguji.»
 
La voce leggermente rotta giunse quasi ovattata alle orecchie del biondo: lo sapeva, sapeva perfettamente cosa provava Masato perché era lo stesso che sentiva anche lui. Una profonda tristezza, una rabbia recondita, un'amarezza insostenibile.
 
Quando avevano ricevuto la notizia, quella mattina, non erano riusciti a dire o fare nulla, troppo spiazzati dalla piega che avevano preso gli eventi.
 
Entrambi sapevano che la guerra non avrebbe portato nulla di buono, solo un profondo senso di vuoto nelle persone, eppure nessuno dei due aveva voluto neanche lontanamente prendere in considerazione quell'ipotesi. Faceva troppo male.
 
Ma era successo e ora non gli restava che leccarsi quelle ferite che si dovevano essere aspettati di avere e nutrire un profondo cordoglio verso quell'amico che ora non c'era più.
 
«Vieni con me, Hijirikawa.»
 
Masato si stupì per quell'improvvisa richiesta. Si sentì trascinare per un polso fuori dalla sua camera e giù per le scale, fino a raggiungere l'ingresso. Una folata di vento gli preannunciò l'uscita, mentre continuava a seguire Ren per le strade deserte della città. Tutti avevano paura anche solo di mettere il naso fuori di casa e certamente Masato li comprendeva. Era un periodo terribile per tutti, era difficile farsi forza e continuare a camminare a testa alta facendo finta di nulla, quando la paura che le bombe venissero sganciate era troppo forte.
 
«Jinguji, dove mi stai portando?», chiese dopo cinque minuti buoni di camminata, la curiosità che trapelava in lui, ansioso di scoprire verso dove si stavano dirigendo.
 
«Se ci pensi un po' lo capirai da solo.» E facendogli un occhiolino, mollò la presa sul suo polso per intrecciare le dita con quelle di Masato che, voltando imbarazzato la testa da un lato, rispose alla stretta senza farselo chiedere due volte.
 
Effettivamente quel tragitto lo ricordava bene, nonostante fossero passati parecchi anni dall'ultima volta che l'aveva percorso, sempre in compagnia di Ren. La grande casa abbandonata si stagliò di fronte a loro, mentre le luci del tramonto ne illuminavano la facciata creando sinuosi giochi di colore tra le grandi vetrate.
 
Da piccoli solevano giocare intorno a quella imponente mansione; una volta scavalcato il cancello in ferro battuto gli sembrava quasi di entrare in un mondo diverso da quello in cui vivevano normalmente, un mondo magico e lontano dalle altre persone. C'erano solo loro.
 
E anche quella volta erano loro due da soli. Bastò un'occhiata per capire cosa fare: Ren fu il primo a scavalcare il cancello, dando poi una mano a Masato una volta raggiunta la sommità. I loro gesti erano facilitati data l'altezza e la maggiore tonicità fisica che con gli anni avevano raggiunto, per questo, in pochi secondi, avevano scavalcato.
 
Si sorrisero prima di saltare dalla parte opposta e atterrare in quel luogo tanto inospitale ma ai loro occhi cosi accogliente. Masato non si sentiva così bene da tempo, quasi stava dimenticando tutte le sofferenze a cui erano andati incontro in quel periodo, sollevato di poter tornare a respirare dopo tanto tempo, anche se sapeva bene che i problemi erano dietro l'angolo e non bastava certo oltrepassare un cancello per poterseli lasciare alle spalle una volta per tutte.
 
Ma in quel momento non era ai problemi che voleva pensare. Rivolse tutta la sua attenzione al ragazzo di fianco a lui: i capelli biondi gli ricadevano lungo le spalle e lui avrebbe tanto voluto accarezzare quelle ciocche che immaginava come velluto al tocco; gli occhi azzurri resi ancora più accesi, quasi eterei, dalla luce del tramonto e lui avrebbe tanto voluto immergersi in quelle pozze di oceano così profonde e meravigliose.
 
Era tanto assorto nel contemplare la figura del ragazzo che nemmeno si accorse di quando questi si rivolse a lui.
 
«Hijirikawa, perché continui a fissarmi in quel modo?»
 
«Eh?», gli sembrò di cadere dalle nuvole e ripiombare all'improvviso sulla terraferma. E l'imbarazzo si faceva anche sentire prepotente.
 
«N-no, niente. Non ti stavo fissando», sussurrò di rimando, distogliendo subito lo sguardo e sperando che il lieve rossore che ora gli colorava le gote potesse essere scambiato per i riflessi del sole.
 
«Ma immagino tu non abbia capito una parola di ciò che ti ho detto, sbaglio?» In quell'istante, Masato avrebbe fatto qualunque cosa pur di togliere quel sorriso sornione da quella faccia da schiaffi. Era irritante, soprattutto perché quella faccia da schiaffi aveva decisamente ragione.
 
Decise di non dire nulla, attendendo paziente - e sempre col volto girato dalla parte opposta al ghignetto soddisfatto di Ren - che lui ripetesse senza il bisogno di sentirselo chiedere.
 
Sentì il biondo sbuffare, sicuramente per divertimento più che per irritazione.
 
«Ho solo detto che mi era mancato questo posto», la sua voce pareva lievemente malinconica, mentre il suo sguardo si perdeva ad ammirare le grandi vetrate e poi il giardino incolto attorno a loro, fino a raggiungere gli alti alberi che delimitavano tutto il confine della dimora, perdendosi, nel retro, alla vista.
 
Masato si voltò, seguendo con gli occhi il percorso fatto da quelli di Ren.
 
«Già, anche a me.»
 
Si sentì nuovamente prendere per mano e, questa volta, nonostante il leggero imbarazzo fosse sempre presente, non distolse lo sguardo, anzi, incontrò quello di Ren che, con un sorriso e un bagliore sereno negli occhi, lo invitava a seguirlo nuovamente.
 
L'erba alta raggiungeva quasi le loro ginocchia, ma non vi fecero caso e si incamminarono verso il retro del grande edificio. Là, contornato completamente dagli alberi così da essere invisibile agli occhi esterni, si apriva un grande appezzamento di terra, interamente ricoperto di verde.
 
Quando erano piccoli andavano sempre a giocare in quel prato, all'epoca più curato grazie a un vecchio giardiniere affezionato a quel luogo. Ma con la morte dell'uomo, quel prato di un verde lucente era rimasto incolto, così come gli alberi ai lati, i cui folti rami si piegavano sotto il loro stesso peso.
 
Ma tutto in quel posto, anche dopo anni, portava loro alla mente i bei ricordi di quando erano bambini.
 
«Che nostalgia...», si ritrovò a sussurrare Masato, ricevendo una carezza sul braccio come risposta da parte di Ren, modo per fargli capire che condivideva in pieno il suo stato d'animo.
 
Sentì la mano di Ren salire luogo il suo braccio, toccargli in punta di dita la spalla e carezzargli placidamente l'incavo del collo. Masato voltò la testa in sua direzione e incatenò lo sguardo con quello del biondo: i suoi occhi lo scrutavano, come se volessero leggergli nel profondo dell'animo, magari cancellare ogni paura e fare strada solo a sentimenti positivi, di affetto.
 
La sua mano risalì ancora sul collo di Masato per poi posarsi sulla sua guancia delicatamente, quasi avesse paura di rovinare quella pelle lattea se l'avesse toccata con troppa insistenza. Cominciò a muovere lentamente il pollice in piccoli movimenti circolari, accarezzandogli in questa maniera lo zigomo liscio, senza mai staccare lo sguardo da quello sorpreso di Masato.
 
«Jinguji...», un sospiro, un battito di ciglia, e le labbra si incontrarono, delicate e soavi, in un bacio così casto che inizialmente parve effimero.
 
Le bocche si sfioravano, mentre i respiri si mescolavano e potevano sentire l'uno l'odore dell'altro sulla propria pelle. Gli occhi chiusi di Masato che si stringevano come per sottrarsi a quel dolce contatto. Posò le mani sulle spalle di Ren cercando di spingerlo un poco indietro e il biondo, accontentandolo, si separò da lui.
 
Cercò di guardarlo negli occhi, nonostante Masato evitasse in ogni modo quel contatto visivo: teneva lo sguardo basso, le sopracciglia aggrottate dovute probabilmente a un pensiero insistente che non voleva lasciargli la mente.
 
Allontanò le mani dalle spalle di Ren e se le fece ricadere lungo i fianchi.
 
«È difficile restare a guardare davanti a tutto questo schifo.» Fu appena un sussurro il suo, ma ben udibile alle orecchie di Ren che non poté far altro se non annuire alle parole gravi del ragazzo. Questi strinse i pugni, come a contenere ciò che avrebbe realmente voluto dire, perché non era quello l'insegnamento che gli avevano dato i suoi genitori in tutti quegli anni.
 
Il suo odio, la sua rabbia, il suo disprezzo non potevano essere lasciati liberi di sfogare, ma non potevano nemmeno trovare pace in lui, dal momento che non riusciva a trovare una sola buona ragione per sopprimerli.
 
«Non pensiamoci, non ora. Non... qui. Questo posto è immune all'esterno, ricordi? Lo dicevamo sempre da piccoli.»
 
Alzò lo sguardo verso Ren, sorpreso di sentirgli dire parole simili. Questa volta era lui a tenere gli occhi ben puntati in basso, verso l'erba alta ai loro piedi.
 
Non avevano ancora realizzato veramente cosa fosse accaduto, la notizia di quella mattina li aveva colti impreparati. Nessuno dei due era pronto per capire davvero le conseguenze di ciò che era successo, nessuno dei due, forse, non era nemmeno in grado di farne fronte. Per questo motivo erano lì, per non pensare a ciò che stava succedendo, per non ricordare cosa avevano sentito.
 
Per provare a scordare, anche solo per un momento, la situazione in cui si trovavano e magari far finta che tutto fosse ancora come prima, come quando erano piccoli.
 
«Jinguji», lo chiamò Masato e l'interpellato, sentendo il suo nome, gli rivolse la sua attenzione.
 
Specchiarono i loro occhi gli uni in quelli dell'altro, così diversi di solito ma così simili in quel momento: vi leggevano preoccupazione, paura, smarrimento. La confusione in entrambi era tanta.
 
«Perché mi hai portato qui?», continuò Masato.
 
Ren sospirò, abbassando le spalle per poi prendere Masato per un braccio e convincerlo, nonostante le sue mute proteste iniziali, a sedersi insieme a lui sull'erba alta.
 
«Avevo bisogno di rivedere questo posto. Dopo ciò che è successo, non ne potevo più di vedere tutta quella desolazione là fuori. Volevo ricordarlo
 
Senza il pensiero della guerra in corso, senza la consapevolezza delle morti continue. Voleva solo ricordarlo nei momenti più belli e questo Masato lo aveva capito: Ren non era pronto ad affrontare l'argomento.
 
Avrebbe voluto ancora vivere nel passato, quando tutto andava bene, quando non avevano problemi.
 
Restarono un poco in silenzio, pensando a come le loro vite fossero cambiate nel corso degli anni. Guardando indietro, potevano contare nella loro mente centinaia di bei momenti da ricordare, mentre nel presente... quello pareva vuoto ai loro occhi, vuoto come quel cielo che si stava lentamente tingendo di blu sopra le loro teste.
 
«Giocavamo sempre qui insieme a lui. Ti ricordi?», fece Masato all'improvviso, destando Ren dai suoi pensieri.
 
«Certo, non potrei mai dimenticarlo.»
 
La nostalgia si faceva strada nelle loro menti, riportando alla luce episodi lontani, semplici ma che erano sufficienti, all'epoca, per essere felici.
 
Masato e Ren erano soliti giocare in quella villa abbandonata, ma non da soli. C'era sempre un altro bambino che li accompagnava: se ne stava la maggior parte del tempo in disparte, un po' sulle sue; era un tipo solitario e diffidente con le persone che non conosceva, ma loro avevano imparato col tempo come trattarlo ed erano riusciti a instaurare una solida amicizia.
 
Masato alzò il braccio indicando un punto alla sua destra, vicino a un albero, prima di riprendere a parlare.
 
«Kurosaki si stendeva sempre lì mentre noi due giocavamo a nascondino», un lieve sorriso nostalgico era apparso sulle sue labbra, identico a quello sul volto di Ren che aveva seguito con lo sguardo il dito di Masato verso il punto indicatogli.
 
«Già. E si divertiva anche a rivelare dove ci eravamo nascosti. Era sleale», ridacchiò leggermente il biondo al pensiero.
 
«Non penso abbiamo mai concluso una volta quel gioco a causa sua», si unì Masato, il sorriso ancora più accentuato da questo mare di ricordi che lo stava investendo.
 
«E come penitenza finivamo sempre per fargli il solletico.»
 
Una brezza leggera scompigliò i capelli di entrambi mentre le loro voci scemavamo sul calar della notte. Era bello ricordare, ma al tempo stesso faceva tremendamente male.
 
Masato strinse i denti, avvicinandosi impercettibilmente a Ren e fissando apatico un punto a caso di fronte a sé.
 
«È morto.»
 
Attimi di silenzio seguirono la sua esclamazione. I due ragazzi restarono immobili come a registrare quell'informazione che già sapevano, mentre il vento si portava via quelle due dolorose parole. A Masato doveva essere costato uno sforzo immane pronunciarle, Ren questo lo sapeva bene perché non era certo sarebbe riuscito a dirle lui stesso nell'immediato.
 
«Già», rispose semplicemente, monotòno.
 
«Non sentiremo più la sua risata.»
 
Ren inspirò profondamente una boccata d'aria, come se stesse capendo solo in quel momento il significato di quelle parole.
 
«Lo so.»
 
«Kurosaki è morto.» Sospirò, Masato, di rassegnazione e tristezza per l'ennesima vittima che quella guerra aveva portato e per la perdita di un loro grande amico. Era stanco di tutto ciò. Chiuse gli occhi, sentendo le braccia di Ren avvolgerlo e cercando di rilassarsi contro il suo petto.
 
«Perché è successo?», continuò Masato, la voce leggermente roca pareva un flebile sussurro alle orecchie di Ren che si ritrovò a mordersi appena le labbra, non sapendo esattamente come rispondere a quella domanda. Non c'erano spiegazioni, questa era la verità.
 
«Non lo so. Ciò che è successo... è tutto così orribile, Hijirikawa. Talmente tanto che non penso noi ne comprenderemo mai il motivo.»
 
Strinse d'istinto più forte a sé Masato, che, nonostante il crescente imbarazzo per quella posizione, accennò un sospiro di sollievo percependo il calore del corpo del biondo contro il suo. Era rilassante.
 
«È così freddo questo mondo. La gente muore in continuazione e questo per mano di altra gente. Ci si dovrebbe stringere, tenere per mano... bisognerebbe scegliere di scaldarsi con l'amore e l'affetto e non uccidersi per un odio inesistente.»
 
Ren rimase per un attimo in silenzio, come se stesse riflettendo mentalmente sulle cose appena dette da Masato.
 
«È vero, in questo mondo tutto è troppo freddo. Restano solo le stelle. Le stelle e noi. Questo ci deve bastare.» E sorrise appena allo sguardo confuso dell'altro che si era scostato un po' da lui spingendosi indietro con le mani appoggiate al suo petto per poterlo scrutare meglio.
 
«Che intendi dire?»
 
«Che, finché saremo insieme e avremo qualcosa da guardare per darci speranza, non abbiamo bisogno di niente. Le stelle sono calde, anche più del sole se vuoi, perché ci guardano in milioni anche quando noi non possiamo vederle. Ci guardano e portano con loro il nostro stesso segreto, lo custodiscono.»
 
Posò quindi una mano al petto di Masato, all'altezza del cuore.
 
«E anche noi siamo caldi, Hijirikawa, siamo vivi. Lo sentiamo questa notte e continueremo a sentirlo anche domani e dopodomani e il giorno dopo ancora. Concentriamoci su questo.»
 
Masato prese la mano di Ren tra le sue, le dita che gli tremavano impercettibilmente, se per la profondità delle parole udite o per il peso che stava dando alle stesse non lo sapeva nemmeno lui. Baciò appena le nocche di quella mano morbida, mentre Ren, stupito, lo fissava con occhi amorevoli, come fosse un cucciolo che aveva solo avuto bisogno di sapere che qualcuno, in quel mondo, era ancora con lui, che qualcuno si preoccupava per lui e teneva a lui.
 
E, senza pensarci troppo, Ren diede voce ai sentimenti che provava e alla richiesta che sembrava premere insistente sulle sue labbra da quando erano arrivati in quel posto.
 
«Voglio fare l'amore con te.» Un solo desiderio ma che rappresentava un grande passo.
 
Masato abbassò d'istinto lo sguardo da quello di Ren, troppo imbarazzato dalla richiesta che gli era appena stata fatta e, rosso in viso, cercò di articolare qualche parola.
 
«P-perché adesso?»
 
«Ho bisogno di sentirti il più possibile vicino a me, ho bisogno di te. Per sentirmi vivo, io... ho bisogno di te.»
 
Masato si riavvicinò al corpo di Ren, le mani ancora strette attorno a quella dell'altro, e alzò il volto, incrociando poi con lo sguardo gli occhi azzurri del compagno: era serio, incredibilmente serio, ma allo stesso tempo poteva scorgervi tutto l'affetto che provava per lui.
 
Gli posò una mano su una guancia e quel gesto sembrò dare il permesso a una serie di tocchi di susseguirsi. Era bello sentire la pelle l'uno dell'altro sotto i polpastrelli, sentirsi così vicini per la prima volta in vita loro e scoprirsi più intimamente di quanto non fossero mai andati.
 
Si spogliarono, appiattendo incuranti l'erba coi loro corpi, ricercando un contatto sempre maggiore. Si bramavano, si desideravano, chiedevano di diventare l'uno dell'altro per una notte. Volevano dimenticare, per qualche momento, l'orrore di tutto ciò che li circondava e perdersi nei sentimenti che animavano il loro rapporto. Volevano amarsi.
 
I tocchi divennero ben presto avidi, i baci bollenti e sempre più passionali li portarono ben presto a desiderare di più: non bastava il contatto, volevano appartenersi, fondersi l'uno con l'altro, diventare quasi una sola persona.
 
«R-Ren...», un sospiro bisognoso lasciò le labbra di Masato, il quale, con la mente annebbiata dalla passione, non aveva fatto caso al modo in cui l'aveva chiamato. E Ren, d'altra parte, non aveva mai sentito il suo nome essere pronunciato con una tale dolcezza, scivolando quasi via dalla bocca del suo ragazzo.
 
«Dillo ancora, Masato... ripetilo.» Era strano sentirsi per la prima volta pronunciare a vicenda i loro nomi; secondo gli insegnamenti delle loro famiglie non era consono, neanche tra coetanei, non chiamarsi per cognome - insegnamento a cui erano stati abituati fin da piccoli -, ma in quel momento sembrava la cosa più giusta da fare. Ed era infinitamente bello.
 
«Ren...»
 
E presto i sospiri si trasformarono in gemiti, soffocati l'uno nella bocca dell'altro, mentre le carezze si facevano più brucianti sulla pelle e i corpi scivolavano uno sull'altro fino ad aderire perfettamente.
 
Ren penetrò lentamente Masato, senza fargli male, mentre questi apriva un po' di più le gambe sentendo come quel piacere così intenso, che soffocava ogni paura, ogni dissenso, ogni tristezza, si faceva largo in lui, fino a scavargli nelle viscere, fino a infrangersi nel suo corpo, colpendo sempre più in profondità. Fino a raggiungere l'anima.
 
 
 
~·~
 
 
 
La notte era ormai calata. Sopra di loro il cielo oscurato da dense nuvole sembrava avvolgerli, come una calda coperta. Non era freddo, ma data la leggera frescura della brezza notturna si erano subito rivestiti, rimanendo comunque distesi l'uno tra le braccia dell'altro.
 
Masato muoveva le dita sul petto di Ren, disegnando ghirigori fantasiosi mentre si lasciava cullare dal respiro ora quietatosi del biondo.
 
«C'è troppo silenzio. A cosa pensi?», chiese poi, infrangendo quella muta atmosfera.
 
Ren lo strinse un po' più a sé, come se in quel modo avesse voluto trasmettergli molte più cose di quante le sue labbra ne avrebbero potute dire.
 
Passarono secondi che a Masato parvero interminabili prima che il biondo parlasse, dando voce a pensieri che per troppo tempo si era tenuto dentro. La situazione si stava chiarendo anche per lui e la consapevolezza si stava facendo strada nella sua mente.
 
«Non doveva finire così. Kurosa-... Ranmaru non doveva morire. Non è giusto.»
 
«Tante cose non sono giuste a questo mondo, ma le nostre critiche non hanno valore alle orecchie dei sordi.»
 
Ren sollevò lo sguardo verso Masato. Negli occhi aveva solo i capelli blu del ragazzo adagiato sul suo petto, il quale, sentendosi lo sguardo del maggiore addosso, si decise a spiegarsi.
 
«Questo mondo è marcio, Jinguji. Le persone si pongono degli obiettivi e non si fermano davanti a nulla per raggiungerli, calpestano tutto e tutti, diventano sordi e ciechi pur di perseguire i loro scopi. Viviamo in un mondo marcio perché marce sono le persone.»
 
Ren sospirò tristemente.
 
«Non tutte, Hijirikawa, non tutte. Fintanto che ancora qualcuno la pensa come noi, sa distinguere tra giusto e sbagliato e sa trovare del bene nel cuore delle persone, allora non tutto è perduto. Non è il mondo a essere marcio, bensì il sistema. Kurosaki è stato schiacciato da un sistema che l'ha obbligato a uccidere come fosse una macchina... non se lo meritava, come non si merita di morire nessuno per una causa come questa. Ma ciò non vuol dire che non ci sia del bene in questo mondo, basta solo trovarlo.»
 
«Trovare del bene? Io non so nemmeno più dove cercarlo.» La sua voce era ormai ridotta a un roco sussurro.
 
«Nel cielo.»
 
Masato puntò lo sguardo in aria, verso quel blu intenso che sembrava li risucchiasse.
 
«Non c'è niente nel cielo. È solo una superficie vuota che ci inghiotte. Le stelle che dici essere così calde non ci sono.»
 
«Non è vero. Guarda oltre quella superficie vuota, oltre le nubi, oltre le ombre. Là ci sono le stelle. Ci sono sempre anche se noi non le vediamo. Il cielo di notte è un po' come le persone: spaventoso in superficie, ma se riesci a guardare oltre lo puoi trovare meraviglioso.»
 
«C'è chi questa parte di sé l'ha sepolta per sempre però.»
 
«È vero, ma tu non devi fare la stessa cosa. Non farti accecare dall'odio di un mondo troppo occupato a farsi la guerra da non accorgersi di tutte le sofferenze che si sta lasciando dietro e di tutte le vite che invece porta a forza con sé. Non farti soggiogare dai cattivi pensieri, perché quelli... quelli ti uccideranno più di qualunque fucile o bomba che sia. Resta sempre ciò che sei.»
 
Si sentiva gli occhi umidi, Masato, per lacrime di insofferenza e frustrazione che chiedevano insistentemente di uscire.
 
«È tutto così... dannatamente ingiusto», sputò fuori le parole a stento, artigliando la maglia di Ren per la rabbia e strattonandola leggermente verso di sé.
 
«Già.»
 
«Tu mi starai accanto?», chiese poi con voce rotta, affondando il viso nell'incavo del collo di Ren.
 
«Fino all'ultimo respiro.»
 
 
 
~·~
 
 
 
La mattina li colse di sprovvista, con qualche raggio filtrato dalle nubi che li colpì dritto in volto.
 
Si erano addormentati, passando l'intera notte su quel prato, abbracciati come se non ci fosse un domani, come se davvero fossero stati in grado, per qualche ora, di fuggire alla realtà di tutti i giorni.
 
«Buongiorno», fece Ren, accompagnando la voce ai gesti e dando un leggero bacio sulla tempia a Masato. «Dormito bene?»
 
Quello si stiracchiò un poco, volgendo lo sguardo ancora assonnato verso l'altro ragazzo. «Come non facevo da tempo. E anche il buongiorno è stato migliore del solito», sorrise leggermente, per poi tirarsi su, subito accompagnato da Ren.
 
«Dobbiamo andare. Alla radio dicevano che anche oggi potrebbero attaccare.»
 
Lo sguardo di Masato si adombrò in un istante, mentre seguiva Ren verso il cancello della grande casa. Lo scavalcarono, attenti a non farsi vedere, anche se come sempre da quelle parti non passava mai nessuno, soprattutto in quel periodo.
 
Percorsero la strada di ritorno in un silenzio quasi irreale per loro. Probabilmente entrambi stavano ripensando a Ranmaru, alla lettera che il giorno prima era stata recapitata alla famiglia Kurosaki, dove vi era scritto che era morto in guerra. Oppure pensavano a cosa sarebbe successo quel giorno, a come sarebbero andate avanti le loro vite da quel momento in poi.
 
D'istinto Masato cercò la mano di Ren, senza guardarlo in faccia. Aveva solo bisogno di sentire che lui era ancora lì, che erano ancora insieme, e Ren fu più che felice di stringergliela, intrecciando le sue dita con quelle più sottili e affusolate di Masato.
 
Ren gli aveva sempre detto che aveva le mani di un pianista, sarebbe stato bello se dopo la guerra fosse riuscito a convincerlo a prendere lezioni. Sicuramente lui lo avrebbe accompagnato e sarebbe restato ad ascoltarlo. Era certo che sarebbe stato un pianista bravissimo.
 
I pensieri di Ren furono interrotti dall'arrivo a casa Hijirikawa: dovevano separarsi.
 
«Ci vediamo dopo al rifugio», cominciò il biondo.
 
Masato guardava in basso, continuando a tenere salda la stretta con la mano di Ren. Non era pronto a lasciarlo andare, aveva paura. Non sapeva bene nemmeno di cosa, ma aveva un brutto presentimento, come se Ren non sarebbe stato al sicuro se si fosse allontanato da lui.
 
«Hijirikawa, non preoccuparti, tornerò presto, insieme alla mia famiglia.» Gli sorrise, accarezzandogli una guancia con la mano libera.
 
Gli scoccò un veloce bacio sulla fronte, il timore di essere visti sempre presente - accentuato dal fatto che si trovavano di fronte la casa di Masato -, per poi voltarsi, pronto a dirigersi verso la sua, di casa.
 
«N-non andare.» Quelle parole sembrarono quasi una preghiera alle orecchie di Ren, il quale si girò nuovamente verso Masato. Sul suo volto vi lesse solo una sincera sofferenza e profonda preoccupazione.
 
«Tranquillo, ci ritroveremo presto. Tu segui la tua famiglia fino al rifugio, io ti raggiungerò lì il prima possibile. Tornerò da te, te lo prometto.»
 
Masato rimase immobile qualche secondo, senza dire una parola, finché non puntò il suo sguardo su quello di Ren. Lo prese per un braccio, costringendolo ad avvicinarsi a lui. Si alzò quindi un poco sulle punte dei piedi, prendendogli il volto tra le mani, per stampargli un casto bacio sulle labbra.
 
«Ti amo, Ren.»
 
Un sorriso amaro si formò sul viso del biondo: quelle parole sulla bocca di Masato sapevano tanto di addio, ma per Ren non era ancora giunto il momento di mettere la parola fine.
 
«Dimmelo quando sarò tornato.» E con queste parole, gli scoccò nuovamente un leggero bacio sulle labbra prima di correre in direzione della sua casa.
 
Masato lo fissò allontanarsi, un'ombra di lacrime negli occhi, che però non avrebbe versato. Corse in casa, cercando di lasciarsi alle spalle tutti i brutti presentimenti, ma qualche minuto dopo, il sangue gli si gelò nelle vene.
 
La sirena d'allarme risuonò per le strade della città, insinuando il suo lamento in ogni vicolo ed entrando con prepotenza in ogni casa. Era il momento di recarsi al rifugio, anche se molto prima di quanto si sarebbe mai aspettato.
 
 
 
~·~
 
 
 
Se ne stava rannicchiato contro la parete, il corpo scosso da brividi incontrollabili e gli occhi rossi e gonfi per un pianto che ancora non voleva smettere.
 
Erano passate due settimane. I bombardamenti cessavano e riprendevano con continuità, non c'era spazio per respirare, tirare sospiri di sollievo o anche solo sperare che finissero. Ogni speranza veniva sempre infranta.
 
Ren era accucciato in quella posizione, le gambe portate al petto e la testa poggiata alle ginocchia. Lacrime calde gli rigavano le guance, mentre un sussulto scuoteva le sue spalle ogni volta che udiva un'esplosione, più o meno vicina.
 
Era terribile. La città era distrutta, milioni erano i civili morti a causa di quei continui attacchi aerei e ormai lui passava tutto il suo tempo al rifugio, sia per maggiore sicurezza, sia per la paura che gli attanagliava le viscere al solo pensiero di ritrovarsi là fuori.
 
Erano passate due settimane da quell’orribile giorno. Non riusciva a smettere di pensarci, non riusciva a non incolparsi. Se solo non se ne fosse andato, se solo fosse rimasto con lui, se solo l'avesse accompagnato al rifugio lui stesso... La sua testa era piena di se e non riusciva a capacitarsi come tutto ciò fosse successo.
 
Hijirikawa Masato, il suo migliore amico, il suo ragazzo, il suo compagno di una vita, la persona con la quale avrebbe voluto fare progetti per il futuro... Hijirikawa Masato era morto.
 
Gli avevano detto che all'improvviso era uscito dal rifugio antiaereo, che stava seguendo un bambino. Gli avevano detto che le bombe esplodevano in continuazione, che non avrebbero potuto fare nulla. Gli avevano detto che Masato, il suo Masato, era corso dietro quel bambino perché probabilmente voleva salvarlo, ma alla fine non era più tornato indietro.
 
Il suo Masato era rimasto ucciso da una di quelle bombe che ora cadevano imperterrite al suolo. Il suo Masato non c'era più.
 
E tutto ciò accadeva mentre lui era nascosto con la sua famiglia nel rifugio dell'edificio dove abitavano, perché il bombardamento li aveva sorpresi all'improvviso e non avrebbero mai potuto fare in tempo per raggiungere il rifugio esterno, molto più vicino invece a casa Hijirikawa.
 
Prese un respiro profondo, sussultando nuovamente all'ennesimo boato che proveniva dall'esterno. Sollevò la testa, fece scorrere lo sguardo tra le persone spaventate attorno a lui e per un attimo gli parve di vederlo. Ma fu soltanto un istante. La realtà era un'altra.
 
«È morto.»
 
Ormai la consapevolezza di ciò che era successo era ben radicata nella sua mente. Lui non sarebbe tornato, non c'era più, se n'era andato insieme a tutte le speranze e tutti i sogni che avevano.
 
Non avrebbe potuto sentirlo suonare, non avrebbe più potuto guardarlo mentre dormiva o assaporare la sua risata quelle rare volte in cui gliela lasciava udire. Non avrebbe più potuto abbracciarlo, toccarlo, baciarlo. E allora che senso aveva sperare in un futuro felice, se il suo futuro felice era sparito con Masato?
 
«Masato è morto.»
 
Altre lacrime silenziose gli percorsero le guance, mentre ricordava la sua voce soave ripetere quelle due parole, che tanto aveva bramato sentirgli dire, ma che lui stesso non gli aveva mai detto. E di questo se ne pentiva amaramente.
 
Nascose un'altra volta il viso sulle ginocchia, iniziando a ripeterle come un mantra, continuamente, in un sussurro.
 
«Ti amo...»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[ Purtroppo durante le mie ricerche per scrivere la storia non ho trovato informazioni riguardo rifugi antiaerei in Giappone, per cui ho usato il metodo di funzionamento italiano, che è anche quello che meglio conoscevo, dove appunto c’erano sia rifugi esterni che nei sotterranei di alcuni edifici (questo è il caso dell’edificio dove viveva Ren, appunto) ]
 

 
 

Note dell'autrice: innanzitutto voglio dire che è stata abbastanza dura completare questa fanfic, credo sia quella finora che più ho amato e più ho odiato scrivere (sì, so che vi sembra esagerato, ma è stata davvero durissima). Però nonostante tutto sono soddisfatta di ciò che ne è venuto fuori e spero possa piacere anche a voi! :)
Per il resto, devo dire solo che, dato il periodo in cui ho ambientato questa AU, ho deciso di far chiamare Ren e Masato tra di loro per cognome perché penso si addica di più per quel periodo. Naturalmente con le dovute eccezioni in particolari occasioni! ;)
Per quanto riguarda il finale, spero sia chiaro cosa è successo - ho sempre paura di non riuscire a spiegarmi al meglio in certe cose ^^" - e se vi state chiedendo il motivo per cui Masato sia fuggito dal rifugio... beh, non l’ho esplicitato perché naturalmente Ren non potrebbe saperlo, ma rileggendo la prima scena si dovrebbe capire bene! ;P XD
Grazie a tutti voi che avete letto, se siete arrivati fin qui per me significa già molto!
Un bacione a tutti e alla prossima! :**
Pinky_neko
  
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