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Autore: Ellie_x3    21/07/2015    4 recensioni
"Lucretia" fu certamente il primo e l'ultimo nome a sfiorare le mie labbra.
Lucretia, in una tomba di fango.
Lucretia, in vestito bianco.
Lucretia, cantava a bocca chiusa. In delirio.
Lucretia, viva e basta.
Che trascinò con sé nell'ombra anche me, il mio corpo ed i miei sentimenti.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Fourth Sight - London  

Whatever You’ve Lost, It Will Surely Return to You 



Vidi Lucretia.
La sognai, forse? 
  

“Stone so strong will last so long, last so long 
Stone so strong will last so long, My Fair Lady.” 

 


“Lucretia, Lucretia, Milord sta scappando.” 

 

Era la sua mano quella posata delicatamente sul legno del palco? Che Dio m'aiutasse, in un mondo senza Dio alcuno, erano i suoi capelli corvini quelli sfiorati dalla seta del sipario, come se un velo da sposa rosso sangue volesse renderle omaggio?  
Oh, ma io ero certo che non fosse più su questa terra. La ricordavo tra le mie braccia, il suo corpo abbandonato e il cuore immobile.  
Eppure Lei era lì. 
Bella come una strega in una notte senza luna, col sorriso appena accennato delle Fate nelle storie di campagna.
Ballava nei cerchi d'erba, la mia Lucretia, e aveva i piedi scalzi e sanguinanti. 


Ah, la fine d’una tragedia a teatro non segna che l’inizio della feroce vita reale, più terribile di qualsiasi rappresentazione.


Era Lucretia il mio fantasma, un Banquo in vesti funeree, un’Ofelia riemersa dal fango?

Non rimasi lì a lungo per chiedermelo: preso dal panico, fuggii. Calciai indietro la sedia muffita e lasciai la bottiglia di rum che mi aveva fatto compagnia durante lo spettacolo con l'unica intenzione di correre, correre il più lontano possibile senza voltarmi indietro. 
Una parte di me si chiedeva come Lucretia potesse essere bella anche nella morte e se non fosse stata sempre, dall’inizio, uno spirito mandato a tormentarmi. 

Mi passai una mano sulla fronte: le dita si bagnarono e sembrarono rattrappirsi al contatto con il sudore, che era freddo come ghiaccio. Mi era difficile ricordare dove fossi o cosa stessi facendo.  
I dettagli si confondevano: la strada fangosa, i muri di mattoni rossi. L'aria fetida.  

Alle mie spalle il teatro scuro e chiuso mentre davanti a me si apriva il dedalo delle tortuose, sporche vie dell’area portuale. 
Il gelo, non comune anche per quelle impietose serate del settembre londinese, mi tappava il naso e faceva fischiare le orecchie, mentre la foschia densa come fumo in un’oppieria offuscava la mente e gelava le mani. 
Non vedevo quasi più nulla. 
Ero certo di avere la più piccola parte del mio essere fuori, fuori, fuori. Fuori controllo. 
Fuori da questo mondo. 
Come un masso ero stato gettato nella palude dei racconti del terrore, dei fantasmi, degli esseri tornati dalla tomba per trastullarsi coi vivi. 
Ma la mia Lucretia... Lei, tra tutti?
Lei non poteva essere parte di quell'orribile famiglia.
 
Lei non doveva essere viva e non lo era; riposava nella sua tomba, gracile e graziosa com'era stata in vita, bella anche scarnificata dai ratti, intoccata anche con la carne corrotta dalle infiltrazioni.

Eppure l'avevo intrav
ista tra le tende del teatro.  

Ah, no. Era impossibile. 
Stavo diventando pazzo. La mia mente si stava rintanando nella follia per via del troppo dolore e cosí deliravo, credendo d'averla vista ed ero scappato e lei aveva detto "Aspetta" e io...Io...  

…Ora basta. 
Non riuscivo a mettere insieme pensieri coerenti, né a vedere dove stessi andando oltre il velo annebbiato della paura. 
Ricordavo che i cavalli avevano il dono di ritrovare la via per la scuderia in cui erano nati e cresciuti grazie al puro istinto; per la prima volta nella mia vita, pregai d'essere più bestia che uomo, e di trovare la strada di casa.

 

“E' un peccato, dolce Lucretia, davvero un peccato. Milord non ti vuole.” 
La voce nella mia mente canterellava, incessante, con le melodie soavi di Carne; nei suoi vestiti nuovi appariva quasi bello, anche se certamente non umano. Cantava e non si curava di me, del mio amore deluso, dell'essenza profondamente mortale del Suo terrore, del vuoto che avevo visto nei Suoi occhi. 
Milord non ti vuole.
Che parole crudeli sapeva dire quella creatura. 
Ombra, al mio fianco, mi teneva per mano. Le sue dita d’aria scura brillavano nella notte ed il sorriso disegnava una falce di luna candida.  
Come se si fosse accorto di aver detto una cattiveria, Carne mi guardò; si umettò le labbra e, sbattendo le palpebre come un animale perplesso, mi assicurò:
“Mia piccola, i Fratelli lo salveranno per te.” 

Quella promessa mi strappò un sorriso. 
“Ma oramai le luci del teatro sono spente, Carne.” Mormorai, alzando gli occhi alle stelle ammiccanti nei ritagli di cielo fra le nuvole. 
Erano cosí luminose e lontane, proprio come la vita che avevo conosciuto. Quella che avrei potuto avere, invece di essere solo Lucretia in un consunto abito da gitana, prigioniera di un bordello dove la moquette era sporca di piscio e le donne erano burattini.
“Non mi è sembrato che il mio sacrificio fosse stato compreso, o anche solo intuito. Non l'hai visto anche tu? È fuggito." sospirai, posando le mani in grembo. Giunte; forse, inconsciamente, volevo pregare. Mi domandai se Dio avrebbe sputato sulle preghiere d'una prostituta o su quelle d'un fantasma. "Forse hai ragione: Milord non mi vuole.” 

Da giorni, ormai, la terra era stata lavata via dal mio corpo che non puzzavo più di tomba: una donna era stata pagata per profumarmi, truccarmi, pettinarmi davanti ad un imponente specchio d'argento e avevo ucciso altri innocenti.
Qualcuno era morto per sfamarmi.  

Con un vestito che valeva più di quanto avrei mai potuto guadagnare, nero, dalla gonna ampia e dal corsetto stretto, ero rimasta in un angolo buio a guardare il mio amore che si struggeva per me, incapace di dargli ciò che desiderava. Avrebbe visto la vita, oltre il pallore della mia pelle? Avrebbe visto il sudario che mi stringeva sotto i bei vestiti da Regina? 
Quando avevo sperato di sollevarlo dal suo dolore e mi ero mostrata, Milord aveva indietreggiato; quando avevo iniziato a seguirlo, lui era scappato a me.

"Non vi lascerò mai. Non temete."

Bugie, Bugie, solo Bugie.
Non capite che non dovete mentirmi, amore mio?
Perchè continuate a 
mentirmi?


La mia apparizione l'aveva sconvolto tanto non fermarsi nemmeno alla solita oppieria con i balconi storti e cigolanti, quella che avevo scoperto essere la sua meta abituale dopo il teatro. 
Quella notte lui si guardava indietro, affannato, e sbatteva contro i mendicanti e i ragazzi di strada e i ladri, senza pensare che rischiava la vita in modo sciocco. Sentivo l'odore del sale sulla sua fronte imperlata di sudore, la terra che si accumulava sotto le sue scarpe mi ricordava quella della tomba.
Tutto per fuggire da ciò che avevo mostrato. 

Aveva paura di una sola cosa: io, che l'amavo ancora. 

 

 #
 

Mi guardai indietro, il più veloce possibile. Mi rispose una coltre nebbia bianca, fitta come una coperta, che sbiadiva le forme e ovattavai suoni.  
Una cosa, però, era chiara: d'improvviso il nero del progresso, che da anni si posava sui muri bianchi di belle case borghesi, avvea sostituito la muffa del porto.  
Porte londinesi si ammassavano una dietro l’altra, porte di cittá, porte benestanti. 
Sarei solo dovuto arrivare alla mia, che ormai non era così distante, e sarei stato salvo.  
Solo un altro metro ancora…pochissimo, ormai…oltre quella nebbia, dietro quella strada, sì, quella, poche case ancora e -- 
Affrettai il passo, e il cuore mi fece male dalla tanta felicità. Ma Lucretia era viva. Ah, eccola: nella coltre fitta di nebbia, lo spigolo bianco della casa dei Kingsley, il loro batacchio d'ottone. 
Nonostante la salvezza vicina lo sentivo, però, lo sentivo ancora: il rumore dei miei passi sull’acciottolato, il fiato freddo dei morti sul mio collo. 
Prima che me ne potessi accorgere, con un tonfo leggero, andai contro una giovane donna. Aveva il viso di Margery, la maggiore delle figlie di un notaio che soggiornava due isolati più in lá.  
“…Ah, mi scusi signorina.” Le dissi, prendendola per le spalle e spostandola da in mezzo alla strada, guardando oltre la sua spalla ossuta. 
“Signore, state bene? 
Margery- non ero certo fosse lei, con quella voce acuta e l'accento volgare delle città del sud, dove i gabbiani urlavano sopra le scogliere. Eppure il viso era il suo, senza dubbio. 
Le sorrisi, mi scusai, ma non mi fermai oltre.  
Lucretia avrebbe potuto raggiungermi da un momento all'altro. Anche se era morta. Anche se l'avevo vista morire. 
“Signore? Siete ubriaco!” sentii Margery urlarmi dietro.
Buffo: Margery non urlava mai.
 
Tuttavia non le prestai attenzione, poiché vedevo la mia casa. Sì, là, non era lontana, ancora qualche passo e l'avrei raggiunta. 
Il sorriso di una prostituta si disegnò nella luce spettrale della notte. 
“Gradisce, milord?” miagolò, facendo un passo avanti e inarcandosi in un inchino beffardo che metteva in risalto il corpetto. 
Non la guardai nemmeno. 
“No.” replicai,  incespicando e superandola di fretta, inebriato dalla salvezza e dalla presenza rassicurante del quartiere bene. Ero vivo. Ero salvo.  
“Sto andando a casa.” aggiunsi, in un pressoché inspiegabile moto di esuberanza, con il tono che può avere un bimbetto felice.  
Senza ascoltar risposta, proseguii. 

Sono quasi a casa, amore mio.

Nella notte, il suono cupo dei miei passi e quello sommesso di una risatina –che, mi resi conto, veniva da me.
 
Folle di gioia e potenza per aver sconfitto anche lei, anche la Morte, che con le sembianze della mia bella compagna sperava di trascinarmi con sé. 
E a questo non fece eco che la voce della prostituta, debole come un filo di vento. 
“Perdonate… Mi… Porto.”  
Non compresi le sue parole, ma non mi soffermai nemmeno.

Sto andando verso casa.

Chi fosse quella donna e che ci faceva in un quartiere abitato da persone per bene non
 era affar mio: proseguii, girai un angolo e un altro ancora. Proprio come i cavalli che ritrovano la strada di casa, la mia testa era un mondo sottosopra ma i miei ricordi mi guidavano verso la luce.
Il rumore di una carrozza, in lontananza, assomigliava quasi allo sciabordio di un’onda o una nave. Dovevano essere i ragazzi Kingsley che tornavano dal circolo. 
La nebbia si faceva più fitta, ma non importava: sorridendo tanto da cominciare a sentire un forte dolore alla mascella, intravidi i mattoni, le finestre, la porta. 
La mia casa. 

Mossi un ultimo passo e finalmente alzai la gamba per salire il primo dei tre gradini dell’ingresso. 
Poi fu il vuoto. 
E il freddo, e l'acqua, e i gabbiani.  

 #
 

Carne, seduto sul fumoso molo sul Tamigi, dondolava una gamba spaventosamente magra. 
Twinkle twinkle little star, only you can guide my path.” Lo sentii mormorare, a labbra strette, occhieggiando la superficie dell’acqua. Avevo l’impressione che potesse vedere oltre le onde, fin nel fondale. “Ma pare che la stella non abbia guidato Milord dove voleva.” 
Mi sporsi oltre la balaustra in ferro battuto: sembrava freddo, quell’immenso mare d’inchiostro, e il mio povero Milord vi annaspava dentro. All'idea, sentii lo stomaco stringersi in una morsa. Accecato da rum, paura e follia, sordo ai richiami di chi l'aveva voluto aiutare, annegava in un fiume senza parapetto in cui si era gettato da solo. 

Quanti ubriachi sono caduti nel Tamigi, morendo col sorriso sulle labbra? Quanti uomini vi si sono gettati, piangendo una persona cara? Ma no, Milord vi era inciampato come si inciampa su una pozzanghera. 

Era stato reso pazzo dalla mia vista, anche se non me ne ritenevo responsabile.
Bugie, solo Bugie.
Eppure, oltre tutte quelle bugie, io non potevo che amarlo.
“Non si può fare nulla?" domandai e mi morsi le labbra, con una fiammella di speranza accesa nell’animo. Poteva diventare come me, ora, e forse saremmo potuti vivere insieme sciolti dal giogo mortale. 
La mano invisibile di Ombra mi accarezzò i capelli.
"Sciocca, non è colpa tua. Era pazzo, era pazzo.” 

“Non lo era prima che mi mostrassi: era solo ubriaco e poi mi ha vista. Ora è caduto nel fiume.” 
“Milord è caduto nel fiume.” cantilenò Carne, sommestamente, piegandosi in uno scricchiolio d'ossa per vedere meglio nell'acqua turbinante, resa densa dai liquami del progresso. Sospettavo che potesse distinguere il corpo esangue di Milord, stordito dal freddo e dall'alcool. “Non piangere, Lucretia. E' caduto in un fiume con un ponte di ferro, ma che era un tempo d'argilla e di legno. Se sai quello che vuoi, chiedi ai Fratelli di salvare il tuo cuore.” 

Tirava un vento freddo, a Londra, per essere solo settembre.
Era stato evocato dal canto di Carne, forse? Quell'assurda presenza che sconvolgeva gli elementi, i Gemelli senza volto, senza alcuna anima oltre a quella della città stessa.  
Erano il London Bridge, e venivano sciacquati via ogni mattina dai raggi del sole per poi tornare la notte. 
Erano la Torre di Londra, maestosi nell'ombra e crudeli nelle segrete di pietra. 
Ma mi era affezionata, quell'essenza bifora che m'aveva salvata dalla tomba: la stretta impalpabile della mano di Ombra mi rasserenava e la cantilena di Carne garantiva le più dolci promesse. 

“Dovremmo salvarlo.” ripetè Carne, senza guardarmi. 
“Sarebbe un peccato non tentare, giusto?”  
Ombra annuì. 
“Un gran peccato, mia piccola.” continuò Carne, col viso coperto da ciocche di capelli disordinate, ancora rivolto all’acqua. Si chinò per immergere le dita nel fiume e, per un attimo, apparve come un feto rattrappito e scheletrico, una bestia d'ossa e bei vestiti. “E’ una gran fortuna che ci fossero i fratelli ad assistere al suo suicidio. Esprimi il tuo desiderio, mia cara: non è pericoloso se sai cosa vuoi.” 
Ci pensai su un istante, prima di lanciare uno sguardo a Ombra. Al posto degli occhi vi erano due buchi neri, e la bocca era come un ramo: diritta e scura. Mi sfiorò la spalla e, se fosse stato umano, avrei potuto definirlo incoraggiante. 
Presi, così, la mia decisione. 
“Vi prego, Fratelli.” esordii, prendendo un respiro profondo “Riservate a Milord la stessa cortesia che riservaste a me.”  


Oh, Dio, potrai mai perdonarmi?

Bugie, tutte Bugie.
Non tornerai mai a casa, sei troppo lontano.

Nessun essere umano si sarebbe mai avventurato fuori casa a quell’ora e, anche se fosse, eravamo protetti dalla nebbia chiamata dalla cantilena di Carne. 
Io, nonostante tutto, lo vidi benissimo: non appena formulai la mia preghiera, Carne alzò il capo con un movimento liquido che, guardandolo, si sarebbe detto troppo repentino per un essere umano. 
Sul volto scavato era disegnato un sorriso folle e gli occhi immensi erano più rossi che mai. 
Sibilò come un serpente e si alzò il vento e calò il gelo.   
Mi dannai con una preghiera. Non che mi importasse, dopotutto. 
“Richiesta accettata.” 

 

“Non piangere, bimba, anche se il gattino è caduto nel pozzo. Chiedi ai Fratelli di recuperarlo. 
E Lucretia, Lucretia era caduta nel pozzo. Chiese di essere salvata. 
E Milord, Milord è caduto nel Fiume.  
E le stelle, le stelle brillano in una notte di pioggia.

C’era un ponte fatto di sabbia, d’argilla, di legno e di sangue; Il pozzo è nato per i desideri, ma il ponte deve bruciare. 

 
 
Anima perduta, vuoi essere salvata?” 

 

 

   
 
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