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Autore: ellephedre    22/01/2009    25 recensioni
Un anno e mezzo dopo la battaglia con Galaxia, Ami Mizuno ha davanti a sé una lunga vita, un destino da guerriera Sailor e paure che preferirebbe dimenticare. Ma incontrerà chi la costringerà ad affrontarle. A vincerle.
"Ami Mizuno aveva capelli tanto scuri e lucenti da aver passato il limite del nero. Erano blu i fili corti che le adornavano la testa, schiariti da un sole che aveva deciso che il colore della notte era troppo cupo per lei. Una spiegazione romantica, a giustificare la differenza con le chiome corvine dei suoi genitori.
Sailor Mercury aveva il colore dei capelli di sua madre. Un poco più scuri, una differenza quasi irrilevante. Il taglio degli occhi era identico: grandi occhi dolci, le avevano detto le sue amiche, con lunghe ciglia e palpebre vispe che non si sarebbero mai azzardate a pesarle sullo sguardo. La bocca. Le era sempre piaciuta. La luce artificiale faceva brillare il rosa scuro delle sue labbra come un frutto maturo e delicato; il sole le donava la tonalità di un bel fiore in boccio."

Oltre il quarto capitolo la storia continua con delle scene.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ami/Amy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oltre le stelle Saga' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Nota iniziale: terza revisione dell'Aprile 2011.

Acqua viva

Autore: ellephedre

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 

La carezza di un dito le sfiorò il viso, destandola dal sonno.

Davanti agli occhi aperti ebbe un volto.

Nelle orecchie una voce infantile, la propria.

"Mamma"

Ami si svegliò, sopra di lei il soffitto che era mondo reale.

«Mamma...» Sussurrò la parola al silenzio quieto della mattina.

Mamma. Era stato il lieve mormorio di un altro tempo.

La madre della sua precedente esistenza - la donna che le aveva donato la sua prima vita - era tornata nei suoi sogni come un ricordo che metteva radici, impossibile da dimenticare.

Ami scostò il piumino e si lasciò colpire dall'aria fredda della stanza. Un brivido la percorse dai piedi nudi fino al collo scoperto. Si alzò, trovando le ciabatte dove le aveva lasciate la sera precedente. Percorse i pochi metri che la separavano dalla porta strofinandosi le braccia, per darsi calore. Sarebbero occorsi solo pochi secondi e un po' d'acqua per risvegliarla nella mente e nel corpo.

Entrò in bagno, il regno di piastrelle bianche e azzurre che le dava sempre serenità. Vi era una fantasia di barche e mare sulla superficie lucida della parete. Viaggi, orizzonti inesplorati, futuro.

Rimboccandosi le maniche, si sistemò di fronte al lavandino. Notò un'immagine davanti a sé, dove non aveva ancora guardato. Sollevò gli occhi.

Allo specchio Ami Mizuno la osservò di rimando.

Quello era stato il viso di un'altra persona. Ella si era fusa in lei e insieme erano diventate Sailor Mercury.

Ami Mizuno aveva capelli tanto scuri e lucenti da aver passato il limite del nero. Erano blu i fili corti che le adornavano la testa, schiariti da un sole che aveva deciso che il colore della notte era troppo cupo per lei. Una spiegazione romantica, a giustificare la differenza con le chiome corvine dei suoi genitori.

Sailor Mercury aveva il colore dei capelli di sua madre. Un poco più scuri, una differenza quasi irrilevante. Il taglio degli occhi era identico: grandi occhi dolci - le avevano detto le sue amiche - con lunghe ciglia e palpebre vispe che non si sarebbero mai azzardate a pesarle sullo sguardo.

La sua bocca. Le era sempre piaciuta. La luce artificiale faceva brillare il rosa scuro delle sue labbra come un frutto maturo e delicato; il sole le donava la tonalità di un bel fiore in boccio. Ancora una volta, era la bocca di Mercury. Della madre di lei.

L'angolo a cui piegò le labbra le fece nascere un primo dubbio. Vi era una piccola differenza nella curva calante. Eppure...

Sorrise allo specchio, a se stessa.

Lo aveva sempre saputo: non somigliava molto ai suoi genitori, all'uomo e alla donna del presente che, incontrandosi, l'avevano fatto rinascere. Non le avevano trasmesso le loro fattezze, ma avevano condiviso con lei esperienze, momenti, ricordi. Desideri simili. L'amore per la medicina di sua madre e l'ammirazione per l'arte di parole, suoni e immagini che la accomunava a suo padre.

«Tesoro!»

Si voltò verso la porta. Nel corridoio risuonarono passi rapidi, concitati.

Andò loro incontro, seguendoli fino all'inizio delle scale.

Al piano di sotto stava sua madre, i piedi che cercavano le scarpe posate sull'ingresso e le mani già infilate nella giacca. Aveva i capelli scompigliati.

Ami si permise un sorriso.

«La colazione è pronta!» Fu un grido pacato, amorevole, pensato per richiamare la sua attenzione.

«Sono qui, mamma.»

«Oh!» La sorpresa si trasformò in allegria: una mattina in cui si vedevano dava seguito ad un giorno in cui era più facile non sentire la reciproca mancanza.

«Oggi ho il turno di giorno.»

Amil lo aveva immaginato.

«E un'operazione importante alle quattro. Te ne avevo parlato, ricordi?»

Sì, il trapianto.

Scese dalle scale.

«Tornerò tardi.» Sua madre tornò indietro e la incontrò a metà strada. Le rubò un piccolo bacio dalla guancia. «Passa una buona giornata, tesoro.»

«Anche tu, mamma.»

In pochi secondi la porta di casa si aprì e si chiuse dietro l'ultimo sorriso benevolo di sua madre.

Il silenzio tornò intero, a farle compagnia dandole il buongiorno.

Stiracchiandosi, Ami sbadigliò. Si diresse in cucina e usò l'acqua del rubinetto per darsi una passata fresca sul viso.

Prese in mano la tazza sul tavolo ancor prima di sedersi. La portò alla bocca e si lasciò corroborare le membra dal tè caldo.

La colazione di Ami Mizuno, preparata dalla madre di Ami Mizuno, nella casa di Ami Mizuno. Non vi era errore o interruzione in quella semplice realtà.

Le cose sarebbero cambiate. Nel giro di qualche anno Sailor Mercury avrebbe dovuto presentarsi al mondo e ai genitori che ancora non la conoscevano. Loro avrebbero visto una figlia che non li rispecchiava? Avrebbero riconosciuto nei tratti dissimili dai propri una differenza troppo importante per essere ignorata? 

Se così fosse stato, a suo padre avrebbe mandato un disegno e a sua madre avrebbe regalato qualche parola semplice, sua. Sarebbe bastato a farla riconoscere come Ami, la figlia di entrambi.

Lei era Ami Mizuno. Ed era Sailor Mercury.

Non erano entità separate, benché avessero avuto inizi diversi che si erano congiunti in una sola vita appena tre anni addietro. Lei poteva indossare l'uniforme scolastica o la divisa da combattimento, ma era sempre se stessa: stessa mente, stesso animo.

Il problema era uno solo: la sua vita passata - bruscamente interrotta in tempi antichi - premeva per diventare la sua vita presente. 

Era passato un anno da quando lo aveva saputo, un anno da quando Mamoru Chiba aveva rivelato ad Usagi Tsukino che Crystal Tokyo e il Regno Argentato sarebbero tornati ad esistere in un periodo approssimativamente compreso tra i successivi cinque e dieci anni. Rei Hino - l'unica che fra le guerriere ad aver sempre avuto poteri di premonizione - aveva percepito anche lei come vera quella rivelazione e, col passare del tempo, era riuscita a stimare con maggior precisione l'arco temporale entro cui sarebbe accaduto tutto quanto. Due anni.

Contro le labbra il tè le sembrò improvvisamente freddo.

L'intero mondo avrebbe saputo che lei era Sailor Mercury in un periodo compreso tra i successivi quattro e sei anni.

Si sentiva pronta per quel ruolo, almeno in parte. Quando meno se lo era aspettata, da oramai molti mesi, i propri sogni le avevano portato immagini, suoni, particolari della sua vita passata. Erano serviti a ricordarle alcuni fatti importanti, non ultimo cosa volesse dire assumere il ruolo di Sailor Mercury - la posizione che aveva ereditato da sua madre, scomparsa da qualche decennio quando il Regno della Luna era caduto.

No, pensò, non temeva di assumere un ruolo caratterizzato da grandi oneri. Sarebbe stata in grado di fare molto per il suo mondo e per le persone che lo abitavano. L'enorme responsabilità la spaventava almeno quanto la entusiasmava e questo era sufficiente. Ciò per cui si sentiva molto meno pronta era tutto il resto.

Aveva combattuto contro alieni, mostri, entità malefiche inimmaginabili, eppure continuava ad andare a scuola, a voler diventare un medico, a desiderare una vita normale. Si sentiva normale, una comune ragazza terrestre. Nella sostanza, perlomeno.

Era quella parte di lei a guardare con timore al tempo che aveva davanti. Decenni. Secoli. Un millennio intero, tanto sarebbe durata la sua vita.

Le sue care amiche le sarebbero rimaste accanto fino alla fine dei suoi giorni. Ma i suoi genitori? Loro sarebbero morti tra circa mezzo secolo, anno più anno meno, come ogni normale essere umano.

Non era normale sopravvivere ai propri genitori per oltre novecento anni. Eppure, era proprio quello il destino di una guerriera Sailor. Una guerriera trascorreva la maggior parte della propria vita senza i propri genitori. Nasceva per prendere il posto del genitore da cui aveva ereditato il proprio potere. Lo aveva ricordato una notte di un paio di settimane addietro.

In lei la sorpresa si era unita alla tristezza, una mestizia malamente attutita da una consolatoria consapevolezza: una guerriera, paradossalmente, trascorreva assieme ai propri genitori un periodo più lungo rispetto ad un qualsiasi essere umano. Si trattava anche di un secolo intero in alcuni casi.

Era stato normale nell'antichità in cui era vissuta.

Aveva acquisito quelle informazioni sognando, ricordando il momento della propria... successione? Non poteva che chiamarla così.

Quel giorno lontano la sensazione che l'aveva pervasa era stata di gioia, di orgoglio. Quell'episodio non aveva rappresentato per lei ciò che significava ora, un passo in più verso la separazione da due delle persone più care al suo cuore.

No, ricordò, allora non aveva minimamente temuto di sopravvivere tanto a lungo alla propria famiglia.

Ma ora? Tra secoli e secoli avrebbe ricordato il bene che aveva voluto a sua madre, a suo padre? Avrebbe ricordato la loro voce, le loro parole, la loro presenza?

Come se non fosse una situazione gravosa già da sola, aveva un altro grande dubbio: avrebbe mai trovato qualcuno assieme a cui trascorrere la propria vita? Non era più la banale domanda che poteva porsi una ragazza comune. Non ricordava nulla di quell'aspetto della sua precedente esistenza.

Poteva solo ipotizzare. Ipotizzare che nell'antichità lunare l'aspettativa di vita media delle persone normali somigliasse a quella di una guerriera Sailor o, quantomeno, andasse ben oltre quella presente. Forse era quella, pensò, la situazione che si sarebbe venuta a creare sulla Terra una volta che il Regno Argentato si fosse consolidato.

Era realista e non le piaceva nutrirsi di false speranze. Sarebbero occorsi alcuni decenni - come minimo - prima che l'umanità si adattasse nella società e nella natura ad un cambiamento tanto radicale quanto epocale. Comunque dubitava che nell'antico regno la vita media degli altri esseri umani fosse arrivata a sfiorare i mille anni.

Unendo questa ipotesi a ciò che già sapeva, ovvero che avrebbe avuto una figlia solo nell'ultimo periodo della sua vita, arrivava a conclusioni che le piacevano poco: avrebbe incontrato il padre di sua figlia, della sua erede, solo col passare dei secoli. Avrebbe trascorso la maggior parte della sua esistenza da sola, perché lui non sarebbe mai riuscito a vivere quanto lei.

Non aveva senso quindi, non poteva essere proprio possibile, che lei lo incontrasse a breve.

Se tutte le sue ipotesi si fossero dimostrate corrette, ciò che l'attendeva negli anni a venire, nei decenni futuri, era... non conoscere l'amore. O conoscerlo e accettare che fosse destinato a finire con la sopravvenuta scomparsa di chi amava. Ancora più semplicemente, con la fine della relazione: non sarebbe stato facile per una coppia rimanere unita se uno dei due fosse rimasto eternamente giovane.

Posò la tazza sul tavolo. Non lasciò il manico.

Stava considerando come più importante il problema sbagliato. Non doveva preoccuparsi di una relazione già in piedi, quando da principio per lei sarebbe stato difficile intrecciare una qualunque relazione amorosa. Una volta che fosse diventata Sailor Mercury, ci sarebbe voluto del tempo perché non venisse vista solo come una creatura sovrannaturale, un essere da temere, per quanto rispettato.

E così... 

Fissò gli occhi sul nulla.

Chissà tra quanto avrebbe conosciuto l'amore.

Sentì l'aria che l'abbandonava in un sospiro di resa.

Non provava un bisogno spasmodico di innamorarsi.

Non ancora, almeno.

Non ancora, per fortuna.

Tuttavia, era triste pensare che per lei la possibilità fosse diventata più remota di un tempo.

Lasciò stare la tazza e iniziò a mangiare le fette di pane tostato abbandonate sul tavolo.

Non era da lei, pensò, essere così negativa. Riflettere troppo non le faceva bene. 

Inoltre aveva dentro di sé una convinzione profonda, più vera di qualunque problema: si sarebbe sistemato tutto quanto. Era come sentire la voce di Usagi nella testa, nel cuore, che glielo assicurava. Forse il suo atteggiamento ottimista l'aveva contagiata, ma da tempo nutriva le stesse speranze.

Un giorno sarebbe andato tutto bene. Come o fra quanto ancora non lo sapeva, ma nel frattempo...

Avrebbe vissuto ogni singolo giorno come aveva sempre fatto, al massimo delle proprie forze.

   


   

Lunedì.

Appena uscita da scuola corse alla biblioteca comunale. Aveva avuto un'idea su una teoria matematica di cui avevano parlato a lezione in mattinata. Il concetto le era già stato ampiamente noto, ma la spiegazione che il professore aveva offerto sull'argomento aveva messo in luce un aspetto particolare della teoria. La sua testa aveva iniziato ad elaborare possibilità ancora prima che lei stessa si fosse resa conto di dove voleva andare a parare.

La sua intuizione era tutt'altro che semplice e probabilmente si stava sbagliando, ma doveva consultare più testi, mettere su carta le idee e anche tentare di modificare qualche formula. Doveva provarci, esplorare l'idea. Quel giorno sarebbe stato un primo passo solamente, ma bastava il pensiero della ricerca a emozionarla.

Trovò una sedia vuota nella grande sala principale della biblioteca e posò sul tavolo la pila di libri che aveva recuperato. Sorrise di se stessa: aveva una mente talmente portata all'elaborazione di ciò che la circondava che probabilmente neanche un millennio sarebbe bastato a soddisfare la sua curiosità.

Si mise alacremente al lavoro.

Passarono i minuti, le ore. Le ombre divennero lunghe, fino a quasi sparire e mimetizzarsi con la luce al neon della sala.

Le sedie del tavolo di fronte a lei strisciarono contro il pavimento, distraendola brevemente. Se ne curò solo per un istante, concentrata sullo studio della funzione che aveva creato.

«Guarda quel tipo.»

Udì con tanta chiarezza il bisbiglio che per un attimo lo pensò rivolto a lei. Scorse con la coda dell'occhio due ragazze che confabulavano tra loro. Tornò a concentrarsi.

«Di chi parli? Oh... wow. È proprio bello.»

«Sì, ma mi riferivo agli occhi, guarda che occhi!»

«Aspetta... Hai ragione, che colore strano! Devono essere lenti a contatto.»

«Non credo. È solo straniero, guardalo bene.»

«Shh... abbassa la voce!»

«Tanto non mi sente. E comunque è straniero, non capisce. Vedi, sta persino leggendo in inglese.»

«Va bene, ma abbassa comunque la voce, siamo in biblioteca.»

Già.

«Che noiosa, non c'è praticamente nessuno.»

Seguì un brusio e il rumore di fondo smise di disturbarla. Il silenzio proseguì ed Ami riuscì a focalizzare l'attenzione sul proprio foglio.

«Sai, credo che andrò a presentarmi.»

Sospirò, rassegnata.

«Non ne avrai il coraggio!»

«Perché no?»

«Sono anni che corri dietro a Saiki e non glielo hai mai fatto sapere.»

«Perché devi ricordarmelo, scusa?»

«Per non farti dire cose che non pensi di fare.»

«Però vorrei farlo davvero questa volta. Dai, tirami fuori una scusa per andare a parlare con lui.»

Ami smise di ascoltare. Le voci delle ragazze si facevano sempre più stridule o era solo una sua impressione?

Trovava normale conversare un poco se si era in biblioteca con un'altra persona, ma a bassissima voce e per pochissimo tempo. Altrimenti fuori c'era il parco, dove si poteva urlare ai quattro venti di ragazzi carini e di scuse per parlarci. Dimostrandole di non essere d'accordo con lei, il parlottio continuò imperterrito.

«Scusate.»

A interrompere la chiacchierata era stata una voce maschile.

Cadde un improvviso e innaturale silenzio. 

Ami alzò gli occhi.

«Parlo perfettamente giapponese» stava dicendo un ragazzo alto, straniero, la mano appoggiata sul tavolo ad agevolarlo nello stare chinato verso le sue ammiratrici. Non le guardava con benevolenza. «Grazie dell'interesse, ma sono qui per studiare. Vorrei farlo in silenzio.»

Nelle bocche aperte delle due ragazze sarebbe potuto passare un treno di mortificazione.

Una delle due annuì e iniziò a raccogliere le proprio cose; l'amica si affrettò ad imitarla.

Finalmente.

Come se l'avessero udita, un paio di occhi chiari si posarono su di lei.

Il momento si protrasse per due soli istanti, ma furono sufficienti a far comprendere ad Ami cosa ci fosse stato da decantare in lui. 

Il ragazzo tornò alla propria sedia e a lei rimase impresso il suo atteggiamento.

Povere ragazze. Se fosse successo a lei, sarebbe sprofondata dalla vergogna. Naturalmente al loro posto lei non avrebbe mai fatto simili commenti ad alta voce, così vicina poi all'oggetto del discorso. In fondo se l'erano quasi cercata. Chissà quanto a lungo avrebbero ricordato quel momento di imbarazzo, di vergogna.

Sorrise. Non era stata un'esperienza piacevole per quelle due, ma quel piccolo errore di immaturità sarebbe stato ricordato con una risata negli anni a venire. Incontrare un ragazzo, sognare di uscirci, giocare con le amiche a parlare di lui...

Lei non doveva preoccuparsene più. Si era tormentata al pensiero di dover superare i suoi imbarazzi nel momento in cui un ragazzo l'avrebbe avvicinata, ma oramai le sembravano preoccupazioni... tenere. Belle persino, legate com'erano a sogni innocenti.

Il risveglio delle due ragazze era stato brusco, ma per loro quella era solo un'occasione andata male in una vita che avrebbe offerto a entrambe molte opportunità di quel tipo.

Un giorno tutte e due avrebbero incontrato qualcuno di importante.

Sarebbe successo persino a quel ragazzo: in futuro i suoi strani occhi verde-azzurro avrebbero guardato una sola persona con amore, trovando dolci comportamenti sciocchi che nel presente gli apparivano irritanti. Non sarebbe stato male se la prescelta fosse riuscita a farlo penare un po' prima di capitolare: a lui avrebbe fatto veramente tanto bene.

Ami Si mangiò le labbra, per non ridere. Anche in lei esisteva un po' di solidarietà femminile.

Ridacchiò in silenzio e tornò a concentrarsi sull'elaborazione della sua funzione.

 

Martedì.

All'uscita da scuola decise di svagarsi un po' e seguire Usagi. Vado a fare una sorpresa a Mamo-chan, le aveva detto lei ed Ami si era accodata volentieri. L'università di Tokyo, la Todai, era la migliore del paese, forse dell'Asia intera. Am aveva sognato di entrarci sin da quando era bambina; al coronamento di quel sogno mancava poco più di un anno, sedici mesi da far passare con trepidazione. Le visite al campus erano un'ottima occasione per mitigare l'attesa.

«Usagi?» Mamoru le scorse in mezzo alla gente.

«Mamo-chan!» Usagi si precipitò verso di lui, quasi saltandogli in braccio. «Visto che sono venuta a trovarti?»

Ami restò indietro di qualche passo.

Usagi era luminosa quando stava con Mamoru. L'intensità del suo sentimento catturava lo sguardo come la luce stessa. Per Mamoru valeva la stessa cosa e, nonostante lo conoscesse da anni, Ami non si era ancora abituata al modo in cui l'espressione di lui cambiava nel vedere Usagi, diventando più mite e al contempo intensa.

Usagi e Mamoru erano una coppia destinata a stare insieme per un millennio, finché morte non li avesse separati. Erano materiale da favola - eppure così reali da non suscitare in lei alcuna invidia per il loro destino. Quello che avevano - amore, felicità - era tutto ciò per cui lei si era ripromessa di combattere. 

«È una bella sorpresa» commentò infine Mamoru, girandosi verso di lei. «Ciao, Ami.»

«Ciao.»

Usagi si era attaccata al braccio di Mamoru. «Allora rimani qui?»

«Sì, do un'occhiata agli edifici.»

Mamoru e Usagi la salutarono, andando via. Ami si appoggiò contro il tronco di un albero.

Era quasi novembre e il cappotto che aveva indossato nascondeva la sua divisa scolastica. Non attirava l'attenzione tra gli studenti universitari e poteva starsene tranquilla in mezzo a loro.

Guardò da lontano il complesso di edifici che ospitava la facoltà di medicina.

A quel sogno non avrebbe rinunciato. La sua vita sarebbe stata totalmente rivoluzionata nel giro di qualche anno, ma voleva studiare medicina, più di tutto. Non sarebbe mai diventata medico - non con il peso del ruolo che avrebbe assunto - ma magari avrebbe potuto fare ricerca quando la situazione si fosse stabilizzata.

Lo aveva detto anche Usagi, no? Non c'era alcun bisogno che lei e le altre rinunciassero alle loro aspirazioni. Non ancora, almeno.

Osservò gli studenti che le passavano accanto.

Poter studiare ad alti livelli, circondati da persone che facevano altrettanto, sarebbe stato molto soddisfacente. Magari, una volta che fosse diventata una matricola, avrebbe potuto tentare di battere qualche record laureandosi molto in fretta, così da avere il tempo di fare un minimo di pratica prima che-

Lo aveva scorto solo con la coda dell'occhio, ma lo riconobbe immediatamente.

Il ragazzo del giorno prima.

Stessa faccia seria, stessi capelli castano chiaro - quasi biondi sotto la luce del sole.

Lui girò la testa verso di lei. Non le prestò più attenzione del giorno precedente e, senza fermarsi, continuò per la propria strada.

Le venne da ridere.

Un detto come 'il mondo è piccolo' assumeva finalmente un senso anche nel suo caso.

Decise di fare il giro dell'università e visitare anche altri spazi.

Mercoledì.

Dopo la scuola corse a comprare un libro.

Era il giorno di uscita del nuovo romanzo di uno dei suoi scrittori preferiti, un autore americano. Era stata fortunata e aveva trovato un negozio in cui il volume era disponibile già nella data di uscita della versione in lingua originale. Lo scovò su uno scaffale in bella vista, la copertina tanto attesa che spiccava tra le altre. Senza perdere tempo lo portò alla cassa. La lunga fila non la scoraggiò: avrebbe avuto tutto il tempo di gustarsi le prime pagine. 

Leggere era meraviglioso. Era come vivere vite diverse, sognare senza limiti. Niente avrebbe mai potuto toglierle quel piacere unico e indispensabile. 

«Il suo resto e lo scontrino.»

«Grazie.»

Bastò una parola per farle riconoscere il timbro della voce.

Dalla cima della fila spuntò il ragazzo del giorno precedente e di quello prima ancora. Lui la notò e - per la prima volta - si fermò a guardarla.

Ami era sicura di essere sbigottita quanto lui, ma non altrettanto divertita.

Il ragazzo sollevò in una mano il libro acquistato, un gesto che le sembrò un saluto. Il motivo le fu chiaro solo quando scorse la copertina: era il suo libro, quello che stava per comprare anche lei.

Lui sparì tra gli scaffali della libreria, diretto verso l'uscita.

Lentamente, Ami venne invasa da una piccola risata. Tornò ad aprire le pagine nel punto in cui aveva tenuto il segno, ma continuò a voler ridere.

In fondo non la divertiva proprio la mancanza di silenzio che aveva in testa? Se le sue amiche fossero state presenti, intorno a lei vi sarebbe stato tutto tranne che quiete.

Era come sentire le loro voci. Oh, se al suo posto ci fosse stata Minako, l'avrebbe già vista in strada, in piena rincorsa. Minako non si sarebbe lasciata sfuggire una preda del genere, non dopo tante succose occasioni. Rei neppure, a pensarci bene; senza essere troppo allusiva, anche lei avrebbe trovato un modo per iniziare una conversazione casuale. Makoto... Makoto avrebbe già detto che quel ragazzo assomigliava al senpai che era stato il suo primo amore. Somigliavano tutti in un modo o nell'altro all'ormai leggendario senpai.

Le sue amiche sarebbero state spontanee nelle loro reazioni e in fondo lo era anche lei. Lei al massimo guardava, tutt'al più considerava brevemente la possibilità di qualcosa per cui non avrebbe certo preso l'iniziativa. Ora aveva anche ottimi motivi per non prenderla mai.

Già, ricordò. Per lei tutte quelle coincidenze non erano che un enorme spreco.

Eccola lì, che continuava ad incontrare l'esemplare di sesso maschile più bello che avesse mai visto dal vivo... Arrossì. Tentò di frenarsi ma peggiorò la situazione.

Si scosse. Insomma, eccola, mentre continuava ad incontrare un ragazzo che frequentava l'università dei suoi sogni, interessato allo studio, che leggeva i suoi stessi libri e... non le serviva più incontrarlo.

Incupendosi, aggrottò la fronte e tornò a leggere.

 

Giovedì.

Di pomeriggio uscì con le ragazze a fare shopping.

Non era la sua attività preferita, ma era sempre divertente girare per negozi assieme a loro. Finiva col provare maglioni dei colori preferiti da Minako, minigonne consigliate da Makoto, camicette scelte da Rei e accessori che Usagi non faceva che metterle in mano. Quel giorno - come sempre quando usciva con loro - terminò l'escursione nel quartiere commerciale con due nuovi acquisti, un maglioncino azzurro e una bella gonna. Aveva smesso di tormentarsi per averli presi nell'esatto momento in cui li aveva pagati. Non aveva bisogno di nuovi vestiti, ma quelli le stavano davvero bene.

Seduta davanti ad una spremuta d'arancia, li rimirò nei sacchetti.

«Ami.»

«Hm?»

Appoggiata coi gomiti sul tavolo del locale in cui si erano fermate, Usagi le indicò l'entrata con un dito. «Là c'è un ragazzo che ti sta guardando.»

Ami si voltò immediatamente.

Era lui, sempre lo stesso ragazzo di quei giorni, in procinto di andare via.

Dietro i suoi occhi Ami intravide una riflessione che si sciolse in un sorriso aperto. Lui la salutò con una mano alta.

Lei ricambiò senza pensarci e lo osservò uscire dal locale.

Quando tornò a girarsi verso il tavolo, scorse di sfuggita l'espressione esterrefatta di Minako. Guardò Rei per capire ma non trovò aiuto, solo una sorpresa ancora più grande. Makoto e Usagi erano nella stessa condizione.

«Cosa c'è?»

Makoto sbatté le palpebre. «Ami... Dove hai conosciuto quel tipo?»

«Non lo conosco. Ci siamo visti per caso qualche volta.»

«Visti?» Il tono di Rei andò oltre la curiosità.

«Non ci ho neanche mai parlato.»

«Però ti ha salutata.» Minako aveva incrociato le braccia.

«Solo per essere gentile.»

Minako riportò in bocca la cannuccia del drink analcolico. «Sai solo tu come fai a rimanere tanto tranquilla.»  

«In che senso?»

Rei roteò gli occhi verso il soffitto. «Eppure sembrava guarita quando c'erano i Three Lights.»

Cosa c'entravano loro ora?

Usagi ridacchiò. «Ami, stanno solo cercando di dire che quel ragazzo era veramente carino. Quasi quanto Mamo-chan.»

Minako torturò la cannuccia. «Per te sono tutti secondi a Mamo-chan

«Ehi, solo io posso chiamarlo così!»

Makoto e Rei si unirono alla risatina di Minako ed Ami ne approfittò per tornare a sorseggiare la sua spremuta.

Non aveva voglia di parlare di ragazzi. Di quello in particolare.

Un colpo al tavolo la fece sussultare: Minako vi aveva sbattuto sopra i pugni.

«Ami, riprenditi! Quando una ragazza si trova davanti uno straniero bello come quello, almeno un po' si sconvolge.»

Scusate.

Il timbro grave della voce di lui le risuonò nella mente. «Parla giapponese.»

Gli occhi di Minako divennero fessure. «Non avevi detto di non averci mai parlato?»

Il tono accusatorio la fece sorridere. «L'ho solo sentito parlare.»

Minako abbandonò la testa contro il tavolo. «Ci rinuncio. Lei non lo cerca neanche e se ne becca uno così, mentre noi che passiamo a setaccio la città non troviamo uno straccio di fidanzato.»

«Non siamo fidanzati.»

«Sappi solo che se dovesse succedere...» Minako le mostrò un dito ammonitore, «dovrei eliminarti, Ami. Sarebbe chiaro che sei concorrenza pericolosa.» 

Le uscì una risata. Minako le faceva quell'effetto. La sua allegria, il suo entusiasmo... lei sognava ancora di trovare l'amore. 

Era bello vedere quel tipo di sogni riflessi negli occhi di qualcuno a cui voleva bene. In sé erano vita, speranza.

Ami non voleva distruggerli. Parlando dei suoi timori con le altre lo avrebbe fatto. Se loro non si erano mai preoccupate del futuro, non aveva senso rovinare la loro felicità.

Volle rassicurare Minako. «Non ti preoccupare.»

 

Venerdì.

Dopo le lezioni scelse di fare un giro per il parco prima di tornare a casa.

Il parco era pace. Lei adorava la pace, la meraviglia della natura che, nella sua infinita complessità, trovava un equilibrio costante, un'armonia, un ordine.

Passando sopra un piccolo ponte, si fermò a contemplare alcune anatre che, tranquille, nuotavano nel laghetto sottostante.

I colori delle loro penne erano simili, anche se con gradazioni e dimensioni delle macchie lievemente differenti. Forse se si fossero potuti intabulare quei dati sarebbero venute fuori le gradazioni di colore più diffuse con relative misurazioni. Era probabile che i dati fossero distribuiti secondo una curva... normale? Riportò alla mente un passaggio di teoria statistica e si rese conto che una distribuzione T di student avrebbe fatto maggiormente al caso suo.

Venne distratta da una figura che correva, che si avvicinava.

Non riuscì a credere ai suoi occhi.

Il ragazzo di quei giorni, in tuta da jogging, stava avanzando verso di lei. Lui la notò e si stampò in faccia un'espressione stupita, l'ennesima.

Ami si attese di nuovo un saluto divertito, ma questa volta lui non passò oltre. Rallentò invece, fino a fermarsi a pochi passi da lei. La osservò con quello strano paio di occhi chiari, un contorno scuro attorno a iridi azzurre che sfociavano nel verde. Mare tropicale, assolate spiagge da cartolina.

«Sai...» Lui accarezzò con un sorriso la parola. «Forse se ci presentiamo smetteremo di incontrarci.»

Le sfuggiva la logica dell'affermazione. E non le piaceva quella vicinanza tra loro, quell'incontro. 

Come se gli avesse chiesto di chiarire, lui continuò. «Sono cinque giorni di seguito che ci incontriamo. Tu non stai seguendo me né io sto seguendo te. Se il caso ha deciso che dobbiamo conoscerci, tanto vale accontentarlo.»

«Il caso è un insieme non ordinato di eventi. Non credo c'entri.» Alle sue stesse orecchie la risposta trasudò acidità.

Stranamente, a lui sembrò interessare.

«Mi chiamo Alexander Foster.»

Che bisogno aveva di presentarsi?

Non le lasciava neppure scelta: non ricambiare col proprio nome sarebbe stato maleducato. «Ami Mizuno.»

Lui annuì e... non disse altro. Nulla.

Lentamente, lo scorrere dei secondi cominciò a farsi pesante.

Sembrava una sfida sottile, un invito a parlare per prima. Per farsi avanti?

Sarebbe rimasto deluso. 

Gli uscì un sorriso consapevole. «Non lo chiedi?»

Hm?

«Perché parlo giapponese.»

«Suppongo che tu sia cresciuto qui, lo parli bene. Comunque è una domanda personale.»

«È vero. Però mi viene posta con una certa requenza da completi estranei.»

Come se a tutti dovesse interessare conoscere la sua vita privata. Ami preferì evitare di commentare e scelse la stessa soluzione che aveva adottato lui: il silenzio.

Affinché cogliesse il messaggio, lasciò vagare lo sguardo, sperando che presto se ne andasse.

Trascorsero lunghi istanti, ma lui persistette a restare fermo su un lato del suo campo visivo, immobile, in un posa che non trasmetteva un grammo di disagio. Iniziò a percepirlo lei: era sotto osservazione, valutata. Una qualunque reazione diversa dall'indifferenza sarebbe parsa una debolezza perciò, per distrarsi e mantenere la calma, focalizzò l'attenzione sulla distesa d'acqua dietro di lui. Era blu scuro, con una soffusa tonalità grigia. Acque invernali, spente. Belle.

La pervase una sensazione di quiete. L'acqua era proprio il suo elemento. 

«You are quite the strangest girl...»

Tornò alla realtà. Che bisogno c'era di parlare in inglese? «Ti capisco bene. Non è gentile.»

Nella sorpresa di lui non vi fu neppure un pizzico di vergogna. «Già, il libro era in lingua originale.» Piegò le labbra in un sorriso da cui era sparito il desiderio di giocare. «Quello che ho detto non voleva avere un'accezione negativa. Pensavo che sei molto strana solo perché non riesco a definirti e normalmente...» fece una pausa, «non mi è difficile. Comunque scusa.»

Lei si limitò ad annuire, cercando di non prestare attenzione alla serietà del suo tono.

Lui studiò la sua espressione per un altro lungo momento. «Allora... è stato un piacere conoscerti, Mizuno-san.»

«Sì» fu l'unica cosa che le uscì dalla bocca.

Lui riprese a correre e in pochi secondi fu lontano.

Lei rimase immobile.

Era come se fosse appena terminata una strana commedia. Avrebbe voluto trovarla divertente, ma non le riuscì.

Non ha senso, pensò. Non aveva alcun senso che continuasse ad incontrare quel ragazzo. Non che la sua irritazione fosse più logica: lui si era solo presentato, non le aveva certo fatto chissà quale avance. Non c'era alcuna ragione per collegare quei loro incontri alla possibilità di ...

Già, ammise a se stessa. L'unica ragione risiedeva nella sua testa: lui le piaceva. Le piaceva a quel livello superficiale che portava le persone a voler conoscere meglio l'oggetto del loro interesse. Non era solo il suo aspetto. C'era qualcosa nel modo in cui si poneva, nel modo in cui parlava, che... che...

Qualunque cosa fosse, non aveva senso esplorarla. Era meglio per tutti che non succedesse mai niente tra loro.

Non aveva senso neppure considerare cosa fosse meglio fare: siccome non esisteva alcun fato, lei non avrebbe mai più incontrato quel tipo.

Lanciò un'ultima occhiata alle anatre e si allontanò dal ponte, con calma.

 

Sabato.

A mezzogiorno andò all'ospedale a pranzare assieme a sua madre.

Durante quella settimana si erano viste poco. Riflettendoci, era una situazione frequente. Era stata lei stessa a proporre quell'incontro, nel tentativo di rimediare a quella mancanza. La proposta aveva strappato un sorriso a sua madre; per via degli impegni di entrambe, non pranzavano quasi mai insieme.

Sì, si disse Ami. Era ora di iniziare a trascorrere più tempo con la sua cara mamma. E avrebbe scritto a suo padre, magari sarebbe andata a trovarlo - per stare qualche giorno anche con lui - durante le vacanze che sarebbero venute.

Era un buon piano.

Uscendo dall'ufficio di sua madre decise di approfittare della bellezza del parco che circondava l'ospedale. Era una piccola oasi ben curata, pensata per il riposo della mente e del corpo. Accanto alla panchina a cui si avvicinò ne trovò un'altra molto più piccola e buffa, a misura di bambino. In preda a un istinto giocoso, vi si sedette sopra. Accucciata, si sentì a suo modo un gigante. La sediolina di legno le impediva di piegare le gambe e le permetteva di toccare il terreno con le mani, eppure... era divertente stare lì, quasi come se avesse la metà dei suoi anni.

Tirò fuori dallo zainetto il libro che si era portata dietro. Aveva terminato in un solo giorno la lettura del romanzo acquistato quello stesso mercoledì, ed era stata costretta a mettere in borsa un evergreen della sua biblioteca, un testo che non si sarebbe mai stancata di leggere.

Sul marciapiede risuonò un rumore di passi.

Ne udì tre - solo tre - ma seppe comunque chi era.

Non lo guardò, ma le gambe di lui si fermarono davanti ai suoi occhi.

«Non è possibile» lo sentì dire.

La risata quasi la offese.

Il suo silenzio doveva aver comunicato il suo disappunto, perché lui tossicchiò, a disagio.

Ami sollevò gli occhi. Lui era uguale al giorno prima - ovvero una specie di tortura costruita su misura per lei, pensata per tormentarla col pensiero di una tentazione irraggiungibile, amara proprio per quella ragione.

Il ragazzo lanciò un'occhiata verso la struttura dell'ospedale. «Non sei fuori dal pronto soccorso perché qualcuno che conosci si è fatto male, vero?»

«No. Mia madre lavora qui, sono venuta a trovarla.» Avrebbe dato meno spiegazioni se lui non le fosse parso preoccupato.

«Io sono qui perché un mio conoscente si è rotto un braccio. Gli stavo tenendo compagnia.»

Il commento più indicato le sembrò un cenno affermativo del capo, noncurante.

Lui inclinò la testa e concentrò lo sguardo su di lei. «Vieni spesso a pranzare in questo posto?»

Che domanda era? «No, mai.»

«Allora oggi ci siamo incontrati in luoghi che non frequentiamo in nessun altro momento. È la sesta volta di seguito... Pare che il caso cominci ad assumere un ordine.»

Il riferimento alle sue parole del giorno prima era palese. «Non c'è nessun ordine.»

Il tono piccato non lo scoraggiò. «Probabilmente no, tuttavia, giusto per coprire ogni possibilità... Sono al primo anno di fisica alla Todai.»

Eh?

«Se ora mi dici anche tu dove studi, potremo eliminare la variabile casuale dai nostri incontri. È un ragionamento privo di basi sensate, ma, se avremo qualche strumento per ritrovarci, non servirà più il caso per farci incontrare. Diventerà una nostra decisione.»

Decidere di incontrarlo nuovamente? Lei voleva tutto il contrario.

Lui la studiò. «Intendevo dire che potremmo anche decidere di non incontrarci mai più.»

«Sono al secondo anno, istituto Azabu.» Per un momento si pentì di aver risposto tanto in fretta, ma la possibilità di porre fine alla conversazione ke era parsa improvvisamente vicina. Lui - Alexander - annuì di nuovo. Rilasciò uno sbuffo, per metà divertito, per metà rassegnato e si chinò un poco.

«Visto che è l'ultima volta che ci vediamo, vorrei saperlo: detesti l'idea di incontrarmi di nuovo, è chiaro. È per qualcosa che ho fatto?»

Ami si vergognò come una ladra. Lui non aveva nessuna colpa dei suoi pensieri: fargli capire che non vedeva l'ora di sbarazzarsi della sua presenza era estremamente sgarbato. Non aveva mai trattato così male una persona. Prima di lui, d'altronde, non le era mai capitato di desiderare - anche solo un poco - una cosa che non avrebbe mai potuto avere. Non prima di qualche secolo, almeno.

«Volevo scusarmi, se era stato così.» Il ragazzo sembrava rassegnato. «Ma se non vuoi rispondere, non ha importanza.»

Ami si decise a riprendere un minimo di controllo. Inspirò aria pulita e un po' di buon senso. «Scusami per averti trattato male. Non dipendeva da te.»

No, lui non aveva proprio colpa se, oramai, l'unica cosa che lei era in grado di mostrare ad un ragazzo che le interessava era quanto le desse fastidio averlo intorno. 

«È un periodo...» Le mancò la forza per terminare. Si dedicò a guardare l'erba e inspirò profondamente, sconsolatamente, nel tentativo di mandare via la sensazione da cui veniva invasa ogni volta che lo vedeva. Rammarico.

Con la coda dell'occhio vide la gamba di lui che si muoveva - non per andare via, ma per avvicinarsi di un passo.

Cercò di raccogliere il coraggio di salutarlo, ma quello che vide nei suoi occhi le provocò una stretta al cuore.

Pietà. Compassione.

Ora era questo che provocava negli altri, solo a guardarla? Se solo lui avesse saputo quanto era gravoso il futuro che l'aspettava, l'avrebbe compatita ancora di più.

Incontrò la verità in quel modo.

Lei... si compativa. Da sola.

Fu un singolo momento di incredibile chiarezza - non voluto, pesante, opprimente. Minacciò di scoppiarle nel petto e tutto quello che lei riuscì a fare fu rimettere il libro nella borsa, agitandosi.

Doveva andare via da lì.

Le arrivò alle orecchie il suono di uno strappo.

Prima che fosse riuscita ad alzarsi, si ritrovò il ragazzo di fronte, inginocchiato a due passi di distanza. Lui le stava offrendo una... margherita?

«Non c'era niente di meglio in giro, ma è sempre un fiore.» Glielo porse, sfiorandole il dorso delle dita coi petali. «Per te.» 

La sua mano si girò da sola. Il fiore le finì sul palmo, bianco e leggero, sottile. Prezioso.

Il vento minacciò di farlo volare via ed Ami lo chiuse nel pugno.

Non era altro che un fiore strappato all'erba, solo una margherita di campo. Eppure... Lo accarezzò coi polpastrelli. Eppure era fonte di un piacevole calore. Era la volontà di una persona di farla stare meglio, di aiutarla.

Che cosa carina.

Prese la margherita tra il pollice e l'indice, facendola roteare su se stessa. 

Il primo fiore che avesse mai ricevuto in dono, regalato da un ragazzo che le piaceva.

Che cosa scioccamente romantica.

Il suo cuore iniziò a battere un po' più forte e fu così... bello. Era talmente bello sapere che poteva succedere anche a lei. Quella sensazione poteva appartenerle già nel presente, non solo in un futuro lontano decenni, o secoli. Per quell'avvenire non era cambiato niente, ma dal nulla, in un giorno qualunque, le era capitato di provare una sensazione tanto dolce ed era meraviglioso. 

In quel momento il fiore le sembrò il miglior regalo che avesse mai ricevuto.

«Grazie.» Riuscì a staccare lo sguardo dalla margherita.

Nel viso di lui incontrò un'espressione strana, molto intensa.

Nel suo stomaco volarono farfalle.

Il ragazzo si tese e si alzò. «È solo un fiore. Ma se è bastato a farti stare meglio, allora hai la forza di superare qualunque problema tu stia avendo.» Lui provò a scrollare le spalle, un movimento che non terminò. «Devo andare. Continua a stare allegra, Ami Mizuno, ti si addice davvero.»

 

Da quel giorno Ami smise di incontrarlo.

Domenica non lo vide.

Lunedì neanche.

Martedì no.

Mercoledì neppure.

Giovedì uscì per quasi tutto il giorno - non per poterlo incontrare, no. Ottenne come unico risultato quello di tornare a casa tardi.

Poi... smise.

Smise di voltare la testa ogni volta che le sembrava di intravedere una capigliatura più chiara.

Incontrare quel ragazzo era stato ciò di cui aveva bisogno.

Fino al giorno in cui avevano parlato non si era accorta di essersi nascosta una verità importante: non aveva mai compreso realmente cosa le facessero provare le conclusioni a cui era arrivata sul proprio futuro. Si era rifiutata di esplorare le sensazioni che avevano iniziato a risiedere dentro di lei. In parte inconsciamente, in parte no.

In fondo non era bello sapere che, se fosse stato il destino di qualcun altro, lei stessa avrebbe provato genuina compassione per quella sorte.

Compassione.

Pietà.

Aveva provato quei sentimenti pensando all'avvenire che l'attendeva.

Aveva sbagliato. Era sbagliato focalizzarsi su cose che potevano non accadere.

Forse sarebbero accadute. Molto probabilmente sì. Ma nel frattempo, in un giorno qualunque, poteva succederle... qualunque cosa. Incontrare quel ragazzo era servito a ricordarle quell'unico ma importante fatto: c'era speranza ogni giorno. La speranza di cose inaspettate.

Rivederlo, tuttavia, non sarebbe stata una di queste. Se ne convinse col passare dei giorni.

Va bene così.

Per il giovedì successivo la sua vita era tornata alla normalità.

Almeno fino a quando non lo rivide di nuovo, in piedi, davanti all'ingresso della sua scuola. 

  


 

CONTINUA ...

 

Nuove note: spero che la storia sia piaciuta a chi la sta leggendo, sia per la prima volta che dopo la revisione.

Questa coppia mi è particolarmente gradita tra quelle che ho inventato, essendo Alexander il primo personaggio originale da me concepito. Ogni parola su di lui e questa fanfiction perciò sono sempre graditissime!

Elle

Note della prima stesura, le lascio soprattutto per ricordo.

- alla faccia della one-shot :) Probabilmente sarà una storia in tre parti. Non ce la facevo davvero a farci stare tutto in un solo capitolo, per quanto lungo. Credo che ciò abbia molto a che fare col nuovo personaggio che ho creato: penso che sia necessario dare un buon background, far capire il carattere di un personaggio perchè i lettori lo capiscano/comprendano davvero. Non volevo farlo in un paragrafo, magari dicendo cose di lui che invece avrei potuto più efficacemente mostrare; ma questo appunto richiede più spazio

- anche questa storia, come già 'L'indole del fuoco', si inserisce nella linea che ho creato con 'Oltre le stellÈ. Ma non è necessario aver letto quella storia per capire, dato che le informazioni necessarie le ripeto qui.

- la trama dietro questa storia dedicata ad Ami rispecchia un po' di più la versione manga della storia di Sailor Moon: nel manga non c'è stata nessuna glaciazione e il regno di cui Usagi è sovrana è durato appunto per molti secoli. Nella versione manga Chibiusa ha in effetti più di novecento anni, quindi non è una bambina normale.

- senpai (significato): compagno di scuola più grande

 

 

   
 
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