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Autore: AlfiaH    23/07/2015    4 recensioni
Destiel - Nona stagione 9x6 - breve oneshot senza pretese: non tiene conto della presenza di Gadreel: Castiel non è semplicemente mai arrivato al bunker da quando gli angeli sono caduti e Dean va a cercarlo al discount dove lavora.
Avvertenze: potrebbe non finire come vorreste.
Vi consiglio di leggerla con l'omonima canzone dei Queen come sottofondo
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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You take my breath away

Note: questa storia non tiene conto della presenza di Gadreel: Castiel non raggiunge il bunker dopo la caduta degli angeli e Dean va a cercarlo al discount dove lavora.



“Che ci fai qui?”
Una volta arrivato alla cassa, Dean gli aveva regalato uno dei sorrisi più finti e forzati del suo repertorio, ma l’occhiata che ne aveva ricevuto era bastata a strapparglielo dalla faccia: Castiel non era entusiasta di vederlo.
“Wow, Cas. Anch’io sono felice di vederti”.
 “Sono Steve ora”, rispose sporgendosi dal bancone. Solo allora Dean notò la targhetta dorata cucita sul gilet.
“Quindi è questo che fai invece di rispondere alle nostre chiamate, Steve”.
Castiel abbassò lo sguardo, ostinato ad evitare i suoi occhi e, wow, non era così diverso dall’angelo del Signore che lo aveva pugnalato alle spalle appena un anno prima. Istintivamente Dean si chiese se avesse delle cicatrici sulla schiena ora che aveva perso le ali e non era più un angelo, ma scacciò quel pensiero dalla mente quasi subito: non glielo avrebbe mai chiesto.
“Mi sento utile qui”, mormorò sbrigativo. Dean non lo prese molto sul serio perché, andiamo, quando diavolo può essere utile un soldato in un discount? Quanti soldati di Dio ci vogliono per cambiare una lampadina? Quanti angeli – “c’è una certa dignità in quello che faccio. Una dignità umana”.
“Saresti più utile come cacciatore, credimi”, disse alle sue spalle, seguendolo tra gli scaffali. Questa cosa di doverlo costantemente inseguire cominciava a dargli sui nervi.
“Non sono un cacciatore”.
“Ma sei un apprendista”.
“Già, e hai detto che faccio schifo”. Si fermò nel reparto più imbarazzante del mondo e Dean si prese qualche momento per leggere se vuoi ballare il tango, ce l’hai il tanga? su un pacco di assorbenti e sentirsi a disagio. “Quello che intendevo dire è che dobbiamo lavorarci”, ghignò. Castiel continuava a non guardarlo.
Qualcosa non andava.
“Cas –”.
“Steve”.
Steve”, si corresse roteando gli occhi al cielo, “hai un posto dove stare?”
A Dean non sfuggì la tensione nelle sue spalle e l’esitazione che precedette la risposta: “certo”.
“Guarda che capisco quando menti. Sai, l’esperienza insegna”. Piegò la testa, incrociando finalmente gli occhi dell’altro – quegli occhi tanto blu e tanto mortificati da strappargli un sorriso, uno di quelli inconsci che ti increspano le labbra soltanto quando guardi un gattino appallottolarsi su se stesso.
“Dormo qui”, confessò. “Di cibo ce n’è a sufficienza. Sto bene. Insomma, meglio di prima. All’inizio era davvero orribile, io non- non avevo idea…”
“Potevi venire da noi”. Aggrottò le sopracciglia, perplesso. “Puoi ancora. Non devi affrontare questa cosa da solo, amico, soprattutto ora che hai un bersaglio disegnato sulla schiena. Possiamo aiutarti”.
Castiel sospirò profondamente – Dean ipotizzò che stesse ancora familiarizzando con l’idea di dover usare i polmoni per respirare – e recise di nuovo il loro legame visivo. Il cacciatore non c’era abituato; di solito l’angelo lo guardava tanto da consumarlo.
“Su, molla questo schifo e salta su!” lo incoraggiò, deciso a spazzare via il silenzio imbarazzante, ma l’altro scosse la testa.
“Ti ringrazio molto”, rispose semplicemente, superandolo, “ma non posso venire con te. Ho uh – molto lavoro da sbrigare. Mi dispiace”.
Dean poggiò una mano sulla sua spalla per fermarlo e gli si parò di nuovo di fronte, determinato a non lasciarlo andare. “Qualunque sia il problema, lo risolveremo a casa, okay?  Insieme”.
“Non posso”, la sua voce suonò pericolosamente vicino ad una supplica. “Non è una cosa che possiamo semplicemente risolvere, Dean. Sono io. Sono io, il problema”, spiegò all’espressione confusa dell’altro. Sperò che capisse – d’altronde Castiel sperava anche nella pace nel mondo e in tante altre cose meravigliose.
“Ascolta, amico, so come ci si sente -”
“Non credo”.
“ – sono umano da tipo tutta la vita e può fare davvero schifo, lo capisco. Ma ci sono anche cose fighe come il frottage ed il burro d’arachidi, ti serve soltanto del tempo per scoprire i lati positivi”.
“Tu non capisci, Dean. Altrimenti non saresti qui”. Le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro che servì soltanto a confonderlo di più: Castiel aveva ragione, Dean non capiva perché ne stessero ancora parlando; a quell’ora dovevano già essere in viaggio verso casa, felici di essersi ritrovati nonostante tutto, ascoltando buona musica e mangiando nuchos – Castiel era il tipo da nuchuos, Dean ne era convinto. Finalmente avrebbe avuto qualcuno con cui parlarne.
“Allora spiegamelo”, si ritrovò a dire invece, sul punto di perdere la pazienza. Castiel vacillò, aprì la bocca e la richiuse, inghiottendo per sempre le parole che ne sarebbero uscite. Avanzò di un passo e gli artigliò la giacca di pelle tra le dita, cautamente, sotto lo sguardo vigile e curioso del cacciatore; sollevò appena il viso e sfiorò l’angolo delle sue labbra con le proprie, in un bacio timido e carico di terrore, e Dean non poté fare altro che rimanerne spiazzato, paralizzato sul posto, incapace di collegare le cose. Gli occhi dell’ex angelo si specchiarono nei suoi soltanto per un breve istante, prima di abbassarsi colpevoli.
Oh”, soffiò quando il suo cervello riprese a funzionare. “Cas, io non-”
“Lo so”.
“Mi dispiace”.
Castiel annuì, le mani che torturavano il proprio gilet, quando la voce della proprietaria lo chiamò a rapporto. “Devo andare”, balbettò.
“Aspetta”. Si schiarì la voce, improvvisamente roca. “Da quando?”
“Da sempre”.
Spalancò gli occhi, decisamente a corto di parole. “Perché?” chiese, come se quella domanda non ne racchiudesse mille altre; lasciò che fosse l’altro a scegliere e non ascoltò davvero la risposta.
“Perché ora sono umano e non…” serrò gli occhi, sospirò per l’ennesima volta – non erano i polmoni ad essere coinvolti. “Non mi fido di me stesso”.
“Capisco”, e stavolta capiva sul serio. Non rispose al “ci vediamo, allora” e Castiel scappò via senza troppe cerimonie all’ennesima chiamata del suo capo.
Dean fissò lo scaffale di fronte a sé per un minuto interminabile; poi si volto ed uscì dal discount senza pagare.
 


 
  
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