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Autore: Harley Sparrow    24/07/2015    7 recensioni
Anna si era sposata e se n'era andata lasciando a Elsa il compito di continuare nel suo piano, ma lei non aveva mai mantenuto la sua parola, troppo oberata di impegni per perdere tempo ad ascoltare i capricci di un principe con le ali spezzate dalla sua stessa stupidità.
[…]
Lui era bravo. Dio, se era bravo a parlare, a farsi desiderare, a farle provare quella meravigliosa e assuefacente sensazione di star bene… Era bravo a non farla pensare.

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Seguito di “Il sorriso del Mostro”. Non è strettamente necessario che lo leggiate, però offre qualche informazione in più su cosa stia succedendo ad Arendelle.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elsa, Hans
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota bene: come ho scritto nell'intro, questo è il seguito di Il sorriso del Mostro (cliccaci sopra per leggere la One Shot)


 
Mi siete mancati. (:
 
 
TILL    I    COLLAPSE
 
Aveva capito che Hans sarebbe stato la sua rovina fin dal primo giorno in cui lo aveva visto avanzare per il salone tenendo sua sorella per mano. Emanava una sorta di calma trionfante. Era colpa sua se quell’equilibrio che aveva cercato di costruire anno dopo anno si era spezzato. La conferma della sua imminente rovina l’aveva avuta quando Anna ottenne dal fratello del principe che quest’ultimo non venisse condannato a morte ma semplicemente rinchiuso nelle fredde celle di Arendelle. E Anna, ignara come al solito delle conseguenze nefande che possono avere certe scelte, aveva accettato senza interpellarla.
Si erano parlati. Doveva essere successo qualcosa quando i due si erano visti prima del processo, lui doveva averle detto qualcosa che aveva smosso la sua rabbia... ma cosa? Quando glielo aveva chiesto – il perché, perché diamine dovevano accollarsi anche questa inutile responsabilità – la principessa le aveva farfugliato che lui in realtà non era cattivo e che infondo aveva anche fatto delle cose buone, ma Anna, quando era felice e credeva in ciò che diceva, non era molto brava a spiegarsi.
È così, abbi fiducia in me.”
Era il massimo di spiegazione che riusciva a dare, alla fine. Non che Elsa fosse molto diversa infondo, altrimenti non avrebbe passato dieci anni a evitarla senza una minima spiegazione.
Equilibrio infranto. Porte che si spalancano, sorrisi, abbracci, lunghe chiacchierate, braccia intorno ai fianchi, labbra che si sfiorano. Dieci anni per evitare tutte queste angosce, questi sentimenti che portano con sé niente poco di meno che una tempesta, e poi arriva un principe maledetto e rovina tutto con parole mirate a far crollare la corazza di ghiaccio della regina e sorrisetti melliflui.
Eppure questa volta se l’era cercata lei. Insomma, lo aveva visto solo quando era arrivato a palazzo, e poi per quasi un anno aveva fatto finta che non esistesse. Non sapeva che farsene di lui, perciò lo aveva fatto sbattere in una cella abbastanza spaziosa, un letto più morbido di quelle brande spigolose delle prigioni – era pur sempre un principe –, e lo aveva rinchiuso lì, a marcire in attesa di un'idea migliore. Quasi un anno era passato, e mai, mai, le era passato per la testa di andare a trovarlo.

Prima che si sposasse e andasse via, andava Anna a trascorrere un quarto d'ora ogni due settimane con lui per fargli compagnia, incapace di celare il suo desiderio di ricevere delle scuse, e soprattutto delle spiegazioni. Allora lui la mandava al diavolo e lei non gli rivolgeva la parola per altre due settimane, per poi ricominciare daccapo.
Elsa non aveva mai tempo per andare a rimproverare Hans per i suoi comportamenti: era bastato il breve discorso con cui gli aveva spiegato quale sarebbe stato il suo futuro lì ad Arendelle, era bastato spiegargli che il suo era un atto di clemenza che al primo passo falso si sarebbe trasformato in sentenza di morte. Lui, in preda a una rabbia di cui lei non poteva e non voleva conoscere le cause, non l'aveva guardata negli occhi fino alla conclusione del discorsetto. Le ultime parole che gli aveva sentito pronunciare erano state un "Ti ringrazio" sibilato a denti stretti, colmo di odio verso lei e verso la riconoscenza che le doveva.
Dopo sei mesi Anna si era sposata e se n'era andata con Kristoff a governare una provincia di Arendelle, lasciando a Elsa il compito di continuare nel suo piano di estorcere qualche parola al principe, ma lei, pur avendo promesso, non aveva mai mantenuto la sua parola, troppo oberata di impegni per perdere tempo ad ascoltare i capricci di un principe con le ali spezzate dalla sua stessa stupidità, troppo timorosa di doverlo guardare in faccia e non scorgere più l'uomo che brandiva la spada alle sue spalle, ma l'uomo che nonostante tutto l'aveva salvata da sé stessa. Temeva che Anna avesse davvero ragione infondo. I primi tempi lo rivedeva in sogno, si svegliava con il rumore di quella spada sguainata alle sue spalle che le perforava i timpani, con l’orrore che le montava nello stomaco per l’impressione di vedere la sua ombra gravare sulla propria, tremante alla luce della candela appena accesa in preda al panico.
Poi un giorno, una sera come un’altra, in preda alla solitudine, aveva deciso di volere un po’ di compagnia, e l’aveva cercata in lui. Là fuori imperversava una tempesta che aveva tenuto lontani tutti gli ospiti, Anna compresa, e li avrebbe tenuti lontani per altre settimane. Che poi si rivelarono durare tutto l’inverno.

La sua rovina.

Si inizia con una visita in una cella buia e fredda e si finisce con l’accettare che lui faccia irruzione nelle camere reali. Si concede un tè insieme, consumato ad una distanza appropriata, e si finisce col trovarsi distesi sul divanetto a fondere i propri corpi, a respirare il respiro dell’altro.
Lui era bravo. Dio, se era bravo a parlare, a farsi desiderare, a farle provare quella meravigliosa e assuefacente sensazione di star bene… Era bravo a non farla pensare.
Da giorni – sarebbe meglio dire mesi – iniziava sempre così, e anche ora non sarebbe stato diverso.
La porta che si apre lentamente, le mani che si stringono intorno ai fianchi, la bocca che percorre il collo fino ad arrivare all’orecchio per poi sussurrare le immancabili e terribili parole magiche.
Mi sei mancata”.
Non si impongono nemmeno di utilizzare il “voi” di cortesia. Sono solo loro, Elsa e Hans, quei due mostri odiati da tutti che si specchiano uno negli occhi dell’altro in attesa del cenno di assenso per poter continuare quella danza distruttiva. Cenno che arriva come sempre.
Questa volta Elsa risponde a quella presa aggrappandosi con le unghie alla pelle dell’uomo, ma senza ancora affondarle. Il suo respiro caldo sul collo la paralizza, la confonde, le piace.

Anna aveva cambiato idea troppe volte. Anche lei l’aveva confusa. All’inizio aveva detto che era stato subdolo, che si era servito del suo amore per volgere le cose a suo favore, che era cattivo, malvagio, e ora che ci pensava, anche un po’ brutto. Poi però, da quando lui era diventato ospite in casa loro, da quando diceva di aver scoperto che forse non era poi così cattivo, faceva irruzione nella sua camera infuriata, perché non l’aiutava a far emergere quel lato di bontà che lei aveva visto in lui, e c’era, c’era davvero.
A ripensarci, Elsa cerca debolmente di dimenarsi. Vorrebbe dirgli di andarsene, ma non lo fa perché non è quello che vuole. Lui però non si fa scappare questo gesto, e ne approfitta per sbeffeggiarla. Come se non fosse abbastanza degradante quello che stanno facendo. Due nemici giurati che di notte fanno l’amore, com’è patetico. Un dolce veleno che la sta uccidendo.
“Vuoi che me ne vada, Elsa?
La regina sente la voce rimbombarle nella testa, nuove parole incise nella mente che si aggiungono a quelle dette prima, quelle che le impediscono di allontanare quel serpente che ogni giorno si stringe sempre di più attorno al suo cuore, che la soffoca ma al tempo stesso la ipnotizza, la tiene in vita.
“Hans…” sussurra a voce così bassa che probabilmente il principe non ha sentito, oppure ha preso quel sussurro come un segno di apprezzamento.
Adesso le unghie affondano, incidono, trattengono quelle braccia, supplicano di non andarsene, non lasciarla da sola, perché ogni volta che lo è inizia a pensare a quanto sia dannatamente sbagliato quello che sta succedendo fra loro da un po’ di tempo a quella parte. Pensa che non è giusto, che non lo è per lei, non lo è per lui, non lo è per nessuno. Pensa che dovrebbero parlare di quello che provano l’uno per l’altra, cercare almeno di venire a capo di quell’interrogativo che lampeggia nei loro occhi ogni volta che i loro sguardi si incontrano.
Cosa stiamo facendo?
Ci ha pensato troppo a lungo per tirarsi indietro anche questa volta. Deve sapere, non riesce a pensare ad altro, la testa le scoppia ogni volta che prova a trovare una risposta a quella domanda fatale…
“Mi ami?”
Le parole innocenti le escono dalla bocca dopo una lotta interiore durata giorni e giorni. Teme la risposta, la reazione, quello a cui potrebbe portare quella domanda è impensabile. La spaventa troppo. Hans, Hans che l’abbandona, che smette di darle attenzioni, che smette di baciarla è impensabile e fa troppo male al solo pensiero.
Elsa ha paura perfino di voltarsi per timore di scoprire qual è l’espressione dipinta sul volto di lui, probabilmente di disgusto. Si illude di vederlo sbarrare gli occhi all’udire la domanda, come se fosse assurdo mettere in dubbio l’amore che prova per lei, perché, sì, lui la ama veramente.
Si accorge dopo che il vetro della finestra riflette le loro espressioni. Ora si guardano negli occhi attraverso la notte buia e senza luna, ancora avvinghiati, rossi in viso per l’eccitazione crescente, il tempo sembra essersi dilatato in una lunga, angosciante attesa del verdetto, finché la bella, bellissima voce calma del principe non rompe il silenzio.
“Elsa…”
Lui sa bene di non potersela cavare con false adulazioni, adesso. Deve solo dirle cosa vuole da lei: è tutto ciò che le preme sapere.
Ma lei non ce la fa. Troppo pericoloso. Insopportabile.
Si gira, si avventa sulle sue labbra e lo bacia con passione. Non può sopportarla.
Non-può-sopportarla.
…L’idea di essere un passatempo per lui. Di sentirselo dire, di leggerglielo negli occhi, di doverlo allontanare da lei dopo che entrambi sono giunti alla medesima conclusione. Non riesce più a pensare a un mondo senza Hans, a una sola notte senza lui che la stringe, un pomeriggio senza almeno una visita nelle sue stanze... Non riuscirebbe a sopportare di non avere nessuno che le dice quanto è bella, quanto è normale, qualcuno che non ha paura di stringerla fra le braccia.
“Non fa niente.”
Gli dice a fior di labbra prima di stringerlo forte a sé.
Le mani del principe le percorrono la schiena in un modo che non aveva mai fatto. Sembra titubante, spaventato, e forse sono le paure di Elsa dilatate a essersi estese anche a lui. Quel tocco la fa impazzire, le fa pensare che forse il fatto che la tocchi come se fosse l’oggetto più delicato del mondo è da interpretare come segno di affetto. Un oggetto prezioso. Una bambola di porcellana che potrebbe cadere da un momento all’altro. Collassare, crollare, spaccarsi.
E mentre lo bacia ancora inizia a temere di averlo imbarazzato e che se ne andrà, scapperà via e lei rimarrà di nuovo da sola. Sola per un tempo infinito, sola come lo è sempre stata fin da piccola.
 “Non fa niente…” ripete questa volta sentendo la convinzione venire a mancare.
Hans la guarda negli occhi più intensamente del solito e le sorride, e dopo aver ricevuto un tremulo cenno di assenso da parte della donna, le solleva la gonna e la prende lì, contro il vetro della finestra, con Arendelle che assiste impotente ai loro piedi, resa cieca dalla notte.

 
*          *          *
 
“Ti amo.”

È tutto sbagliato.

La voce del principe è bassa, resa roca dall’orgasmo che li ha appena colti di sorpresa. Le sussurra queste parole tenendola ancora bloccata contro il muro, le mani intrecciate in una morsa cui Elsa non potrebbe mai rinunciare, il calore di cui ha bisogno. La sua malattia che ha in sé la cura.

Un inganno.

Lo guarda negli occhi e con grande sforzo trattiene le lacrime. Sanno entrambi che quelle parole non le pensa davvero, che servono solo per salvare le apparenze, perché nel profondo sanno anche di non essere ancora pronti per lasciarsi. E non lo faranno finché il più debole non crollerà. Finché Elsa non crollerà. E allora Hans potrebbe averla completamente in pugno.

Amore sprecato.

Non sanno cosa sia l’amore. Lui, figlio e fratello non desiderato, e lei, la regina della solitudine, non hanno mai imparato ad amare come fanno le persone normali. Certo, Anna ci ha provato a insegnarle qualcosa, ma l’amore fraterno non potrà mai essere abbastanza per colmare un cuore. Anna ha preso la sua strada ormai, e sebbene racchiuda in una lettera tutto il suo affetto ogni settimana, questo non è più abbastanza, ed è stato quel senso di abbandono che ha spinto Elsa a rifugiarsi fra le braccia di Hans, per estorcergli l’affetto che le manca per sentirsi tranquilla, desiderata, felice. È stato difficile ammetterlo, ma da qualche tempo non si tratta solo di ricerca di piacere fisico, di compagnia: c’è qualcosa di più profondo che li porta a cercarsi in ogni momento e a star male nel caso non dovessero vedersi. È tutto difficile e confuso. Il loro egoismo li porta a succhiare l’uno l’amore dell’altro, perché ne hanno bisogno, e sanno che non potrebbero più farne a meno perché sono arrivati a un punto di non ritorno.  L’egoismo non permette loro di accorgersi che quello è l’unico modo di amare che conoscono. È un amore che li consuma, che li distrugge, ma stanno comunque amando. Finché non crolleranno entrambi, è questo il loro amore.
“Ci vediamo stasera?” chiede Hans indugiando sulla porta mentre se ne va lasciandola sola con le sue paranoie.
“Ti aspetto sveglia…”
Abbozza un sorriso Elsa, e sa che il sorriso con cui risponderà il principe le confermerà che è tutta una messa in scena. Quel sorriso che la fa impazzire e che la uccide al tempo stesso, che è ambrosia e veleno che le nutrono e infettano il cuore… Ma il sorriso non arriva. Non fa in tempo a chiedersi perché non se ne sia ancora andato, che si ritrova di nuovo fra le sue braccia.
C’è qualcosa di diverso nel bacio che le sta dando. Le toglie il respiro, annienta ogni tentativo di ribellarsi, strangola la rabbia, la paura, il sospetto. Le fa davvero credere che sia tornato da lei per un motivo diverso dall’egoismo, come se desiderasse vederla sorridere prima di abbandonarla, come se volesse dimostrarle che anche se non è in grado di dirglielo a parole, l’amore che prova per lei esiste.
Ma è infido quel bacio, pensa infine la donna spalancando gli occhi sopraffatta.
È inaspettatamente dolce…
 “A stasera, mia regina.”
Chiude gli occhi di nuovo, e questa volta non li riapre finché non sente sbattere la porta, segno che lui se n’è andato, e, lasciandosi cadere ai piedi della finestra, non fa in tempo a bloccare le lacrime.
 
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Per chi ha letto Bring me to Life sa che Elsa e Hans possono fare di meglio, solo che qui siamo nell’ “universo” di “Il sorriso del mostro”, quindi Hans è il doppiogiochista del mi coraçon, e non vedevo l’ora di fargli fare qualcosa anche con Elsa.
Dunque, il bacio finale non lo so se sia un surrogato di “Ti amo”, questa volta più sentito e sincero, oppurre una mossa abile e calcolata del principe per non rovinare il suo rapporto con la regina. Lei adesso è un po’ più convinta del loro rapporto, quindi continuerà il processo di autodistruzione. Sempre che non si tratti di amore vero, e quindi vivranno per sempre felici e contenti. BOH.
Il titolo è copiato da quello di una canzone meravigliosa di Eminem, Till I Collapse, appunto.

 
Vi tengo sempre nel cuore.
Un bacio,
Vostra Harley Sparrow


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