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Autore: Marciux    24/07/2015    2 recensioni
Cinque anni prima della lotta per salvare il mondo. Sephiroth è convocato a Nibelheim per la sua ultima missione da SOLDIER, ma non può immaginare che cosa il destino abbia in serbo per lui. Un personaggio insospettabile trama alle spalle degli altri, celato nell'ombra. Il Pianeta è vittima di minacce ben diverse da quelle contro cui Cloud e gli altri combattono.
Genere: Azione, Generale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aeris Gainsborough, Sephiroth, Un po' tutti, Vincent Valentine
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: FFVII
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Buongiorno a tutti!
L'ultimo capitolo di questa fiction è stato postato quasi due anni fa. Dedichiamo tutti assieme un minuto di silenzio in onore della vergogna dell'autore, che dopo aver scritto questo messaggio andrà a scavare una buca profonda per sotterrarsi!
Per chi di voi sarà così carino da continuare la lettura nonostante questo lungo periodo di On Hiatus ho realizzato un semplice ma efficace "Riassunto delle Puntate Precedenti". Perché temo che in ventidue mesi gran parte della trama sia stata dimenticata (perlomeno, io al vostro posto l'avrei dimenticata).
 

Dopo cinque anni di ritiro forzato, Sephiroth si sottopone ad un duro allenamento sotto la guida del suo improvvisato mentore Vincent Valentine, per prepararsi ai duri scontri che lo attendono. Il loro nemico comune è Aerith, una perfida fanciulla che complotta alle spalle dell'inconsapevole Pianeta.

Dopo aver visitato Cosmo Canyon per chiedere l'aiuto di Bugenhagen, i nostri due eroi partono alla volta di Junon, dove si terrà la grande parata per celebrare il nuovo presidente ShinRa. Vincent avrebbe infatti ricevuto una misteriosa soffiata a proposito dei piani di Aerith, che avrebbe il duplice scopo di sabotare la parata e di attaccare la base segreta di Vincent.

Purtroppo le trame di Aerith e dei suoi spiriti (in grado di prendere le sembianze altrui) sono molto meno semplici del previsto, e il nostro Sephiroth si ritrova spesso in balia degli eventi, con tante domande irrisolte ad affollare la sua mente. Perché Aerith è alla ricerca del corpo di Jenova? Perché aspira alla Terra Promessa? Quale mistero si cela dietro l'enigmatica figura del padre di Sephiroth?

 

E dopo questo riassunto da quattro soldi vi risparmio almeno la sigla di Cristina D'Avena. Passiamo direttamente al capitolo, che è meglio.




Capitolo XVIII


 

L'echeggiare lontano della pomposa fanfara accompagna il nostro ingresso nel villaggio di Junon, assorto in una densa penombra. Nel momento in cui raggiungiamo la nostra meta, il sole dovrebbe essere ancora alto nel cielo, ma la massiccia parete metallica che segna il confine tra la ricca città e il povero abitato rende impossibile la verifica.

Non è certo la prima volta che passo di qui, ma quello che ricordavo come un tranquillo villaggio di pescatori ora è sovrastato, centinaia di metri più in alto, dalla pista aerea della città, che getta un'ombra malinconica sulle poche case e sulla spiaggia. La stradina è illuminata flebilmente dal bagliore che fa capolino dalle finestre delle abitazioni.


 

I preparativi per la partenza sono stati frenetici, una corsa contro l'avanzare del sole nel suo tragitto quotidiano. Ho messo assieme una scorta di pozioni e antidoti dalla collezione di Vincent, mentre lui passava in rassegna alle diverse possibilità di travestimenti offerte dal suo guardaroba, giungendo ad una scelta della quale non posso che rammaricarmi. Cerberus e Masamune hanno trovato spazio tra le pieghe del mantello rosso di Vincent, un accessorio che sembra nascondere più poteri di quanti immaginassi. Abbiamo infine stipato i medicinali, alcune Materia ed un semplice equipaggiamento da battaglia in una spaziosa borsa a tracolla, assieme al terribile scrigno contenente la terribile testa di Jenova.


 

«Sai, non è che mi senta tanto sicuro ad andarmene in giro con questa roba addosso» ho borbottato, chiudendo i lacci della borsa e soppesandola per verificare la tenuta della tracolla.

«È più al sicuro qui con noi, piuttosto che in questa vulnerabile casa. Una volta terminata la nostra piccola missione torneremo da Bugenhagen per consegnarla» spiega pazientemente Vincent, sistemandosi la parrucca davanti allo specchio del piccolo bagno.

Questa gita a Junon ha tutte le premesse per diventare un incubo, e la presenza di Jenova tra noi non è certo di buon auspicio. Tuttavia, Vincent sembrava sicuro di sé quando ha sollevato un lembo del suo mantello rosso, nascosto sotto un secondo mantello nero, per invitarmi a teletrasportarmi con lui dall'altra parte del continente. Sembra essersi addolcito nei miei confronti. Ripensa probabilmente alla promessa fatta nel pomeriggio. Stasera avrò finalmente qualche informazione di più sul mio passato.


 

I nostri pesanti passi sul sentiero lastricato vengono spudoratamente ignorati dall'esigua popolazione che si affaccenda per il villaggio, in preda alla fibrillazione. La porta della casa più vicina si spalanca, sotto l'impeto di un'anziana signora che, totalmente incurante della sicurezza del domicilio, solleva i lembi della gonna e si affretta a raggiungere un gruppetto di persone di età media piuttosto avanzata, pochi metri più in là.


 

«Vincent, siamo ancora in tempo» sussurro, arrestandomi e trattenendo il mio compagno. «Se aggiriamo la casa a sinistra attraverso il giardinetto ed evitiamo quelle persone...»

«Smettila di lamentarti. Andiamo a chiedere informazioni» mi zittisce lui, liberando il braccio dalla mia presa.

«Ti ricordo che non siamo a Wall Market.»

«E io ti ricordo che devi fare un po' di silenzio. Salve, buonuomo!»


 

Troppo tardi. Il vecchio, chiamato in causa, si volta verso di noi e trasalisce, saltando su dalla cassa di legno su cui sedeva. Si sfila gli occhiali, tenendo la pipa tra i denti, e li pulisce con un lembo della camicia di flanella. Ad una seconda occhiata verso di noi trasalisce nuovamente, piombando di nuovo a sedere. Vincent sfodera un inquietante sorriso e si avvicina a lui, scostandosi dal viso una ciocca di capelli rosso fuoco.


 

«Buonuomo, saprebbe per caso indicarci una via per raggiungere la città alta?» chiede Vincent, con un cinguettio che mai avrei pensato di sentir provenire dalle sue corde vocali.


 

Il vecchio prende a fumare nervosamente, guardandosi attorno e balbettando alcune sillabe incomprensibili. Il rumoroso gruppo di abitanti riunito fuori dalle case si accorge della nostra presenza e decide di venire in aiuto del loro compaesano. In tutto ciò, preferisco restare in disparte, tentando inutilmente di passare inosservato. Gli sguardi degli astanti saettano dalle nostre vesti nere alla mia parrucca rosa, dagli occhi di Vincent alla mia borsa, piena sino a quasi scoppiare.


 

«Salve! Buongiorno a lei, signora!» saluta Vincent, con voce calda. «Ci chiedevamo se potreste cortesemente aiutarci. Ve ne saremmo davvero grati»

«Da dove... chi...?» balbetta il vecchio.

«O piuttosto che cosa...?» aggiunge un giovane, trattenendo un sorrisetto di scherno.

«Veniamo da molto lontano, apposta per assistere alla parata» spiega Vincent. «Non vorremmo perdercela per nulla al mondo! Ma mi pare che sia già iniziata, o sbaglio? Dobbiamo assolutamente trovare un modo per salire il più in fretta possibile!»

«Stai fresco!»

«Prego?» mormora il mio compagno, abbandonando il falsetto.


 

La piccola folla inizia ad agitarsi e diverse persone si battono la mano sulla fronte, ricordando immancabili impegni verso i quali decidono di correre. Alcune mamme allontanano i bambini, trascinandoli via con fermezza, ma due ragazze si fanno avanti, osservandoci con interesse. Una delle due, adornata di bracciali multicolori sino al gomito, smette di bisbigliare per rispondere a Vincent.


 

«Ad avercelo, un modo per salire! Perché ti credi che siamo ancora qui?» borbotta, agitando le mani.

«Il soldato all'ascensore vuole mille Gil per farci passare! Non ci arriviamo nemmeno in due!» aggiunge l'altra, stretta nel suo pigiama di pile.

«Mille Gil?» mi intrometto io. «Mi pare di...»

«Ma che peccato, non abbiamo contanti con noi, sennò vi avremmo senz'altro aiutate» sospira Vincent, allargando le braccia.

«Ma non siete mica i primi strambi ad arrivare qui! C'erano dei tipi prima, al villaggio» disse, la ragazza in pigiama.

«E che tipi!» esclama, la compare.

«Che tipi?» chiedo io, avvicinandomi cautamente. In reazione al mio gesto, il gruppo si sfoltisce ulteriormente, lasciando sole le due ragazze con il vecchio, forse paralizzato.

«Un figo pazzesco, biondo e con una spada così» descrive la tipa dei bracciali, illuminandosi.

«Un tipo nero, gigante, con una mitragliatrice al posto del braccio» elenca l'amica.

«Una tettona coi capelli scuri, che fa sicuramente il filo al biondo.»

«Una ragazzina rompicoglioni che ha messo a soqquadro la mia casa, mentre ero fuori a comprare il pesce.»

«Un cane un po' strambo.»

«Una graziosa fioraia» aggiunge il vecchio, con sguardo rapito. «Con una lunga treccia, delle piccole manine bianche, due dolci occhi color Materia. Si chiama...»

«Aerith» mormoriamo io e Vincent, scambiandoci un'occhiata.

«Si chiama... com'è che si chiamava?»


 

Il vecchio rimane sovrappensiero, la pipa che fuma a vuoto. Le due ragazze continuano a fissarci con insistenza. Vincent schiarisce la voce, lo sguardo smarrito nella riflessione. Un pomposo accordo di ottoni, condito da fragore di piatti e grancassa, risuona nell'aria, risvegliando un po' tutti.


 

«Beh, noi andiamo di là a parlare col tipo dell'ascensore» cinguetta la ragazza in pigiama.

«Vi ringraziamo per l'aiuto prezioso» sorride Vincent, con un lieve inchino.

«E di che» risponde, scuotendo la testa. «Se avete ancora bisogno noi siamo a vostra disposizione, ragazz... ragazze ehm... raga... Beh, a più tardi»


 

Le due si allontanano, ancheggiando e ridacchiando istericamente, scambiando qualche battuta con la gente che ciondola per la strada. Il vecchio è ammutolito.


 

«Caro buonuomo» riprende Vincent, avvicinandosi di un passo al povero vecchio. «Lei ha proprio l'aria di non lasciarsi sfuggire nulla, di quello che accade qui, lei è un grande osservatore. Dico bene?»

«Beh... Sono piuttosto attento, sì. Un tempo passavo tutto il giorno a pescare, ma ora i pesci sono immangiabili, con tutte le schifezze che quelli là gettano in mare. Non ho altro da fare che starmene qui seduto.»

«Dunque, questa graziosa fioraia. Ha per caso palesato i suoi progetti per la serata?» interroga Vincent, inclinando la testa e ingrossando la voce.

«Co... come?»

«Le ha detto dove andava?» taglia corto Vincent.

«Oh, no. No» risponde il vecchio, senza nascondere un'aria sconsolata. «È stato il ragazzone biondo a parlare con me. Hanno salvato la piccola Priscilla, giù alla spiaggia, poi... Un momento. Se mi posso permettere... perché chiedete della signorina?»


 

Subito l'uomo impallidisce, come pentito della domanda. Sembra aver perso di nuovo la parola. Animato dalla stessa ansia, lancio un'occhiata in fondo alla strada, dove le due ragazze discutono animatamente con il Soldato ShinRa. Vincent si affretta a rispondere, assumendo un tono di voce più basso e agitato.


 

«Lei non sa... lei non può sapere quanto ci costi parlarne. Ma oggi è un giorno speciale, un giorno benedetto dal Pianeta. Oggi potremo finalmente riabbracciare la nostra sorella Aerith, che cerchiamo da tempo, e non dovremo più evitare di parlarne per paura di... di piangere.»


 

Vincent tira su col naso rumorosamente e scuote il capo. La scena potrebbe quasi essere davvero commovente, se Vincent non fosse un pessimo attore drammatico. Il vecchio tuttavia è colpito da questa manifestazione di sofferenza, ed annuisce con aria rassegnata.


 

«Ehm... fatti coraggio, fratello» mormoro, incerto, avvicinandomi a Vincent e rifilandogli delle violente pacche sulla spalla. «Se tutto va bene, oggi... insomma, quello che hai detto tu.»

«Non so proprio come aiutarvi» riflette l'uomo, alzando le spalle. «Loro cercavano un modo per salire, ma non so altro.»

«Ha già fatto tanto per noi, buonuomo» lo rassicura il mio compagno, asciugandosi gli occhi lucidi. «Adesso riposi un po', ne ha senz'altro bisogno... Dorma pure, se lo desidera. Avanti, dorma»


 

Di colpo, gli occhi del vecchio si chiudono, e le sue braccia scivolano sulle sue ginocchia. Vincent sospira e si volta verso di me.


 

«Ho incastrato qualche Materia sulla cintura, durante queste missioni non si sa ma che cosa può succedere» spiega, guardandosi attorno.

«Sei pessimo» commento, sollevando le sopracciglia.

«Un riposino gli farà bene, tra una mezz'ora sarà già sveglio. Noi faremmo meglio ad occuparci dei nostri affari, piuttosto.»

«Sappiamo già che Aerith è qui» ragiono, abbassando la voce. «A meno che non si tratti di FalsAerith.»

«Così pare. Dovremo fare in modo di trovarla e tenerla d'occhio» riflette lui, mordendosi il labbro inferiore.

«Se però è accompagnata da quegli altri, credo proprio sia FalsAerith» aggiungo. «Potrebbero essere quelli dell'Avalanche che hanno fatto irruzione alla ShinRa pochi giorni fa.»

«Lo sapremo solo una volta che saremo saliti lassù, ma dobbiamo trovare un modo. Vorrei evitare di usare il mantello per teletrasportarci» bisbiglia. «Potremmo ritrovarci proprio davanti a dei Soldier ShinRa, o peggio delle telecamere. Siamo fin troppo vistosi senza cominciare ad comparire davanti agli occhi della folla.»

«Sei stato tu ad occuparti dei travestimenti, se non ricordo male.»

«Non avevo altro a casa» risponde, sollevando gli occhi al tetro soffitto del villaggio.

«Poi mi spiegherai che ci facevano quelle...»


 

La mia voce si spezza e la frase viene lasciata a metà. Indico al mio compagno una minuta sagoma che fa capolino dal retro di una delle case sulla sinistra, e sembra osservarci nell'ombra. Vincent aggrotta le sopracciglia e mi rivolge un'occhiata perplessa.

La figura avanza di qualche passo, svelando alla luce le sue fattezze di bambina, e i suoi piccoli occhietti scuri saettano in nostra direzione, aprendo il viso in un ghigno beffardo. Una manina si scosta dalla parete in legno della baracca e ci fa segno di seguirla. Io e Vincent ci guardiamo ancora. Dal vecchio si è levato un fragoroso ronfare, e il resto del villaggio è tornato ad occuparsi delle sue faccende. Vincent si dirige silenziosamente in direzione della ragazzina e io lo seguo.


 

«E tu che cosa...»

«Shhhhhh!!!» fa la ragazzina, interrompendo Vincent e portando una mano davanti alla piccola bocca. «Non deve sentirci nessuno!»

«D'accordo» sussurra Vincent, inarcando le sopracciglia. «Ci... hai chiamati?»

«Precisamente» bisbiglia la bambina, incrociando le braccia. La sua altezza complessiva di scarpe e acconciatura non raggiunge le nostre cinture, ma l'aria sul visetto è piuttosto sveglia. «Ho ascoltato un po' che cosa stavate blaterando con gli altri, ho un piano che fa al vostro caso.»


 

Socchiude gli occhi e ci rivolge uno sguardo d'intesa, annuendo.


 

«Ovviamente, dovremo trovare un compromesso» prosegue, portando le manine ai fianchi. «Avrete sicuramente anche voi qualcosa che fa al mio caso.»

«Vincent, forse è meglio se lasciamo perdere» bisbiglio, ma il mio consiglio viene ignorato e l'uomo si avvicina di un passo alla ragazzina, ergendosi in tutta la sua altezza.

«Ebbene, che cosa vorresti?» sillaba, abbandonando la recita e assumendo la sua posa minacciosa preferita. La ragazzina non si scompone, ma raddrizza anche lei la schiena, squadrando dalla testa ai piedi Vincent.

«La guardia all'ascensore chiede mille Gil. Io te ne chiedo novecento per un modo più veloce e discreto.»

«Novecento...? Ma che...?»

«Dimmi un po'» risponde Vincent, sovrastando le mie esclamazioni indignate, «perché dovremmo fidarci di te?»

«Perché sennò chiamo i Soldati ShinRa» canticchia la bambina, con un sorrisetto malefico. «Voi due li avete i mille Gil, ne sono sicura, ma anziché andare a darli alla guardia vi siete nascosti qui dietro per trovare un piano secondario. O siete spilorci, oppure non volete farvi notare dalla guardia. Io e il mio delfino potremmo portarvi su in un battibaleno, direttamente alla stazione aeronavi.»


 

Vincent incrocia le braccia, disarmato. La ragazzina prende a canticchiare tra sé e improvvisa una coreografia, ripetendo quelli che sembrano essere slogan pubblicitari.


 

«Double shake, il frullato che ti fa andare... in Limit Break!»

«Vorrebbe farci salire su con un delfino?» farfuglio, avvicinandomi a Vincent.

«Così pare. Cerchiamo di capire quale sarebbe il suo piano.»

«Di' un po', come ti chiami?» chiedo alla bambina, cercando di suonare autorevole. «E che ci vuoi fare con novecento Gil?» Dovrebbe avere pochi anni in più di Eydìs, e quei pochi anni sembrano essere stati decisivi per lo sviluppo della sua mente subdola.


 

La bambina si interrompe a metà di una piroetta, il gonnellino svolazzante, e con un saltello si mette sull'attenti.


 

«Priscilla, al vostro servizio! Sono una cara e graziosa bambina che vorrebbe tanto la bambola androide Shiva Tre Punto Zero!»


 

I suoi occhietti guizzano di lato e la bocca si deforma in un ghigno perfido. Poi, in un batter d'occhi rialza la testa verso di noi e si esibisce in un tenero sorriso innocente.


 

«Tu non mi convinci» scandisce Vincent, scuotendo la testa. «Sputa il rospo. Che te ne fai di novecento Gil?»

«Io vorrei tanto giocare con Shiva Tre Punto Zero» insiste Priscilla, con un risolino. «La Due Punto Zero l'ho persa e Leviathan Due Punto Cinque non spara più acqua.»

«Se Leviathan non spara più acqua possiamo provare ad aggiustarlo noi» suggerisce Vincent, andando a cercare con la mano l'elsa di Masamune da sotto il mantello.

«E va bene!» esclama Priscilla, furente, abbandonando la maschera innocente. «Sto mettendo su un progetto incredibile, tutti potranno salire alla città quando vogliono, grazie a me! Un progetto che mi frutterà un miliardo di Gil! Ma per questo ho bisogno di più delfini, uno solo non mi basta. Ne devo domarne almeno un centinaio. Ho bisogno della nuova Frusta Kyaktus e di un fischietto ad ultrasuoni, per attirare i delfini da ogni parte dell'oceano!»


 

Questa bambina è un mostro. Rimango ammutolito e così pure Vincent, per qualche secondo, mentre lei si sfrega le mani con soddisfazione.


 

«Non ti darò più di cinquecento Gil» conclude il mio compagno, con tono fermo.

«Vincent, non dobbiamo dargliene neanche mezzo!»

«E io non ti farò salire in città!» esclama Priscilla, dondolandosi sulle gambe.

«E tu non avrai mai né frusta, né fischietto» ribatte Vincent.

«E tu sei scemo, scemo, scemo!»

«Cinquecento Gil.»

«Ottocentonovantanove!»

«Cinquecento Gil.»

«Ottocentonovantotto!»


 

I due litigano come due bambini, e le loro voci si fanno sempre più forti, con il rischio di attirare nuovamente l'attenzione su di noi. Do uno strattone al braccio di Vincent, e lui sembra capire il messaggio, lanciandomi un'occhiata furibonda.

«Vincent lasciamo perdere questa bambina, troveremo da noi una soluzione» bisbiglio.

«Prenditi i dannati novecento Gil e portaci in questa dannata città» sibila lui, in direzione di Priscilla. «Sephiroth, tira fuori novecento Gil.»

«Come... che cosa?» esclamo, indignato. «Stai facendo una cosa illegale per finanziare una roba altrettanto illegale, e per giunta con i miei soldi!»

«Sephiroth, tira fuori novecento Gil» ripete, con voce sempre più grave.


 

L'euforica bambina saltella in tutte le direzioni, mentre io sbuffo e tiro fuori dei soldi dalla tasca interna del mantello. Vincent respira profondamente, come per calmarsi, e socchiude gli occhi.


 

«Allora, spiegaci un po' il tuo piano con il delfino.»


 

***


 

«Ci ha fregati» borbotta Vincent, imbronciato e inzuppato, mentre attraversiamo la deserta pista di decollo per aeronavi.

«Tecnicamente no. Siamo riusciti a raggiungere la città» biascico io, altrettanto fradicio.

«Sì, ma tramite quale modalità. E con quale discrezione. Avremmo fatto meglio a usare il mantello, a questo punto. Meno faticoso.»

«Meno dispendioso» aggiungo io, con un'alzata di spalle.


 

Le parrucche sono calcate sulle nostre teste, grondanti d'acqua come le nostre vesti. Anche la borsa è zuppa, ma non mi preoccupo per Jenova, rinchiusa nell'astuccio metallico. Cavalcare un delfino acrobata è stata una delle esperienze meno gradevoli della mia intera vita, compreso il viaggio di nozze a Rocket Town, e dubito che una nuova frusta e un nuovo fischietto potrebbero migliorare il servizio di “ascensore” clandestino. Spero che il progetto della marmocchia venga troncato sul nascere.


 

«Così piccola e già così svitata!» faccio, scuotendo la testa.

«Come?»

«Niente, mi sento colpevole di aver finanziato qualcosa di orribile.»


 

Vincent ignora la mia constatazione ed affretta il passo, costringendomi a fare altrettanto. La luce del tramonto irradia la nuova città, i cui palazzi sono disposti in diversi livelli che scendono lungo il pendio della montagna, verso la costa. La città è divisa in due metà, una nord ed una sud, separate dall'imponente cannone Sister Ray, proteso verso il mare. Attraversiamo la pista, in direzione dell'imponente muraglia che cela la città, e imbocchiamo corridoio metallico, vuoto, accedendo al livello più alto della zona sud, per il momento deserto. Vincent si volta verso di me e mi intima di accelerare il passo.


 

«Qual è il piano?» chiedo, raggiungendo il mio compagno. «La parata sembra essere già passata di qui» osservo, calciando una lattina vuota verso un mucchio di cartaccia su un lato della strada.

«Non c'è alcun piano» replica Vincent. «Stiamo all'erta e vediamo che cosa succede. È tardi, ma per ora sembra essere tutto tranquillo. Dobbiamo assicurarci che la parata si concluda senza guai.»

«Ancora non ho capito perché siamo venuti qui» faccio, scostandomi dal viso i capelli appiccicosi della parrucca. «Che senso ha aiutare la ShinRa?»

«Non siamo qui per aiutare la ShinRa, siamo qui per tenere d'occhio i movimenti di Aerith e dei suoi piccoli spettri» spiega Vincent, spazientito. «Ti ricordo che uno di loro ti somiglia in modo particolare.»

«Credi che Aerith voglia seminare il panico dando la colpa a me?» domando, indignato.

«Non mi stupirebbe.»

«Certo, non sarebbe una novità» ammetto.


 

Il lontano suono della fanfara converge verso la nota finale del brano, seguita da uno scroscio di applausi. Poi le trombe annunciano un nuovo tema e, con un rullo di tamburi, inizia una nuova musica, più incalzante e festosa di prima. La parata deve essere giunta ad un momento decisivo. Vincent poggia fermamente una mano sulla mia spalla destra e mi costringe a svoltare in un viottolo stretto, nel quale si proiettano le nostre lunghe ombre.


 

«Andiamo a prendere qualcosa da bere» intima Vincent, spingendomi verso l'uscio di quello che sembra essere un pub.

«Come sarebbe a dire? Noi...»

«Fa' silenzio, stiamo entrando nella tana del lupo. Non dire una sola parola» scandisce Vincent, precedendomi nell'atmosfera calorosa del locale. «Occhio alla borsa e non farti notare.»

«Totalmente fradici e con queste parrucche?»


 

Farci notare, in ogni caso, sarebbe molto difficile. La piccola sala è letteralmente piena di persone, la maggior parte delle quali ubriache fradice. Le urla si levano dai tavoli, inframezzate da rumori di sedie che grattano sul pavimento, voci che tentano di intonare la musica della parata, fracasso di vetri rotti in tentativi di fare brindisi. Dopo un esame più attento, constato che non ce n'è uno solo che non sia ubriaco fradicio.

Vincent attraversa la calca, spingendo via gli uomini dal suo cammino. Mi affretto a seguirlo sino al bancone, dietro il quale due serissimi baristi si occupano delle ordinazioni, versando da bere fiumi di alcolici. Uno dei due è impegnato a scodellare, uno dietro l'altro, bicchierini di liquori, i quali vengono buttati giù da due anziani bevitori seduti al bancone. Ad ogni bicchiere, lanciano un suono gutturale, come di gorilla inferocito, e si danno il cinque con entrambe le mani. I loro palmi sono lividi.

Dall'altro lato del bancone, un uomo ed una donna in completo elegante blu. Una divisa che conosco bene. Sono Turks.


 

«Vorrei una doppia camomilla!» esclama Vincent con tono melenso, indirizzandosi ad uno dei due baristi. Quest'ultimo, gettando alle sue spalle una bottiglia vuota, si china dietro il banco per cercarne un'altra e continua la sua attività, senza dar segno di aver sentito la richiesta.

«Sai, qui non sanno nemmeno che cosa significa “camomilla”» ridacchia il Turk. «Preferisci un po' di questa roba? Fa dormire proprio come la camomilla.»


 

Lo scruto di sottecchi, stando in disparte come Vincent mi ha ordinato. I suoi capelli sono di un rosso fuoco, scarmigliati sopra il cranio e raccolti in una lunga coda che cade sulla giacca blu dell'abito. La sua mano bianca è stretta attorno ad un bicchiere che svuota in un ultimo sorso. La sua collega lo squadra con disapprovazione, scuotendo i capelli biondi e lisci. Davanti a lei, una tazza di un liquido scuro e fumante.


 

«Ehm... come hai detto?» cinguetta Vincent, con una vocina che mi dà sui nervi. «Forse non mi ha sentito. Adesso riprovo. Mi scusi...?»

«La sua camomilla le sarà servita tra cinque minuti e venti secondi» annuncia il barista con voce monotona, senza alzare lo sguardo.

«Molto bene!» esclama Vincent., sfregandosi le mani guantate e indirizzandosi al Turk. «Ho proprio bisogno di riscaldarmi, dopo il bagno che ho fatto! Come ti chiami, tu, belloccio?»

«Io? Come mi chiamo? Chiedilo alla mia compare, perché io non ricordo granché.»

«Reno, faresti meglio a darti un contegno, o Tseng si adirerà con te» interviene la bionda con voce cantilenante, tutt'altro che sobria.

«Bevi, Elena, così finalmente ti fai Tseng e siamo tutti più tranquilli.»


 

La ragazza si lascia scappare un verso di esclamazione e il suo viso si tinge di rosso. In quel momento, da una porticina al lato del bancone esce un terzo Turk. È proprio lo Tseng con cui ho lavorato per anni. Il suo volto è calmo e composto, come sempre. Al centro della fronte spaziosa è disegnato un tilaka nero, come un neo. Gli occhi sono a mandola, e hanno un'aria felina. I suoi capelli sono lunghi e lisci, di un nero lucente, tenuti ordinatamente dietro le spalle.

Raggiunto il suo posto vicino ad Elena, resta in piedi e ci esamina con tranquillità. Il suo sguardo si posa su di me e sento una morsa di gelo stringermi le gambe, poi il petto. Mi ha riconosciuto, ne sono sicuro. Distolgo gli occhi, guardando il barista più vicino, e tiro nervosamente un lembo della veste di Vincent. Lui mi ignora e si avvicina a Tseng. Che cosa ha in mente?


 

«Piacere di conoscerti... Tseng? È così che ti chiami?» esclama Vincent, allargando le braccia.

«Esatto» risponde l'altro, con tono neutro. La sua voce è un sussurro appena percettibile tra le grida che ci circondano.

«Non ci siamo già visti da qualche parte?» insiste Vincent. «Non ricordo bene, sai ho una tale testolina con me!»


 

Tseng sorride cortesemente, stringendo gli occhi. Elena lo osserva con timore, mentre Reno attacca un altro boccale, sghignazzando.


 

«Meglio essere cauti qui a Junon, oggi qualcuno potrebbe essere interessato da quella tua testolina» mormora, senza staccare lo sguardo da Vincent. «Qualche anima male intenzionata celata nella folla, chi lo sa? Ma fai ancora più attenzione a chi invece male intenzionato lo sembra soltanto. Meglio non perdere di vista nessuno. Davanti al negozio di armi, un minuto fa. Secondo livello.»


 

Vincent non sembra scomporsi, all'ascolto di quelle parole enigmatiche. Il gelo ha ormai raggiunto il mio cervello, e non riesco più a condurre un semplice ragionamento. Parla di me? La persona malintenzionata sarei io?


 

«Grazie per il consiglio» dice il mio compagno, con un lieve inchino. «E piacere di aver fatto la vostra conoscenza, ragazzi!»

Reno si volta, alzando il bicchiere. «E la tua camomilla? Dovrebbe arrivare tra un minuto al massimo!»

«Sarà per un'altra volta!» ridacchia Vincent, allontanandosi e trascinandomi con lui. «Muoviti, andiamo via da questo inferno» borbotta.


 

Uscire all'aria aperta è quasi una rinascita, e il sole, più grande e splendente che mai, scioglie la mia paralisi. Vincent, senza aggiungere una parola, riprende a correre lungo la strada principale e mi affretto a seguirlo, supplicandolo di aspettarmi. Nella via ci imbattiamo nella folla che ritorna dalla parata, ormai terminata, e avanzare diventa impossibile. I capelli rossi della parrucca di Vincent a tratti scompaiono dalla mia visuale, e sono costretto a sgomitare tra le persone, che sembrano moltiplicarsi ad ogni istante che passa.

Vincent si è fermato in mezzo alla strada, guardandosi attorno nervosamente, e riesco infine a raggiungerlo.


 

«Che caspita succede, dove stiamo andando? Che cosa ti ha detto Tseng? Lo conosci? Spiegami che cosa sta succedendo!» esclamo, afferrandogli una spalla per costringerlo a girarmi verso di me. Con un gesto noncurante si libera della presa.

«Aerith è qui a Junon» annuncia. «È stata avvistata nel secondo livello.»

«Questo lo sapevamo già, no? È stata vista anche al villaggio, giù.»

«Sono entrambe qui a Junon» spiega Vincent, «ma non sappiamo come riconoscerle. In ogni caso fai sempre attenzione alla tua borsa».

«La tengo stretta» lo rassicuro. «Se sono entrambe a Junon, ci sarà da aspettarsi qualcosa, no?»

«Adesso ascoltami attentamente» decide infine Vincent, tirando fuori da sotto la veste il suo cellulare e dando un'occhiata al display. «Io vado dritto al secondo livello e controllo se Aerith è ancora da quelle parti. Tu perlustri i livelli superiori e ti occupi di trovare l'altra, a tutti i costi. Dobbiamo capire che cosa sta succedendo. Ci teniamo in stretto contatto telefonico, non possiamo perdere tempo.»

«C'è solo un problema» lo interrompo io, imbarazzato. «Non ho un cellulare. L'ultimo che ho avuto è stato diversi anni fa e... ha fatto una brutta fine.»

«Patetico. Dovremo fare altrimenti. Al negozio di armi, subito. E se non la troviamo là...»


 

Una passante urta improvvisamente contro la schiena di Vincent, facendolo barcollare. La ragazza lancia un grido e perde l'equilibrio, cadendo sull'asfalto. Vincent mi lancia un'occhiata incredula. È Aerith.


 

«Mi... mi dispiace, davvero! Correvo così veloce che non l'ho vista» si scusa Aerith, in un piagnucolio, e afferra la mano di Vincent, tesa per aiutarla a rialzarsi.

«Non ti preoccupare, signorina» mormora lui, con voce indecisa. «Spero non ti sia fatta nulla»


 

Osservo la scena, ancora una volta incredulo. Dopo l'incontro coi Turks, ci ritroviamo di fronte ad Aerith senza neanche doverla cercare. Il problema ora è capire se sia quella vera o quella falsa. Dubito che con questi ridicoli travestimenti potremmo darla a bere alla vera Aerith, lei ci avrebbe smascherati subito.


 

«Sto bene, non è niente» ansima lei, mettendosi in piedi e prendendo fiato. «Lei piuttosto, tutto bene?»


 

La sua candida voce non tradisce alcun sospetto, alcuna esitazione. Vincent, al contrario sembra non sapere che pesci pigliare, ma resto in silenzio per timore di causare guai.

«Figurati, nessun problema» risponde Vincent, freddamente. «Per qual motivo correvi così? Ti succede qualcosa?»

Aerith esamina con incertezza le nostre parrucche fluorescenti, poi si avvicina a noi e la sua voce diventa un sussurro concitato. «Sta per accadere qualcosa qui a Junon. I miei compagni avrebbero potuto risolvere tutto, ma ci siamo persi tra la folla, non riesco più a ritrovarli. Non so più che fare, non posso rivolgermi ai soldati.»

«Saremmo lieti di aiutarti» le assicura Vincent, cauto.

«Tra pochi minuti ci sarà un attentato. Dovete seguirmi, vi prego!» ci scongiura, congiungendo le mani.

«Un attentato?» intervengo io, sorpreso.

«Non c'è tempo!»


 

Aerith si lancia in una corsa forsennata, in direzione del cannone. Io e Vincent ci precipitiamo dietro di lei, scansando la folla che non sembra volersi diradare.


 

«Che cosa significa tutto questo?» lo interrogo, correndo al suo fianco.

«Non lo so. Direi che è la falsa, ma non ne sono sicuro.»

«L'altra ci avrebbe riconosciuti, no?»

«Sì, ma meglio stare all'erta» mi avvisa. «Un attentato? Come lo avrebbe scoperto? Perché sembra essere l'unica a saperlo?»

«Pensi ci sia dietro la vera Aerith?» domando, reggendo con la mano sinistra la parrucca e con la destra la borsa.


 

Lontano, echeggia il rombare della sirena di una nave.


 

«Se ci sarà un attentato qui a Junon, molto probabilmente ci sarà dietro la vera Aerith. In ogni caso, teniamo gli occhi bene aperti» intima Vincent. «Questa è la nave del Presidente ShinRa che lascia Junon, la maggior parte dei soldati presenti alla parata saranno saliti a bordo, lasciando la città sguarnita»


 

Aerith raggiunge il confine tra la il sud e il nord della città, imboccando un corridoio deserto sotto la struttura del cannone. Improvvisamente si ferma, e si volta per assicurarsi che l'abbiamo seguita, il suo viso pallido illuminato dai neon al soffitto.


 

«È qui, dobbiamo fare presto!» esclama, e si affretta lungo un pasaggio sulla sinistra, verso quello che ricordo essere l'ascensore per il reattore subacqueo.

«Dove ci stai portando?» le grido dietro, e la mia voce rimbomba contro le pareti metalliche.


 

La ragazza si ferma davanti ad un portone blindato spalancato, di fianco all'ascensore. Lo attraversa e noi con lei. È una stanza buia e minuscola, di pochi metri quadrati, sulle cui pareti scorrono cavi elettrici che attraversano il pavimento e si inoltrano verso il reattore. Sulla parete destra sta un contatore, con un display acceso che indica una serie di cifre. Su di esso sta aggrappato un marchingegno lucente e metallico, di forma cilindrica, con una spia gialla che si illumina ad intermittenza.


 

«Questa è una bomba» osservo io, mentre Vincent si avvicina ad esaminare meglio i cavi che collegano l'arnese al contatore.

«Un ordigno piuttosto semplice, di produzione ShinRa» conferma lui. «Un modello rudimentale, veniva prodotto ai miei tempi. Chi l'ha piazzato qui voleva creare qualche danno al reattore, ma niente di più.»


 

Con un cigolio ed un forte clangore, la porta alle nostre spalle si chiude, lasciandoci al buio. La serratura scatta più volte.

Prontamente, Vincent accende una minuscola ma potente pila, che illumina la stanza. Aerith non è più là con noi.


 

«Perfetto» commento io, lanciando un'occhiata nervosa a Vincent. «Ovviamente non era FalsAerith.»

«Sciocca Aerith, mi ci vogliono meno di due minuti per disinnescare questa roba. La spia è ancora gialla, ciò significa che ce ne restano più di cinque. Dammi subito la Materia di ghiaccio.»

«Vincent, non ho più la mia borsa!» esclamo, incredulo, guardandomi attorno. «Jenova!»


 

Vincent volta di scatto la sua testa verso di me, lanciandomi uno sguardo furioso.


 

«L'avevi quando siamo entrati qui» ricorda.

«Sì, ne sono più che sicuro.»


 

Vincent chiude gli occhi e scuote la testa, digrignando i denti.


 

«Quella maledetta puttana ci ha fregati. Lo sapevo.»

  
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