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Autore: vivis_    24/07/2015    3 recensioni
«Non trema la luce delle stelle. Trema il nostro sguardo, sapendo dell’enorme sforzo che questa luce ha realizzato per farsi vedere» L. Olivan
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La nostra stella

«Eccolo! Lo vedi?» la sua voce straripante di entusiasmo richiamò la mia attenzione.
Appoggiai delicatamente il mento sulla dolce curva della sua spalla e seguii il profilo del suo lungo braccio fino alla punta del sottile indice, puntato contro l’intenso cielo notturno. La scura volta celeste, quella sera, era decorata da un incalcolabile numero di stelle; sembrava che qualcuno avesse sparso una manciata di polvere di diamanti sopra una superficie creata apposta per farne risaltare la brillantezza.
«Dove?» chiesi leggermente disorientato da un tale spettacolo.
«Lì! Quelle due stelle vicine, le riconosci, sono leggermente più luminose.» mi spiegò dolcemente, facendo oscillare il dito da un punto luminoso all’altro per far sì che i nostri due sguardi fossero indirizzati verso lo stesso soggetto. Affilai lo sguardo fino a riconoscere i due astri che voleva portare alla mia attenzione.
«Ah, sì, ora li vedo!» sussurrai soddisfatto. «Come hai detto che si chiama?» le chiesi inclinando la testa fino a incontrare la morbidezza dei suoi capelli color cioccolato, tenuti insieme da un disordinato chignon realizzato con una matita.
«Il bacio tra Giove e Venere.» rispose mentre percepivo il sorriso che aleggiava sulle sue labbra.
                                                                                           
Ovunque, avrei potuto portarla ovunque. Mari caraibici, montagne dell’Est, grandi città d’arte dell’Europa… bastava chiedere. Eppure era lì, in una piccola casetta bianca in mezzo ad un piccolo bosco senza nome sulle alpi, dove passava le estati da bambina, era lì che lei mi implorava di tornare ogni qual volta fosse possibile farlo.
“Perché?” le avevo chiesto un giorno, non riuscendo più a frenare la curiosità. Perché? Qual era il motivo che rendeva quella ragazza tanto speciale da preferire una casetta bianca dalle pareti in legno, con cinque stanzette e un piccolo balcone in un posto senza nome, quando poteva avere alberghi a cinque stelle e barche a vela?
“C’è la mia infanzia qui, e ci sono le stelle” mi aveva risposto.
Lei amava le stelle, ne era completamente rapita. Poteva starsene in piedi ore intere con il naso all’insù a osservare con bambinesco stupore quei piccoli bagliori che puntellavano la notte, senza stancarsi mai. Le indicava, le chiamava … a volte si alzava sulle punte senza rendersene conto, quasi volesse a raggiungerle.
 
Respirai il suo fresco profumo, permettendo ad esso di lasciar sfumare i miei pensieri.
Mi staccai da lei e indietreggiai qualche passo per poterla osservare, o meglio, per poter osservare loro. Quasi avesse avvertito il mio desiderio di scattare una loro istantanea con i miei occhi, abbassò il suo sguardo e lo posò sulla pronunciata, quasi anomala, curva del suo ventre. I suoi occhi neri, che, le dicevo spesso, avevano preso il colore della notte a furia di scrutarla in ogni suo antro, ora fissavano quel serbatoio di vita nuova con lo stesso incanto di poco prima. Vi poggiò sopra le mani con cura e delicatezza, come se stesse per maneggiare un prezioso reperto antico, ed iniziò ad accarezzarlo lentamente tracciando delle linee curve con le sue unghie dipinte di giallo. Le sue labbra si schiusero in un sorriso che straripava di tenerezza ed io non potei fare a meno di imitarla.
«Le insegneremo anche lui queste cose.» disse senza distogliere lo sguardo.
Coprii di nuovo la distanza che ci divideva con un lungo passo e le cinsi le spalle col braccio fino a sentire il calore del suo corpo sul mio petto. Lei istintivamente alzò lo sguardo, regalandomi uno dei sorrisi più beli del suo repertorio.
«Lui?» le chiesi perdendomi nei suoi bellissimi pozzi neri. «E da quando sappiamo che è un lui?».
«Non lo sappiamo, ma... me lo sento» fece una piccola pausa voltandosi verso il bosco che ci circondava. «Ce lo vedo un piccolo mini-te dagli occhi scuri che si imbratta di terra rossa mentre il suo papà gli insegna a giocare a tennis.» percepii i suoi muscoli sciogliersi a quel roseo pensiero.
«Ma se ne sei così sicura, perché hai deciso di non voler sapere il sesso fino alla fine?» domandai accarezzandole la spalla con il pollice.
«Perché voglio divertirmi a vedere la gente che impazzisce per compragli tutine, bavaglini e cose varie.» rispose con un ghigno divertito.
«Sei crudele!»
«Lo so.» mi rispose sorridendomi sulle labbra.
Le soffiai un veloce bacio, resisterle ad un distanza così ravvicinata era praticamente impossibile.
«Facciamo così…» proposi «se indovini tu ed è un maschio, decidi tu il nome.  Se è una femmina, decido io.»
«Andata!» concordò.
La strinsi forte a me, lei appoggiò la guancia sulla mia spalla senza dire nulla. Dio, sarei potuto rimanere in quella posizione per sempre ed anche oltre se mi fosse stato possibile.
Ma proprio quando abbassai di nuovo lo sguardo per poterli ammirare di nuovo, il buio mi avvolse. I miei occhi furono accecati da un’oscurità senza motivo, le mie mani iniziarono a tastare l’aria nera in cerca di un appiglio che mi riportasse a quella meravigliosa scena …
 
-
 
Spalanco gli occhi. Sopra di me le fastidiose sfumature azzurrine delle lampade si riflettono sul soffitto bianco, costringendomi a coprire gli occhi con le mani. Il disorientamento si è ormai impossessato del mio cervello e il caos regna sovrano nelle mie terminazioni nervose.
«Ben? Sei sveglio?» eccola, la sua voce. Eccola a rimettere tutto in ordine.
«Sì» biascico ancora un po’ stordito.
«Hai visto? Papà si è svegliato finalmente!» la sento sussurrare dolcemente alle mie spalle.
Al suono di tali parole mi rendo finalmente conto di trovarmi in un ospedale e tutto mi è subito più chiaro, la mia memoria è pervasa da un flusso di immagini, come quando in un braccio indolenzito inizia a riprendere la circolazione sanguigna.  Ora ricordo. Ricordo di aver guidato ad una velocità di lunga superiore ai limiti considerati legali in qualsiasi stato del mondo. Ricordo Lei che mi stritolava la mano sforzandosi  di sorridere nonostante gli atroci dolori… poi più nulla, solo buio.
Scatto in piedi ignorando la violenta vertigine che mi colpisce come un treno in corsa e la, o meglio li, raggiungo.
Lei è semi sdraiata sul lettino, mentre culla un piccolo fagottino di copertine dal quale spunta un piccolo cappellino rosa.  Sfoggia un sorriso che pare non le debba mia scomparire dal viso. Senza nemmeno doverglielo chiedere, scosta leggermente la copertina bianca che copre il viso di quella creatura meravigliosa.
Mi porto la mano alla bocca per dissimulare il mio incanto e per tentare di ricacciare dentro le lacrime che hanno già iniziato a inumidirmi gli occhi.
“Dio, ma come posso non ricordarmi la nascita di questa meraviglia, come?!” penso disperato.
«Sei svenuto non appena l’ostetrico ha pronunciato le fatidiche parole “la-portiamo-sala-parto”» esordisce sogghignando, come se avesse sentito la mia imprecazione muta.
«Che idiota!» mormorai tra me ridacchiando, senza riuscire a levare gli occhi da nostra figlia.
«Beh, bello addormentato, stiamo tutti aspettando te per scegliere un nome per questi 3kili di tenerezza» le sue parole mi risvegliano dal trans che quelle piccole manine stretta a pugno mi provocano. « e sappi che non ti sarà concesso né l’aiuto del pubblico e nemmeno quello da casa …»
«Stella.» rispondo senza aspettare la fine della frase. 

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Buonsalve!
Credevaaaate che io fossi sparita\stata risucchiata in un buco nero, vero? GIAMMAI.
Quasi mi vergogno di questa assenza, davvero, ma il mio primo anno di università mi ha impegnato più del previsto. Questa è lòa prima "cosa" che scrivo dopo ere, quindi spero di non deludere troppo le vostre aspettative. 
Un mega bacio a tod@s! 
   
 
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