Tomoe?
Chi sono io?

Nanami.

Giusto.

Quando sentì le labbra di Tomoe posarsi sulle sue, Nanami avrebbe giurato di essere sul punto di morire per la gioia e l'emozione. Mikage gliel'aveva detto, è vero, che i suoi sentimenti erano ricambiati, ma dopotutto ancora Tomoe non si ricordava di Yukiji. Adesso che il suo vecchio amore era tornato in superficie, Nanami aveva paura. Sapeva di essere un'egoista, ma non poteva farci niente. Era gelosa, di quella donna che aveva preso lo sua identità e i suoi gesti, e li aveva presentati a Tomoe come propri. Quando si lanciò dal carro per convincerlo ad uscire dallo specchio, però, tutti i suoi timori svanirono, lasciando il posto a una sincera preoccupazione per le condizioni di salute del demone.
Appoggiò una mano sulla spalla di Mikage per evitare di cadere, e si rivolse direttamente a lui nello specchio, urlando il suo nome. «Tomoe! Sono qui!» Sentì la bocca stirarsi in un sorriso, e si rese conto che era così: felice. Felice che lui fosse ancora vivo, sano e salvo. Felice di essere tornata nel presente, per poterlo rivedere nella sua forma attuale. Felice, semplicemente felice, e lasciò che questa felicità le si dipingesse in volto.
Tese il fermaglio verso lo specchio, improvvisamente ansiosa: «Hai detto che mi avresti reso la tua sposa. L'hai promesso, non è vero?»
Sentì gli occhi pizzicarle, e tentò di ricacciare indietro le lacrime. Quando sentì tra le braccia il corpo caldo di Tomoe, lo strinse a sé con tutte le proprie forze, respirando il suo profumo. Tiglio e legno di sandalo, avrebbe detto. Ma anche qualcos'altro, di non ben identificabile. Tutto quello che sapeva era che si trattava di un odore buono, che in qualche maniera faceva parte della sua esistenza. Non avrebbe potuto vivere senza quella fragranza, e adesso ne era sicura.
«Fa' vedere», disse, prendendogli il volto tra le mani. Vide la sua espressione sorpresa, i suoi occhi pieni di un sentimento che sapeva essere riflesso anche nei propri.
Adesso ne era certa, che ciò che Mikage le aveva detto era ancora valido.
«I segni stanno sparendo.», mormorò, lasciando che qualche lacrima sfuggisse alle ciglia scure. Aveva il volto a pochi centimetri da quello di Tomoe. L'urgenza di baciarlo, di fare sue quelle labbra così ben formate si fece reale. Ma prima, prima doveva chiederglielo.
«Tomoe...chi sono io?»
Sentì una mano, la sua mano, accarezzarle i capelli, e poi avvicinare la testa alla sua. E poi, in un vortice di emozioni a lungo represse e tante volte negate, percepì le labbra del famiglio sulle proprie, in un bacio urgente e passionale. Non si era mai sentita così prima di allora, e nello stesso tempo era come se il suo corpo conoscesse benissimo quella sensazione. Quell'amore a lungo agognato stava ora sbocciando in un turbine di cose non dette e sentimenti evidenti, mentre le due bocche si esploravano e imparavano a conoscersi, nonostante ormai non ci fossero più segreti tra esse.
Quando si staccarono, Nanami sorrise tra le lacrime, mentre il demone rispondeva: «Nanami.»
La sua voce suonava roca, ma non le interessò. Tutti i dubbi riguardanti il presente e cinquecento anni prima, lei e Yukiji, Tomoe e la demoniaca volpe selvaggia, si infransero in un lampo di colore. «Giusto.»
Lei era Nanami Momozono, e lui era Tomoe il famiglio. Perdutamente innamorati l'uno dell'altra, e avrebbero difeso il loro amore contro ogni regola e ogni tabu.