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Autore: Evee    26/07/2015    4 recensioni
The flower that blooms in adversity is the most rare and beautiful of all.
[ Apprendiceshipping - III classificata al contest "Tutti gli anime della nostra infanzia" indetto da 9dolina0 sul forum di EFP]
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mahad, Mana
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER - Questi personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà del sommo Kazuki Takahashi. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ed è idealmente ambientata in un ipotetico mangaverse pre-canon.

 

Ж Lotus Ж

 

Delle sue coetanee, lei era una delle poche che ancora non aveva visto il sorgere della sua prima luna rossa.

Tuttavia, era una venuta ormai prossima ed ineluttabile. Per questo, la madre si era fatta apprensiva e pressante, desiderosa di tramutare la sua unica figlia da quell'acerba bambina che era in un'amabile fanciulla, capace di conquistare con le proprie grazie l'attenzione di un qualche nobile nomarca. Per nascita già vantava un lignaggio invidiabile ed una dote considerevole, dunque sulle sue spalle minute gravava il peso delle aspettative di un'intera famiglia, che riponeva in lei affidamento per consolidare ed accrescere la propria influenza presso la reale corte.

Un buon matrimonio di cui gloriarsi, quanti più eredi possibili a tramandare il sangue di una stirpe. Questo era il suo dovere, questa avrebbe dovuto rappresentare la sua realizzazione.

Cionondimeno, si trattava anche di una prospettiva di vita che non esercitava su di lei alcuna attrattiva, per cui non si sentiva minimamente portata. Le giovani spose intraviste, quelle da cui avrebbe dovuto trarre esempio, le apparivano ammantate di seta e di mestizia, perennemente in posa ad offrire una composta ed artefatta raffigurazione di sé che mai sarebbe riuscita ad emulare. Non ambiva affatto ad affrescare la propria figura tra delle opprimenti mura domestiche. La sua, la sentiva più adatta a correre forsennata all'aperto, rotolarsi nell'erba selvatica, sdraiarsi sulle rive del Nilo a curare il lento e mutevole passaggio delle nuvole in cielo.

Né era per natura dotata di alcuna delle caratteristiche tradizionalmente ammirate e ricercate in un corpo femminile. Non aveva una fine carnagione olivastra, ma una densamente ambrata, più tipica dell'incarnato di una contadina qualsiasi che di una nobile cortigiana. Non vantava lunghi, corvini e lucenti capelli a ricaderle lisci sulla schiena, ma una chioma ribelle, arruffata e stopposa come ciuffi di fieno raggruppati in tutta fretta. Non possedeva un fisico slanciato e sinuoso, ma uno ancora asciutto e mingherlino, il cui solo pregio era quello d'esser tonico e scattante, principalmente frutto di un'infanzia in continuo movimento, che in molti avrebbero considerato ideale per un futuro combattente, nessuno per una promessa sposa.

Inoltre, la sua indole non era affatto aggraziata e cortese come quella delle altre giovani in età da marito. Semmai poteva definirsi goffa nei modi, ed impertinente nel linguaggio. Anziché intrattenere civettuola i propri potenziali spasimanti, tendeva ad azzuffarsi con loro se ancora piccoli, a rispondere in malo modo se già grandi ed altezzosi. Dei figli dei dignitari, nessuno si era guadagnato la sua simpatia, né aveva mostrato per lei alcun interesse di sorta. Quanto ai dignitari stessi, nelle aggiunte al proprio harem tendevano a prediligere concubine ben più mature ed avvenenti di lei. Circostanza di cui avrebbe dovuto rammaricarsi, e di cui invece si sentiva solo immensamente sollevata.

Infine, non soltanto non poteva puntare su alcun vanto estetico, ma non aveva dimostrato la benché minima inclinazione per una qualsiasi delle arti in cui una ragazza dovrebbe dilettarsi ed eccellere. Era stonata nel canto e scoordinata nella danza. Il solo strumento musicale che riusciva a suonare, era il fischio delle sue dita. Né aveva dato prova di un maggior estro per la tessitura o per la pittura. Si pungeva ripetutamente col fuso, e macchiava ovunque con i pennelli. Forse, se si fosse messa d'impegno, se avesse dato prova di una maggiore costanza e pazienza nei suoi apprendimenti, avrebbe anche potuto colmare in parte queste sue lacune...

Ma la verità inconfessabile era che le mancavano le motivazioni per farlo.

Lei, avrebbe preferito che le fosse permesso prendere lezioni di equitazione, così come sapeva esser concesso al giovane principe. Poter partecipare con gli altri ragazzi ai loro addestramenti, ed alle gare di tiro con l'arco. Chiedere al gran visir d'insegnargli il senet, quel gioco dalle colorate pedine multiformi con cui l'aveva visto divertirsi assieme ad alcuni dei sacerdoti più anziani.

Ed invece, i soli attimi in cui era ancora libera d'intrattenersi in compagnia di altri adolescenti erano quelli che componevano le noiose ed interminabili lezioni mattutine di storia e di scrittura. Quanto al pomeriggio, su di esso incombevano fatali quelle volte a migliorare le sue scarse virtù femminili e le sue ancor più inesistenti doti domestiche. Quelle, in particolare, le odiava profondamente.

Pertanto, pur di sfuggirvi, si era avvalsa anche quel giorno di un valido ed oramai usuale pretesto, andare a recare offerte al tempio di Iside.

Tuttavia, mai lo raggiunse. Le sue gambe avevano rallentato lungo il percorso, fino a sostare del tutto all'ombra del porticato che cingeva l'esterno del palazzo. Improvvisamente, le era come preso un mancamento che l'aveva spinta ad appoggiarsi al ruvido granito di una colonna, a nascondersi agli austeri sguardi altrui ed al cocente riverbero del sole allo zenit.

Prima d'allora, neppure la fase più afosa del suo ciclo diurno era mai riuscito a costringerla al chiuso. Adesso, però, nonostante gli unguenti che le addolcivano e le proteggevano la pelle dai raggi infuocati, si era scoperta incapace di affrontarla. La cipria le soffocava le gote, ed il khol le bruciava lacrimante agli occhi delicati, arrossando le sue iridi acquamarine. Lei si era divertita a tracciare fantasiosi arabeschi lungo la linea delle palpebre, come un guerriero che si prepara per la battaglia. La sua veneranda nutrice glieli aveva cancellati scandalizzata, e le aveva marcato il contorno d'inchiostro fino in profondità.

Fintanto che era stata costretta a rimanere in presenza altrui, le era riuscito di sopportarne l'intrusione. Da quando si era ritrovata sola con i propri pensieri, aveva iniziato a sgorgarle assieme a delle lacrime sopite, che si erano fatte strada tra le ciglia, attraversandole in un rivolo le guance, segnando quel torbido percorso fino a picchiettare nell'intreccio del canestro che si era portata con sé. Avrebbe dovuto riempirlo di melograni maturi, se lo stava stringendo al petto ancora vuoto, abbracciandolo come una bambola di pezza in cui cercare un conforto che mai avrebbe saputo offrirle.

Ed invece, inaspettate, le giunsero in consolazione alcune parole.

-E' un tremendo peccato, che la tristezza adombri un viso sempre tanto radioso...-

Sollevò il volto in un sussulto, spaventata da quel sopraggiungere repentino ed ancor più imbarazzata dall'esser stata colta da qualcuno in quel suo momento d'abbandono.

Trovò accanto a sé l'alta e longilinea figura di un giovane, che la costrinse allo sforzo di elevare ulteriormente il capo per colmare la distanza tra i loro sguardi. Vestiva una modesta tunica di lino, ma a dispetto delle apparenze sapeva che non si trattava affatto di uno schiavo. L'aveva riconosciuto non appena le era riuscito di metterne a fuoco l'immagine. Era quel ragazzo, ormai quasi adulto, che le era occasionalmente capitato di scorgere in disparte nei giardini reali, sotto le fronde del sicomoro. Avrebbe anche potuto giudicarsi avvenente, se non fosse stato per quel suo contegno perennemente serio e concentrato sui rotoli di papiro, a studiare con diligenza. Un apprendista che ambiva a diventare scriba, magari funzionario di corte. O almeno così supponeva.

Avrebbe desiderato interrompere il pianto così come lui aveva infranto quel suo isolamento, ma nel rimarcarglielo impresse in lei la consapevolezza irreversibile di quell'attuale condizione, che le impedì di frenarlo. Evidentemente, piangere era l'unica attitudine femminile per cui aveva un qualche tipo d'inclinazione. L'attività più caratteristica di una donna, e quella più umiliante.

Avvertì lo scorrere di un'altra lacrima bruciante. Tuttavia, anziché riversarsi assieme alle precedenti, quella venne raccolta tra le dita del giovane. Una carezza gentile che gliela scacciò via, tingendole le gote di un calore inusitato. La conseguenza di una vergogna lusinghiera, nata dal ricevere su di sé attenzioni spassionate, e che la fecero sentire ancor più piccola al suo confronto, ben più grande al suo contatto. Vellutato come il suo profumo, una sfuggevole essenza dal sapore esotico come il terebinto, penetrante come l'incenso.

-Per quale ragione il tuo animo si è così scosso?- si sentì domandare allora.

E glielo chiese con un'espressione grave e solenne che anche avrebbe potuto apparire intimidatoria, indurla ad abbassare il capo balbettando parole di scusa. Invece, la pacifica quiete che incontrò nei suoi occhi antracite bastò a placare il proprio turbamento, ed il timbro solido e rassicurante che aveva scoperto nella sua voce la persuase a confidarglielo apertamente.

-E' colpa del tempo...- gli mormorò piano.

Lo sguardo del ragazzo si rannuvolò perplesso.

-Il tempo?- ripeté, premendo per un chiarimento a quell'allusione incompresa.

Lei si mordicchiò il labbro inferiore, abbassando gli occhi al proprio grembo nel trovare una definizione a pensieri sfuggevoli, nel giustificare razionalmente un umore influenzato da una causa tanto naturale. Non voleva affatto apparirgli sciocca, che fraintendesse una questione che sentiva esserle d'importanza così vitale.

-Scorre troppo veloce.- si lamentò infine con malinconico rammarico -Mi costringe a crescere con esso, anche se non riesco a rincorrerlo.-

La voce le si affievolì, come terminò di esprimere questa sua considerazione. Esternata, era suonata alle sue stesse orecchie davvero sciocca, tuttavia parole migliori non le erano proprio venute alla mente. Lasciò cadere il manto del silenzio, avvilita dal non ricevere in risposta altro che la tacita conferma di quella sua prima impressione.

-E se fosse che il problema non sia del tempo, ma della strada?-

Sollevò di nuovo gli occhi sul ragazzo, stupefatta. Non solo non si era attesa che riuscisse a capirla, ma non si era affatto aspettata una replica di ancor più ardua comprensione.

-La strada?- l'interrogò, mimando l'espressione confusa da lui assunta poco prima.

Le labbra del ragazzo si piegarono in un accenno di sorriso.

-Magari devi solo cambiarla... Trovarne una più adatta al tuo passo.- le spiegò paziente.

-No, non credo...- lo disattese subito, scuotendo la testa rassegnata, cercando di cancellare i segni che ancora avvertiva sul proprio viso in una rapida passata -Sembra esserci solo un cammino, che posso percorrere.-

-Anche se non li vedi, non significa che non ne esistano altri.- obiettò allora lui, tendendole una mano -Vieni, desidero mostrarti una cosa.-

Lei però continuò a stringersi al suo cesto, scrutandolo con improvvisa diffidenza.

-Che cosa?-

-Seguimi e lo scoprirai.- le ammiccò con fare misterioso.

Fu così che la curiosità ebbe la meglio, abbassò il canestro dietro cui si stava nascondendo, allungò il braccio e si lasciò condurre docile da quello strano giovane in direzione della sconosciuta meta.

Durante il tragitto si immaginò al principio di un percorso tortuoso attraverso intricati labirinti sotterranei, stanze segrete e ricolme di tesori. La sua fantasia già si allenava a meravigliarsi, la sua espressione divenne per davvero incredula quando lui arrestò la sua andatura dopo molti meno passi di quanti si fosse prefigurata. All'interno di un chiostro attiguo, lungo il bordo di una vasca semicircolare. Già aveva avuto occasione di scovarla durante i suoi giri esplorativi tra i meandri del palazzo, senza trovarci mai nulla di più interessante di qualche sparuto pesciolino, a cui gettare briciole di pane o da cui lasciarsi sbocconcellare le dita. E nemmeno in quel momento le parve degno di particolari attenzioni. Era rimasto spoglio come se lo ricordava, un semplice bacino marmoreo dal bordo liscio e privo di ornamenti, riempito con nulla più che dell'acqua stagnante, bisognosa di un ricambio. Persino la luce pareva trascurarlo, adombrato per la gran parte della sua superficie limacciosa.

Ultimata questa sua rapida quanto infruttuosa analisi, si rivolse impaziente al ragazzo al suo fianco, fattosi improvvisamente taciturno nell'osservare quanto raggiunto.

-Dunque?- lo pressò -Che cos'era che mi volevi mostrare?-

Lui, anziché risponderle, si sedette prima sul ciglio della vasca. Una lamina di sole dipinse allora lunghi riflessi ramati tra i suoi capelli, e gli illuminò in parte quel braccio che scelse di sollevare ad indicarle un punto avanti a sé, apparentemente imprecisato.

-Queste ninfee.-

La ragazzina quindi si avvicinò maggiormente, studiando dall'alto in basso un solitario gruppetto di foglie che galleggiavano sul pelo dell'acqua, ampie e dalla forma a cuore. Alcune erano un po' ingiallite dalla penombra, altre rilucevano per la presenza di qualche gocciolina che ne imperlava le venature. Ma nulla più apparivano ai suoi occhi.

-Tutto qui?- si lasciò sfuggire dalle labbra, visibilmente delusa -Neppure sono ancora sbocciati...-

-Perché questi sono dei fiori di Nefertum speciali.- le rivelò lui con una punta di malizia -Devi sapere che aprono i loro petali solo sul far del tramonto, e li richiudono prima dei vespri dell'alba.-

Nell'udire una simile sciocchezza, la piccola aggrottò le sopracciglia e lo guardò malamente. Per nulla convinta, e sempre più persuasa che quel giovane si stesse solo divertendo a prendersi gioco di lei.

-Quello che dici è impossibile!- lo contraddisse, ben decisa a dimostrargli che mai sarebbe caduta in quel suo misero tranello -Nulla può fiorire di notte, senza l'aiuto dei raggi di Ra!-

-Ti assicuro che è così.- continuò ad insistere lui, seppur con tono malleabile -Il loro loto è molto più bello di quello di qualunque altra ninfea, ma sono così timidi che osano mostrarlo solo di nascosto, quando sono certi d'esser celati agli sguardi altrui. Si prendono i loro tempi, raccolgono la luce necessaria e la svelano tutta al calar delle tenebre.-

A nulla però valsero quelle sue parole, se non ad indurla a mettersi una mano sul fianco con fare permaloso e a perseverare nel guardarlo storto.

-Non ti credo.- replicò lei, fiera ed irremovibile.

-Lascia che te lo dimostri, allora...- ribatté lui, sereno ed accomodante.

Detto questo, distese una mano lungo la superficie dell'acqua, increspandola. Le palpebre socchiuse, l'espressione concentrata. Alcuni cerchi concentrici si aprirono da quel punto, dipanandosi fino all'altra estremità della vasca. E, quando si placarono, tra quelle foglie abbandonate a se stesse iniziò ad aprirsi un bocciolo occultato dalla loro presenza, in un soffice ventaglio di petali perfettamente bianchi. Mai aveva visto dei loti con quelle soavi sembianze, così diverse dalle corolle bluastre ed acuminate ovunque ben più diffuse e coltivate. Tuttavia, non fu quello lo spettacolo che tanto la sbalordì, fino a lasciarla a bocca aperta e a far rotolare ai propri piedi il suo cesto di vimini. Fu l'incanto di quel giovane, la cui vera, stupefacente identità le si era manifestata solo ora, svelandosi appieno.

-Tu sei... Sei un mago...?!?- esclamò sconcertata.

-Non esattamente.- la corresse lui, portandosi alle spalle una ciocca di capelli con noncurante modestia -Sarebbe più corretto dire che pratico le arti magiche...-

-Dunque sei un mago!- insistette lei.

-No, invece.- la smentì lui con solida fermezza -Per natura, non differisco affatto da nessun'altra persona. Ho solo sviluppato un'abilità più marcata degli altri nel controllare ed attivare il mio heka.-

A quell'espressione finora mai sentita, sbatté ripetutamente le palpebre.

-Heka? E che cosa sarebbe?-

Il ragazzo allora incrociò le braccia, drizzando le spalle e facendosi più solenne.

-E' l'energia sprigionata dal nostro Ka, che a sua volta trae il proprio nutrimento dal nostro Ba. Quella che tu chiami magia, non è altro che l'espressione dell'anima e della sua forza vitale.-

Annuì con fare comprensivo, benché avesse colto ben poco senso da tutte quelle sue trascendenti allusioni.

-Quindi, questo significa che anch'io possiedo dell'heka?- osò chiedergli, provando a trarre una qualche intelligente conclusione da quell'ampolloso discorso.

-Certamente.- le rispose con ovvietà.

-E che posso praticare anch'io il tuo stesso incantesimo?- proseguì eccitata, il cuore tutto in fermento a quell'idea germogliata improvvisa tra i suoi pensieri.

Il suo infuocato fervore trovò tuttavia un'accoglienza ben più tiepida da parte del giovane, messo visibilmente in difficoltà dalla domanda che gli aveva appena rivolto.

-Ecco... Teoricamente, sì. Ma per riuscirvi servono prima molti anni di addestramento, e...- incominciò a ritrattare.

Lei però si limitò a recepire solo la prima parte di quella risposta, affermativa e conforme alle sue aspettative, ed interruppe la seconda senza neppure starlo ad ascoltare.

-Dimmi come fare!- gli ingiunse, saltellando concitata sul posto.

-Guarda che non è affatto semplice come credi...-

Per nulla svilita da quelle sue rimostranze, prese posto accanto a lui e gli si appellò con le mani giunte in preghiera.

-Oh, ti prego!- l'implorò nel suo tono più supplichevole -Voglio almeno tentare!-

Lui rimase a fissarla per qualche istante interdetto, ma poi scosse il capo in lieve sospiro.

-E va bene, come desideri...- acconsentì, più estenuato dalla sua testardaggine che sinceramente persuaso delle sue effettive possibilità di successo -Per prima cosa, immergi appena le mani, e tienile ben aperte. Chiudi gli occhi, e concentrati sul fluire dell'acqua... Come tutti gli elementi, rappresenta un veicolo: consente di mettere in comunicazione la tua essenza con quella delle altre creature viventi. Se la segui, dovresti arrivare a percepire anche la presenza latente dei fiori di loto, e se l'assecondi con la giusta sensibilità potresti anche riuscire a far scorrere parte del tuo heka in uno essi...-

Lei ascoltò avida ogni parola, e volenterosa provò a fare come le era stato suggerito. Strinse le palpebre con determinazione, e protese il più possibile le dita lungo la fredda superficie dell'acqua. Avvertì le onde generate con la loro immersione sotto i polpastrelli, qualche impurità viscosa solleticarla ai palmi delle mani. Si sforzò di percepire altro oltre a quella sensazione sgradevole, e rimase in attesa di una qualche insolita impressione che le consentisse di attuare anche la restante parte del procedimento impartito. Aspettò ancora ed ancora, mentre l'entusiasmo scemava e cedeva il passo a una delusione crescente. Per un attimo, si era illusa di aver appena scoperto una sua possibile, meravigliosa vocazione. Ed invece, quei candidi fiori di Nefertum avrebbero continuato a sbocciare nella sua sola immaginazione...

-No... Incredibile!-

La voce sconvolta del suo mentore la fece sussultare all'improvviso, riaprire di scatto gli occhi, sollevare il capo. E ritrovò davanti a sé la stessa immagine tratteggiata dalla sua fantasia, una piccola ed umile vasca costellata da decine di ninfee bianche, identiche nelle sembianze a quella che lui aveva poco prima fatto apparire. Lo stupore fu tale che si lasciò sfuggire un'esclamazione dalle labbra, e ritirò indietro le mani in uno schizzo. Ed allora i loti svanirono, repentini così come avevano fatto la loro intempestiva comparsa.

La ragazzina fissò straniata le proprie mani, sgocciolanti sulla sua veste. Faticando a riconoscerle, e a realizzare quanto avevano appena compiuto a sua insaputa. Accanto a lei, il ragazzo in sua compagnia la guardava con aria altrettanto sconvolta.

-Il tuo heka è... davvero sbalorditivo!- lo sentì commentare, in un ammirato bisbiglio.

-Significa... Significa che potrei diventare una maga come te?- gli chiese timidamente conferma, mentre le sue guance si colorivano dall'eccitamento.

Il giovane annuì senza la minima titubanza, con aria questa volta pienamente convinta delle sue potenzialità.

-Possiedi indubbiamente un talento naturale, per le arti magiche... Sono certo che gli altri sacerdoti sarebbero più che lieti di prenderti come loro allieva.-

Quella prima rassicurazione rinfocolò la speranza che si era accesa dentro al suo animo, nel baluginio di una così sfavillante possibilità futura, ma quella seconda prospettiva glielo adombrò presto, inducendola ad abbassare il capo con fare contrito. Già le era capitato di aver a che fare con alcuni dei sacerdoti di corte, ed in ogni occasione si era sempre trovata a disagio al loro immoto cospetto. I più anziani predicavano una disciplina ferrea quanto la loro morale, mentre i novizi erano votati al dovere con diligenza ed alterigia. Nessuno di loro le ispirava autentica fiducia, ed ognuno di essi sembrava procedere con andature troppo diverse dalla sua, per potersi aspettare di riuscire a seguirle.

-A dire il vero...- prese a mormorare, radunando tutto il proprio coraggio per confessargli il suo vero desiderio -Preferirei che fossi tu, ad insegnarmele.-

-Io?- esclamò lui, sgranando gli occhi -No, no... Non ritengo affatto d'essere abbastanza qualificato, per farlo. Sono ancora un apprendista!-

Lei, invece, sempre più convinta della propria idea, gli sorrise radiosa.

-Ma sono le tue mani, quelle più adatte a coltivarmi.-

 

 



N/A - H^o^la!
Orbene, una domanda sorge a questo punto spontanea... Che diamine ho scritto?!? Perché io non ne ho la minima idea. Non so se la resa stilistica sia coerente, se i personaggi mi siano venuti OOC... In definitiva non so nulla, peggio di Jon Snow. Ma il fatto è che codesta fic è il classico esempio di una storia che non è stata scritta, ma che si è fatta scrivere. Ero partita con un'idea, e quella indisciplinata si è tramutata in questo risultato straniante. Avevo incominciato con l'intento di raccontare dell'iniziazione di Mana, ed invece nel contestualizzarla per renderla più realistica la descrizione del background storico dell'epoca ha decisamente preso le redini sui toni della narrazione. E vabbeh, così sia. Dunque, ora mi ritrovo a dovervi inondare di notazioni...
No, scherzo. Per stavolta vi voglio graziare, sarebbero troppe e troppo superflue. Offro solo una spiegazione del tema portante, ovverosia il loto. Dal punto di vista botanico, la ninfea per eccellenza. Trattasi di un fiore molto diffuso nell'Antico Egitto, che cresceva spontaneo nelle limacciose acque del Nilo e veniva anche coltivato nei giardini più altolocati. Le varietà conosciute erano appunto quella del 'white lotus' e del 'blue lotus', tuttavia era quest'ultima quella maggiormente apprezzata e raffigurata. Simbolo della femminilità e della fertilità, nella religione egizia era legato alla nascita del dio Sole e nella vita quotidiana utilizzato dalle donne come afrodisiaco. Caratterizzato da un forte profumo, era dunque associato a Nefertum, il dio dei profumi, e spesso offerto in omaggio alle divinità nelle celebrazioni più importanti. Tuttavia, la povera, bistrattata ninfea bianca è molto più bella, ed il fascino nascosto della sua fioritura notturna, quasi magica, ben si prestava ad un'associazione con la nostra Mana.
Detto questo, concludo ufficialmente, vi ringrazio per la lettura e spero in qualche vostro parere, nel bene o nel male che sia!
XOXO

- Evee

   
 
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