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Autore: FloxWeasley    27/07/2015    4 recensioni
Lo scricchiolio delle vecchie assi del pavimento dovette distoglierla dai suoi pensieri, perché non appena Bill mise piede in cucina si ritrovò addosso lo sguardo allarmato della donna.
«Oh, tesoro, sei tu» fece lei, distendendo il volto in un sorriso affettuoso. «Mi hai spaventata. Che ti succede? Non riesci a dormire?» aggiunse poi, addolcendo il tono.
Lui scrollò le spalle e si lasciò cadere sulla sedia accanto a quella della madre.
«Vuoi una camomilla?» chiese allora la donna, alzandosi faticosamente prima ancora che il ragazzino rispondesse e tirando fuori un pentolino. «La volevo fare anche per me, il thé non è servito a molto... »
Bill accettò e la osservò riempire il pentolino di acqua, posarlo sul fornello e tirare fuori un'altra tazza sbeccata dalla credenza. Tenersi occupata con quei semplici gesti la distraeva dalla preoccupazione per Arthur: farli con la magia non avrebbe sortito lo stesso effetto.
«Non vai a dormire, mamma?» domandò infine il bambino.
Genere: Fluff, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arthur Weasley, Bill Weasley, Charlie Weasley, Famiglia Weasley, Molly Weasley | Coppie: Arthur/Molly
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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La lunga notte di Bill Weasley

capitolo uno: Io resto comunque
 



La Tana pareva addormentata, immersa com'era nel silenzio e nell'oscurità di quella nuvolosa notte di inizio Luglio, ma non si poteva dire lo stesso dei suoi abitanti. Doveva essere mezzanotte, forse qualcosina di più, Bill non riusciva bene a farsi un'idea di quanto tempo fosse passato da quando sua madre aveva spedito lui e Charlie a letto.
Molly aveva acconsentito a lasciarli in piedi fino ad un'ora più tarda del solito, anche se con i più piccoli era stata intransigente, ma verso le undici e mezza, complici i continui sbadigli del secondogenito, aveva smesso di lasciarsi impietosire dalle loro proteste e li aveva cacciati di sopra senza troppe cerimonie. Una volta in camera, il povero Charlie si era addirittura beccato uno scappellotto sulla nuca dal maggiore per aver ceduto al sonno così presto. 
Eppure glielo aveva spiegato: non gli andava di lasciare sola la mamma, non dopo la conversazione che avevano origliato appollaiati sulle scale prima di cena.


«Molly, tesoro, lo sai che non lo farei se non fosse necessario, ma è solo per stanotte...»
La voce di Arthur sembrava estremamente stanca, mentre pronunciava quelle parole.
«Non sei un membro dell'Ordine, Arthur, non dovrebbero chiederti certe cose» aveva ribattuto Molly con un tono che forse voleva essere rabbioso, ma che conteneva le tracce del pianto.
Poi c'era stato il rumore di una sedia che strisciava sul pavimento, probabilmente il marito le si era avvicinato per stringerla tra le braccia, lasciando andare un impercettibile sospiro.
«Lo so, Molly, che abbiamo deciso di non far parte dell'Ordine per i bambini, per non fargli correre il rischio di crescere senza genitori... »

A quel punto avevano sentito un singhiozzo strozzato, e Bill aveva stretto con forza il corrimano delle scale per la rabbia: odiava l'idea che sua madre piangesse. 
Lei faceva di tutto per mostrarsi forte davanti ai suoi figli e non era mai scoppiata in loro presenza, ma lui era abbastanza grande da notare i suoi occhi rossi e gonfi quando usciva dal bagno, o il modo in cui dava loro ostinatamente la schiena mentre cucinava, asciugandosi le lacrime che sfuggivano al suo controllo, o ancora il modo in cui li spediva in camera con un scusa qualsiasi, di tanto in tanto, per poi esplodere in singhiozzi prima ancora che Bill riuscisse a chiudersi la porta della cameretta dietro le spalle.

«... ma l'Ordine è stato decimato e gli serve qualcuno che copra questo turno di ronda».
A quel punto sua madre era scoppiata in un pianto dirotto e Charlie, molto più impulsivo di lui, era scattato in piedi con un'aria estremamente seria, che il fratello raramente aveva visto sul suo volto rotondo e sempre illuminato da un sorriso. Bill però era più pacato, più riflessivo, tanto simile a suo padre quanto Charlie lo era a sua madre: lo bloccò con un gesto della mano e un'occhiata severa, costringendolo a rimettersi seduto sugli scalini sgangherati. 
Anche lui si sentiva straziare il cuore a sentire i singhiozzi disperati di Molly, ma sapeva che c'era Arthur con lei a consolarla, e questo bastava a tenerlo buono.
«Molly, amore mio, starò attento. Te lo prometto. Lo faccio per i ragazzi, perché non debbano continuare a vivere nel terrore. I Weasley non sono dei codardi».


Ad un tratto Charlie prese a russare e Bill cercò la sua figura addormentata nel buio, indeciso se lanciargli un cuscino per farlo smettere o meno: il bambino era sdraiato a pancia in su e occupava l'intero letto a stella marina, con un piede che sbucava da un lato e anche di diversi centimetri dal pigiama, chiaramente ormai troppo corto, che una volta era appartenuto a lui.
Decise infine di lasciarlo stare: il suo fratellino aveva un cuore d'oro e aveva subito acconsentito a stare sveglio per fare compagnia alla mamma, ma non era colpa sua se era anche un incredibile dormiglione. Cercando di fare il minor rumore possibile, Bill scivolò giù dal letto e poi sgusciò fuori dalla cameretta, socchiudendo la porta dietro di sé.
Aveva teso l'orecchio fino a poco prima per sentire se sua madre andava a letto, ma le scale non avevano scricchiolato nemmeno per un attimo, il che gli aveva fatto pensare che forse la donna non aveva alcuna intenzione di dormire. Una volta arrivato di sotto ne era stato certo: Molly avrebbe aspettato il marito sveglia.


Era seduta al tavolo della cucina con una tazza sbeccata davanti a sé, sulle spalle un cardigan scuro che doveva appartenere ad Arthur aperto davanti, dove la pancia tonda tendeva la vecchia camicia da notte candida.
Mentre di solito appariva molto più matura della sua età, una donna fatta e finita, in quel momento emergevano i suoi appena trent'anni e anzi sembrava di nuovo la ragazzina spaventata che aspettava il suo primo bambino, con gli occhi nocciola che fissavano trepidanti fuori dalla finestra e le dita che torturavano una povera treccia ormai sfatta, da cui sporgevano diversi ciuffi rossi.


Lo scricchiolio delle vecchie assi del pavimento dovette metterla in allarme, perché non appena Bill mise piede in cucina si ritrovò addosso lo sguardo allarmato della donna.
«Oh, tesoro, sei tu» fece lei, distendendo il volto in un sorriso affettuoso. «Mi hai spaventata. Che ti succede? Non riesci a dormire?» aggiunse poi, addolcendo il tono. Lui scrollò le spalle e si lasciò cadere sulla sedia accanto a quella della madre.
«Vuoi una camomilla?» chiese allora la donna, alzandosi faticosamente prima ancora che il ragazzino rispondesse e tirando fuori un pentolino. «La volevo fare anche per me, il thé non è servito a molto... »
Bill accettò e la osservò riempire il pentolino di acqua, posarlo sul fornello e tirare fuori un'altra tazza sbeccata dalla credenza. Tenersi occupata con quei semplici gesti la distraeva dalla preoccupazione per Arthur: farli con la magia non avrebbe sortito lo stesso effetto.
«Non vai a dormire, mamma?» domandò infine il bambino.
La donna si voltò verso di lui con le bustine in mano, un sorriso non troppo convincente in volto.
«Ma certo, tesoro. Stavo finendo di sistemare qui...» rispose, e il suo sguardo abbracciò l'intera cucina, in cui era chiaro non ci fosse assolutamente nulla da mettere a posto. Dovette rendersene conto anche lei, perché evitò lo sguardo serio del figlio e tornò a dargli le spalle mentre lasciava cadere le bustine nel pentolino.

«Non è vero» replicò lui, raccogliendo tutto il proprio coraggio da futuro Grifondoro e incrociando le braccia al petto. «E se non vai a letto tu, non ci vado nemmeno io». Aveva sperato che sua madre fosse troppo stanca e preoccupata per arrabbiarsi, ma si era sbagliato: quando Molly Weasley tornò a fronteggiare il figlio, i suoi occhi mandavano lampi.
«William Arthur Weasley, ora bevi la tua camomilla e fili a letto, se non vuoi beccarti una punizione»
«No».
C'era un motivo se nessuno dei ragazzi Weasley contraddiceva mai Molly – a pensarci bene, anche Arthur l'aveva fatto assai raramente – e Bill lo sapeva bene. Eppure quella notte era determinato.
«Come sarebbe a dire,
no?» fece la donna, minacciosa.
«Che non andrò a letto. Voglio stare qui con te, non voglio lasciarti da sola ad aspettare che papà ritorni. Non voglio che tu pianga da sola».

Ecco, l'aveva detto. Si era mangiato quelle parole per settimane, mesi, anni, ma ormai – e se ne rese conto anche la donna, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime – non era più un bambino.
Poteva non aver ancora compiuto undici anni, poteva divertirsi ancora a giocare con i fratellini e ad immaginare mondi in cui salvava regni e principesse dai mostri peggiori, ma – esattamente come suo padre – nel cuore era già un uomo: un uomo che difende la propria famiglia.

«Mamma... » chiamò, allarmato, vedendo che lacrime silenziose avevano preso a rotolare sulle guance rotonde della donna alle sue parole. Dove aveva sbagliato? Non voleva certo ferirla, ma piuttosto esserle vicina!
«Oh, William... » fece Molly, mostrando il più amorevole dei suoi sorrisi di mamma tra le lacrime, mentre gli si avvicinava e con una mano gli accarezzava una guancia lentigginosa. Il ragazzino non fuggì il tocco come avrebbe fatto davanti ai suoi fratelli, ma chiuse gli occhi e lasciò che la madre lo avvolgesse in un abbraccio. Per qualche attimo fu di nuovo un bambino, appoggiò la testa al pancione della donna e si lasciò accarezzare i capelli con dolcezza.
«Sei cresciuto così in fretta, tesoro mio... un attimo fa eri il mio bambino, il mio bellissimo bambino che stringeva il suo pugnetto intorno al mio dito per la prima volta, e ora... ». Gli baciò la testa.
«Ma è ancora compito mio occuparmi di te, non il contrario».
Si asciugò le lacrime e sorrise dolcemente al figlio, che si lasciò accarezzare ancora una volta prima di tornare a parlare come un uomo.

«Io resto comunque» fece, sicuro, fissandola con una determinazione che le diede il colpo di grazia: gli occhi del figlio non avevano solo lo stesso azzurro brillante di quelli di Arthur, ma riflettevano lo stesso sguardo che suo marito le aveva rivolto tante volte, come a dirle“Non mi importa se protesti, non mi importa se mi urli contro, io ti amo e non puoi fare assolutamente nulla per impedirmi di prendermi cura di te”.
La donna sospirò, poi tornò a trafficare con il pentolino dell'acqua calda.
«Immagino che minacciare una punizione, a questo punto, sia totalmente inutile»
«Esatto» rispose il ragazzino, un sorriso soddisfatto che si apriva sul suo volto.
Aveva vinto: l'aveva spuntata in una discussione con Molly Weasley, il che non era niente male come traguardo per un moccioso di dieci anni.
Ma era soprattutto orgoglioso perché aveva dimostrato di non essere grande solo quando c'era da cambiare un pannolino e nessuno era libero, o da alzare la voce con i fratelli, o ancora da non rispondere in modo scortese a zia Muriel. Era grande davvero.
«Allora mettiamoci sul divano, queste sedie non aiutano molto il mio mal di schiena» concesse infine la donna, dopo aver versato la camomilla fumante nelle due tazze. Il sorriso che rivolse a Bill mostrava tutto l'orgoglio e l'affetto che un figlio potrebbe desiderare.
«Ti va se guardiamo qualche foto?»






Non so da dove salti fuori questa storia, davvero. 
So che manco dal fandom da secoli, so che ho un pullmino domani mattina da prendere alle cinque e mezzo, so che ho mille altre storie che stagnano nel mio computer e so che questa, di storia, non ho nemmeno idea di dove mi porterà.
So di avere la fama di non portare mai a termine le long e so anche il prossimo capitolo l'ho solo vagamente immaginato, ma soprattutto so di avere quindici ore di pullmino davanti a me domani, e altre quindici al ritorno tra una settimana, per cui il tempo per scrivere non mi mancherà.
Credo di aver pubblicato perché non scrivevo dietro ispirazione tanto violenta da un mucchio di tempo e perché l'idea di una notte insonne in casa Weasley (con i marmocchi che si alzano uno dopo l'altro, o almeno questo è il progetto) mi ha stuzzicata nel bel mezzo della noia più totale.
Chissà che questa strana storia dal titolo vagamente Pennachiesco (non voluto, in realtà, perché mi sono ricordata de "La lunga notte del Dottor Galvan" solo dopo che la mia idea mi suonava stranamente familiare) non interessi qualcuno: nel caso saluto con la manina e prometto di impegnarmi per sviluppare la mia idea e portare a termine una long, una volta tanto.
Grazie a chiunque sia arrivato fin qui e al prossimo capitolo!

(Morgana, se mi dilungo ancora un po' finisce che sul pullmino ronfo e basta).

 

  
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