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Autore: Queen of Superficial    27/07/2015    2 recensioni
«La maglia dei Kasabian, le camere da letto comunicanti con il tubo dei pompieri, la terra sotto i nostri piedi che sembrava assecondare i nostri passi ogni volta che ci muovevamo per incontrarci. Vicini, eterni, imbattibili.
Poi, la vita.
La vita spesso ha un modo suo di rivelarti le cose. Non te le dispiega davanti come un elenco, una certezza, non te le sottolinea in rosso tre volte per fartele identificare come importanti. No. Le insinua. Silenziosamente. Inesorabilmente. Piccole biglie che si incollano l'una all'altra per creare un disegno, filtrare una luce. Ti rendono edotto di quale sia la realtà, e ti dicono che non importa se quelle che hai vissuto fossero solo illusioni, purché siano state belle.»

Sequel di "Niente virgolette nel titolo". Perché? Lo sa Dio.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Christopher Wolstenholme, Dominic Howard, Kate Hudson, Matthew Bellamy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Last night I woke the fuck up
- I realized I need you here,
as desperate as that sounds.

 

 

“Ma abbiamo sempre fatto le cose tutti insieme.”
“Non questa volta.”
Una voce metallica disse imbarco aperto per il volo intercontinentale 160490 al gate 7.
“Ti prego di ripensarci.”
Ma lui non sentiva ragioni. Era già lontano, probabilmente a stringerla tra le sue braccia per rassicurarla che sarebbe andato tutto bene, tra di loro e nel mondo. Shadows crollò la testa, puntando le lenti specchiate a una crepa sul pavimento color sabbia dell’aeroporto.
“Non saresti irresponsabile se per una volta non ti facessi carico da solo di lei.”
Jimmy stornò lo sguardo su un altro Matt, il genere di persona che uno come lui avrebbe potuto capire - forse, sì, perfino apprezzare - se le circostanze fossero state diverse. Ma le circostanze erano quelle che erano, fatto che da solo costituiva uno dei problemi più antichi e ineffabili del mondo. Le cose, nonostante quel che diceva Ria, stavano come stavano, e non come uno voleva farle stare. Non bastavano le parole per convincere il Creato a funzionare diversamente da come era abituato e certo piegare la realtà non era una strada percorribile con la buona volontà. Jimmy sentiva di dover fare qualcosa per lei, un gesto definitivo e incontestabile, che avrebbe messo fine per sempre a quel torrente di dubbi e rimpianti che ogni tanto la trascinava via, lontano da lui; il punto era che non aveva assolutamente idea di cosa inventarsi.
“Io vado a prenderla, perché lei è… Lei…”
“Lei è l’amore della tua vita.”
Jimmy guardò Ann nel modo in cui la guardava un tempo, un’onda di passato che le provocò un tramestio interno che assunse in breve i contorni di un terremoto.
“Fino a qualche tempo fa pensavamo che fosse un altro, l’amore della tua vita.”
Stavolta fu su Brian che cadde lo sguardo, e Jimmy si sorprese a chiedersi come diavolo facesse a soprassedere a tutto quel che Brian era, faceva e diceva in nome dell’affetto incrollabile che da sempre li legava. Perché ogni tanto andava oltre, davvero oltre. Come questa volta.
“Qualcuno che non ti faceva stare meglio di Ria, mi sembra.”
“Non paragonarle, Brian. Ria è una cosa diversa.”
Brian mise le mani sui fianchi, rivolgendo la sua attenzione alla stessa crepa nel pavimento che guardava Shadows, sentendo l’aria pesante che aveva contribuito a creare dicendo una parola di troppo.
“Beh, Ria non lo fa per cattiveria, almeno.”
Il silenzio piovve su di loro, portato dall’aria condizionata troppo fredda e dall’odore lontano di frutta frullata.
“Ne sei sicuro?”
“Di cosa?”
“Sei sicuro di volere tutto questo, Jim? Sei sicuro di volere lei?”
Tutti si voltarono a guardarla di scatto, allarmati. Bliss non abbassò lo sguardo, non cercò una crepa; sostenne la realtà, esattamente per quella che era.
“Non ha mai chiuso fuori me. Questa volta, invece, è stato diverso. Lei non è più lei, Jimmy, e qualunque cosa sia questa Eldariael Ria Montague, non è quella che conoscevamo.”
Jimmy, inaspettatamente, sorrise.
“No, infatti. Perché stiamo rimandando l’inevitabile”, disse, estraendo il biglietto aereo dalla guaina, “ed è arrivato il momento che Ria Montague diventi quel che è destinata a diventare.”
“Vale a dire?”, si introdusse timidamente Fleur, che fino ad allora non aveva mosso il bastone da passeggio dal pavimento per non incrinare quella tensione esistenziale così sonante e perfetta. Fleur aveva letto tantissimi libri nella vita, tanti quanti Ria, e il talento innato che aveva per le parole gli faceva presentire con chiarezza che qualcosa si stava rompendo per sempre, ma, forse, per ricomporsi poco più in là, in una forma nuova e migliore.
“Vale a dire”, rispose Jimmy, spegnendo il telefono, “Ria Sullivan. Voi tornate ad Huntington Beach. Tutti quanti, se ci tenete a venire al matrimonio. Lei ha fatto la sua scelta, è ora che io faccia la mia.”
Mentre si allontanava, di spalle a tutto quel che conosceva, verso il gate, Bliss disse in un sussurro: “E quante volte uno deve fare una stessa scelta, nella vita?”
“Quante ne occorrono, Juniper.”
Guardò Brian di sottecchi, con la vaga sensazione di aver sognato, fino a quel momento, una vita che non era mai stata reale.



You can tell them you are mine,
I’m sick of games
- no more time,
you’ve lit the flame.

 


Ria fumava su una panchina, chiedendosi quante volte ancora avrebbe costretto le persone che la amavano - perché chiaramente la amavano, era così inequivocabile e semplice, quel sentimento nei loro occhi - a queste immani pantomime. Quante volte le avrebbe spinte a spostare le loro vite più in là di un continente per assistere a queste sue finte risoluzioni, a queste palesi recite di resurrezione. Avrebbe voluto con tutta se stessa poter mettere un punto fermo alle cose e iniziare il resto della sua vita in santa pace ma la pace, santa o laica che fosse, sembrava sempre trovarsi a qualche metro da lei, ben visibile e mai raggiungibile. Una crudele illusione, una beffa del fato.
“Il tempo è fuori dal suo ingranaggio, e maledetto me che sono nato per rimetterlo a posto.”, recitò a memoria, sottovoce, fissando la foresta al di là del fiume. In fondo al viale affollato dei suoi ricordi c’era una professoressa di letteratura inglese, con un microfono in mano, che diceva questa frase dell’Amleto di Shakespeare. Non era tanto per le parole, quanto per il tono con cui le aveva pronunciate: con la rassegnazione di qualcuno a valle che osserva scendere la lava dal pendio di un vulcano, sapendo che non sarà mai più veloce di lei, ma che dovrà per forza esserlo, se vuole salvarsi la vita. Qualcuno destinato inevitabilmente a morire - e, come spesso accade, non ai suoi termini ma a quelli del mondo - che però deve inscenare un’impossibile corsa alla salvezza. Perché il pubblico se lo aspetta, quando lo hai sempre fatto, e anche se sei ben conscio di non dovergli niente, non ce la fai a deluderli. Non vuoi deluderli. Vuoi convincerli, anzi, ancora una volta, che avere la meglio sull’impossibile non è che un complesso gioco di leve e pulegge, ma si può fare benissimo, con un pizzico di fortuna e un po’ di talento. Altro che costruire i nostri ponti e poi bruciarceli alle spalle, come scriveva Tom Stoppard; Ria aveva la netta sensazione che la vita non fosse più tanto una questione di investire sangue e sudore nella costruzione di cose che, sapevi già, sarebbero andate distrutte, quanto il tentativo di far anche credere a tutti, contestualmente, che quelle opere saranno eterne ed inviolabili. Intessere una bugia dorata, per rendere la vita vivibile alle persone con meno fantasia di te. Perfino bella, in qualche caso. Quasi mai vera, ma cosa importa?, la verità è un concetto largamente sopravvalutato e il tempo è sempre troppo poco. In ogni caso, anche quando è molto, non serve a niente. Ria e Jimmy erano responsabili di una mutua e perenne costruzione fatta di silenzi e parole, di smussature e aggiusti, di nuvole e tramonti e un’interminabile serie di meravigliose piccole sciocchezze, ma, alla fine, non sarebbero bruciati anche loro, proprio come quei ponti? Avrebbero acceso il fiammifero e appiccato l’incendio che li avrebbe distrutti, e lo avrebbero fatto l’uno con l’altra, con l’amore di sempre. Ria non voleva distruggere Jimmy, quant’è vero che lo aveva costruito, ed era certa che per lui fosse lo stesso. Ma allora cosa significava tutto questo, tutto questo vivere, svegliarsi, andare, aggiustare, incontrare centomila uomini sbagliati e cinquecentomila persone sbagliate, sempre ingannandosi, sempre impressionandosi che fossero giuste, per poi ritrovarsi su una panchina di New Orleans con davanti agli occhi l’inequivocabile elenco delle poche - noi pochi, noi felici pochi, noi, manipolo di fratelli - vere persone giuste, e scoprire di non averle mai guardate, ascoltate, frequentate e considerate abbastanza? Di averle chiamate poco, in tutti quegli anni. Di aver ascoltato opinioni di persone meno giuste di loro, ma per qualche inspiegabile motivo più presenti, che avevano lentamente sostituito i sentimenti, le sensazioni e la persona che lei era quando era in compagnia di quei pochi che sapevano capirla davvero? Era stato così bello e così scintillante il suo tempo con Bellamy che spesso e volentieri dimenticava quanto fosse stato penoso e demoralizzante, e quanto poco ci voleva che, grazie a lui, mancasse di un soffio l’unico uomo che l’avesse sempre messa davanti a qualunque cosa, incluso se stesso.
Avvolta in un possente mal di stomaco che prometteva di trasformarsi presto in un ictus, decise di andare a camminare. L’umidità e i colori cupi della natura della Louisiana sfumavano improvvisamente in quelli sgargianti delle palazzine francesi, chiudendo le strade in una morsa di pietra rovente e odori pungenti di cucina cajun. I ragazzini schizzavano qui e là rincorrendo trottole, evitando sapientemente i tavolini dei fortune teller all’ombra della cattedrale di St. Louis. Ria sorrise pensando alla vita con Jimmy. Sesso, dolcezza, risate e la perenne sensazione di aver detto la cosa giusta al momento sbagliato. Camminò in direzione di Canal Street fissando intensamente i gatti addormentati nelle vetrine dei negozi. Una volta gli aveva spiegato cosa le piaceva tanto del voodoo; le collanine colorate appoggiate sulle tombe, quel modo di trattare i morti come se fossero essenze e non ricordi. Aveva imparato da loro la sua personale maniera di percepire la realtà, o più semplicemente loro ne rappresentavano un’espressione; le somigliavano in quel modo di non arrendersi ai confini del comunemente noto, il modo di qualcuno che non avrebbe mai potuto pronunciare una frase di Amleto con rassegnazione. Qualcuno che lo avrebbe fatto con rabbia, forse, e una lieve ma inequivocabile emicrania, ma mai con rassegnazione. Attraversò il traffico sporadico e mortale di Canal Street con il sottofondo rassicurante dello sferragliare del tram che andava nel quartiere dei cimiteri, e si trovò nella strettoia che segnava l’inizio di Bourbon Street. Poco lontano, dal cortile del Jazz Memorial suonava Queen of New Orleans


 

Slowly, slowly, you unfold me
but do you know me at all?



La prese alle spalle, perché quello era il suo modo di fare più o meno con tutto.
La chiamò piano, vedendola camminare. Gli era parso giusto fare due passi per raccogliere le idee prima di parlarle, e ovviamente aveva pensato di farli a Bourbon Street, se non altro per il nome evocativo della strada che gli ricordava qualcosa che gli fosse più famigliare della donna con cui aveva, in un modo o in un altro, passato tutta la vita. Almeno, tutta la vita che valesse la pena ricordare.
“Ria.”
Ria si bloccò. Camminava avvolta in un vestito lungo e scuro e nel già citato mal di stomaco, e Jimmy fissò lo sguardo sui dettagli della stoffa, minuscoli fiori bianchi come il golfino che lei indossava per proteggersi da un freddo che soltanto lei sentiva. Si voltò a guardarlo e la rada folla intorno sparì, sfumando nei contorni degli edifici. Gli sembrò di starsi guardando per la prima volta dopo cento anni. Ria pensò, piuttosto in fretta, che era il caso di dire due parole, prima di saltargli al collo. Poi, decise di ignorare l’istinto che la portava sempre a parlare, parlare, spiegare, smontare, fotografare, per calcificare gli attimi e trasformarli in ricordi. Mentre gli correva incontro, decise di non dire mai più una parola che non fosse necessaria, mai più. Gli saltò in braccio e lasciò che lui la cullasse, baciandolo, come se fosse quella la sola cosa importante, l’unico ponte che valesse la pena costruire, con pazienza, da lì in poi. Perché Ria non esisteva senza di lui, e rendersene conto fu una cosa lieve, come il vento tra i rami di un faggio.
Lo avrebbe amato ogni giorno, in un modo drammatico e silente, e avrebbero avuto le loro canzoni degli Scorpions e le loro divergenze d’opinione sui Dire Straits, oltreché librerie, tazzine, amici a pranzo e a cena e la famiglia più eterogenea, disfunzionale, stravagante e meno effettivamente imparentata dell’Universo. Le persone che loro due avevano legato, e che sempre loro due dovevano stare attenti a non slegare, dimenticandosi della responsabilità che li inchiodava a quelle entità ostiche e inutilmente pensierose che erano i loro migliori amici, i loro fratelli e tutti gli altri che, con un soprammobile orrendo portato in dono da un viaggio in Africa, contribuivano a creare la sola casa che avrebbero mai davvero riconosciuto come propria.
Quando quel bacio interminabile, come tutte le cose interminabili, finì, Jimmy le disse: “Adesso taci, e andiamo a fare una cosa.”
“Posso almeno dire che sono contenta di vederti?”
“Idem. Taci.”
“E che ti amo più di ogni altra cosa al mondo?”
“Anche io. Taci.”
La rimise a terra con una delicatezza che aveva soltanto per lei, e la prese per mano.
“Posso sapere dove andiamo?”
“No. Taci.”
“Va bene.”
“Silenzio.”, disse lui, un’ultima volta, con un sorriso spezzato di tenerezza.

 

Huntington Beach, il giorno dopo all’ora del tè

 

 

“Dove hai detto che stanno?”
“A New Orleans.”
“Vuoi gentilmente notificargli una cosa da parte mia, quando li senti?”
“Cosa, Barbie?”
“Digli che li ammazzo.”
“Ma, Barbie…”
“Io li ammazzo. Tutti noi conosciamo i limiti di Jimmy, Joe”
“Quali limiti?”
“Ciò nondimeno, il fatto che nostro figlio sia pazzo è quasi sempre stato controbilanciato dal ferreo buonsenso di Ria.”
Ferreo buonsenso? Parliamo della stessa Ria? Ria nostra?”, osservò Bliss sottovoce, seduta in punta al divano di fianco a Splinter.
“Non lo so, che ne so… Senti, zia Barbie, è andato semplicemente a riprenderla, poi torneranno qui.”, intervenne la sorella di ferreo buonsenso.
“Non essere naif, Vivienne, conosci tuo cugino e sai bene che questa pretesa di non essere accompagnato a riprenderla significa che gatta ci cova.”
Calò un silenzio marziale, che venne interrotto da Brian il quale, timidamente, domandò a mezza voce: “… quale gatta?”
Barbara Sullivan alzò gli occhi al cielo. “È un modo di dire, Brian, significa che c’è puzza di bruciato.”
“Puzza di bruciato?”
“Forse è il plum cake al limone nel forno.”, intervenne Fleur.
Barbara si batté platealmente una mano sulla fronte. “Mio dio, il plum cake!”, disse, e sparì in cucina.
“Siete bravi a confonderla, ragazzi, continuate così, io vado a richiamare mio figlio.”, disse Joe, schizzando in cortile, cellulare alla mano.
Barbara tornò in salotto con il grembiule allacciato male, segnale di massima allerta nervosa. Spostò due occhi gelidi su una figura che sorbiva oolong tea da una tazza da caffè, arroccata nella poltrona di Joe.
“Vuole ripetermi nuovamente chi è lei?”, gli chiese Barbara, che in realtà lo sapeva benissimo.
“Matt.”, rispose quello, poggiando la tazza sul relativo piattino e producendo un lieve plin che, per qualche motivo, urtò i nervi già tesi allo spasimo della padrona di casa.
“È l’ex fidanzato di Ria, Barbie.”, spiegò l’altro Matt, quello Shadows.
Barbara accusò un vago tic all’occhio. “E cosa ci fa qui?”, disse, rivolta all’aria davanti a lei.
“L’ha chiamato Jimmy.”
“Mio figlio? L’ho detto, è pazzo, non c’è niente da fare. Vi porto il plum cake.”

 

The odds are that we
 will probably be alright.

 

 

“… va bene, ma passami mamma.”
Ria, seduta tra le lenzuola umide e sfatte, piegò la testa di lato coprendosi con un lembo bianco e passò una mano tra i capelli di Jimmy, steso accanto a lei con il telefono all’orecchio. Quella mano venne presa e accarezzata a fior di labbra, prima di essere spostata sopra il cuore. Lei sorrise e si distese addosso a lui, trasformando il sorriso in una risata di euforia a stento trattenuta.
Joe, all’altro capo dell’America, coprì il ricevitore con una mano dicendo alla moglie forse è meglio che ti siedi; la signora, per tutta risposta, gli strappò il telefono di mano e appoggiò diffidente le terga ad una sedia, guardandolo di sbieco.
“Mamma? Ciao. Devi organizzare un rinfresco, e ora ti spiego perché.”
Barbara menò un urlo marziale che fece saltellare tutte le persone sedute sul divano del salotto e Ria smise di trattenere la risata che le scoppiava nel petto.  

 

Qualche ora più tardi, camminavano abbracciati nell’aria fresca e croccante della sera di New Orleans. Si guardavano intorno, completamente disinteressati all’architettura, semplicemente curiosi di capire come il mondo stava reagendo alla loro presa di posizione. Ria ebbe la vaga sensazione che si fosse considerevolmente abbassato il tasso di umidità, per esempio. Alzò lo sguardo su di lui, che sembrava invaso da una pace sconosciuta. Una band suonava vecchi successi di Hank Williams all’angolo della strada.
“Vuoi andare a ballare?”, le chiese Jimmy.
“Ma se sei completamente incapace, amore, sembri una panca di abete quando balli.” 
“Beh, non è che tu sia esattamente Rudolf Nureyev, d’altra parte.”
Ria scoppiò a ridere. “Però adori ballare.”, aggiunse lui, “Dunque ti porto a ballare.”
“D’accordo, ma prima passiamo a salutare Doctor John.”
“Chi è Doctor John?”
“Il proprietario di un serpente che si chiama Richelieu.”
Jimmy annuì con aria saggia, “Sembra interessante”.
“Non ricordi? Risale a quando venni a New Orleans con Splinter, ti ho raccontato di lui…”
“Ah, come dimenticare. Lo stregone voodoo pazzo con il serpente a tracolla.”
Dieci minuti dopo, il campanello sopra la porta del museo del voodoo suonava annunciando l’entrata di due clienti.
“Bambina! Non ti vedevo da anni!”, disse un uomo anziano, coperto di collanine, alzandosi in piedi da dietro ad una scrivania. Solo quando si fu avvicinato Jimmy notò il serpente appeso al collo tra le collane, con la testa mollemente adagiata addosso al tizio. Alzando lo sguardo, notò che l’uomo gli stava rivolgendo un’occhiata clinica e saggia, profonda come i misteri dell’universo e penetrante come una freccia.
“Ciao, Doctor John”, disse Ria, lasciandosi abbracciare con una certa noncuranza nei confronti del rettile, “volevo presentarti una persona”.
Lo stregone annuì. “Tuo cugino James?”
Ria trasalì leggermente, visto che era parecchio tempo che nessuno si riferiva più a Jimmy in quel modo. “O forse dovrei dire”, aggiunse quello con aria pacatamente divertita, sollevandole le mani e scoprendo lo scintillio di una fede, “Tuo marito James?”
L’ambiente entrò in stallo per un lungo momento, poi Doctor John sorrise. “Entrate, ragazzi. Vi aspettavo. Lei mi aveva detto che sareste arrivati.”
Sedettero attorno a un tavolo drappeggiato di rosso scuro in una sala interna ingombra di candele, effigi e collane multicolore appoggiate sopra gli altari dedicati ai santi, ai defunti e, ovviamente, a Marie Laveau.
“È molto felice per voi.”, disse lo stregone, sistemandosi un po’ a fatica, data l’età e la stazza, “Ci sperava tanto, non so se lo sai, Ria.”
Jimmy si guardò intorno, soppesando una curiosa sensazione di familiarità con l’ambiente. Bare, defunti e invocazioni ad un’irascibile pantheon di divinità assortite.
“Marie Laveau?”, chiese Ria, sorridendo dolcemente, con uno scetticismo privo di note di biasimo. Le piaceva Doctor John, ma era una persona molto meno metafisica di quel che gli altri credevano.
“Ma certo che no, bambina.”, disse lo stregone, prendendo una candela e disponendo sul tavolo un mazzo di carte, “Tua madre.”
Il sorriso si spense sul viso di Ria e gli occhi di Jimmy saettarono immediatamente su di lei, come veloce fu la sua mano a muoversi prima del pensiero e a stringere quella di sua moglie sotto la stoffa rossa del tavolo.
“Non sono certa di voler affrontare un colloquio di questo genere.”, gli disse, delicatamente.
“Non c’è nulla da affrontare, mia cara. Delilah sperava davvero che vi rendeste conto di quel che c’era tra voi due, e che foste felici.”
Ria indietreggiò leggermente, raggelata, serrando la presa sulla mano di Jimmy.
“Sembri sorpresa.”, continuò l’uomo, senza nascondere l’ombra di un sorriso.
“Come sai il nome di mia madre, Doctor John?”, gli chiese lei, piano. “È stata mia sorella?”
“C’eri anche tu con tua sorella, qui, l’ultima volta. Sai che non me l’ha detto lei. A quanto pare, comunque, le speranze di tua madre avevano solide fondamenta di verità. Basta guardare James qui davanti, silenzioso e in allerta, mentre decide se tutto questo a te fa bene o fa male. Ma la mia domanda è un’altra. Sei qui da giorni, come mai non sei passata prima?”
Ria non rispose. Guardava fisso le carte, combattendo contro lacrime che non intendeva versare.
“È molto felice, Ria. Anche di essere stata l’unica invitata al vostro matrimonio. Non devi preoccuparti, né rimpiangere alcunché. Lei è sempre qui. Lei è ovunque tu decida di portarla. Ed è infinitamente sollevata del fatto che trascorrerai la vita con l’unica persona con cui tu sia disposta davvero ad affrontarla, e cioè con l’uomo che ti sta di fianco.”
Nessuno meglio di Ria Montague sapeva quanto, a volte, è pericoloso sperare; quanto sia difficile mantenersi in piedi mentre tutto intorno crolla, convincendo le persone sull’orlo di un baratro che si trovano, in realtà, nel prato a fare un picnic. Respirò a fondo, sentendo l’odore delle candele confondersi a un profumo gentile, uno di quelli che sapeva per certo di non conoscere ma che aveva comunque sempre fatto parte di lei, in spazi che non era mai riuscita davvero a raggiungere. A dire il vero, Ria Montague sapeva un sacco di cose; Ria Sullivan, invece, lasciò la mano di Jimmy e si chiese quali delle cose che sapeva Ria Montague avrebbe voluto portare con sé da lì in poi, nel resto della sua vita.
“È comunemente noto che io creda ai fantasmi.”, disse quindi, recuperando il filo di un sorriso per Doctor John, che stava voltando pensieroso e tranquillo le carte sul tavolo.
“Fai bene.”, le rispose, “Perché anche loro credono in te.”
Non si era mai posta il problema di dover credere alla verità delle carte, invece, e guardò cauta Doctor John svelare presente, passato e futuro sui drappi rossi.
“La tua fede è forte, ma a volte hai bisogno di prove. Vuoi le prove?”
Ria sorrise di nuovo. “Non ti ricorda una canzone?”
“Quale canzone?”, disse Jimmy, e lo stregone alzò gli occhi su di lui, sentendolo parlare per la prima volta. Se l’era immaginata diversa, la sua voce, un po’ meno nasale; ma quel che lo colpì davvero era quanto suonasse accorta e protettiva, rivolgendosi a lei.
Your faith was strong, but you needed proof.”
Jeff Buckley aveva scritto un’ Hallelujah che somigliava più a una marcia funebre che a un’invocazione, molti anni prima. Jimmy era un tipo più pragmatico, aveva scritto Afterlife e non le aveva mai detto di averla scritta pensando a lei, al mondo che apparteneva solo a loro e in cui, all’epoca, sapeva di non potersi consentire di restare, o probabilmente l’avrebbe pagato con la vita; d’altra parte non c’era modo di sfuggire a Ria, perfino i morti le ronzavano intorno in costante e affettuoso sgomento. Afterlife era dolceamara e Ria aveva fatto i conti con abbastanza amarezza, per quanto gli concerneva.
“Allora? Vuoi sapere del futuro?”, chiese Doctor John, guardando nelle carte come si osserva il fondo di un precipizio o il cuore di uno scrigno.
“No, grazie.”
“Hai detto no?”
“Ho detto no, Doctor John.”
John e il serpente si alzarono, e così Ria e Jimmy. “Grazie per averci ricevuti.”
“Grazie per aver pensato al tuo vecchio John.”
“Avrei voluto portarti dei confetti, come ricordo del matrimonio, ma purtroppo abbiamo fatto le cose un po’ in controtendenza.”
“Almeno hai portato al cimitero il tuo bouquet nuziale. Siamo tutti molto contenti per voi, ragazzi.”
Jimmy si trattenne dal domandare come sapesse che lei aveva insistito per portare il mazzo di fiori ai morti e soprattutto tutti chi e strinse la mano allo stregone, che gli rivolse un unico, intenso sguardo. Ria si allontanò per aprire la porta e, quando lo scampanio lieve annunciò che era uscita, Doctor John trasse Jimmy verso di sé, così vicino che il serpente gli sfiorò il petto.
“Resta vivo per lei.”, gli disse, in un sibilo.
“Farò del mio meglio.”
“Potrebbe non bastare, ragazzo.”
“In questo caso, avverti i tuoi fantasmi di restare pronti ad intervenire, Doctor John.”
“Sai che non funziona così. E sai anche che, se Ria mi avesse chiesto del futuro, non le avrei mentito.”
Infine, l’uomo si voltò verso la scrivania, sollevò una piccola scatola di legno scuro e gliela porse. “Il mio regalo di nozze per voi.”, disse, con un sospiro.
“Cos’è?”
“Dalla a Ria. Lei saprà cosa farsene.”
“D’accordo. Grazie, John.”
“Resta vivo, James.”
Jimmy sorrise e, con un ultimo sguardo all’arredamento dell’ingresso ed una scatola scura tra le mani, si lasciò quel mondo alle spalle. Doctor John lo guardò andarsene.
“Lo so”, disse all’aria intorno a sé dopo che anche Jimmy fu uscito, “ma conosci tuo nipote e tua figlia. Non li si può far ragionare in nessun modo, e se credi che, conoscendo l’ombra che grava sul loro futuro, avrebbero fatto le cose diversamente, beh, ti sbagli.”

 

 

Ragazza, noi siamo bugie del tempo
appesi come foglie al vento di Mistral

 

 

 

“Ma cosa è successo, esattamente?”, chiedeva Gregory Fleur, godendosi l’inusuale tepore californiano del cortile di casa Sullivan.
Bliss giocherellava con lo smartphone. “Non lo so per certo. Però ho ricevuto una fotografia. C’è Ria che bacia Jimmy con un mazzo di rose tropicana in mano e dietro un tramonto su un fiume. Ed è vestita di bianco. Un vestito semplice, sai, quelli che mette lei, lunghi, estivi? Uno di quelli. Bianco. Bouquet. Bacio. Fiume. Tramonto.”
Una band di grilli movimentava musicalmente la serata tra le fronde degli alberi.
“Barbara che dice?”
“Ancora non parla. Non ha detto una parola da quando l’ha chiamata Jimmy.”
“E se provassimo a telefonargli noi?”
“Penso che dovremmo lasciargli del tempo per stupirci ancora e tornare, non so, con due gemelli di tre anni presi in adozione nel primo orfanotrofio della Louisiana incrociato nel tragitto tra l’albergo e l’aeroporto.”
“Sarebbero capaci.”
“Beh, senz’altro sono stati capaci di sposarsi senza di noi.”, osservò Bliss, un po’ risentita.
“Suvvia Juniper, non lo sai per certo.”
“Ma certo che lo so per certo. Lei è la mia migliore amica. Non c’è bisogno che mi dica le cose.”
“Oltretutto, sei stata l’unica fortunata beneficiaria di un documento fotografico.”
Bliss sorrise. “Sono incredibilmente belli, in quella foto. Però pensavo che l’avrebbero fatto qui, insieme a noi, come aveva detto Jimmy.”
“Tutti lo pensavamo.”
In quel momento, Barbara riemerse dal coma indotto che l’aveva colpita, con un mestolo in mano e l’espressione ancora parzialmente assente: “Dobbiamo organizzare un rinfresco.”, disse a Bliss e Fleur, atona, “Torneranno tra qualche giorno. Potete occuparvi degli inviti?”
“E come? Non conosciamo nessuno, in California”, strillò Fleur sottovoce.
“Non c’è problema, Barbara.”, sorrise invece Bliss, inusualmente democratica.
“Vi darà una mano Vivienne. Io vado, non so, ad ordinare una torta.”
Quando fu sparita oltre la porta della veranda, Bliss disse: “Povera Barbara, non ci ha mai creduto fino in fondo che sarebbe successo sul serio.”
“Beh, quando ci hanno informati che si amavano, io non sono stato poi troppo sorpreso.”, disse Joe, spuntando dal nulla in un angolo del giardino e sedendosi sul dondolo monoposto davanti agli occhi attoniti degli altri due occupanti del cortile. Brian lo seguiva a stretto raggio, con due birre in mano: ne porse una a Bliss.
Stettero per un po’ a contemplare in silenzio il concerto dei grilli.
“Voi due lo sapevate?”, disse Joe all’improvviso, facendo scorrere il dito tra Bliss e Brian, “Sapevate che si amavano?”
Bliss si concentrò per un secondo sul fatto che Joe non diceva stavano insieme, ma si amavano. Per un attimo, le sembrò che lui trovasse del tutto irrilevante il titolo che suo figlio e sua nipote avessero deciso di dare al rapporto che li univa, in favore di un’attenzione univoca alla radice di tutto ciò, e le sembrò una cosa bella come quella foto.
“Io lo sapevo. L’ho sempre saputo. È così da quando riesco a ricordare, poi è semplicemente cresciuto. Cambiato. L’amore vero fa così, credo.”, disse Brian, dando un sorso alla birra.
Bliss sbuffò leggermente. “Ria si è ben guardata dal raccontarmi di Jimmy per tutta la vita, eppure l’abbiamo passata insieme. Certo, sia io che lei siamo fatte in un modo molto particolare che prevede spazi stagni in cui né la tua migliore amica né chiunque altro è ammesso, ma non pensavo che una cosa del genere potesse rientrare in questi spazi. Prima di conoscerlo, per me Ria aveva un cugino in California a cui era molto legata. Ma non appena me lo ha presentato, nello stesso istante in cui lo ha guardato ed io l’ho vista alzare gli occhi su di lui, l’ho capito. Era innegabile. Inequivocabile. E troppo grande perché loro due se ne accorgessero davvero, almeno all’epoca dei fatti.”
“Io lo sapevo, se ti interessa, zio Joe.”, disse Splinter, crollando a sedere accanto a Fleur con il consueto plico di misteriosi fogli tra le mani. “Ma non le ho mai chiesto niente. Né detto niente. Quando si è innamorata di Bellamy, ho perfino creduto per un attimo di essermi sbagliata, ma quando infine mi ha detto di Jimmy, non ero affatto sorpresa. Esattamente come te. E come nonna Willow.”
Joe scosse la testa sorridendo, perso nei ricordi. “Era così evidente, così chiaro… A volte, nel cuore della notte, lo sentivo alzarsi e andare sul balcone a risponderle al telefono. Sentivo ridere mio figlio sommessamente, in lontananza, e mi chiedevo come mai la vita dovesse essere sempre così dolorosamente complicata per certe persone. Sapevo, vedevo che anche Ria teneva molto a lui, ma non mi sono reso conto di quanto tenesse davvero a lui fin quando Jimmy non ha avuto quel… quel problema.”
Tutti lo guardarono in silenzio, sospesi dentro una bolla che durava da un millennio o forse appena da un momento, chi lo sa. Tutti i problemi di Jimmy erano di dominio pubblico, tranne quello; su quello, solitamente, vigeva una ferrea politica di don’t ask, don’t tell.
“La vidi e mi si spezzò il cuore. Per me era ancora una bambina che collezionava tragedie come altri collezionano i francobolli, ma quel giorno terribile lei era una donna, furibonda e fradicia di rimpianti, che si rifiutava categoricamente di perdere lui. Era spezzata da un dolore così sordo che faceva quasi rumore, perfino mia moglie le girava cautamente intorno per timore di incrinarla oltre il punto di rottura. Era così elettrica, così inavvicinabile, mentre non sapevamo se ce lo avrebbero restituito intero, e vivo. Non ha dormito, non si è allontanata un secondo dal suo letto. Ogni tanto Brian la trascinava fuori a prendere un po’ d’aria, e lei piangeva a dirotto. Soltanto con lui. Noi la sentivamo da lontano. Era un suono così disperato, insopportabile. Allora, mi resi conto che lo amava. Che lo amava da sempre, che lo avrebbe sempre amato e che non c’era niente che noi potessimo dire o fare per cambiare questa cosa. Sì, è vero, non c’è sangue in comune tra noi, ma è come se ci fosse. Per mia moglie è inconcepibile, ma non per me. Io so che siamo stati messi davanti a un fatto compiuto. Che loro sono sempre stati un destino, quasi mai una scelta. Qualche tempo dopo, quando Jimmy stava di nuovo bene, lei era venuta qui a trovarci e c’era un barbecue a casa degli Haner. Jimmy ha sempre odiato ballare; quella volta però ballava, con lei. Nel sopore della sera illuminata dalle lanterne, danzavano lentamente, e lei era tra le sue braccia ed aveva la testa appoggiata alla sua spalla. C’era anche la sua fidanzata, da quelle parti, ma lui teneva stretta Ria, e in sottofondo suonava The first time ever I saw your face. La ricordo ancora tutta a memoria, perché Jimmy la cantava senza voce, tra i capelli di Ria, con un’espressione di così profondo rapimento che… The first time ever I saw your face I thought the sun rose in your eyes, and the moon and the stars were the gifts you gave to the dark and the endless sky, my love. And the first time ever I kissed your mouth I felt the earth move through my hands, like the trembling heart of a captive bird that was there at my command. And the first time ever I lay with you I felt your heart so close to mine and I know our joy would fill the earth and last till the end of time, my love. The first time ever I saw your face.”, intonò sul finale. “Si tenevano stretti come se fossero scampati alla morte, tutti e due, perché in effetti così era. Ma mio figlio, come ho detto, aveva una fidanzata, loro erano ancora tecnicamente parenti e anche Ria aveva una vita altrove. Che cretini. Per quanto tempo hanno rimandato…”
Tutti sorrisero, cercando con gli occhi segreti nel prato.
“Mia suocera fece un giro di telefonate minatorie quando seppe delle reazioni che i nostri parenti avevano avuto all’annuncio di matrimonio. Chiamò soprattutto mia moglie, sua figlia, più di una volta, per ripeterle sempre la stessa cosa.”
“Che cosa?”, chiese Splinter.
Non ti permettere proprio di metterti in mezzo.”
Risero piano.
“Beh, non l’ha fatto.”, osservò Bliss.
“Ma neanche li ha aiutati a viverla tranquillamente. Se intende continuare a farsi venire un colpo ad ogni evoluzione del rapporto…”
Tacquero.
“Si sono sposati, vero?”, chiese infine piano Fleur.
“Sì. Ma non prendetevela se l’hanno fatto senza di noi, in fin dei conti è sempre stata una cosa tra loro due.”
“L’amore?”
“L’amore. La vita. Il corso degli eventi. Lo stesso significato dell’universo, e probabilmente anche la piega che deve prendere la realtà. Tutto questo è un affare privato tra di loro e, anche se dovrei prendermela per non essere stato presente, non posso fare a meno di sorridere.”, rispose Joe, e sapeva di non essere l’unico.

 

“La vita può essere capita solo all'indietro,
ma va vissuta in avanti.”
- Søren Kierkegaard       


 

Allora.
Diceva Alan Kay che il modo migliore per prevedere il futuro è inventarlo.
Io sono back to black. Viva gli sposi.





 

   
 
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