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Autore: K u r a m a    28/07/2015    2 recensioni
Anche mentre me ne stavo andando via, fuggendo di nuovo da quel villaggio che ormai non riuscivo più a considerare una casa, poiché sapevo che non sarei mai stato totalmente accettato, aveva fatto la cosa più stupida di tutte: mi aveva aspettato appena al di fuori del villaggio, con il mantello da viaggio, appoggiato a uno di quei dannati tronchi d’albero a guardare il cielo, che, ne ero sempre stato sicuro, era invidioso di quei suoi occhi cristallini e puri, anche dopo aver conosciuto le brutture della guerra e della perdita.
N.B. Legato al capitolo 699 del manga
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Tutto era cambiato, io ero cambiato; eppure, il mio passato ancora mi gravava sulle spalle come una roccia che forse non sarei mai riuscito a distruggere, per quanto fossi forte.
Le cose al villaggio andavano meglio, tutto stava tornando a funzionare e nessuno sembrava badare alla mia presenza in apparenza; tuttavia, ne ero sicuro, il merito andava tutto a Naruto. Lui era la luce e io sarei sempre stato la sua ombra, qualsiasi cosa fosse successa; ormai, ne ero a conoscenza più di chiunque altro: non importava quante volte sarei caduto, quante volte sarei ripiombato nell’oblio più nero che celava il lato più debole e conforme a me, quello del lato oscuro e della vendetta, lui sarebbe per sempre rimasto al mio fianco, lì, pronto a tendermi la mano e a portare luce là dove non avrei mai creduto potesse esserci.
Potevo essere in una grotta, su un altro pianeta e lui mi avrebbe trovato. Come amico mi avrebbe combattuto e salvato, al punto di perdere un braccio, esattamente come era già accaduto; avrebbe ripetuto quel gesto mille volte se necessario, avrebbe persino sacrificato l’altro braccio ed entrambe le gambe per me che forse non lo meritavo.
Anche mentre me ne stavo andando via, fuggendo di nuovo da quel villaggio che ormai non riuscivo più a considerare una casa, poiché sapevo che non sarei mai stato totalmente accettato, aveva fatto la cosa più stupida di tutte: mi aveva aspettato appena al di fuori del villaggio, con il mantello da viaggio, appoggiato a uno di quei dannati tronchi d’albero a guardare il cielo, che, ne ero sempre stato sicuro, era invidioso di quei suoi occhi cristallini e puri, anche dopo aver conosciuto le brutture della guerra e della perdita.
Era lì, fermo, immobile, come pronto per partire per una missione come tutte le altre, nonostante in realtà non dovesse andare da nessuna parte.
Lo odiavo per questo. Mi aveva fatto sperare, per un solo attimo, che fosse disposto a seguirmi e sapevo che lo avrebbe fatto se glielo avessi chiesto, ma ero altrettanto consapevole del fatto che lui era un eroe e come tale avrei dovuto condividerlo con il mondo, sebbene non avessi mai voluto. Lui era mio, non sapevo quando questo pensiero fosse iniziato a sbocciare nella mia testa, ma alla fine era diventato naturale come respirare: mio.
Non ne avevo il diritto, ma non potevo farci nulla: mi ero innamorato di lui e non sapevo neppure dire da quanto. Lo avevo capito, ma lo avevo sempre taciuto a me stesso.
-Non pensavo venissi. – mi fermai davanti a lui, lo guardai solo per un attimo e poi scostai lo sguardo verso terra; non riuscendo a sostenere la limpidezza di quegli occhi che sembravano aver rubato la vastità del cielo e la profondità del mare, uniformandosi in quelle sue due brillanti iridi forgiate da un artigiano esperto, che mai avrebbe potuto riprodurle un’altra volta, in nessun’altra vita.
Mi guardò, mugugnando qualcosa; assottigliando le sue labbra, come faceva ogni volta che era contrariato o pensieroso. Si aspettava qualcosa, che però tacqui, rimanendo così in silenzio e negandogli quella supplica, che andava contro al mio orgoglio e ad ogni mio principio.
Non lo avrei pregato, non lo avrei sottratto a quel villaggio che in quel momento aveva bisogno di lui più che mai. Non gli avrei più permesso di soffrire per me, anche se solo grazie a lui e alla sua tenacia ero stato salvato.
Non ottenendo alcuna risposta, dopo qualche minuto mi sorrise. Quel sorriso fatto di orgoglio e sfida, quel riso che sapeva rivolgere solo e soltanto a me e a nessun’altro.
Sul suo volto si erano mischiati più sentimenti: strafottenza, sicurezza, rivalità, amicizia… credevo che solo lui potesse avere quello sguardo; quello che mi elettrizzava e che sapevo affrontare e che mi faceva sorgere spontaneo un sorriso. Anche sul mio volto che a detta sua non mostrava mai una singola emozione, se non quella di una fredda statua.
-Ti restituisco questo. – disse con quell’espressione seria, a cui non sarei mai riuscito ad abituarmi, allungando l’unico braccio che gli era rimasto nella cui mano stringeva quell’unico oggetto che mi ero lasciato indietro quando tutto in fondo era iniziato; quel coprifronte che avevo lasciato in custodia a lui, molto probabilmente appositamente, come un’ancora per entrambi, perché lui non mi dimenticasse mai.
Guardai quell’oggetto e poi di nuovo lui, perdendomi in quelle profondità che erano le sue iridi, in quelle gemme di lapislazzuli tagliati ad arte.
-Rifiuto. – dissi lapidario, e muovendo di nuovo i miei passi verso quella lunga strada che mi avrebbe guidato in quel mio nuovo e lungo viaggio.
Come sempre però mi fermò, mettendosi sul mio passo, fronteggiandomi in modo decisivo; i suoi occhi stillavano scintille di rabbia.
-Perché? – chiese e io sbuffai un semplice sorriso scansandolo e salutandolo con la mano, senza rispondergli.
-Teme! – urlò, provocandomi uno strano brivido di piacere lungo la schiena. Da quanto tempo non mi chiamava così?
Non avrei voluto fermarmi, eppure lo avevo fatto: mi ero arrestato.
Lasciai cadere a terra la mia sacca e mi voltai, verso di lui; verso il mio sole brillante, la mia luce.
Il tempo in quel momento mi sembrò scorresse a rilento, mentre a passo deciso e cadenzato lo raggiungevo, facendo passare la mia unica mano tra i fili biondi dei suoi capelli, per costringerlo ad avvicinarsi al mio viso e a baciarmi.
Da bambini eravamo soliti litigare e bisticciare ogni qual volta ci incontravamo, era più forte di noi, tuttavia, crescendo eravamo stati in grado di dividere il reciproco dolore che albergava nei nostri cuori.
Ciò valeva anche per quel bacio, affamato, bisognoso e disperato; forse il primo e anche l’ultimo.
Forse noi non volevamo la felicità, ma bramavamo semplicemente di mantenere le nostre pene vicine; abbastanza vicini da poterci distruggere, ma anche definire. Abbastanza vicine da farci sentire un po’ meno freddo.
Quando ci staccammo i nostri occhi erano lucidi, ma nessuno di noi due versò una lacrima, non mentre i nostri occhi si affogavano e si reclamavano disperati.
Lasciai la presa sulla sua nuca e lasciai scivolare la mia mano nella sua, che stringeva ancora il mio coprifronte.
-Lo terrò fino a che le cose tra noi due non si sistemeranno. – dissi, celando il mio imbarazzo.
Lui annuì e sorrise, lasciandomi andare per la mia strada.
Fui sicuro che non appena gli diedi le spalle iniziò a piangere, ma non mi voltai mai. Sapevo che se lo avessi fatto lo avrei portato con me o peggio, avrei deciso di rimanere con quel dannato dobe che mi aveva rubato il cuore.
 
Come molti di voi avranno notato alcune frasi e le battute sono uguali al capitolo del manga. E' una cosa voluta.
Spero che questa OS vi sia piaciuta! <3
   
 
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