Note
d’Autrici.
Piccolo
appunto prima di cominciare: il capitolo inizia con un articolo di giornale che
abbiamo deciso di mettere in .jpg nella storia. Nel caso stiate aprendo la fan
fiction dal cellulare o da un altro apparecchio che non vi permetta di leggere
l’immagine con chiarezza, seguite questo link.
Ci scusiamo
per il disagio e ci rivediamo a fine capitolo!
papavero
radioattivo
― c a p i t o l o
p r i m o ―
A little party never killed
nobody
So we gon’ dance until we drop, drop
A little party never killed nobody
Right here, right now’s all we got
♦
A LITTLE PARTY NEVER KILLED NOBODY
Hiashi svuotò
velocemente il bicchiere pieno di liquido ambrato, accartocciando il foglio di
giornale e gettandolo nel camino accanto a lui.
«Ci
mancava solo questa» borbottò, versandosi altro liquore nel cristallo sotto gli
occhi del fratello, stanco di sentirlo lamentarsi, «Ora inizieranno ad
incolparci tutti!» e con tre lunghi sorsi mandò giù anche il secondo bicchiere
di whiskey. Prima che potesse servirsi nuovamente, Hizashi
afferrò la bottiglia trasparente e la mise tra lui e il figlio. Neji fingeva di
non seguire la conversazione e fissava il fuoco, i bordi della carta di poca
qualità annerirsi e scomparire velocemente, assieme alle parole del
giornalista.
«Dovresti
preoccuparti di meno» proferì Hizashi, sospirando e
accendendosi una sigaretta, «Tanto noi non c’entriamo, no?».
«Certo
che no» borbottò l’altro. accavallando le gambe e rivolgendosi al fuoco come il
nipote, «Non siamo quel genere di famiglia». I suoi occhi sembravano continuare
a ripetere quelle parole: non siamo quel genere
di famiglia. Hizashi sospirò, passandosi una mano
sul viso, massaggiandosi la base del naso mentre Hiashi
tornava ad agitarsi sulla poltrona. «Facilmente
reperibili nelle megaville di Peconic Bay» disse
il più grande, ripetendo le parole del giornale, sibilando le lettere tra i
denti come se dovesse nasconderle, «Ce l’hanno con noi, Hizashi,
te lo dico io» e si alzò preoccupato, iniziando a camminare avanti e indietro
per la sala, scandendo il tempo con il rumore dei passi pesanti con cui scavava
il pavimento «Secondo te non avranno pensato “sono stati gli Hyuuga!”?» continuò.
«Sei
troppo preoccupato» lo ammonì il gemello, e Neji sospirò d’accordo con il
padre.
«E tu
troppo poco!» sbottò all’improvviso, appoggiando la mano sullo schienale del
divano occupato dagli altri due, facendo rabbrividire Neji. Si sentiva di
troppo, come se lo zio non volesse parlare apertamente in sua presenza. Aspettò
che si allontanasse, ritornando a camminare per la stanza, prima di guardare il
padre e chiedergli silenziosamente di andarsene.
La
scelta sembrò giovare a tutti quanti. Prima di chiudere la porta della sala,
sentì Hiashi sospirare e Hizashi
invitarlo a sedersi accanto a lui, mentre con la coda dell’occhio osservava il
padre servire da bere al fratello.
Il 1922
si prestava essere un anno lunghissimo, e l’inverno sembrava più freddo che
mai.
«Va
tutto bene di là?».
Hinata
gli si materializzò davanti come un fantasma, perfetta come la ricordava. Non
la vedeva da qualche mese e ora che si era recato con il padre a Long Island,
trovarla così cresciuta gli sembrava quasi impossibile. «Da quanto tempo» le
disse, quasi sorridendo, mentre lei gli si avvicinava per stringerlo in un
abbraccio, aveva le mani morbide e fredde. Ricambiò la stretta, allontanandola e porgendole il braccio per invitarla a
camminare con lui.
Hinata
aveva dei modi di fare molto antichi, quasi Vittoriani, forse era questo che la
rendeva così delicata, così fuori dal mondo.
«Allora?»
riprese a parlare, «Che succede in sala?».
«Tuo padre
sta dando i numeri per quello che è successo dagli Inuzuka»
mormorò conducendola in un’altra stanza con lunghe e ampie vetrate che davano
sul giardino innevato, «Con tutto il rispetto» concluse poi, lasciando che lei
si sedette sul divanetto.
Hinata
non sembrò felice della notizia, abbassò le palpebre e arricciò le labbra,
nascondendo le mani nelle maniche della giacca, «È solo molto nervoso» tentò di
giustificarlo, ma nemmeno lei sembrava convinta.
«È
troppo nervoso» concluse lui. Neji si accorse presto quanto lui assomigliasse a
suo padre e quanto poco Hinata sembrasse figlia di Hiashi.
«Non mi sorprenderei a sapere che non ha chiuso occhio, stanotte» suppose lui,
estraendo dalla giacca un portasigarette, offrendone una alla cugina che
rifiutò graziosamente con un cenno del capo.
«Infatti»
annuì Hinata, perdendosi negli alberi spogli oltre le finestre, come se
cercasse di scappare da quella conversazione.
«Tu non
eri alla festa, ieri?» chiese all’improvviso. La vide sussultare e poi
bloccarsi, come se l’avesse colta a fare qualcosa di tremendamente sbagliato.
«No,
no» scosse la testa, «Mio padre voleva che fossimo tutti qui ad aspettare il
vostro arrivo» continuò, girandosi a guardarlo. Sembrava la versione femminile
di se stesso, e la cosa lo metteva a disagio – aveva una paura folle di
assomigliare a lei, di avere punti deboli così visibili come quelli di Hinata,
di essere un finissimo vaso di ceramica pronto a rompersi al primo soffio di
vento.
«Pensavo
che Hiashi avrebbe fatto le cose in grande stile,
quest’anno» commentò passandosi una mano tra i capelli, aspirando nuovamente
dalla sigaretta, «E invece non ha fatto nessuna festa per capodanno».
«Le
cose non sono andate molto bene con gli altri membri della famiglia, Neji» lo
ammonì lei, con una forza nella voce che quasi lo stupì, «Lo sai» continuò, «Hoheto e gli altri non hanno ancora superato certe… divergenze»
concluse.
«Giusto»
borbottò lui, «Le divergenze».
«Non
parlarne come se fosse una lite tra bambini, Neji» continuò lei, quasi
indispettita, «Sai benissimo che è una cosa seria».
«Io lo
so» ribatté lui, premendo la sigaretta contro il posacenere con una tale forza
da distruggerla quasi interamente, «Sei tu che non dovresti sapere nulla, e
invece sai molto più di quanto ti dovrebbe essere concesso».
Hinata
sospirò, appoggiandosi allo schienale del divano e stringendosi la base del
naso, esattamente come faceva il padre di Neji. Il ragazzo le si avvicinò, sfiorandole
la mano, «Perché non sei andata alla festa, cugina? Tu adori le feste» le
disse, cercando di avere un tono più comprensivo, quasi dolce.
«Mio
padre non voleva» borbottò, «C’erano anche gli Uchiha»
e si raddrizzò, aggiustandosi le pieghe dei pantaloni, «Dice che portano solo
guai».
«Beh»
Neji si alzò, infilandosi le mani in tasca, camminando lentamente per la stanza
alla ricerca dei liquori, «Aveva ragione, a quanto pare».
Mentre
si versava da bere, la porta della stanza si spalancò e Hizashi,
con il volto stanco ma rilassato, sorrise ai due giovani, avvicinandosi al
figlio e passandogli un braccio attorno alle spalle, «Vieni con me dal
barbiere, Neji?» chiese, facendo roteare il bastone da passeggio mentre il
ragazzo sorseggiava quel poco di liquore che era riuscito a mettersi nel
bicchiere.
«Quel
barbiere?» chiese, appoggiando il cristallo sul mobilio, «Da Jiraya, intendi?».
Hinata
si girò di colpo, appoggiandosi allo schienale del divano, quasi curiosa.
«Da Jiraya» annuì Hizashi, lasciando
il figlio e avviandosi verso la porta. Si fermò di colpo, puntando il bastone
contro il divano, e quindi ad Hinata, «Vuoi venire anche tu, Hinata?» e le
sorrise, «A tuo padre andrà sicuramente bene, non preoccuparti».
La
ragazza non se lo fece ripete due volte, «Vado a cambiarmi, ci metto cinque
minuti!» e si alzò velocemente dal divano, scivolando via dalla stanza e
salendo le scale per dirigersi verso la propria camera.
♦
Le
ballerine si muovevano a ritmo di musica davanti ai suoi occhi stanchi,
annebbiati dalla notte trascorsa in bianco ad asciugare le lacrime di sua madre,
e a sopportare le grida di suo padre.
Sasuke
portò fiaccamente la sigaretta alle labbra, aspirando una boccata di fumo
mentre il ragazzo davanti a lui continuava a blaterare cose che non voleva
sentire, parole al vento che non venivano assimilate dalla sua testa, troppo
impegnata ad osservare il trio che aveva appena messo piede nel locale.
«Mi
stai ascoltando?» la voce di Naruto lo riscosse un attimo, facendolo
sussultare, «Ti ho chiesto come sta tua madr―».
«Ci
sono gli Hyuuga» lo interruppe lui con un cenno del
capo, indicando la primogenita del suo vicino di casa, «Hanno anche il fegato
di farsi vedere in giro» aggiunse, ma questa volta quello distratto sembrava
essere il suo migliore amico.
Non
sarebbe dovuto andare a parlarne con lui, sarebbe stato meglio restarsene in
casa, con la polizia e il pianto straziante della moglie di Itachi.
Sospirò
finendo la sigaretta, accartocciandola malamente nel posacenere prima di
tornare a fissare un punto vuoto e distante in quel locale ricolmo di ricchi
sfondati, che provavano a fuggire dalle nuove stupide leggi proibizionistiche.
Era
assolutamente certo che loro c’entrassero con la scomparsa di suo fratello, che
il Signor Hyuuga – di certo non direttamente – aveva
deciso di giocare colpi ben più bassi a suo padre, e che dalle semplici liti
per qualche superficiale discordanza tra famiglie si fosse arrivati a rapimento
di persona.
La cosa
che non riusciva a capire era il perché: Che cosa ci avrebbero guadagnato?
Nulla,
almeno che non avessero chiesto un riscatto.
Almeno che
suo fratello non fosse già morto. Almeno che non avessero tolto di mezzo il
primogenito ereditario del patrimonio di famiglia. In quel caso il prossimo
sarebbe stato lui.
Niente
più Uchiha, niente più rivali in Borsa.
Naruto
lo guardò sconvolto e confuso, «Oh, andiamo!» esclamò, poggiando un po’ troppo
violentemente il bicchiere sul tavolo, «Non puoi credere che siano stati loro»
ammise, comunicandogli ufficialmente che non lo avrebbe avuto di certo dalla
sua parte.
Che be migliore amico, affidabile.
«Ma tu
da che parte stai, scusa?».
Naruto
si strinse nelle spalle fingendo di pulire il tavolo, così da non essere
ripreso dalla donna bionda che si aggirava dietro il bancone, «Dalla tua,
ovviamente» rispose, infilandosi lo straccio bianco nel grembiule, «Ma non hai
prove per accusarli, e non le ha nemmeno la polizia» spiegò.
«Naruto!»
la voce autoritaria di Tsunade li interruppe, «Stai
di nuovo procrastinando» lo ammonì, e il ragazzo si irrigidì di colpo,
sforzandosi di sorridere.
«Arrivo
subito!» affermò convinto, lanciando un’occhiata di scuse a Sasuke, «Ne
parliamo più tardi, quando ho finito» gli mormorò, e poi si allontanò verso
altri tavoli.
Sasuke
sospirò svuotando in fretta il bicchiere, sistemandosi la giacca elegante sulle
spalle. Aveva ben altro a cui pensare, altro da fare, e restare in quel speakesay avrebbe
solo aumentato l’ansia di sua madre, e la rabbia di suo padre.
Lanciò
un ultimo sguardo al tavolo a cui si erano accomodati i tre membri di quella
famiglia che lui sapeva essere colpevole, il modo disinvolto e tranquillo con
cui bevevano e fumavano, l’eleganza della ragazza che aveva visto più volte
passeggiare nel giardino, al di là del lago, e i suoi occhi puntati su Naruto.
I due
avevano una relazione segreta, non era la prima volta che Sasuke la vedeva –
anche da sola – in quel posto decisamente poco adatto ad una donna del suo ceto
sociale.
Probabilmente
suo padre non lo sapeva.
Si alzò
dalla seggiola recuperando il cappello, passando dal bancone e lasciando i
soldi a Tsunade che, con un occhiolino, lo salutò,
«Porta le mie condoglianze a tua madre» gli disse, e poi tornò ad urlare contro
i suoi camerieri mentre lui si avviava a risalire il sottoscala di quel
negozio.
Era
strano che una donna come Tsunade, ultima discendente
di una famiglia ricca, si fosse sposata un uomo come Jiraya
e si fosse chiusa in una cantina, a gestire un blind tiger illegale.
Non
tutti sapevano della sua doppia vita, e sua madre era una di quelle che
fortunatamente non sapeva.
Salì in
macchina e mise in moto, preparandosi psicologicamente per affrontare
l’interrogatorio della polizia.
Non ne
poteva più dei pianti, non ne poteva più di sentire gli agenti parlare di morte
presunta.
Non
c’era nessun cadavere, nessun corpo, e questo bastava a tenere accesa quella
fiammella di speranza nel suo cuore.
Guidò
fra i boschi della baia, e quando attraversò una serie di fattorie si rese
conto di aver sbagliato strada e che, sovrappensiero, la sua memoria motoria lo
aveva portato dove era solito passare la maggior parte del tempo.
Accostò
in mezzo agli alberi, davanti a quel cottage sporcato dalla neve, caduta
durante tutta la notte. L’altalena in giardino si muoveva da sola, smossa dal
vento, la stessa su cui aveva visto per la prima volta quella bellissima
ragazza dondolarsi avanti e indietro, stringendo un libro fra le mani.
Spense
l’auto mentre una tenda bianca si scostava appena dalla finestra, e ancora
prima che aprisse la portiera l’ingresso si aprì, e lei si precipitò fuori,
avvolta in una coperta.
Si
fermò sugli scalini in legno, lo sguardo rassicurante e fermo mentre lui si
avvicina e si lasciava abbracciare.
Non le
disse nulla, e lei nemmeno, si limitò a farlo entrare, a farlo accomodare sul
divano, sotto il tocco di quelle dita che gli sistemavano delle ciocche
ribelli.
«Ti
aspettavo da quando l’ho saputo» gli mormorò lei, sfiorandogli la guancia con
la punta delle dita.
«Ho la
polizia che alloggia stabilmente in casa, Sakura» spiegò, stringendola un poco
per la vita. Voleva andare da lei da quando l’aria nella villa si era fatta
viziata, da quella mattina, ma non gli era stato permesso di uscire.
«Ho
immaginato» la sua voce era il calmante di cui aveva bisogno, quel posto sicuro
e tranquillo in cui avrebbe voluto restare fino alla fine dell’indagine.
Lei non
chiedeva niente, sapeva che non lo avrebbe fatto. Chiuse gli occhi poggiando la
tempia sulla sua spalla, cercando di riposare, ripetendosi all’infinito che Itachi era vivo, e che se la polizia non lo avrebbe
cercato, allora lo avrebbe fatto lui.
Note d’Autrici.
Beh,
benvenuti a tutti quelli che sono giunti fino a qui! ♥
Siamo
sempre noi – per chi ci conoscesse già, e siamo tornate con un’altra AU, ma
questa volta più storica e meno commedia romantica, se vogliamo l’altro
nostro progetto “Colla” in questo modo.
Sappiamo
che che questi ruggenti
anni venti sono un po’ misteriosi per tutti, perché a scuola si studiano
molto blandamente, e quindi si sa solo che esisteva il proibizionismo, che sono
gli anni del Jazz e del Charleston, che il grandissimo Francis
Scott Fitzgerald ha scritto The Great
Gatsby (che è anche un bellissimo film con il nostro amato Leonardo DiCaprio ;__;), che nel 1929 crolla Wall
Street… e fondamentalmente finisce qui. In tutti i
casi, ci sembrava un periodo storico molto interessante in cui fiondare i
nostri protagonisti, e quindi ne abbiamo approfittato.
L’AU
nel 1920 ci frullava già in testa, ma abbiamo avuto l’illuminazione definitiva
per questa storia dopo aver ascoltato circa cinquanta volte A little party never killed nobody
che, appunto, è anche il titolo della fan fiction (e del capitolo, per questa
volta, sì), scoperta perché all’interno della colonna sonora di The Great Gatsby. E così è nato questo giallo
in versione Naruto.
Abbiamo
pensato, per prima cosa, di trasporre le famiglie più importanti di Konoha e farle diventare i “ricchi” di questo tempo.
Abbiamo dovuto riadattare anche le età e alcuni eventi dell’opera originale,
infatti i personaggi si aggirano tutti sui vent’anni e alcuni che dovrebbero
essere già morti sono ancora in vita (e sono già morti, vedasi Itachi). Infine, abbiamo cercato di intrecciare una trama
soddisfacente (si spera anche per voi) attorno a questo splendido scenario
dell’America degli anni 20, usando come ambientazione Long Island e, in
particolare, Peconic Bay.
Gli speakeasy erano
locali nascosti nelle cantine e nei sottoscala dei negozi (come i barbieri), vendevano
illegalmente alcolici ed erano soprannominati anche blind tiger, o blind pig.
Per
quanto riguarda gli Hyuuga e gli Uchiha,
abbiamo mantenuto viva questa loro eterna rivalità per chi è il più bello, il
più bravo, il più ricco, quello che ha i capelli più belli, e cose del genere –
come aveva detto Kishimoto agli inizi del manga.
Nonostante faranno la loro comparsa quasi tutte le famiglie, il focus si
manterrà molto su Hyuuga e Uchiha,
un po’ meno sugli Yamanaka e gli Inuzuka, quasi per
niente sugli Aburame (ci dispiace per i fan di Shino!).
Alla fine
dei conti, abbiamo Hinata e Sasuke che fanno parte dell’alta società, Sakura
che è andata a studiare a New York e abita in un cottage in mezzo alle ville
dei ricchi e Naruto che, poveraccio, lavora come cameriere nello speakeasy. Cosa importante:
dato che non sarà una storia molto lunga, abbiamo deciso per motivi di trama di
dare per scontato che tutti i protagonisti si conoscessero e che Naruto,
Sakura, Sasuke e Hinata sapessero delle relazioni segrete che hanno gli uni con
gli altri.
Insomma,
è la prima storia del genere che scriviamo, e speriamo che tutto risulti chiaro
a tutti con l’avanzare dell’intreccio. Ci impegneremo un sacco ad essere chiare
e vedremo che ne sarà.~
Finché non
finiremo di scrivere tutti i capitoli, pubblicheremo ogni tre settimane (quindi
ci rivediamo il 18 agosto). Quando la
storia sarà conclusa, intensificheremo le pubblicazioni.
Queste
note sono uscite troppo lunghe, accidenti a noi!
Alla
prossima!
papavero
radioattivo