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Autore: papavero radioattivo    28/07/2015    3 recensioni
LONG ISLAND, 1922 ― Peconic Bay.
Le circostanze drammatiche della morte di un membro di una delle famiglie più importanti di Peconic Bay portano lo scompiglio nella baia e nell'intera città. Sarà compito dell'Ispettore Shikamaru Nara venire a capo di questa pantomima che colorerà di rosso le strade innevate di New York e le spiagge della baia.
Tra il proibizionismo e la malavita, ventenni fin troppo curiosi e ispettori della NYPD incredibilmente dotati si scontreranno con qualcosa di più grande di loro - forse troppo per essere domato.
Corpi cadono a terra come fiori morti intorno a Peconic Bay, secondo un bizzarro disegno divino per mano di un serial killer sconosciuto, introvabile.
|| AU!1922 ▪ naruhina, sasusaku, saino, shikatema ▪ accenni alla nejiten, jirastun e itachi/oc (asami) ||
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Hinata/Naruto, Sai/Ino, Sasuke/Sakura, Shikamaru/Temari
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Note d’Autrici.

Piccolo appunto prima di cominciare: il capitolo inizia con un articolo di giornale che abbiamo deciso di mettere in .jpg nella storia. Nel caso stiate aprendo la fan fiction dal cellulare o da un altro apparecchio che non vi permetta di leggere l’immagine con chiarezza, seguite questo link.

Ci scusiamo per il disagio e ci rivediamo a fine capitolo!

  papavero radioattivo

 

 


 

c a p i t o l o p r i m o

 

A little party never killed nobody

So we gon’ dance until we drop, drop

A little party never killed nobody

Right here, right now’s all we got

A LITTLE PARTY NEVER KILLED NOBODY

 

 

 

 

 

 


Hiashi svuotò velocemente il bicchiere pieno di liquido ambrato, accartocciando il foglio di giornale e gettandolo nel camino accanto a lui.

«Ci mancava solo questa» borbottò, versandosi altro liquore nel cristallo sotto gli occhi del fratello, stanco di sentirlo lamentarsi, «Ora inizieranno ad incolparci tutti!» e con tre lunghi sorsi mandò giù anche il secondo bicchiere di whiskey. Prima che potesse servirsi nuovamente, Hizashi afferrò la bottiglia trasparente e la mise tra lui e il figlio. Neji fingeva di non seguire la conversazione e fissava il fuoco, i bordi della carta di poca qualità annerirsi e scomparire velocemente, assieme alle parole del giornalista.

«Dovresti preoccuparti di meno» proferì Hizashi, sospirando e accendendosi una sigaretta, «Tanto noi non c’entriamo, no?».

«Certo che no» borbottò l’altro. accavallando le gambe e rivolgendosi al fuoco come il nipote, «Non siamo quel genere di famiglia». I suoi occhi sembravano continuare a ripetere quelle parole: non siamo quel genere di famiglia. Hizashi sospirò, passandosi una mano sul viso, massaggiandosi la base del naso mentre Hiashi tornava ad agitarsi sulla poltrona. «Facilmente reperibili nelle megaville di Peconic Bay» disse il più grande, ripetendo le parole del giornale, sibilando le lettere tra i denti come se dovesse nasconderle, «Ce l’hanno con noi, Hizashi, te lo dico io» e si alzò preoccupato, iniziando a camminare avanti e indietro per la sala, scandendo il tempo con il rumore dei passi pesanti con cui scavava il pavimento «Secondo te non avranno pensato “sono stati gli Hyuuga!”?» continuò.

«Sei troppo preoccupato» lo ammonì il gemello, e Neji sospirò d’accordo con il padre.

«E tu troppo poco!» sbottò all’improvviso, appoggiando la mano sullo schienale del divano occupato dagli altri due, facendo rabbrividire Neji. Si sentiva di troppo, come se lo zio non volesse parlare apertamente in sua presenza. Aspettò che si allontanasse, ritornando a camminare per la stanza, prima di guardare il padre e chiedergli silenziosamente di andarsene.

La scelta sembrò giovare a tutti quanti. Prima di chiudere la porta della sala, sentì Hiashi sospirare e Hizashi invitarlo a sedersi accanto a lui, mentre con la coda dell’occhio osservava il padre servire da bere al fratello.

Il 1922 si prestava essere un anno lunghissimo, e l’inverno sembrava più freddo che mai.

«Va tutto bene di là?».

Hinata gli si materializzò davanti come un fantasma, perfetta come la ricordava. Non la vedeva da qualche mese e ora che si era recato con il padre a Long Island, trovarla così cresciuta gli sembrava quasi impossibile. «Da quanto tempo» le disse, quasi sorridendo, mentre lei gli si avvicinava per stringerlo in un abbraccio, aveva le mani morbide e fredde. Ricambiò la stretta, allontanandola  e porgendole il braccio per invitarla a camminare con lui.

Hinata aveva dei modi di fare molto antichi, quasi Vittoriani, forse era questo che la rendeva così delicata, così fuori dal mondo.

«Allora?» riprese a parlare, «Che succede in sala?».

«Tuo padre sta dando i numeri per quello che è successo dagli Inuzuka» mormorò conducendola in un’altra stanza con lunghe e ampie vetrate che davano sul giardino innevato, «Con tutto il rispetto» concluse poi, lasciando che lei si sedette sul divanetto.

Hinata non sembrò felice della notizia, abbassò le palpebre e arricciò le labbra, nascondendo le mani nelle maniche della giacca, «È solo molto nervoso» tentò di giustificarlo, ma nemmeno lei sembrava convinta.

«È troppo nervoso» concluse lui. Neji si accorse presto quanto lui assomigliasse a suo padre e quanto poco Hinata sembrasse figlia di Hiashi. «Non mi sorprenderei a sapere che non ha chiuso occhio, stanotte» suppose lui, estraendo dalla giacca un portasigarette, offrendone una alla cugina che rifiutò graziosamente con un cenno del capo.

«Infatti» annuì Hinata, perdendosi negli alberi spogli oltre le finestre, come se cercasse di scappare da quella conversazione.

«Tu non eri alla festa, ieri?» chiese all’improvviso. La vide sussultare e poi bloccarsi, come se l’avesse colta a fare qualcosa di tremendamente sbagliato.

«No, no» scosse la testa, «Mio padre voleva che fossimo tutti qui ad aspettare il vostro arrivo» continuò, girandosi a guardarlo. Sembrava la versione femminile di se stesso, e la cosa lo metteva a disagio – aveva una paura folle di assomigliare a lei, di avere punti deboli così visibili come quelli di Hinata, di essere un finissimo vaso di ceramica pronto a rompersi al primo soffio di vento.

«Pensavo che Hiashi avrebbe fatto le cose in grande stile, quest’anno» commentò passandosi una mano tra i capelli, aspirando nuovamente dalla sigaretta, «E invece non ha fatto nessuna festa per capodanno».

«Le cose non sono andate molto bene con gli altri membri della famiglia, Neji» lo ammonì lei, con una forza nella voce che quasi lo stupì, «Lo sai» continuò, «Hoheto e gli altri non hanno ancora superato certe… divergenze» concluse.

«Giusto» borbottò lui, «Le divergenze».

«Non parlarne come se fosse una lite tra bambini, Neji» continuò lei, quasi indispettita, «Sai benissimo che è una cosa seria».

«Io lo so» ribatté lui, premendo la sigaretta contro il posacenere con una tale forza da distruggerla quasi interamente, «Sei tu che non dovresti sapere nulla, e invece sai molto più di quanto ti dovrebbe essere concesso».

Hinata sospirò, appoggiandosi allo schienale del divano e stringendosi la base del naso, esattamente come faceva il padre di Neji. Il ragazzo le si avvicinò, sfiorandole la mano, «Perché non sei andata alla festa, cugina? Tu adori le feste» le disse, cercando di avere un tono più comprensivo, quasi dolce.

«Mio padre non voleva» borbottò, «C’erano anche gli Uchiha» e si raddrizzò, aggiustandosi le pieghe dei pantaloni, «Dice che portano solo guai».

«Beh» Neji si alzò, infilandosi le mani in tasca, camminando lentamente per la stanza alla ricerca dei liquori, «Aveva ragione, a quanto pare».

Mentre si versava da bere, la porta della stanza si spalancò e Hizashi, con il volto stanco ma rilassato, sorrise ai due giovani, avvicinandosi al figlio e passandogli un braccio attorno alle spalle, «Vieni con me dal barbiere, Neji?» chiese, facendo roteare il bastone da passeggio mentre il ragazzo sorseggiava quel poco di liquore che era riuscito a mettersi nel bicchiere.

«Quel barbiere?» chiese, appoggiando il cristallo sul mobilio, «Da Jiraya, intendi?».

Hinata si girò di colpo, appoggiandosi allo schienale del divano, quasi curiosa.

«Da Jiraya» annuì Hizashi, lasciando il figlio e avviandosi verso la porta. Si fermò di colpo, puntando il bastone contro il divano, e quindi ad Hinata, «Vuoi venire anche tu, Hinata?» e le sorrise, «A tuo padre andrà sicuramente bene, non preoccuparti».

La ragazza non se lo fece ripete due volte, «Vado a cambiarmi, ci metto cinque minuti!» e si alzò velocemente dal divano, scivolando via dalla stanza e salendo le scale per dirigersi verso la propria camera. 

 

 

Le ballerine si muovevano a ritmo di musica davanti ai suoi occhi stanchi, annebbiati dalla notte trascorsa in bianco ad asciugare le lacrime di sua madre, e a sopportare le grida di suo padre.

Sasuke portò fiaccamente la sigaretta alle labbra, aspirando una boccata di fumo mentre il ragazzo davanti a lui continuava a blaterare cose che non voleva sentire, parole al vento che non venivano assimilate dalla sua testa, troppo impegnata ad osservare il trio che aveva appena messo piede nel locale.

«Mi stai ascoltando?» la voce di Naruto lo riscosse un attimo, facendolo sussultare, «Ti ho chiesto come sta tua madr―».

«Ci sono gli Hyuuga» lo interruppe lui con un cenno del capo, indicando la primogenita del suo vicino di casa, «Hanno anche il fegato di farsi vedere in giro» aggiunse, ma questa volta quello distratto sembrava essere il suo migliore amico.

Non sarebbe dovuto andare a parlarne con lui, sarebbe stato meglio restarsene in casa, con la polizia e il pianto straziante della moglie di Itachi.

Sospirò finendo la sigaretta, accartocciandola malamente nel posacenere prima di tornare a fissare un punto vuoto e distante in quel locale ricolmo di ricchi sfondati, che provavano a fuggire dalle nuove stupide leggi proibizionistiche.

Era assolutamente certo che loro c’entrassero con la scomparsa di suo fratello, che il Signor Hyuuga – di certo non direttamente – aveva deciso di giocare colpi ben più bassi a suo padre, e che dalle semplici liti per qualche superficiale discordanza tra famiglie si fosse arrivati a rapimento di persona.

La cosa che non riusciva a capire era il perché: Che cosa ci avrebbero guadagnato?

Nulla, almeno che non avessero chiesto un riscatto.

Almeno che suo fratello non fosse già morto. Almeno che non avessero tolto di mezzo il primogenito ereditario del patrimonio di famiglia. In quel caso il prossimo sarebbe stato lui.

Niente più Uchiha, niente più rivali in Borsa.

Naruto lo guardò sconvolto e confuso, «Oh, andiamo!» esclamò, poggiando un po’ troppo violentemente il bicchiere sul tavolo, «Non puoi credere che siano stati loro» ammise, comunicandogli ufficialmente che non lo avrebbe avuto di certo dalla sua parte.

Che be migliore amico, affidabile.

«Ma tu da che parte stai, scusa?».

Naruto si strinse nelle spalle fingendo di pulire il tavolo, così da non essere ripreso dalla donna bionda che si aggirava dietro il bancone, «Dalla tua, ovviamente» rispose, infilandosi lo straccio bianco nel grembiule, «Ma non hai prove per accusarli, e non le ha nemmeno la polizia» spiegò.

«Naruto!» la voce autoritaria di Tsunade li interruppe, «Stai di nuovo procrastinando» lo ammonì, e il ragazzo si irrigidì di colpo, sforzandosi di sorridere.

«Arrivo subito!» affermò convinto, lanciando un’occhiata di scuse a Sasuke, «Ne parliamo più tardi, quando ho finito» gli mormorò, e poi si allontanò verso altri tavoli.

Sasuke sospirò svuotando in fretta il bicchiere, sistemandosi la giacca elegante sulle spalle. Aveva ben altro a cui pensare, altro da fare, e restare in quel speakesay avrebbe solo aumentato l’ansia di sua madre, e la rabbia di suo padre.

Lanciò un ultimo sguardo al tavolo a cui si erano accomodati i tre membri di quella famiglia che lui sapeva essere colpevole, il modo disinvolto e tranquillo con cui bevevano e fumavano, l’eleganza della ragazza che aveva visto più volte passeggiare nel giardino, al di là del lago, e i suoi occhi puntati su Naruto.

I due avevano una relazione segreta, non era la prima volta che Sasuke la vedeva – anche da sola – in quel posto decisamente poco adatto ad una donna del suo ceto sociale.

Probabilmente suo padre non lo sapeva.

Si alzò dalla seggiola recuperando il cappello, passando dal bancone e lasciando i soldi a Tsunade che, con un occhiolino, lo salutò, «Porta le mie condoglianze a tua madre» gli disse, e poi tornò ad urlare contro i suoi camerieri mentre lui si avviava a risalire il sottoscala di quel negozio.

Era strano che una donna come Tsunade, ultima discendente di una famiglia ricca, si fosse sposata un uomo come Jiraya e si fosse chiusa in una cantina, a gestire un blind tiger illegale.

Non tutti sapevano della sua doppia vita, e sua madre era una di quelle che fortunatamente non sapeva.

Salì in macchina e mise in moto, preparandosi psicologicamente per affrontare l’interrogatorio della polizia.

Non ne poteva più dei pianti, non ne poteva più di sentire gli agenti parlare di morte presunta.

Non c’era nessun cadavere, nessun corpo, e questo bastava a tenere accesa quella fiammella di speranza nel suo cuore.

Guidò fra i boschi della baia, e quando attraversò una serie di fattorie si rese conto di aver sbagliato strada e che, sovrappensiero, la sua memoria motoria lo aveva portato dove era solito passare la maggior parte del tempo.

Accostò in mezzo agli alberi, davanti a quel cottage sporcato dalla neve, caduta durante tutta la notte. L’altalena in giardino si muoveva da sola, smossa dal vento, la stessa su cui aveva visto per la prima volta quella bellissima ragazza dondolarsi avanti e indietro, stringendo un libro fra le mani.

Spense l’auto mentre una tenda bianca si scostava appena dalla finestra, e ancora prima che aprisse la portiera l’ingresso si aprì, e lei si precipitò fuori, avvolta in una coperta.

Si fermò sugli scalini in legno, lo sguardo rassicurante e fermo mentre lui si avvicina e si lasciava abbracciare.

Non le disse nulla, e lei nemmeno, si limitò a farlo entrare, a farlo accomodare sul divano, sotto il tocco di quelle dita che gli sistemavano delle ciocche ribelli.

«Ti aspettavo da quando l’ho saputo» gli mormorò lei, sfiorandogli la guancia con la punta delle dita.

«Ho la polizia che alloggia stabilmente in casa, Sakura» spiegò, stringendola un poco per la vita. Voleva andare da lei da quando l’aria nella villa si era fatta viziata, da quella mattina, ma non gli era stato permesso di uscire.

«Ho immaginato» la sua voce era il calmante di cui aveva bisogno, quel posto sicuro e tranquillo in cui avrebbe voluto restare fino alla fine dell’indagine.

Lei non chiedeva niente, sapeva che non lo avrebbe fatto. Chiuse gli occhi poggiando la tempia sulla sua spalla, cercando di riposare, ripetendosi all’infinito che Itachi era vivo, e che se la polizia non lo avrebbe cercato, allora lo avrebbe fatto lui.

 

 

 

 

 

 

 

Note d’Autrici.

Beh, benvenuti a tutti quelli che sono giunti fino a qui! ♥

Siamo sempre noi – per chi ci conoscesse già, e siamo tornate con un’altra AU, ma questa volta più storica e meno commedia romantica, se vogliamo l’altro nostro progetto “Colla” in questo modo.

Sappiamo che che questi ruggenti anni venti sono un po’ misteriosi per tutti, perché a scuola si studiano molto blandamente, e quindi si sa solo che esisteva il proibizionismo, che sono gli anni del Jazz e del Charleston, che il grandissimo Francis Scott Fitzgerald ha scritto The Great Gatsby (che è anche un bellissimo film con il nostro amato Leonardo DiCaprio ;__;), che nel 1929 crolla Wall Street… e fondamentalmente finisce qui. In tutti i casi, ci sembrava un periodo storico molto interessante in cui fiondare i nostri protagonisti, e quindi ne abbiamo approfittato.

L’AU nel 1920 ci frullava già in testa, ma abbiamo avuto l’illuminazione definitiva per questa storia dopo aver ascoltato circa cinquanta volte A little party never killed nobody che, appunto, è anche il titolo della fan fiction (e del capitolo, per questa volta, sì), scoperta perché all’interno della colonna sonora di The Great Gatsby. E così è nato questo giallo in versione Naruto.

Abbiamo pensato, per prima cosa, di trasporre le famiglie più importanti di Konoha e farle diventare i “ricchi” di questo tempo. Abbiamo dovuto riadattare anche le età e alcuni eventi dell’opera originale, infatti i personaggi si aggirano tutti sui vent’anni e alcuni che dovrebbero essere già morti sono ancora in vita (e sono già morti, vedasi Itachi). Infine, abbiamo cercato di intrecciare una trama soddisfacente (si spera anche per voi) attorno a questo splendido scenario dell’America degli anni 20, usando come ambientazione Long Island e, in particolare, Peconic Bay.

Gli speakeasy erano locali nascosti nelle cantine e nei sottoscala dei negozi (come i barbieri), vendevano illegalmente alcolici ed erano soprannominati anche blind tiger, o blind pig.

Per quanto riguarda gli Hyuuga e gli Uchiha, abbiamo mantenuto viva questa loro eterna rivalità per chi è il più bello, il più bravo, il più ricco, quello che ha i capelli più belli, e cose del genere – come aveva detto Kishimoto agli inizi del manga. Nonostante faranno la loro comparsa quasi tutte le famiglie, il focus si manterrà molto su Hyuuga e Uchiha, un po’ meno sugli Yamanaka e gli Inuzuka, quasi per niente sugli Aburame (ci dispiace per i fan di Shino!).

Alla fine dei conti, abbiamo Hinata e Sasuke che fanno parte dell’alta società, Sakura che è andata a studiare a New York e abita in un cottage in mezzo alle ville dei ricchi e Naruto che, poveraccio, lavora come cameriere nello speakeasy. Cosa importante: dato che non sarà una storia molto lunga, abbiamo deciso per motivi di trama di dare per scontato che tutti i protagonisti si conoscessero e che Naruto, Sakura, Sasuke e Hinata sapessero delle relazioni segrete che hanno gli uni con gli altri.

Insomma, è la prima storia del genere che scriviamo, e speriamo che tutto risulti chiaro a tutti con l’avanzare dell’intreccio. Ci impegneremo un sacco ad essere chiare e vedremo che ne sarà.~

Finché non finiremo di scrivere tutti i capitoli, pubblicheremo ogni tre settimane (quindi ci rivediamo il 18 agosto). Quando la storia sarà conclusa, intensificheremo le pubblicazioni.

Queste note sono uscite troppo lunghe, accidenti a noi!

 

Alla prossima!

  papavero radioattivo

 

   
 
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