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Autore: elisa27_99    29/07/2015    0 recensioni
Mi affaccio e sento delle piacevoli vertigini. Sono così tentata dal prendere l'iniziativa, salire sul cornicione, e vedere che effetto fa non immaginarsi più la propria figlia chiamare «mamma» tutto il tempo. Ma mi freno, perché lei è viva, lei mi sente e ha bisogno di me.
«Passerà anche questa», ma non in quel modo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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'Non piangere', è la sua frase preferita.
Non so quante volte me l'abbia ripetuta, quante volte mi sia stata di aiuto e quante volte avrei voluto fargli rimangiare ogni singola lettera.
- Hai gli occhi lucidi.
Abbasso la testa. Non piangerò, non adesso, per lo meno. Per lui, non lo farò, per lui voglio essere forte e per nessun altro al mondo. C'eravamo solo noi in quell'angolo d'inferno, a dannarci l'anima tenendoci dentro tutte quelle lacrime. Lascio che la mia fronte si appoggi al suo petto, lentamente. Lui mi avvolge con le braccia le mie piccole e insignificanti spalle. Mi accarezza con dolcezza e per un attimo dimentico il bruciore lancinante agli occhi.
- Passerà anche questa. - sussurra.
Mi scosto bruscamente e lo allontano con le mani, o almeno questo era l'intento ma il dolore accumulato mi rende debole.
Pronuncia fievolmente il mio nome, ma ho bisogno di prendere aria e non mi curo di faglielo sapere.
Non mi ferma.



15 mesi prima
13 Gennaio
Accade in un attimo e ci ritroviamo a terra, la ruota della sua bici piegata, il cestino della mia capovolto dall'altra parte dell'incrocio, ogni cianfrusaglia dentro che rotola nei paraggi.

Mi preoccupo quando lo vedo a terra.
- Oh mio dio scusami, non mi ero accorta che stessi passando, io non... Oh dio non lo so cosa sia successo è stata colpa mia.
Cerco di rialzare la sua bici.
- Hei calma, calma, è tutto okay, sto bene. - mi rassicura. Alza la mia bici e riattacca il cestino. La gente può passare indisturbata. Continuo con aria preoccupata a guardare la sua ruota e non faccio caso al fatto che mi tenda una mano.
Mi tocca quindi una spalla.
- Tommy. - dice sventolandomi la mano davanti.
- Elena. - Rispondo alla stretta.
Mi accorgo veramente di lui solo ora e lo trovo interessante, coi suoi occhi verdi e il modo innocente in cui mi sorride. Chissà cosa pensa di me. Avrei voluto essermi pettinata e non essere uscita struccata quella mattina. Ha il viso squadrato, proporzionato alla sua corporatura massiccia.
- C'è un biciclettaio a pochi passi da qui, per fortuna, - dico - posso accompagnati, almeno per rimediare.
- Grazie, anche se non sei obbligata. La colpa non è stata solo tua, avrei dovuto controllare prima di passare.
- Avevi la precedenza punto - dico. 
Mi aiuta a raccogliere i miei oggetti e rimetterli nella borsa. Prego che non ci sia niente di imbarazzante o personale; ma lui si sofferma su un libro. 
- Shakespeare? Il mio autore preferito - normalmente la coincidenza mi avrebbe fatto dubitare della sua sincerità, ma la curiosità che mostra nel libro mi convince.
- Veramente è il primo che prendo. - dico sincera.
Cominciamo a camminare e mi racconta stile, tecniche, successi e insuccessi del famoso drammaturgo, sollecitato dalle mie domande sinceramente interessate.
Mi fermo. - Siamo arrivati. 
Fortunatamente ci dicono che è questione di poco prezzo e da meno di un'ora. Nonostante insista per risarcirlo paga lui.
- Per farti perdonare puoi aspettare con me, se hai tempo.- fa lui. Ce l'avevo.
Lo guardo curiosa per alcuni istanti. - C'è un bar qui di fronte, ti offro un caffè. - dico infine.



La tivù ha un suono ovattato per le mie orecchie; vorrei togliere il volume e buttarla a terra, ma resto incollata a quello schermo che ripete le stesse cose, ogni giorno, due, tre, quattro volte la stessa identica notizia ed è un dolore sempre maggiore. Mi chiedo cosa succederà quando raggiungerò il mio massimo. Spengo la sigaretta. Odiavo le sigarette, odiavo il fumo, odiavo le persone che puzzano di fumo, odiavo il fumo in casa e ora, invece, sembra l'unica ed inevitabile condanna dell'uomo, bruciarsi i polmoni con tabacco e nicotina.

«Nonostante il riscatto sia stato pagato, i rapitori non restituiscono la bambina ai genitori. 'Prendete me' dice la madre 'prendetemi ma lasciate libera mia figlia, vi imploro'».
'Il fumo uccide' c'era scritto sul pacchetto. 'Di più il rapimento della propria figlia', pensai.



15 mesi prima.

Nonostante mi avesse lasciato il suo numero, aspettai di finire il libro prima di riscrivergli, quindi parliamo per un po' riguardo Shakespeare.
'Pensavo non mi avresti più scritto' fa inaspettatamente e fuori contesto. Tardo a rispondere e scrive lui: 'Ti va se questa volta te lo offro io il caffè?'. Fissiamo quindi una data, il nostro secondo appuntamento.

Passano i giorni e io gli penso sempre più. La sera prima di andare a dormire fantastico su di noi e il suo 'buongiorno' la mattina può stravolgermi completamente la giornata.

Ci scriviamo sempre più spesso, mi racconta riguardo a sé e mi affeziono in poco tempo.
Nonostante io sia una persona chiusa, la notte entriamo più in confidenza e racconto anch'io riguardo me: riesco ad aprirmi con lui meglio che con chiunque altro.

Mi innamoro piano piano, poco a poco. Mi accorgo di cercare i suoi occhi tra la folla; vedo il suo sorriso dentro ogni canzone. La sua mancanza prolungata mi distrugge, vivo dei suoi abbracci.

«Passerà anche questa» aveva detto. Passerà? Crede che un giorno accetterò la morte di mia figlia? Mai, perché lei non è morta. Io la sento. La sento gridare nella notte, la sento recitare le filastrocche, la sento piangere quando ha fame. La sento avere bisogno di me, della sua mamma. Un mese e mezzo senza i suoi genitori, a 3 anni. Mi viene da piangere.
Sono sulla terrazza di casa nostra, una mano tra i capelli, i pochi rimasti. Mi affaccio e sento delle piacevoli vertigini. Sono così tentata dal prendere l'iniziativa, salire sul cornicione, e vedere che effetto fa non immaginarsi più la propria figlia chiamare «mamma» tutto il tempo. Ma mi freno, perché lei è viva, lei mi sente e ha bisogno di me.
«Passerà anche questa», ma non in quel modo.



14 mesi prima
Accade, finalmente. Mi invita a cena, «così per cambiare» dice. È una sera piuttosto buia. Ma appena arriva noto la camicia bianca delle occasioni speciali. Da parte mia anch'io ho cercato di fare del mio meglio, ho un vestito nero lungo dietro, i tacchi e sono abbastanza truccata.

Il posto pare di lusso, i camerieri ci portano al tavolo e ci chiamano 'signore' e 'madam'. La cena per fortuna non è imbarazzante come avevo temuto, scherziamo liberamente ed io m'innamoro un po' di più ad ogni sua risata.
Come per la bicicletta, alla fine paga lui il conto. Usciamo. Mi accompagna sempre a casa di solito, così faccio per dirigermi quando lui mi afferra una mano.
- Aspetta. - dice. Andiamo nel retro del ristorante, dove ci sono alcuni tavoli all'aperto e un dondolo sotto un albero in un posto appartato. Penso che mi voglia portare là, perché camminiamo quasi correndo in quella direzione, poi, improvvisamente, in un lampo mi tira a sé. E ci troviamo così, labbra contro labbra, lingue che si sfiorano, gli occhi chiusi, e passa. Passa terribilmente in fretta, nonostante l'intensità. Ci fissiamo negli occhi, poi i suoi scappano velocemente da una parte all'altra del mio volto. Lo spingo sulla sedia a dondolo e lo bacio io. Mi sorprendo della mia aggressività. Mi accarezza il viso, mi bacia dolcemente il labbro inferiore, passa al mento e poi al collo. Gli prendo la faccia tra le mani e mi sorride, raddrizza la schiena e io poggio la testa sulle sue gambe.
- Era tanto che volevo farlo - dice.
- Era tanto che aspettavo lo facessi - rispondo.
- Ti amo. - butta lì. Sì, lo butta, me lo sgancia davanti e mi coglie impreparata. So di essere innamorata di lui, dei suoi capelli, dei suoi occhi e il sorriso, i discorsi interminabili, l'intelligenza, la prontezza, la sensibilità. Ma lì, sul momento, apro la bocca e resto così.
Si accorge di essere stato affrettato e prima che possa reagire dice:
- Stasera si vedono più stelle del solito. - Argomento banale, via di fuga evidente, ma lui adora l'astrologia e sembra davvero interessato al cielo.
- Se rimuovessimo tutto l'inquinamento dall'atmosfera ne vedremmo dieci volte di più. - mi inserisco.
- A me basti tu.



Un poliziotto mi raggiunge in terrazza. Lo vedo con la coda dell'occhio e sta lì, con il cappello in mano perché tira vento. Non vedo cosa porti nell'altra ma non voglio girarmi e non voglio ascoltarlo. Ho paura di quello che può dirmi e sono troppo vicina al cornicione per reggerlo. Intuisce che non ho intenzione di rivolgermi a lui.

- È stato ritrovato questo, sotto le macerie. - Mi allunga un cagnolino di peluche. Ha il pelo bruciato e gli mancano due zampe e la coda. Alzo gli occhi al cielo e cerco di frenare le lacrime. Sento il mio respiro farsi pesante e mi mordo il labbro. Riconosco quel peluche. Gliel'avevo preso io, perché era stata brava dal dentista. Mi aveva abbracciato per un minuto intero e non riusciva a dormire senza il cagnolino vicino.
- Ho bisogno di una sigaretta.
- Signorina, sono sincero. Sua figlia non è tra le macerie.
Erano avvenuti altri ritrovamenti di oggetti prima del peluche, come il ciuccio senza il quale non dormiva e me la immaginavo nella notte, con la mancanza di sua madre, chissà dove, piangendo.
Mia figlia non era lì. E allora? Dov'è? Dov'è quella bambina? Perché non riuscite a trovarla? Vi prego, ditemi qualcosa di lei, qualsiasi cosa, ma smettetela di portarmi oggetti, stralci di stoffa, false speranze. Io voglio sapere dov'è, cosa fa, voglio immaginarmela al sicuro, voglio abbracciarla, voglio cullarla per farla addormentare, voglio sentire la sua vocina. No, tenetevi il vostro peluche, non voglio piangere sopra anche a quello.
- Grazie - dico.
- Io... Sono costretto a chiederglielo ancora.
- No, no, no. Mi dispiace io non riesco...
- Questo peluche può aiutarla a ricordare le sue parole?
- No! Ci provo glielo giuro...
- Ho capito, va bene così. Il signor Fiore la sta cercando.



Un poliziotto mi raggiunge in terrazza. Lo vedo con la coda dell'occhio e sta lì, con il cappello in mano perché tira vento. Non vedo cosa porti nell'altra ma non voglio girarmi e non voglio ascoltarlo. Ho paura di quello che può dirmi e sono troppo vicina al cornicione per reggerlo. Intuisce che non ho intenzione di rivolgermi a lui.

- È stato ritrovato questo, sotto le macerie. - Mi allunga un cagnolino di peluche. Ha il pelo bruciato e gli mancano due zampe e la coda. Alzo gli occhi al cielo e cerco di frenare le lacrime. Sento il mio respiro farsi pesante e mi mordo il labbro. Riconosco quel peluche. Gliel'avevo preso io, perché era stata brava dal dentista. Mi aveva abbracciato per un minuto intero e non riusciva a dormire senza il cagnolino vicino.
- Ho bisogno di una sigaretta.
- Signorina, sono sincero. Sua figlia non è tra le macerie.
Erano avvenuti altri ritrovamenti di oggetti prima del peluche, come il ciuccio senza il quale non dormiva e me la immaginavo nella notte, con la mancanza di sua madre, chissà dove, piangendo.
Mia figlia non era lì. E allora? Dov'è? Dov'è quella bambina? Perché non riuscite a trovarla? Vi prego, ditemi qualcosa di lei, qualsiasi cosa, ma smettetela di portarmi oggetti, stralci di stoffa, false speranze. Io voglio sapere dov'è, cosa fa, voglio immaginarmela al sicuro, voglio abbracciarla, voglio cullarla per farla addormentare, voglio sentire la sua vocina. No, tenetevi il vostro peluche, non voglio piangere sopra anche a quello.
- Grazie - dico.
- Io... Sono costretto a chiederglielo ancora.
- No, no, no. Mi dispiace io non riesco...
- Questo peluche può aiutarla a ricordare le sue parole?
- No! Ci provo glielo giuro...
- Ho capito, va bene così. Il signor Fiore la sta cercando.



9 mesi prima
17 Luglio
Siamo sempre insieme ma non ci stanchiamo mai. Vado d'accordo con sua madre anche se il padre lo vedo raramente. La mia famiglia lo accetta come un figlio. L'anno scolastico si conclude per entrambi, il mio 2º anno di università e il suo 4º.

Finalmente con la patente, mi porta al mare. Un'esperienza magica.
Alla fine dell'ultima giornata di vacanza mi porta in hotel in braccio e mi stupisco ancora della sua forza nonostante non sia esageratamente grassa. Accade in un lampo. Il letto matrimoniale, il cioccolatino sul cuscino, il profumo di rose, il tramonto fuori dalla finestra, le precauzioni poco sicure.

Torniamo a casa e vomito di nuovo. Terza volta in due giorni. In un angolo remoto del mio cervello si insinua un'idea, pazzesca. La smonto in tutti i modi possibili, la allontano.



Con la mente ripercorro il magico momento di quella notte. Così giovani, così stupidi, così impreparati. Ricordo il suo sguardo quando sono uscita dal bagno, vestita solo con un paio di mutande e la camicia. Ricordo il suo sguardo quando mi ha portata sul letto e la voracità con cui mi ha slacciato la camicia. Chiudo gli occhi e mi lascio accarezzare dal vento.

Non ho voglia di scendere da Tommy. Sento dentro di me di starlo incolpando di tutto quello successo ingiustamente, e non voglio trattarlo male. Non ha fatto apposta a scontrarsi con me quel giorno. Non ha fatto apposta ad innamorarsi di me.
Ne sono ancora innamorata, ma non scenderò da lui.


9 mesi prima
Periodo di ciclo: faccio i conti con la realtà. Non arriva. Prendo il test, le mani che tremano. Positivo. Non so quanto avrò fissato quelle due tacchette, magari per essere sicura che fosse proprio così, pensando che si stesse sbagliando, che da un momento all'altro una tacca sarebbe sparita, era solo un sogno, una mia paranoia. E invece no.
Fisso una visita dal ginecologo, ma aspetto a dirlo a chiunque, allontano Tommy e le mie amiche, i miei genitori che si preoccupano ogni singolo giorno per la mia salute e fingo sorrisi spensierati.
Solo dopo un mese vado in ospedale. Esisteva davvero qualcosa dentro di me. Vederlo sullo schermo mi intimorisce ma al contempo mi fa una tenerezza infinita.

8 mesi prima
Mi presento a casa sua, finalmente. Lui è sorpreso, piuttosto arrabbiato, ma comunque curioso e vedo ancora l'amore nei suoi occhi. Mi rassicura.
- Elena, ciao, finalmente. Ero preoccupato, spero tu abbia una spiegazione... - si interrompe quando vede le lacrime nei miei occhi. Nonostante faccia fatica a frenarle sorrido, un momento così cambierà le nostre vite ed io sono positiva, e sono felice, ma l'emozione mi bagna gli occhi. - Cos'è successo ti prego parlami... -
Scendo con lo sguardo e mi accarezzo la pancia. È inquieto, si abbassa, mette anche lui una mano sulla mia pancia e mi fissa, lo sguardo stranito.
- Elena... - scuote la testa. Mi accorgo delle lacrime che mi scorrono sulle guance.
- Sono due gemelli. E sono sani - Sento il suono rotto della mia voce, ma non posso controllarlo. Il momento che ho tanto temuto è arrivato, e ci sono dentro.
Si lascia cadere sulle ginocchia, impotente. È stravolto e con lo sguardo perso. Appoggia le mani sui miei fianchi e sfiora col naso il ventre impercettibilmente rigonfio.

Casa mia
- Mamma, papà devo parlarvi. So come la prenderete sul momento ma voglio che sappiate che abbiamo la situazione sotto controllo e abbiamo preso la nostra decisione. Sono incinta di due gemelli, sì, teniamo a loro... No mamma... - Si porta la mano alla bocca ed emette un gridolino.

- Nonostante non sia stata colpa nostra ci sentiamo pronti e maturi per crescerli. - Mi viene in aiuto Tommy.
Li lasciamo per riflettere.

Casa Fiore
- Dov'è la puttana. - dice semplicemente il padre. Sento tutto da fuori, dove Tommy mi ha lasciato per paura e perché "era meglio per i bambini".
- Tesoro ti prego... - cerca di calmarlo la madre.
- Papà per favore ascoltami ti ho detto che possiamo tenerli, fidati.
- Lei abortirà. Ora dimmi dove si nasconde. 
No, non mi sto nascondendo. Non ho paura di affrontarlo, se minaccia le mie creature. Entro.
- Io non abortirò, che sia chiaro.
- Invece sì, mio figlio farà l'università e poi si troverà una ragazza che sappia stare al mondo e quando avrà un lavoro penserà ai figli.
- Credi che sia stata colpa mia? Che l'abbia voluto io?
- Papà per favore non sai cosa dici...
- Certo che lo so, è questa lurida puttana che con i diavoli che ha in corpo vuole... - Gli sferro uno schiaffo più forte di quello che avevo immaginato. Lui mi prende per un braccio, in un lampo mi tira la mano fino a terra e mi schiaccia la faccia contro il marmo freddo del tavolo. Non riesco a ribellarmi e il dolore mi paralizza.
- Amore fermati!
- Papà ti prego!
- Rifallo dai, prova a rifarlo. - mi grida nell'orecchio
La schiena non mi si piega più di così ma lui tira e tira.
- Papà le fai male! - Finalmente riesce a scansarlo da me. Mi lascio cadere a terra.
- Se credi di poter fare il nonno dei gemelli di tuo figlio, te lo scordi. I miei bambini non si avvicineranno a te nemmeno per strada.
- Basta così. Ce ne andiamo.
- E spero che non torniate!
- Tommaso ti prego fermati! - cerca di rimediare la madre.
Usciamo e guardo curiosa la sua espressione.
- Hai esagerato.
- Forse, ma ho fatto quello che una madre doveva fare.
- Vieni qui. - mi abbraccia. Restiamo così per non so quanto tempo. Mi rifugio nelle sue braccia e dimentico i problemi. Fin quando si accorge della ferita.
- Elena oh dio cosa ti ha fatto mio padre... Ti porto all'ospedale.



«Passerà anche questa». E come? No, non passerà mai, anche quando ritroverò mia figlia. Ci abbracceremo, la manderò all'asilo ma non sarà mai come prima. Quella bambina così coraggiosa che è sopravvissuta al rapimento. Passerà, ma ci trapasserà, sentiremo il vuoto lasciato dal mese in cui non ha mangiato, non ha dormito con il suo ciuccio o con il suo peluche.
Anche quella notte l'avevo sognata. È così che capisco che è viva, quando vedo i suoi occhietti verdi sorridermi e dirmi "sto bene mamma, non perdere le speranze". E io ascolto lei, non ascolto i poliziotti che mi consigliano di farmene una ragione, che il prezzo riscattato è sto pagato da 20 giorni e hanno chiuso i contatti. Io mi fido della mia bambina e di nessun altro. Le indagini non si chiuderanno finchè non potrò tenere stretta la mano di mia figlia.


 

1 mese prima
Viviamo nel secondo appartamento dei miei nonni, che pare essere gli unici a benedire i bimbi, insieme al proprietario brizzolato che ci ha permesso di ridurne l'affitto. Tommy ha un lavoro part-time e siamo mantenuti solo dalla mia famiglia. L'accordo con il signor Fiore era di non abortire a patto che non gli chiedessimo soldi. "Ce la possiamo fare" avevo detto a Tommy, nonostante fossi un po' intimorita anch'io. Vedevo i due gemelli come una benedizione. Gli studi dopo, il lavoro dopo, la mia famiglia era l'unico nucleo della mia vita.
Siamo alla fine dell'ottavo mese, la mia pancia è molto gonfia e scalciano sempre più spesso. Tommy si è preso una pausa dal lavoro per esserci al momento.
Avevamo scelto il nome. Samantha come la protagonista del nostro libro preferito.

19 Aprile
Sento le acque rompersi e un gran dolore. Tommy è più preoccupato di me, suda, mi porta in ospedale, le doglie si fanno più frequenti e il tutto sembra durare un'eternità. Cerco di sorridergli, per trasmettergli tranquillità, ma quando si dimostra impossibile chiedo al medico di allontanarlo. Giunge il momento. Spingo, spingo, spingo. Qualcosa va male, lo capisco.
- Cosa c'è, cosa succede? - urlo, ma nessun medico mi risponde. Solo un'infermiera continua a sussurrarmi «si rilassi, respiri», ma io l'ho capito.
- Bisogna operare 
Sento un vagito, mi rassicuro un po'.
- Ce l'avete fatta? È finita?
- Non si può più fare niente, Dottore.
- Spinga signorina, sta per finire.
- Cosa non si può fare? Cosa?
Mi passano un neonato finalmente. Mi commuovo quando lo vedo lì, entra Tommy, mi bacia e prende in braccio la bambina. Ma io non capisco e chiedo di suo fratello, perché non me lo danno. I medici dicono due parole con la testa bassa e mi passano un fagotto coperto. Tolgo lentamente la coperta e vedo lì sotto sbucare la testolina del corpo esanime di mio figlio.
Un «aborto spontaneo».

Un giorno dopo
Mi presentano un foglio, con fare serio. Siamo a casa dei miei genitori, che nonostante odino la bambina che ha distrutto il futuro della loro figlia si innamorano delle sue guanciotte paffute. "Certificato di adozione".
"Adozione".
- Era il vostro piano fin dall'inizio?
- Devi capirci, ora che hai una figlia. È per il tuo e suo bene.
- No, no, no. Non mi porterete mai via Sam. Non potete farlo.
- Siamo d'accordo con i genitori di Tommaso. Potrete continuare a frequentarvi, potrete anche avere dei figli ma non ora.
Le prendo una mano. - Mamma ciò che è successo è successo. Ho una figlia e non posso darla via. Voglio crescerla. Anche se la mia vita non sarà impostata come la vostra non è detto che sia una causa persa. Riprenderò gli studi, inseguirò i miei sogni, ma ora devi permettermi di tenere questa bambina.
- Tu non sai cosa significa fare la madre.
Capisco che non mi ascolta. Devo agire. Prendo il foglio e lo strappo.
- Un giorno ti pentirai, - dice. - La mia era una via di fuga. Il padre di Tommaso non permetterà mai che voi alleviate questa bimba. Sarà costretto ad abbandonarti e tu dovrai crescere la creatura tutta da sola.




Non mi ero mai posta il pensiero che mia madre avesse potuto avere ragione, quel giorno. Che se avessi messo quella firma la mia vita sarebbe stata migliore. Ero convinta - fino a un mese fa - che Sam fosse la mia benedizione. Che alla fine sotto ogni difficoltà non avrei scambiato quella bambina con tutto l'oro del mondo. Ma ora che lei non c'era mi chiedevo se tutti gli sforzi, i sacrifici fossero stati vani.
Mi chiedo cosa avrei potuto fare nell'anno in cui Tommaso non fu al mio fianco. Ripensai al mio coraggio nell'allevare una bambina da sola, al verde, senza aiuti. Ero inesperta ma piena di forza. Mi accorgo di aver dimostrato qualcosa a me stessa quel giorno, quando mi disse che non ce l'avrebbe fatta. «Questa bambina mi sta soffocando, ed anche te. Sappiamo entrambi che i miei genitori vinceranno e troveranno un modo per farmi restare. Non voglio addossarti questo carico, lasciala andare, per l'amor di Dio.»
I ricordi mi soffocano, mi asciugo le lacrime. Mi ero arrabbiata così tanto. «Come puoi chiamare "carico" tua figlia!», gridavo. Mi viene da ridere, scuoto la testa. Se solo avessi insistito di più per farlo restare, per farmi dare una seconda possibilità, che forse nella vita non avevo fallito del tutto e ogni cosa sarebbe tornata al proprio posto, avevamo ancora tempo per essere felici.
Samantha crebbe senza il proprio padre, fino ai 2 anni.



2 anni dopo
19 Aprile

È il suo compleanno, le ho messo un cappellino in testa e come regalo prendo una delle caramelle rosa gratuite al bancone d'ingresso, non potendo permettermi molto altro. Vengono a casa alcune mie amiche; anche mia madre le fa visita. Arriva sera e la festa finisce ed io resto sola con lei. Sono le 23:30 quando suona il campanello. Apro la porta ed è lì, a pochi passi, una delle persone che ho amato di più al mondo. Tiene un regalo in mano e dice timidamente - Buon Natale alla bambina più bella del mondo.
Ci fissiamo per un po', straniti, quindi lo invito ad entrare. Tommaso è lì, di fronte a me, sempre più bello. Vorrei saltargli addosso perché mi è mancato, ma non posso dimenticare quello che mi ha fatto e resto ferma, imbarazzata. Noto dietro di lui una valigia. Ci sediamo sul divano, piccolo ma confortevole.
Comincia subito a raccontarmi: - Sono scappato, perché avevi ragione. Quella non è la vita che voglio. La vita che voglio è al tuo fianco, con Samantha e non mi interessa di tutto il resto. Non è passato giorno che non vi abbia pensato, ogni lunedì ero dietro l'angolo a vederti fare la spesa con il passeggino. Non ho perso nessun appuntamento. Non sono mai venuto a trovarvi per paura di rendere più difficili le cose, che la vostra mancanza già mi uccideva di per sé. Ma non riesco a dimenticarvi, a sotterrare il vostro ricordo. È questo il mio posto, lo so. Ci sono io ora, non piangere.
«Non piangere».

14 mesi dopo

A giugno ci trasferiamo ancora, lontano da ogni genitore. Si tratta di un paese di provincia e troviamo facilmente lavoro, entrambi, facendo turni che ci consentono di non lasciare mai sola Samantha, dal momento che non possiamo permetterci una babysitter.
È faticoso, ma la sua prima parola, i primi passi, valgono la pena di ogni fatica.
Cresce una bambina meravigliosa, bella come il padre e affettuosa come la madre. Molto intelligente. Ascoltava a volte per ore Tommy parlare, e lui che aveva questa capacità oratoria incantevole si divertiva a raccontarle storie, ma anche fatti reali, curiosità sull'astronomia, su Shakespeare e anche sulla fisica, la biologia, la letteratura...
Finalmente era tutto a posto, eravamo felici, facevamo la vita che avevamo sempre sognato e non potevamo chiedere di meglio. Affrontammo le difficoltà con calma e maturità, neppure la varicella fu un problema.
Avevo la possibilità di essere felice finalmente. Ma nulla è per sempre.



Sento i passi dalle scale, ma non ho tempo di nascondermi.

- Elena non evitarmi. Restiamo uniti, almeno noi. Non voglio perdere anche te. - dice Tommy quando mi raggiunge.
Mi infurio. - Allora basta parlare di lei come se non ci fosse già più! Io la sento, la sento parlarmi... So che è viva, io lo so, lo so, lo so!
- Hai ragione, ho sbagliato. Anch'io vorrei esserne sicuro come te ma ho paura di illudermi e... Farmi più male di quanto già non senta a non sapere dove sia.
Lo abbraccio, perché ha ragione.
- Scusami se sono così aggressiva ma mi manca...
Mi accarezza dolcemente la testa. - Anche a me.
- Dovevi dirmi qualcosa?
- Ah si. In verità devo farti vedere qualcosa. So che magari non ha importanza. Ma...
Ecco. - mi allunga un foglio, con un disegno. È un paesaggio con due persone in primo piano che si tengono la mano. - Stavo guardando l'album di Sam. Ogni disegno è simile, ci siamo io e te ai lati e lei al centro. Ma questo qui è diverso.Vedi questa persona? È adulta e ha i capelli ricci corti. Non siamo noi.
- Tommy è una bambina, non puoi pretendere che sappia disegnare persone riconoscibili...
- Lo so, lo so. Ma parliamo della nostra Sam. Non ha mai sbagliato a colorare niente. Perché farci i capelli ricci?
Prendo in mano il disegno perché mi accorgo che quello che dice ha un senso. Voglio ricordarmi le sue parole ma non ci riesco, sto per ridare il foglio a Tommy quando mi accorgo di un dettaglio che mi era sfuggito.
La caramella rosa che ha in mano.


 

3 anni dopo
È un giorno come un altro, Tommy è a lavoro. Porto fuori il cane e intanto faccio fare un giro al parco a Sam. sto per sedermi su una panchina quando squilla il cellulare e sullo schermo appare la scritta "papà". Non mi aveva mai chiamato da quando mi ero trasferita. A volte me lo passava mia madre ma di per sé l'idea di sapere come stavo non gli era mai passata per la testa.
- Pronto? - Sento un lieve pianto dall'altra parte della cornetta.
- Elena è... Successo qualcosa. Tua madre è in ospedale. - Prova a spiegarmi, ma con fretta e io faccio fatica a sentire.
- Cosa è... - Sam mi interrompe, dice qualcosa ma non so cosa, sono sconvolta, non riesco ad ascoltare, la mando via bruscamente - Non ora! Papà ripeti per favore non capisco, parla più lentamente...



Vado dal poliziotto sotto casa, ma mi accorgo che c'è un'intera pattuglia. Chiedo cosa sia successo e loro dicono che hanno una pista, ma vanno nella direzione sbagliata. Provo a dirglielo, non ascoltano.

- Stiamo perdendo il segnale! - grida.
- Deve ascoltarmi!
- Si ricorda cosa le ha detto sua figlia?
- No ma...
- Aspetti allora, forse abbiamo trovato qualcosa. - Sale in macchina.
- State prendendo la direzione sbagliata!
- Vogliamo tentare.
Non mi ascoltano, devo agire. Prendo la mia macchina e parto, so dov'è mia figlia. «Non temere tesoro, vengo a prenderti, non avere paura.»



3 anni dopo
Devo correre in ospedale, resta poco tempo, grido "Samantha" ma non risponde. La cerco tra la folla ma non la vedo. Chiedo in giro se hanno visto una bambina bionda passare ma nessuno mi aiuta. Chiamo Tommy, gli dico che non la trovo, Sam è sparita. Si fa coprire il turno e corre a casa, ma dice che non è lì. La cerchiamo per tutto il paese, ma non si trova. Siamo disperati. Tommy sta per chiamare la polizia, ma il mio telefono torna a squillare. "Numero sconosciuto".
Il rapitore fissa una cifra e una scadenza.
Passo la notte in bianco, non sappiamo dove trovare tutti quei soldi. Non possiamo avvertire la polizia, non possiamo avvertire i genitori, ne gli amici, ne nessuno.

Mi ricontatta il rapitore. Gli dico che non ce la facciamo, sono troppi soldi in troppo poco tempo. Lo imploro e alla fine abbassa la cifra. La voce è modificata, ovattata, irriconoscibile. 
Tommy piange ogni sera nello studio, pensa che non lo senta ma lo percepisco. Mette la testa fra le mani e singhiozza. Mi fa piacere che si mostri forte di fronte a me, ma anche che sia preoccupato, che tenga a Sam.

Chiediamo soldi a chiunque, ci facciamo prestare poco un po' da tutti. Piangiamo se necessario. Promettiamo di restituirli. Ci vogliono 15 giorni e abbiamo la cifra richiesta, ma neanche 1€ per mangiare.
Alla scadenza richiama.
- Rivuoi tua figlia. Guarda alla tua destra.
Un boato, un'esplosione enorme, salta un edificio. Cado a terra, Tommy mi rialza non saprei dire dopo quanto e cerca di parlarmi ma non sento niente.
Giunge il momento di contattare la polizia e spiegare tutto.



Arrivo a destinazione, senza Tommy. Sono davanti all'edificio del mio primo appartamento. Entro, come sospettavo il proprietario non c'è. So qual è la chiave e dove si trova, quindi salgo in ascensore, arrivo al terzo piano. La porta si apre.
Ed è lì, con i suoi capelli biondi. Mi fiondo su di lei, coi brividi, piangendo tutte le lacrime che tenevo in corpo.
«Mi eri così mancata, piccola mia. Tu non meritavi tutto questo. Tu non hai fatto niente di male, perché tutto il male te l'ho fatto io. Mi dispiace se quella notte, in quell'albergo non ho saputo resistere, mi dispiace così tanto. Tu non è sapevi niente, tu non potevi saperlo perchè non eri ancora sbocciato, fiore. Ma quel giorno di tre anni fa sei nata, e ti ho amato dal primo momento che ti ho presa in braccio. E scusa se non ti ho mai risposto al come mai la culla accanto alla tua fosse vuota, perché abbiamo buttato i fiocchetti azzurri. Ma tu eri così innocente, tu non dovevi sapere che a questo mondo esisteva la morte, che la vita ti aveva privato di qualcuno, qualcuno che ti avrebbe amato. Perché tutti ti volevano bene. Anche la nonna ti amava, ma non lo sapeva. E non potrà mai saperlo. La sua vita è stata troppo breve per poterti chiedere scusa. Ma ora il suo angelo so che veglierà su di te. Ti prego mamma, fa che la tua morte abbia un senso. Ed anche tuo padre quando ti ha abbondonato, ti amava. Ed ora te lo direbbe se fosse qui. Ma sei cresciuta lo stesso tu, a discapito di tutte le persone che ti hanno chiamata errore, delle persone che hanno sperato tu non nascessi mai, che hanno cercato di allontanarmi da te. Io strappai quel foglio quel giorno perché ti amavo. E continuerò a farlo per sempre, te lo prometto, nonostante tu ora sia un angelo.»

Bacio in fronte il suo corpicino privo di vita. «Meritavi una persona migliore come madre amore mio. Non ti ho ascoltato quel giorno al parco che ero al telefono, quando mi hai parlato. Ti ho gridato contro e non me lo perdonerò mai, magari saresti ancora in vita, magari mi abbracceresti. Ma ora devo lasciarti andare, perché possa essere felice, ovunque tu sia. Ti ritroverò un giorno, e ti ridarò il tuo peluche. L'ho tenuto per te. Lo custodirò per sempre, insieme al tuo ricordo, a ricordo di come le cose belle volino via e come una mancanza possa pesare così tanto».
  
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