Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
Segui la storia  |       
Autore: sophie97    31/07/2015    4 recensioni
“È che... io non ce la faccio senza di lei. Mi sembra di impazzire, non riesco a dormire perché la sogno in fin di vita in quell’aeroporto, ma non posso stare sveglio perché qualsiasi cosa mi ricorda lei. [...] Dovevo morire io, Ben, quel proiettile era per me... per me!”.
Trovarsi da soli, di punto in bianco. Non sapere come muoversi, sentire solo dolore. Essere schiacciati dal senso di colpa.
Storia di morte, di vita, di rinascita, storia di amicizia e di amore, di rabbia e di vendetta.
Questo racconto è il seguito di “E poi tutto finì”, nonché nona e penultima storia della serie “Dieci ritagli di Cobra 11”.
È consigliabile ma non necessario aver letto la prima parte.
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Ben Jager, Kim Kruger, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Dieci ritagli di Cobra 11'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

DA “E POI TUTTO FINI’”, ULTIMO CAPITOLO:

«Forza, dai, ancora un piccolo sforzo!» quasi gridò il medico «Forza, spinga che ci siamo quasi!».
Ancora uno sforzo, un dolore mai provato e poi a Clara sembrò per qualche breve istante di non sentire più nulla.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì un’infermiera le stava già porgendo un piccolo fagotto bianco.
La ragazza lo prese e lo osservò per un attimo senza parole.
Era una femmina.
Bianca... era così piccola...
Clara scoppiò a piangere, di nuovo, ma questa volta le sue lacrime esprimevano una gioia incontenibile.
Rideva e piangeva insieme, non riusciva a crederci...
Bianca!

~~~

Quando le porte scorrevoli si aprirono, Semir non ebbe il coraggio di alzare immediatamente lo sguardo.
Sentì il medico avvicinarsi e vide il collega seduto accanto a sé scattare in piedi e andare incontro all’uomo che avanzava in camice bianco.
Poi alzò gli occhi e lo vide.
Vide Ben chiedere al dottore e questi rispondergli in un sussurro.
Vide Max da distanza fare altrettanto e in risposta ricevere da parte di Ben un’unica, eloquente occhiata.
Quindi diresse lo sguardo direttamente negli occhi del medico e lo interrogò senza parlare.
Anche lui rispose senza bisogno di parole.
Bastò un rapido movimento del capo per comprendere.
Bastò quel “no” appena accennato.
... E poi tutto finì.





Image and video hosting by TinyPic

Quindici giorni.
A Ben sembrava impossibile che fossero già passati quindici giorni: in realtà sembrava fosse accaduto tutto solo poche ore prima.
E invece no: quindici giorni, quindici giorni da quando Andrea era stata uccisa... Andrea...
Non avrebbe mai dimenticato niente di quel maledetto giorno, niente di niente: l’inseguimento, la sparatoria all’aeroporto, il viaggio verso l’ospedale, l’ansia, l’attesa... ma soprattutto non avrebbe mai dimenticato la disperazione che aveva letto negli occhi del suo migliore amico.
Semir aveva resistito fino all’arrivo in ospedale, poi si era lasciato andare ad un pianto disperato.
In tanti anni di lavoro insieme, Ben non ricordava di averlo mai visto così.
E poi il medico era uscito dalla sala operatoria e non aveva proferito parola: era bastato un minimo cenno del capo a far intendere cosa fosse appena accaduto lì, oltre quella porta scorrevole.
Inizialmente Semir era rimasto immobile, senza credere a ciò che gli era appena stato comunicato con uno sguardo.
La situazione in seguito era andata sempre più degenerando e lo stesso Ben aveva avuto paura di non essere in grado di gestirla...

 

«Semir! Semir, che stai facendo?!» gridò il giovane ispettore raggiungendo l’amico sulla terrazza dell’ospedale del piccolo paese vicino ad El Fahim.
«Vattene Ben!» riuscì ad urlare Semir con voce rotta dal pianto.
«Semir... ascoltami, devi scendere da lì... scendi!».
Ben era sempre più preoccupato: il collega si trovava in piedi sul cornicione, reso tra l’altro scivoloso dalla pioggia.
Semir scosse il capo «Vattene Ben. Ti prego, vattene, te lo chiedo per favore.».
«No! Non permetterò che tu ponga fine a tutto in questo modo, hai capito?».
«Ben, ti prego!» ripeté l’ispettore tra le lacrime «Tanto... È ... è meglio così.».
«No, non è meglio così.» ribatté Ben.
Aveva una paura immensa, temeva che l’amico sarebbe scivolato da un momento all’altro o, peggio, che si sarebbe lasciato cadere.
«Pensa alle bambine, Semir!».
Lo scrosciare intenso della pioggia rendeva difficile l’ascolto ma permetteva a Ben di avvicinarsi sempre più al cornicione, millimetro per millimetro, senza che l’altro lo notasse.
«Se non vuoi pensare a te stesso, pensa a loro! Crescerebbero non solo senza una madre, ma anche senza un padre.».
«Oppure con un padre che è causa della morte della loro madre!» gridò ancora il turco, continuando a fissare il vuoto sotto di sé.
«Non è vero Semir, lo sai...».
«Ma io non ce la faccio Ben, da solo non ce la faccio.».
«Non sei solo! Ci sono io e ci sarò sempre, c’è Clara, noi ti aiuteremo ma ti prego... non fare sciocchezze.».
Intanto Ben aveva quasi raggiunto l’amico senza che nemmeno lui se ne fosse accorto. Fece cenno agli uomini che erano accorsi ad aiutare di rimanere a distanza e si portò ancora più vicino al collega, fino quasi a sfiorarlo con la mano.
«Io non ce la faccio...» sussurrò ancora Semir.
Poi Ben si mosse, lo afferrò per un braccio e lo tirò a sé con quanta forza aveva in corpo, trascinandolo giù dal cornicione e portandolo a distanza di sicurezza dal bordo del tetto.
Semir si divincolò, provò a liberarsi della stretta del collega, ma non vi riuscì.
Scoppiò a piangere tra le sue braccia ed entrambi rimasero lì, abbracciati per alcuni minuti, sotto la pioggia.

 

Ben rabbrividì ripensando a quei momenti.
Era riuscito a salvare l’amico per un pelo... a salvarlo dal suicidio, certo, ma non dalla condizione in cui era inevitabilmente sprofondato.
Aveva dovuto firmare documenti, approvare carte e occuparsi di questioni burocratiche per fare in modo che la salma della moglie arrivasse il più in fretta possibile in Germania per il funerale, ma aveva fatto tutto ciò come guidato da una forza esterna a lui. Era distrutto e Ben non sapeva cosa fare per riuscire a tirarlo su in qualche modo, gli sembrava un’impresa insostenibile.
Poi, quello stesso maledetto giorno, lui era venuto a sapere del parto prematuro di Clara: era stato felice, certo... ma come avrebbe potuto mostrare la sua felicità ad un uomo che aveva appena perso la moglie, per sempre?
Rallentò e parcheggiò la sua Mercedes davanti a Casa Gerkhan, con un macigno sul petto di dimensioni indescrivibili.
Era il giorno del funerale e Ben era venuto a prendere il suo collega, non voleva lasciarlo solo nemmeno un istante. Clara li avrebbe raggiunti poi in chiesa, dopo essere passata dall’ospedale dove la piccola Bianca era tenuta in incubatrice. Anche la sua gioia era stata spezzata, Andrea era diventata a tutti gli effetti la sua migliore amica e adesso...
Sospirò.
Non erano nemmeno riusciti ad arrestare Schwarzer e i suoi scagnozzi.
Ben scese dalla macchina e chiuse lo sportello con forza, avviandosi lentamente verso la porta di casa del collega. Non lo vedeva da due giorni, Semir si era totalmente chiuso in se stesso e non gli aveva nemmeno aperto quando il giorno prima Ben era passato a trovarlo.
Le bambine per ora erano rimaste dai nonni, dove Andrea le aveva lasciate prima di raggiungere il marito in Turchia.
Ben respirò profondamente prima di suonare il campanello e poi attese con pazienza che l’amico venisse ad aprirgli.
E quando la porta di casa si spalancò, un nuovo macigno si abbatté su di lui senza pietà.
Semir era dimagrito visibilmente anche se in poco tempo ed era pallidissimo, il viso segnato da profonde occhiaie e gli occhi rossi e spenti.
Mormorò un “ciao” privo di espressione prima di lasciar entrare in casa il più giovane, che si richiuse la porta alle spalle.
Ben stava male, odiava vedere l’amico così, non solo gli dispiaceva, stava proprio male per lui.
«Ehi socio... come stai?» abbozzò, mettendogli delicatamente una mano sulla spalla.
L’occhiata che ne seguì gli fece temere di aver completamente sbagliato domanda.
Il turco non rispose e si limitò ad alzare le spalle.
«Prendo la giacca e sono pronto.» mormorò semplicemente avviandosi verso un’altra stanza per poi tornare nell’ingresso con il giubbotto in mano.
«Semir...» lo fermò Ben mentre l’altro stava aprendo la porta di casa per uscire «Siamo in anticipo, che ne dici se rimaniamo qui ancora dieci minuti prima di andare e parliamo un po’?».
«Non vedo di cosa dovremmo parlare.».
«Io invece penso che parlare ti farebbe bene.» replicò Ben, testardo.
«Cosa dovrei dirti, Ben? Cosa? Come mi sento? Uno schifo, mi sento uno schifo, almeno così lo sai. Ora possiamo andare per favore?» sbottò l’ispettore con gli occhi lucidi prima di aprire la porta e uscire senza che il collega potesse fermarlo.
Cercò in tasca le chiavi della sua macchina ma Ben le tirò fuori al suo posto «Andiamo con la mia e guido io.» affermò assertivo salendo sulla propria Mercedes e mettendo in moto. Non si sarebbe fidato assolutamente a lasciar guidare il collega nella condizione in cui si trovava.
Semir salì senza ribattere e i poliziotti partirono.
Ben guidava piano, non voleva arrivare troppo in anticipo e soprattutto voleva riuscire a far parlare l’amico il più possibile.
«Clara ci raggiunge lì.» esordì, senza però ottenere alcuna reazione.
«Ci sarà anche il capo della polizia, mi ha detto la Kruger.» continuò, ancora senza successo.
«Semir, io credo che tu dovresti...».
«Piantala, Ben!» gridò il passeggero voltandosi di scatto verso il più giovane «Ti prego, non ho bisogno di parlare e non me ne frega niente del capo della polizia. Penso che sia meglio che tu mi lasci perdere, rischio solo di fare danni e magari di rovinare la nostra amicizia, davvero. Non voglio perdere anche quella... So di essere intrattabile ma non posso farci niente, lasciami in pace e risolviamo il problema.».
Semir scese dall’auto che si era appena fermata davanti alla villetta in cui vivevano i genitori di Andrea senza aggiungere altro, sbattendo la portiera in faccia al collega e dirigendosi a passo spedito verso il portone.
Da lì, con i suoceri e le bambine, si sarebbe diretto a piedi verso la chiesa, che si trovava a pochi passi di distanza.
Ben sospirò appoggiandosi allo schienale prima di rimettere in moto per cercare parcheggio: l’amico avrebbe avuto tanto bisogno d’aiuto e lui avrebbe fatto tutto il possibile per stargli accanto, in un modo o nell’altro.

 

Buonasera a tutti miei cari lettori!
Come promesso, eccomi tornata con un’altra storia, la continuazione di “E poi tutto finì”. Come avrei potuto lasciare un Semir vedovo e un Ben appena diventato papà senza più farvi sapere nulla?
Vi avverto, la storia non sarà troppo allegra viste le circostanze e probabilmente ci sarà più introspezione che azione... ma staremo a vedere.
Un enorme grazie a voi che siete arrivati a leggere fin qui e un grazie già in anticipo a chi vorrà lasciare un segno del suo passaggio.
A presto!
Sophie :D

  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11 / Vai alla pagina dell'autore: sophie97